lunedì 29 settembre 2014

Dc (di Sandri) e Lista del Grillo: le meraviglie iniziano a Reggio Calabria

Archiviate in fretta le primarie per indicare il candidato alla presidenza della regione Emilia-Romagna per il centrosinistra, è già tempo di pensare alle nuove elezioni d'autunno. Occorre votare in Emilia e in Calabria, la data fissata è il 23 novembre, ma prima ancora - il 26 ottobre, anche se il centrodestra avrebbe preferito l'election day - sarà il turno di Reggio Calabria: il turno elettorale a lungo rinviato darà finalmente governatori eletti al capoluogo più meridionale della penisola.
Di certo i numeri complessivi colpiscono, con un totale di 32 liste e quasi 800 aspiranti consiglieri comunali. Eppure, più ancora che il record di 11 liste a sostegno di Peppe Falcomatà (per il centrosinistra), quasi sfiorato dalle 9 formazioni in appoggio a Lucio Dattola (centrodestra), a colpire davvero è lo schieramento che candida a sindaco il professor Paolo Ferrara, legato al progetto politico Liberi di Ricominciare. 
Oltre al contrassegno del movimento, molto in stile centrodestra catch-all (con una scia tricolore dai tratti leggermente ingenui su fondo bianco, sotto al semicerchio blu scuro), sulla scheda ci saranno quattro altri simboli dall'aria vagamente familiare, da osservare con attenzione e occhio sgamato. Lo sguardo attento, peraltro, è del tutto necessario: con le sue cinque liste a sostegno (molte di più rispetto a quelle in appoggio ad altri candidati), Ferrara si pone concretamente come outsider delle elezioni reggine: l'obiettivo principale, ovviamente, è approdare al ballottaggio, ma anche se ne restasse fuori il suo appoggio potrebbe avere un certo peso al secondo turno; in ogni caso, la coalizione ha i numeri per eleggere più rappresentanti in consiglio comunale ed essere concretamente parte della vita politica locale dei prossimi anni.
Tornando agli altri simboli a sostegno di Paolo Ferrara, il più "rassicurante" e tradizionale di tutti, a conti fatti, sembra essere l'emblema del cartello Libertà - Esigenze sociali: una "bicicletta" che raccoglie i fregi del Movimento autonomo alternativo (altro segno tetracromatico filonazionale, declinato in salsa perfettamente calabrese) e del Meda, il Movimento europeo diversamente abili. I due contrassegni, non sconosciuti all'uso locale o nazionale (il Mesa ha più volte presentato il suo emblema al Ministero dell'interno), sono posati in un azzardato accostamento cromatico su un fondo giallo bordato di rosso, ma nessuno troverebbe nulla da ridire o di strano a guardare la scheda.
Non si potrebbe dire lo stesso per la lista Forza Reggio. Il lettering riprende in tutto e per tutto quello di Forza Italia, anche per la posizione obliqua crescente; il fondo, però, è tutto color amaranto (e non c'è da stupirsi, essendo il colore "ufficiale" di Reggio Calabria) ed è bordato di una doppia coroncina sottile, dello stesso colore. L'emblema, tuttavia, convive con quello forzista, regolarmente presente nella coalizione che sostiene Dattola: teoricamente il rischio di confusione tra i due emblemi c'è, se non altro per la possibilità che qualcuno associ i segni (pur essendo legati a due schieramenti diversi), ma a quanto pare per la commissione elettorale tutto andava bene.
L'esame dell'organo incaricato di vagliare liste ed emblemi, tuttavia, sembra essere stato piuttosto benevolo, all'insegna del "dentro tutti". Sembra spiegarsi soprattutto così la presenza sul manifesto e sulla scheda del contrassegno della Democrazia cristiana che riconosce come proprio segretario Angelo Sandri: il sorteggio ha posizionato il fregio al primo posto tra i cinque presentati a sostegno del candidato Ferrara, per cui lo scudo crociato fa bella mostra di sé in quella selva di 32 immaginette colorate. Già, perché la commissione ha ammesso l'emblema tradizionale dei democristiani, lo scudo crociato (in stile degasperiano, con la parte superiore ricurva) usato e rivendicato da anni da Sandri, che figura direttamente tra i candidati consiglieri, assieme ad altri militanti e dirigenti nazionali (come Michele Battiloro). Tra i contrassegni presentati non c'è quello dell'Udc e questo probabilmente ha permesso al partito di Sandri di finire senza troppi problemi su manifesti e schede. Non è il riconoscimento di continuità con la Dc storica che certi iscritti vorrebbero avere, ma per qualcuno è già qualcosa di cui essere contenti.
La Dc-Sandri lotterà come tutte le liste per ottenere un numero di voti sufficiente a ottenere un seggio in consiglio comunale. Il colpo più audace (pur nella prudenza), tuttavia, presenta una firma ben nota. Perché tra i cinque simboli presentati a sostegno di Ferrara, c'è anche quello della Lista del Grillo parlante - No Euro, uno degli ultimi marchi-progetti sfornati dalla mente e dal gruppo del piemontese Renzo Rabellino. In effetti, nella lista dei candidati, c'è proprio lui, al secondo posto: la piazza di capolista, in piena operazione alias, è stato ceduto all'imperdibile Alessia Lucrezia Giovanna Grillo, donna di cui nulla si sa se non che ha un cognome potenzialmente più pesante dei tre nomi che ha.
Il gioco era stato tentato anche alle elezioni politiche del 2001, proponendo di candidare come capolista al Senato tale Giuseppe Grillo, quando ancora di progetti stellati non si parlava: dal Viminale, tuttavia, arrivò la prima di varie bocciature, ammettendo solo la trasformazione della parola principale in "Grilli" e mettendo in evidenza il riferimento ai "parlanti". Stavolta, però, il MoVimento 5 Stelle è pienamente attivo e, come è ovvio, nel contrassegno contiene il riferimento al proprio fondatore-ispiratore, Beppe Grillo: nonostante questo, per i funzionari della commissione tutto è a posto e non si rischia la confusione. Forse saranno le (5) stelle a rischiarare il cammino degli elettori confusi, ma di certo Rabellino ha messo a segno il primo colpo elettorale di questo turno: c'è da giurarlo, sarà solo il primo.

giovedì 25 settembre 2014

Il simbolo religioso dove (non) te lo aspetti

Se ne è già parlato tempo fa su queste pagine: tra i comportamenti vietati che potenzialmente confondono le acque simboliche della politica italiana, c'è anche l'uso di "immagini o soggetti religiosi": giusto per evitare che qualcuno pensi che il santo, la Madonna, la congregazione o la religione di turno siano scesi in campo al fianco di chi ne sfodera i segni (o che qualcuno voglia farlo credere, giusto per spillare qualche voto in più).
La regola vale per le elezioni nazionali ed è applicata di solito in modo piuttosto severo: alle ultime elezioni politiche, per dire, i simboli saltati per "ragioni religiose" sono stati quattro (ma il numero poteva essere più alto, a voler essere davvero rigorosi: chiedere al Partito dei cattolici, per esempio) e in passato il giudizio non è stato meno tenero. Alle elezioni amministrative, invece, il metro sembra più elastico: in nome della più ampia partecipazione locale - e considerando che il tempo per controllare tutta la documentazione è pochissimo - se non ci sono casi clamorosi (come l'immagine di un Cristo benedicente), si lascia correre.
Disco verde, dunque - quasi sempre - ai monumenti di qualunque genere, anche quando si tratta di una chiesa, di un santuario o di un'abbazia. A liberalizzare i campanili ci aveva pensato la natura stessa dell'Italia (e non certo Mastella), a salvare dalla mannaia gli edifici sacri ha provveduto il buon senso. Nessuno, ovviamente, nega la loro natura di luoghi di culto o di devozione, ma ci si intende sul fatto che chiese, santuari e abbazie con il tempo sono diventati soprattutto segni di riconoscimento territoriale, in grado di identificare un comune tanto quanto un monumento del tutto civile e laico, se non di più: chi li vede sulla scheda non pensa alla religione, ma al luogo in cui vive.
Non riconoscere questo, prima ancora che miope, è inutile: assieme alle peculiarità ambientali di un luogo e ai campanili, gli edifici religioni sono tra gli elementi preferiti dai propugnatori delle liste civiche (o di chi vuole nascondere la propria appartenenza dietro il civismo). E quando il monumento è particolarmente rappresentativo, ci si buttano anche in due o in tre, avendo giusto la cura di rappresentarlo in modi diversi e da vari punti di vista. Era successo, per dire, a San Benedetto Po nel 2011: su quattro liste presentate, ben due ospitavano l'abbazia di San Benedetto in Polirone, certamente il segno più importante del territorio: la sagoma appena tracciata a contorni rossi o la silhouette verde del complesso sacro facevano bella mostra sulla scheda e nessuno, in commissione elettorale, si era sognato di bocciarne una delle due. Tra i due litiganti aveva vinto un terzo, ma a prevalere davvero, quella volta, era stata l'abbazia.
Se poi l'edificio religioso in questione è anche, di fatto, l'unico monumento del paese, proibirlo diventa ancora più assurdo. Così, a Zelo Buon Persico, comune del lodigiano, in aprile la lista "Tutti per Zelo" non si era fatta troppi problemi a inserire nel proprio contrassegno la stilizzazione della chiesa parrocchiale, che si affaccia sulla piazza del paese. A qualcuno, però, il dubbio che i funzionari potessero bocciare il simbolo era venuto lo stesso: in sede di esame, però, nessuno ha avuto da ridire. In effetti, mettersi di traverso per non far passare l'immagine dell'unico vero monumento della città, riprodotto anche nei particolari (ma senza riportare nemmeno una croce), avrebbe avuto poco senso. Il piano della piazza colorato a tinte arcobaleno ha continuato a ospitare la chiesa e la maggioranza dei cittadini ha gradito: il sindaco del comune oggi è espressione di quella lista.
Qualcuno, in compenso, sembra fare di tutto per mettere a dura prova l'attenzione dei controllori (e anche la tenuta delle norme). A Novara di Sicilia, per dire, nel 2012 si scontravano solo due liste: aveva vinto senza troppa larghezza "Libertà e progresso", a sostegno del candidato sindaco Girolamo Bertolami. Nel contrassegno di quella lista, un geometricissimo (e quasi naïf) sole giallo sorge non dal mare o dalla terra piana - in stile socialdemocratico o veterosocialista - ma da due rilievi montuosi verdi, alzandosi in un cielo azzurrino sfumato con uccelli in volo. Immagine quasi commovente, nella sua semplicità che non pretende nulla... ma aguzzando l'occhio, sul monte di sinistra, si vede una croce disegnata sulla cima. 
Sulla scheda sarà stata alta meno di un millimetro, sulla riproduzione grande per i manifesti forse due millimetri e mezzo; non è chiaro che bisogno ci fosse di piazzare quei due tratti di nero quasi impossibili da vedere (magari c'è proprio una croce su uno dei monti del paesaggio del comune messinese). I componenti della sottocommissione elettorale circondariale comunque non se ne sono accorti e, se anche hanno visto il segno, hanno evidentemente lasciato correre. Contenti loro (e contenti quelli di Rifondazione comunista, che hanno partecipato alla lista), contenti tutti.

mercoledì 3 settembre 2014

Favia e i Liberi cittadini, se il civismo si vede (anche) dal simbolo

L'autunno è alle porte e le elezioni regionali anticipate (sia pure solo di qualche mese) in Emilia Romagna si avvicinano. Mentre il Pd è alle prese con i primi passi della macchina delle primarie, qualche certezza  sui contendenti c'è già e qualche simbolo è già sicuro. A partire da quello della lista civica Liberi cittadini per l'Emilia Romagna, che si propone di portare a livello regionale le battaglie che normalmente sono condotte dalle liste civiche nei comuni. A ispirare la formazione, anche se non figura tra i candidati, il consigliere regionale uscente Giovanni Favia: è lui stesso a spiegare come sia nato l'emblema della lista e quale significato abbiano le sue parti.
"Credo molto nella semiotica, nell'importanza della comunicazione, nei simboli – chiarisce –. Non è arrivato un grafico a farci proposte: siamo stati noi – io in questo caso, confrontandomi con altre persone, facendo girare tutte le proposte e raccogliendo critiche e osservazioni – a chiedere a chi ha curato la grafica di realizzare il contrassegno, ovviamente andando per tentativi. Dall'idea alla carta il percorso non è sempre dritto e il creativo in questo ti guida e alla fine si crea anche uno scambio creativo: il concept e le necessità comunicative che avevamo comunque le abbiamo indicate noi, a volte andando molto nei dettagli".
Di certo, nome e contrassegno costituiscono un "parto unico", con due elementi che si completano a vicenda (il primo è pur sempre parte del secondo), ma a nascere per primo è stato il "titolo" della lista: "Siamo partiti da lì – spiega il consigliere – volevamo innanzitutto dare un'impronta di civismo al nostro gruppo, non un'impronta 'politica', per cui la parola 'Cittadini' per noi era importante. È anche vero che quella parola, ultimamente, nel MoVimento 5 Stelle si è inflazionata, ormai è un refrain, un mantra che è fine a se stesso: per contraddistinguerci abbiamo aggiunto il termine 'Liberi'". 
Sembra questo il punto focale nel ragionamento di Favia: "Tutti sono cittadini, anche quelli che stanno nei partiti, a differenza di ciò che dice Grillo: la differenza sta nel modo in cui fai politica. Essere liberi è la nostra differenza, anche da loro: loro sono di fatto teleguidati da una struttura di marketing, una struttura comunque padronale che pensa per loro, che detta visioni strategiche e politiche, mentre i partiti rispondono alle segreterie e agli apparati. Noi siamo cittadini liberi, che fanno politica semplicemente per passione, per migliorare la società: questo era il messaggio che volevamo dare".  Certo, in parte l'etichetta della lista è stata influenzata  dall'emblema: "Volevamo renderci ben riconoscibili in cabina elettorale, per cui abbiamo adattato il nome anche in base agli spazi concessi dal contrassegno". 
Una volta fissata la denominazione, si trattava di passare al marketing elettorale. "Volevamo portare l'esperienza del civismo, che ha molto successo a livello locale con i cittadini che si auto-organizzano dal basso – chiarisce l'ispiratore di Liberi cittadini – le liste civiche nascono ovunque e con molta energia ed entusiasmo a livello comunale, mentre a livello regioanle tutta questa forza atomica scompare, si dissolve. Il nostro progetto dunque era questo: cercare di portare anche a livello regionale quell'energia, quel piacere di fare politica, liberi da gomitate, carriere, giochi, concentrandosi sui contenuti".
Occorreva trovare il modo di portare tutto questo nel simbolo: "Serviva certamente un'iconografia legata al civismo. Guardando con attenzione i loghi delle molte liste civiche, abbiamo notato alcuni temi ricorrenti: la presenza di persone (in tondo, stilizzate, ...), di segni legati all'ambientalismo (e molte liste nascono anche in nome della difesa del territorio locale) e di segni legati all'identità territoriale, per cui santuari, torri, monumenti sono frequentissimi". 
Si spiega così facilmente la presenza della torre, vista come luogo che marca genericamente un territorio e ne è segno di riconoscimento: "Non è il riferimento a una torre reale, indica piuttosto anche che l'Emilia Romagna è un contenitore di tante identità diverse: quella torre anonima di fatto non ne esclude o ne privilegia nessuna". L'immagine della torre obliqua ha fatto pensare a più di qualcuno alla torre degli Asinelli di Bologna, ma la pista è sbagliata: "Ce l'hanno detto in tanti – riconosce Favia – ma evidentemente chi l'ha detto non è bolognese: uno di Bologna, come sono io, non potrebbe mai rappresentare una sola delle Due Torri, che per noi sono un tutt'uno. Anche uno che va sulla Garisenda o sugli Asinelli va sulle Torri, non su una sola".
Sempre sul piano iconografico, poi, ci sono le foglioline a marcare il tema della tutela ambientale e a dare un po' di movimento al logo; l'impatto maggiore, in ogni caso, resta sempre quelo del nome, che spicca in verde sul fondo bianco. Guai, però, a pensare che quello da poco sfornato sia l'ennesimo contrassegno debitore del tricolore italiano: "I colori che abbiamo scelto, dopo alcuni esperimenti, sono esattamente quelli del vessillo della Regione – precisa il consigliere –. Noi abbiamo preso precisamente qulle tonalità cromatiche e le abbiamo armonizzate nel logo: come le liste civiche locali giocano sui colori del comune, noi usiamo quelli della Regione. Noi tra l'altro siamo un comitato di scopo per le elezioni. Non vogliamo creare un'identità, lavoriamo sul progetto civico che abbiamo presentato". 
A dare l'ultimo tocco di movimento e di scarsa staticità è l'impianto generale dell'emblema: "Siamo una lista giovane, moderna che sa padroneggiare anche gli strumenti della comunicazione visiva: è voluto che il cerchio di contorno non sia perfettamente chiuso e che tutto il logo abbia una linea dinamica e almeno un po' aggressiva".
Nessuna delle persone che si è impegnata per la nascita di Liberi cittadini, invece, ha voluto inserire parole o segni grafici riferibili alla passata militanza nel MoVimento 5 Stelle di diverse di loro. "Non volevamo correre il rischio – precisa Favia – di essere identificati come ex-5Stelle, che non è affatto una bestemmia, anzi, andiamo fieri di essere ex, ma siamo consapevoli che occorre allargare il perimetro". A scanso di equivoci, lo stesso consigliere va ancora più nel dettaglio: "Siamo anche fieri di aver creduto, in un certo momento storico, a qualcosa cui hanno creduto in tanti: non penso alla deriva populista e basata sull'idolatria che poi c'è stata, ma a quella minoranza che credeva davvero che Grillo fosse un uomo di spettacolo che dava solo la vua visibilità a un progetto di cittadinanza, organizzato, democratico, meritocratico e serio. Poi è stato tutt'altro, ma chi segue la politica italiana conosce la storia: chi vuole capirla la capisce".
L'essere identificati o scambiati con il gruppo di provenienza sembra essere uno dei maggiori timori per Favia, che tra l'altro ha scelto di non essere ricandidato (a qualunque titolo) alle prossime elezioni regionali: "Uno dei motivi per cui non sono in lista è anche questo: la mia presenza avrebbe portato più consenso, perché comunque le persone votano chi conoscono, ma si rischiava che il progetto diventasse una polemica nei confronti del M5S e io non volevo questo". 
Per il consigliere uscente era comunque importante non gettare la spugna: "Avendo io creduto alle battaglie che ho fatto, non mi sarei potuto nascondere alle elezioni. Sono convinto che giocando si può perdere, non giocando si perde di sicuro": nessuno di noi ha aspettative future, il fatto che le cose possano andare male non ci spaventa, è molto più importante per noi tenere la testa alta". La battaglia, dunque, sarà giocata: la torre servirà a farsi riconoscere, anche se emergere sula scheda è ben più difficile che in Pianura padana.