venerdì 22 luglio 2022

Elezioni politiche, si vota il 25 settembre: ecco la "macchina elettorale" (e dal 12 al 14 agosto tutti in fila per i simboli a "Viminale Beach")

Si era scherzato - ma non troppo - qualche giorno fa nell'immaginare che, votando il 2 ottobre come era sembrato più probabile e ragionevole in quel momento, si sarebbe creato uno scenario da "Viminale Beach", con i passaggi propedeutici principali e più visibili del procedimento elettorale preparatorio - il deposito dei contrassegni al Ministero dell'interno e la consegna delle liste negli uffici elettorali presso le corti d'appello - concentrati nella seconda metà di agosto. Da ieri sera l'hashtag #ViminaleBeach risulta ancora più concreto e veritiero: dopo le dimissioni confermate da Mario Draghi e i colloqui al Quirinale con la presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati e il presidente della Camera Roberto Fico, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha sciolto le Camere e il governo, rimasto in carica per il "disbrigo degli affari correnti", ha "deliberato, su proposta del Presidente Mario Draghi e del Ministro dell’interno Luciana Lamorgese, di proporre al Capo dello Stato la convocazione dei comizi elettorali per domenica 25 settembre 2022".

La scelta della data delle prime elezioni politiche autunnali

Il primo problema da affrontare ha riguardato la data delle elezioni. Si era già ricordato pochi giorni fa come nella storia della Repubblica italiana - come pure del Regno d'Italia - non si siano mai tenute le elezioni politiche in autunno, sia per evitare i problemi legati al dover affrontare vari adempimenti del procedimento elettorale in estate, sia per l'importanza - soprattutto in era repubblicana - di non rischiare di non concludere entro il 31 dicembre l'approvazione della legge di bilancio, dovendo così ricorrere all'esercizio provvisorio; i vincoli derivanti dall'adesione all'Unione europea, dunque la necessità di sottoporre a tempo debito determinati documenti legati alla finanza pubblica agli organi europei, hanno fatto il resto.
Questi elementi, uniti alla presa d'atto che il clima tra varie forze politiche (facenti parte o meno della compagine di governo uscente) si era decisamente deteriorato, hanno fatto subito capire che sarebbe stato necessario andare al voto il prima possibile, sperando che questo bastasse a creare le condizioni per la formazione di un nuovo governo a poca distanza dalle elezioni: lo stesso presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel suo intervento dopo la firma dei decreti di scioglimento, ha sottolineato con sobria nettezza che la situazione attuale "non consente pause negli interventi indispensabili per contrastare gli effetti della crisi economica e sociale e, in particolare, dell'aumento dell’inflazione" (anche a causa della guerra mossa dalla Russia all'Ucraina) nonché per attuare nei tempi previsti gli interventi del Piano nazionale di ripresa e resilienza e continuare il contrasto alla pandemia. Questo vale tanto con riguardo alla gestione del periodo da ora al voto, quando in riferimento a ciò che accadrà tra le elezioni e l'entrata nella pienezza dei poteri del nuovo governo (sempre Mattarella ha ricordato che il governo dimissionario, pur incontrando limiti al suo agire, "dispone comunque di strumenti per intervenire sulle esigenze presenti e su quelle che si presenteranno" fino all'insediamento del nuovo esecutivo). 
Di certo non si possono annullare alcuni tempi "tecnici", tanto per il procedimento elettorale (se ne parlerà più tardi), quanto per quel che ne segue: in base all'art. 61, comma 1 della Costituzione, la prima riunione delle nuove Camere si deve tenere "non oltre il ventesimo giorno dalle elezioni", ma occorre comunque un po' di tempo per individuare esattamente le persone elette, convocarle e permettere loro di recarsi a Roma e organizzarsi per restarvi per il tempo necessario ai primi adempimenti parlamentari. Tutto questo finisce per allungare i tempi per la formazione del nuovo governo: ciò ha fatto sì che la data di cui inizialmente si è parlato, cioè il 2 ottobre, apparisse a quel punto troppo lontana e foriera di rischi. A renderla impraticabile, peraltro, ha provveduto lo stesso Presidente della Repubblica: sciogliendo ieri le Camere (dunque ponendo "fine" alla legislatura) ha fatto sì che la data del 2 ottobre ricadesse oltre il termine dei 70 giorni entro il quale, in base all'art. 61, comma 1 Cost., devono tenersi le nuove elezioni politiche. 
Come date utili, a quel punto, restavano soltanto il 25 settembre e il 18 settembre. Quest'ultima, in effetti, sembrava a sua volta troppo vicina - soprattutto per i vari adempimenti del procedimento elettorale da compiere - ma era stata considerata sia nell'ottica di accelerare il più possibile i tempi (e di avere magari un po' più di tempo a disposizione dopo il voto per formare il governo e, comunque, per l'attività di quest'ultimo), sia per risolvere un possibile problema, legato alla coincidenza parziale della giornata di votazione con la festa di Rosh haShanah, cioè il capodanno ebraico, che secondo alcune persone non avrebbe consentito ai fedeli osservati di esprimere il proprio diritto di voto. A risolvere il problema ha provveduto una nota dell'Unione delle comunità ebraiche italiane (evidentemente sollecitata - ci si permette di dirlo, precisando che non ci si riferisce a chi scrive - da una persona che ben conosce i meccanismi delle elezioni e delle istituzioni e appartiene di certo alla schiera dei #drogatidipolitica) in cui si è precisato che "la data non pone ostacoli. La solennità che inizia la sera consente ai fedeli di religione ebraica di esercitare il proprio diritto di voto nelle ore precedenti", ponendo attenzione innanzitutto alle sorti del paese. La nota dell'Ucei ha "sdoganato" dunque il 25 settembre come data praticabile per il voto, senza più bisogno di evocare il 18 settembre: questa avrebbe accorciato ancora di più i tempi per la raccolta delle firme - già ridotti, come si vedrà, ma sarebbe stata decisiva la consapevolezza che sarebbe stato a rischio il diritto di voto degli italiani residenti all'estero, visti i tempi previsti dalla legge per gli adempimenti dedicati (nel d.P.R. 2 aprile 2003, n. 104 si dice per esempio che l'elenco provvisorio dei cittadini residenti all'estero va comunicato dal Ministero dell'interno a quello degli esteri - in via informatica - entro il 60° giorno che precede la data del voto in Italia).
A questo proposito, la memoria dei #drogatidipolitica non può non correre al 1994. Non solo le Camere vennero sciolte da Oscar Luigi Scalfaro ascoltando solo i presidenti delle Camere (come richiesto dalla Costituzione) senza consultazioni politico-parlamentari e rimarcando la necessità che governo e Parlamento agissero per affrontare i problemi urgenti, proprio come ora. Allora infatti, nonostante si fosse deciso da pochi mesi (con le cosiddette "leggi Mattarella") che si sarebbe votato soltanto domenica e non anche fino al primo pomeriggio del lunedì, il governo guidato da Carlo Azeglio Ciampi prima si trovò nell'inopportunità di scegliere date diverse dal 27 marzo per le elezioni (il 20 marzo, vagliato in un primo tempo, era parso alla fine troppo vicino), poi emanò - a Camere già sciolte, ovviamente - il decreto-legge 19 gennaio 1994, n. 42, per prolungare il voto a tutta la giornata di lunedì 28 marzo (dalle 7 alle 22), in modo da consentire il voto anche agli ebrei impegnati dal tramonto del 25 marzo al tramonto del 28 marzo nella festa di Pesach (la Pasqua ebraica); il Parlamento convertì il decreto con la legge 28 gennaio 1994, n. 68. Determinante, a quanto si apprese, fu un incontro tra Ciampi e l'allora rabbino capo di Roma, Elio Toaff, nel quale fu chiarito che dopo il tramonto, poco dopo le 19 e 30, anche gli ebrei osservanti si sarebbero potuti recare ai seggi, tenuti aperti fino alle ore 22. Anche allora, insomma, fu questione di tramonto, anche se ventott'anni fa ci volle un decreto (e in quel caso il voto degli italiani residenti all'estero non era previsto). 

Il problema del voto nelle scuole

Anche nel 1994, in ogni caso, c'era il problema legato al voto nelle scuole, edifici in cui tradizionalmente si è votato in Italia per ogni tipo di consultazione elettorale pubblica. Il presidente dell'Associazione nazionale presidi (anzi, "Associazione nazionale dirigenti e alte professionalità della scuola") Antonello Giannelli ha dichiarato ad Adnkronos: "Lo chiediamo da tempo e sarebbe ora di non usare più le scuole per i seggi elettorali. Dovremo iniziare un anno di uscita finalmente dalla pandemia e interrompere le lezioni dopo pochi giorni perché ci sono le elezioni, sicuramente non è un bel segnale", considerando che l'inizio delle lezioni è previsto tra il 5 settembre (Bolzano) e il 19 settembre (Valle d'Aosta), in base ai calendari approvati dalle varie Regioni e Province autonome. 
Giannelli si è rivolto "agli enti locali e al ministero dell'interno affinché si trovi una soluzione a questo annoso problema". Annoso il problema lo è di certo, la soluzione peraltro non è semplicissima. Non c'è ovviamente un obbligo di votare nelle scuole, ma tradizionalmente si vota lì - in particolare nelle scuole dell'infanzia, primarie e secondarie di primo grado, gestite dalle amministrazioni comunali in base all'art. 3, comma 1, lettera a) della legge n. 23/1996, per cui spetta a loro l'allestimento dei seggi - perché si tratta dei luoghi pubblici più diffusi in assoluto, spesso anche in frazioni o località "disperse", in cui non sono presenti altri edifici pubblici utilizzabili. Chiunque abbia conservato i ricordi di bambino sa che perdere qualche giorno di scuola "perché si vota" (e allora non importava se si trattasse di elezioni nazionali, locali o referendum) è sempre festa, del resto chi crescendo ha sviluppato per la passione per la politica è convinto - come recitava uno status imperdibile e ripetuto della pagina Facebook Malati di Politica - che le scuole in realtà siano "seggi elettorali adibiti per gran parte dell'anno all’attività scolastica"; l'interruzione delle lezioni, obbligatoria anche se le operazioni di voto impegnano solo una parte dell'edificio o un solo plesso della scuola, qualche problema però effettivamente lo crea. Anche perché, se all'anno scolastico "sono assegnati almeno 200 giorni" (art. 74, comma 3 del d.lgs. n. 297/1994), in certe occasioni si è rischiato seriamente di non rispettare quel limite, mettendo a rischio la validità dell'anno stesso
Nel 2000, per dire, molte elezioni regionali e amministrative si erano tenute il 16 aprile (con tanto di ballottaggi, qua e là, due settimane dopo), poi le scuole erano rimaste chiuse per le vacanze pasquali almeno dal 20 al 24 aprile, ma il 21 maggio era già arrivato il tempo dei referendum (che peraltro non avrebbero raggiunto il quorum). Non stupisce che allora il ministro della Pubblica Istruzione Luigi Berlinguer abbia proposto di trovare, in accordo col Ministero dell'interno, altri luoghi pubblici per votare (fece anche l'esempio di municipi, sedi di circoscrizioni o comunità montane, uffici postali e caserme); toccò però al suo successore Tullio De Mauro, alla vigilia delle elezioni politiche del 13 maggio 2001, ammettere che sarebbe stato difficile "sostituire la rete delle scuole - 41 mila sedi in tutta Italia - con altri uffici". Nel corso degli anni si è parlato ciclicamente del problema, che nel 2020 si era dimostrato molto grave, viste soprattutto le tante difficoltà con cui si erano portate avanti le lezioni (essenzialmente a distanza, quando addirittura non sono state sospese del tutto) nei primi mesi della pandemia: la scelta di votare nella "data baricentrica" (© Stefano Ceccanti) del 20 settembre 2020, infatti, fece sì che i giorni per preparare i locali, votare, scrutinare le schede e infine ripristinare le aule (provvedendo, tra l'altro, alla sanificazione anti-Covid-19) seguissero di una sola settimana l'inizio dell’anno scolastico (in vista del quale, tra l'altro, gli edifici erano già stati sanificati).
Visto quel primo, difficile ritorno alla "normalità" per ragioni elettorali, il Ministero dell'interno il 26 giugno 2020 aveva invitato i comuni, attraverso l'Anci, a verificare la disponibilità di "immobili diversi dagli istituti scolastici ma simili per caratteristiche strutturali, di sicurezza e per profili di conformità alla normativa elettorale, in cui possano svolgersi le operazioni elettorali", così da poter attuare la revisione "del luogo di riunione" delle singole sezioni elettorali (agendo con urgenza in base all'art. 38, commi 3 e 4 del d.P.R. n. 223/1967. Proprio la ministra Lamorgese ha poi istituito un gruppo di lavoro - che ha operato tra gli ultimi mesi del 2020 e i primi del 2021 - che ha richiamato i requisiti indicati dalle norme in vigore per la "sala delle elezioni" e gli edifici che ospitano i seggi, fornendo anche un elenco dei vari "fabbricati che potrebbero ospitare sezioni elettorali" (uffici comunali e sale consiliari, biblioteche e sale di lettura, palestre e impianti sportivi, impianti polifunzionali, circoli ricreativi e sportivi, locali del dopolavoro, spazi espositivi e fieristici, ludoteche, strutture già a uso sanitario o ex mercati coperti; erano invece stati ritenuti inadatti per allestirvi seggi le sedi di partito o sindacato, gli edifici di culto e le loro pertinenze), anche se si sarebbe dovuta verificare la loro effettiva idoneità. La legge n. 69/2021 ha stanziato un fondo di 2 milioni di euro per il 2021 per dare contributi ai comuni che avessero trovato entro il 15 luglio dell'anno scorso sedi di seggio alternative a quelle scolastiche: c'è chi lo ha fatto, ma in effetti non è facile perché i requisiti dei locali non sono stati "alleggeriti" (li stabiliscono norme in vigore e non poteva certo essere il ministero a ritoccarli). Si dovrebbero cercare soluzioni "stabili", nel senso di replicabili agevolmente a ogni turno e non "di fortuna", e comunque certe caratteristiche vanno comunque rispettate (se si ricavano più seggi, ad esempio, in una palestra, occorre comunque garantire per ogni sezione una porta d'ingresso da chiudere a chiave e sigillare): l'epoca del voto nelle scuole, insomma, sembra lontana dal concludersi in fretta.
   

Al voto con (quasi) le stesse norme del 2018

Naturalmente, essendo intervenuto lo scioglimento delle Camere prima che il Parlamento provasse seriamente ad approvare una riforma elettorale, si andrà al voto con le norme applicate nel 2018 (la cosiddetta "legge Rosato" o, per chi proprio non sa fare a meno dei "latinetti", Rosatum-bis), tenendo però conto degli effetti della riduzione dei parlamentari operata nel 2020 (e della modifica delle norme elettorali operata dalla legge 27 maggio 2019, n. 51, che ha ripartito i seggi tra collegi plurinominali e uninominali in base a una proporzione di cinque ottavi e tre ottavi, non più con numeri specifici). Non a caso, proprio ieri sono stati proposti dal governo a Mattarella due decreti, per assegnare a ogni circoscrizione/regione e collegio plurinominale i rispettivi seggi, secondo l'ultimo lavoro di studio dei collegi concluso nel 2020.
Sul piano del sistema elettorale, dunque, si vota con l'assegnazione per ogni Camera, tolti i seggi riservati alla circoscrizione Estero (8 alla Camera, 4 al Senato), dei 5/8 dei seggi in ragione proporzionale nei collegi plurinominali (245 seggi alla Camera, 122 al Senato), in una competizione tra liste "bloccate" corte e potenzialmente coalizzate; i restanti 3/8 (146 alla Camera, più quello della Valle d'Aosta; 67 al Senato, cui aggiungere il seggio della Valle d'Aosta e i sei destinati al Trentino - Alto Adige) si assegnano in collegi uninominali. Alla ripartizione proporzionale accedono le liste che hanno superato la soglia di sbarramento del 3%.
Quanto alle schede, sono sempre due (una per la Camera, porpora e una per il Senato, gialla) e contengono per ogni coalizione o lista non coalizzata l'indicazione - in un rettangolo ampio - del candidato nel collegio uninominale e, sotto, un rettangolo più piccolo per ogni lista contenente il contrassegno e le candidature comprese nella rispettiva lista "bloccata". Si segnala che, come nel 2018, ogni scheda è dotata di "tagliando antifrode" - con relativo codice da riportare in appositi registri - e da strappare prima che la scheda sia inserita all'interno dell'urna: nel 2018 questo aveva creato qualche difficoltà e parecchie lungaggini ai seggi, si spera che stavolta vada meglio. 

Le scadenze per presentare simboli e liste (e i problemi connessi)

L'individuazione del 25 settembre come data per le elezioni politiche (si è parlato e si continua a parlare di un solo giorno, non anche di parte del lunedì) permette di individuare le varie scadenze connesse al procedimento elettorale, in particolare quelle che stanno a cuore alla platea dei #drogatidipolitica e che, in ogni caso, devono essere rispettate da chi intende presentare candidature (o anche solo avere un minimo di visibilità). Seguendo i termini indicati dal d.P.R. n. 361/1957 che regola l'elezione della Camera, il deposito dei contrassegni presso il Ministero dell'interno avverrà tra il 12 e il 14 agosto (tra le ore 8 del 44° giorno e le ore 16 del 42° giorno precedente il voto), mentre il deposito delle liste e dei documenti legati alle candidature - da compiere presso presso la cancelleria della Corte d'appello dei rispettivi Uffici centrali circoscrizionali e regionali - si terrà tra il 21 e il 22 agosto (tra le ore 8 del 35° giorno e le ore 20 del 34° giorno che precede il voto).
Lo scenario da #ViminaleBeach è dunque ancora più completo di quanto si potesse immaginare con il voto il 2 ottobre: mai era accaduto che i simboli potessero essere portati al ministero alla vigilia di Ferragosto (insieme ai programmi e agli altri documenti richiesti); solo per qualche elezione regionale - incluse quelle in "epoca Covid-19" del 2020 e del 2021 - era accaduto che le corti d'appello dovessero accogliere e vagliare candidature in piena estate.
Tutto questo, se consente alle elezioni di svolgersi in tempi stretti, non è privo di problemi. Innanzitutto in estate normalmente il personale degli uffici giudiziari, come del resto quello dei comuni e delle varie amministrazioni coinvolte, è a ranghi ridotti, a causa delle ferie: se di norma occorre lavoro straordinario (che ovviamente ha un costo), la situazione sarà anche più grave in un periodo come questo, visto il poco personale disponibile. Non sarà poi banale gestire l'afflusso di persone (oltre che le loro richieste) in determinati giorni, stante anche il non annullato rischio di contagio da Sars-CoV-2: si dovrà vedere se prevedere un accesso libero, ancorché "sorvegliato" (con personale che regola la fila e accompagna) o se introdurre un regime di appuntamenti che però non crei troppi limiti all'accesso e alla possibilità di ottenere informazioni o di sanare eventuali difetti dei documenti presentati.
Si è già detto in passato che tanto il rito del deposito dei contrassegni al Ministero dell'interno, quanto quello della presentazione delle liste potrebbero subire qualche adattamento, soprattutto con riguardo alla tradizionale - e anche un po' folkloristica, dunque irrinunciabile - fila che si dipana sulla piazza del Viminale o davanti alle corti d'appello nelle ore precedenti l'apertura dei cancelli/portoni: il caldo agostano, oggettivamente, potrebbe creare problemi alle persone in fila per ore - un tempo erano giorni, ma forse questo appartiene al passato - e si potrebbero cercare soluzioni che evitino svenimenti, insolazioni e altri inconvenienti spiacevoli, anche se questo volesse dire (purtroppo) rinunciare a parte dello spettacolo di arte varia di quei momenti.
Certo è che i tempi ora a disposizione per le forze politiche sono strettissimi: 23 giorni scarsi per decidere con quale simbolo presentarsi alle elezioni (il che vale soprattutto per le forze che intendano presentare una lista unitaria) e con quali altre liste coalizzarsi, un mese esatto per definire le liste per i collegi plurinominali, i candidati dei collegi uninominali (da concordare con le eventuali forze alleate) e soprattutto per raccogliere le sottoscrizioni, almeno per le forze politiche non esenti. Il tempo per la raccolta firme è davvero ridotto, soprattutto per le forze politiche non ancora del tutto organizzate, anche se magari sono presenti in Parlamento a seguito di scissioni avvenute in corso di legislatura. Anche se lo scioglimento delle Camere anticipato di oltre quattro mesi rispetto alla scadenza naturale dimezza le firme da raccogliere in ogni collegio plurinominale (750 invece che 1500), si tratta comunque di un numero consistente: per la Camera, dopo il taglio dei parlamentari e la ridefinizione dei collegi, quelli plurinominali sono 49 e per essere presenti in tutti le firme da raccogliere sono almeno 36750 (è sempre meglio abbondare), mentre per il Senato i collegi sono 26, dunque occorre ottenere almeno 19500 firme (chi ha firmato per la Camera può firmare anche per il Senato); in tutti i casi, comunque, le sottoscrizioni devono essere di elettrici ed elettori iscritti nelle liste elettorali di comuni del singolo collegio plurinominale per il quale si presenta la lista (dunque le firme di chi è in vacanza lontano dal comune di residenza non vanno bene). Un tasto dolente, che si aggiunge a quello sulle esenzioni, che questa volta hanno un regime particolare: se n'è già detto - quando si è citato l'emendamento Magi-Costa riformulato - ma converrà riparlarne più in là. Lo stesso vale per le difficoltà che dovrebbero affrontare liste non esenti dalla raccolta firme intenzionate a coalizzarsi con liste esonerate da quell'obbligo: dovendo indicare sui moduli della raccolta firme il nome della persona candidata nel singolo collegio uninominale, per poter cercare sottoscrittori dovrebbe già sapere ora chi indicare, quando è ovvio che al momento non sono affatto chiare nemmeno le alleanze che saranno proposte agli elettori. Le liste tenute alla raccolta firme, dunque, a maggior ragione questa volta sono disincentivate a coalizzarsi, essendo più comodo correre da sole, con tutti gli svantaggi che questo comporta.

Nessun commento:

Posta un commento