lunedì 21 agosto 2023

Cuffaro, Cesa, Rotondi e altri: ancora sul simbolo della Dc in tribunale

Lo si è ricordato spesso in questo sito, ma tocca ripetersi ancora: le liti legate alla Democrazia cristiana sembrano non conoscere la parola fine e, per questo, le notizie più recenti non sono mai "ultime", ma almeno "penultime". Se n'è avuta l'ennesima prova il 17 agosto, quando le agenzie hanno fatto sapere che il Tribunale di Roma il giorno prima si era espresso su un ricorso presentato dalla Dc guidata da Salvatore "Totò" Cuffaro nei confronti dell'Udc (Unione dei democratici cristiani e di centro), partito il cui segretario è dal 2005 Lorenzo Cesa e che fin dalla sua nascita nel 2002 schiera in primo piano lo scudo crociato con la scritta "Libertas" storicamente usato dalla Dc (e giusto un po' rivisto): in base a quanto diffuso dai media, il giudice designato avrebbe riaffermato il diritto dell'Udc a usare lo scudo crociato, respingendo le richieste di Cuffaro.
La notizia ha inevitabilmente prodotto commenti e altre reazioni, alcune delle quali meritano la stessa attenzione del fatto alla loro base. Come puntualmente accade quando si parla di Democrazia cristiana, però, è fortissimo il rischio di fare o creare confusione, magari considerando direttamente coinvolto dalla decisione del giudice anche chi da questa non è minimamente citato. Vale dunque la pena cercare di capire bene cos'è stato chiesto, cos'è stato deciso e che effetti possono discenderne.
 

Il ricorso

Quella emessa il 16 agosto, innanzitutto, è un'ordinanza (e non una sentenza), firmata dal giudice del tribunale di Roma Paolo Goggi (XVI sezione civile): il suo nome va ad allungare l'elenco dei magistrati del tribunale romano che si sono occupati più di una volta di liti "democristiane" (si chiarirà il punto più avanti). Il provvedimento è stato generato da un ricorso presentato il 26 maggio scorso da Totò Cuffaro, quale "segretario nazionale e legale rappresentante" della Democrazia cristiana (associazione non riconosciuta, come del resto in Italia sono tutti i partiti politici, sulla base delle norme vigenti). 
Il ricorso verteva proprio sull'impiego dello scudo crociato: si chiedeva infatti che fosse inibito all'Udc l'uso dell'emblema storico della Dc "e di ogni altro simbolo ad esso similare e/o con esso confondibile, cessando ogni atto di usurpazione e molestia"; per rendere più concreta l'inibitoria, si era richiesta anche la fissazione di una penale per ogni ulteriore uso indebito del simbolo. Il ricorso, presentato a norma dell'art. 700 del codice di procedura civile, richiedeva un "provvedimento di cautela atipica" e da stabilire in via di urgenza; nello stesso atto, peraltro, la difesa di Cuffaro avrebbe anticipato l'instaurazione di un procedimento di merito, volto ad accertare che spettava solo alla Dc-Cuffaro (si usa quest'espressione per mera comodità) il diritto - in base all'art. 7 del codice civile, che tutela il diritto al nome - di usare lo scudo crociato "quale parte del proprio patrimonio morale, identitario e immateriale" (si cita sempre dall'ordinanza) e che, di conseguenza, l'impiego dello stesso segno doveva essere inibito all'Udc. 
Risulta di certo utile ripercorrere le tesi a sostegno delle richieste di Cuffaro. Nel ricorso, per prima cosa, si sarebbero richiamate le deliberazioni dell'assemblea e del consiglio nazionale della Dc (nelle riunioni tenutesi rispettivamente il 18 e il 29 gennaio 1994) con cui gli organi avrebbero deciso il cambio di nome da Democrazia cristiana a Partito popolare italiano senza però averne il potere, spettante invece al congresso: ciò, secondo Cuffaro, avrebbe prodotto "nella sostanza" la nascita di un "nuovo soggetto politico in discontinuità giuridica con la Democrazia cristiana", cioè il Ppi. Si richiama poi il passaggio travagliato del 1995 - oggetto del quarto episodio del podcast Scudo (in)crociato, che sarà diffuso domani - in qualche modo concluso con i "patti di Cannes" e che ha visto la costituzione del Cdu guidato da Rocco Buttiglione. Il ricorso segnalava pure che proprio gli "accordi di Cannes" sono tuttora impiegati dall'Udc per giustificare il proprio uso fatto a partire dal 2002 dello scudo crociato (apportato da uno dei tre soggetti fondatori, vale a dire il Cdu, che a sua volta ne aveva acquisito l'uso con i patti del 1995).
Richiamati in breve i tentativi di ricostituire la Democrazia cristiana, "rimasta sostanzialmente inattiva" dal 1994 in avanti, il ricorso cita la lite iniziata nel 2002 tra la Dc di cui nel frattempo si era tentata la riattivazione (allora sotto la guida di Angelo Sandri - in continuazione del tentativo di Alessandro Duce - e in seguito con la segreteria di Giuseppe Pizza) e il Cdu, cui poi si è aggiunta un'azione dell'Udc nei confronti della Dc-Pizza. Si tratta, com'è facile capire, dei contenziosi che in secondo grado sono stati riuniti dalla Corte d'appello di Roma e su cui si sono espresse nel 2010 le sezioni unite civili della Corte di cassazione, con la pluricitata sentenza n. 25999; i contenuti delle pronunce sono richiamati in breve nel ricorso (e, a quanto pare di capire, quasi solo nelle parti potenzialmente favorevoli alla Dc-Cuffaro e non nelle altre).
Dopo il "punto fermo" della Cassazione del 2010, il ricorso cita l'istanza presentata nel 2016 al tribunale di Roma - primo firmatario Nino Luciani - con cui si chiedeva, a nome del 10% dei soci risultanti dall'ultimo elenco disponibile, di convocare l'assemblea degli iscritti della Dc, onde nominare la nuova figura di vertice (seguendo l'art. 20 del codice civile e le altre disposizioni codicistiche in materia, non lo statuto), e il decreto dello stesso tribunale del dicembre di quello stesso anno che ha disposto la convocazione di quella stessa assemblea, poi svoltasi il 26 febbraio 2017 all'hotel Ergife di Roma. L'esito di quella riunione, dalla quale era uscito eletto presidente Gianni Fontana, era stato impugnato da due soci (Raffaele Cerenza e Franco De Simoni) che avevano contestato sotto vari profili la validità dell'assemblea; il tribunale di Roma, tuttavia, con una sentenza emessa proprio dal giudice Paolo Goggi a luglio dello scorso anno aveva respinto le domande degli attori, per cui la validità dell'assemblea del 2017 non era stata intaccata.
Non ci si stupisce dunque che il ricorso di Cuffaro citi questa sentenza del 2022, come pure i passaggi seguiti all'assemblea del febbraio 2017, che avrebbe dato "corretto avvio al percorso riorganizzativo del partito": ci si riferisce, in particolare, al (XIX) congresso del 13-14 ottobre 2018, che elesse segretario Renato Grassi, e il successivo (XX) congresso del 6-7 maggio 2023, che alla segreteria ha portato proprio Cuffaro (affidandogli, a quanto pare di capire dall'ordinanza, anche la rappresentanza legale, da statuto spettante al segretario amministrativo).
Nel rivendicare come la riorganizzazione della Democrazia cristiana fosse avvenuta "in continuità con il partito 'storico'" della Dc (in particolare in conformità al dettato dell'art. 20 c.c.) e negando che la Dc avesse mai ceduto a terzi l'uso del simbolo dello scudo crociato, la difesa di Totò Cuffaro ha lamentato che l'uso dell'emblema da parte dell'Udc producesse per la Dc "una permanente lesione che impediva il pieno e libero perseguimento del proprio scopo associativo, in conseguenza di indebite usurpazioni e molestie nell'utilizzo degli elementi simbolici identificativi della sua identità con possibile rischio di lesione della credibilità della linea politica". Sulla base di questo, nel ricorso si è chiesta l'inibitoria ricordata sopra.

L'ordinanza del 16 agosto

Al ricorso di Cuffaro - che, essendo datato 26 maggio, è stato uno dei primi atti della sua segreteria - è seguita, a luglio, la risposta dell'Udc, che ha contestato sotto ogni profilo le richieste della Dc. Tra gli argomenti esposti, si possono citare il mancato riferimento - nel ricorso di Cuffaro - a eventi imminenti (come consultazioni elettorali prossime) in grado di giustificare l'urgenza della tutela e varie questioni relative al fumus boni iuris, cioè al "sospetto" di fondatezza delle tesi del ricorso: avrebbero fatto venir meno questo sospetto il fatto che dal 2002 l'Udc abbia sempre operato e si sia sempre presentata alle elezioni con lo scudo crociato (ottenendo rappresentanza parlamentare) e, anzi, abbia già ottenuto dal tribunale di Roma vari provvedimenti a tutela dell'uso del suo simbolo; per parte sua, l'Ufficio elettorale centrale nazionale presso la Corte di cassazione non ha mai riammesso i simboli ricusati alle elezioni politiche ed europee per aver usato lo scudo crociato ed essersi resi confondibili con il fregio dell'Udc.
L'ordinanza emessa dal giudice Goggi, come si è anticipato, non ha concesso alla Dc-Cuffaro l'inibitoria richiesta, condannandola anzi al pagamento delle spese del procedimento in base al principio della soccombenza ("chi perde paga anche le spese altrui", senza che dunque la causa avesse elementi di novità al punto da rendere opportuna la compensazione). Sembra opportuno seguire il percorso seguito dal magistrato, anche per comprendere l'esatta portata della sua decisione.
Innanzitutto il giudice ricorda che il procedimento ex art. 700 c.p.c. serve a richiedere provvedimenti in grado di proteggere un diritto da pregiudizi imminenti e irreparabili, in attesa che si arrivi a una decisione sul merito: questo serve a ricordare fin dall'inizio che non si sta discutendo dell'esistenza del diritto ma solo dell'opportunità di un intervento per non pregiudicarne la tutela, quindi l'esame che si fa in questa sede è più superficiale (o, più correttamente, "sommario").
Al giudice per respingere le domande della Dc basta rilevare che Cuffaro non avrebbe "offert[o] idonea dimostrazione dei poteri" del rappresentante legale della Democrazia cristiana, cioè non avrebbe dimostrato di averli. In primis, il magistrato rileva che Cuffaro non sarebbe il solo a rivendicare per sé il ruolo di legale rappresentante della Dc, citando il congresso nazionale che in febbraio avrebbe eletto Antonio Cirillo alla segreteria, per cui con almeno due soggetti che rivendicano lo stesso titolo non ci sarebbe certezza; curiosamente, gli atti di quel congresso sono stati introdotti nel processo dall'Udc, che così li ha usati a suo vantaggio (ma è legittimo dubitare che sarebbe disposta riconoscere come legittimo l'uso dello scudo crociato da parte di quest'altra Dc). Quanto alla continuità giuridica rispetto alla Dc-Fontana, il giudice richiama un'altra sentenza dello stesso tribunale civile di Roma (n. 11010/2016), in base alla quale per la Dc-Fontana non ci sarebbero stati abbastanzelementi per dire che quel soggetto giuridico si poneva "in linea di continuità, sotto il profilo dell'identità giuridica o della titolarità dei rapporti obbligatori, con il partito" della Dc, per cui non poteva "riconoscersi in capo allo stesso il diritto all'uso esclusivo del simbolo". Si deve peraltro rilevare, pur nel pieno rispetto per il giudice che ha emesso l'ordinanza, che la sentenza in questione non si riferisce alla Dc-Fontana riattivata tra il 2016 e il 2017, mal precedente tentativo di riattivazione del 2012, che aveva visto sempre arrivare Fontanalla segreteria, ma era stato dichiarato nullo (ancora una volta) dal tribunale di Roma tra il 2014 e il 2015. Chi scrive nutre seri dubbi sulla reale continuità giuridica tra lDc "storica" e lDc-Fontana 2016-17 (e, di conseguenza, la Dc-Cuffaro), ma la sentenza indicata dal giudice sembra poco adatta contestare il fondamento delle richieste appena respinte.
Ciò, comunque, per il giudice è sufficiente per dire che non si può desumere la continuità giuridica della Dc-Cuffaro rispetto alla Dc "storica": non sarebbe utile allo scopo il XX congresso che ha eletto Cuffaro, né basterebbe l'attività di vari esponenti del partito, perché non proverebbe la legittimità di questi. Quanto alla spesso citata - e mai abbastanza letta e capita - sentenza del 2009 della corte d'appello di Roma, confermata l'anno dopo dalla Cassazione, il magistrato ne estrapola solo la parte in cui si richiede che il soggetto giuridico che si proclama "erede" della Democrazicristiana provi un'inequivoca continuità con quest'ultima (non bastando l'uso del nome, qui non in discussione). Sul punto, l'ordinanza precisa che la valutazione sull'esistenza della continuità tra Dc "storica" e Dc-Cuffaro "non può che essere compiuta in un ordinario giudizio di merito a cognizione piena", dunque non in sede cautelare a cognizione sommaria. 
Di nuovo, quindi, il giudice fa capire che della Democrazia cristiana e dello scudo crociato si discuterà ancora presso il tribunale di Roma, ma non c'è spazio al momento per concedere la tutela cautelare d'urgenzchiesta da Totò Cuffaro. Ciò anche perché al momento della presentazione del ricorso sarebbe mancato del tutto il rischio di pregiudizi imminenti e irreparabili (periculum in moraper i pretesi diritti della Dc sul simbolo: come notato pure dall'Udc, alla data della presentazione del ricorso si erano già svolte le elezioni regionali e amministrative e non ne erano previste altre in tempi ravvicinati, né sarebbero state prospettate dalla Dc-Cuffaro "equipollenti azioni di natura politico-elettorale, idonee in concreto ad ingenerare confusione sull'uso del simbolo in contestazione nella massa indifferenziata degli elettori". Per il magistrato, insomma, un partito può chiedere ltutela del proprio preteso "diritto al simbolo" slegata da imminenti confronti elettorali, ma solo in un giudizio di merito a cognizione piena, non potendo ottenere provvedimenti per proteggersi da un pregiudizio imminente e irreparabile che - senza procedure elettorali in corso o in vista - non esiste. Tutto questo fonda il rigetto del ricorso, con tanto di condannalle spese della Dc-Cuffaro.

Che succede dopo l'ordinanza?

Fin qui il contenuto dell'ordinanza, che in fondo si limita dire che non ci sono le condizioni per inibire all'Udc l'uso dello scudo crociato, senza per questo attribuire a questa la titolarità - men che meno definitiva - del simbolo. media hanno dato spazio alle dichiarazioni di Salvatore Cuffaro successive al pronunciamento del magistrato: 
Abbiamo chiesto al tribunale di Roma che lo scudo crociato potesse riunirsi alla Democrazia Cristiana. Il giudice, invece, ha sentenziato che debbano rimanere separati e che il diritto di utilizzarlo come simbolo resta dell'Udc. Non presenteremo ricorso e continuiamo a sostenere l'importanza storica ed ideale di riunire lo scudo crociato con la Dc e che questo abbia senso solo se tutte le diverse anime di ispirazione democristiana troveranno le ragioni per farlo e per tornare insieme, ma è una decisione politica. Per quanto riguarda noi, abbiamo già il nostro simbolo e il nostro nome che nessuno può toglierci. Andiamo avanti col nostro segno al quale ci siamo affezionati, che è stato riconosciuto e convalidato dal Ministero degli Interni ed apprezzato dagli elettori e che ci sta dando grandi soddisfazioni.
Da una parte sembra opportuno rilevare che contro questa decisione in sede cautelare non si presenta ricorso, ma tutt'al più reclamo. Dall'altra le parole di Cuffaro non escludono affatto che - senza la presentazione di nuovi ricorsi - il giudizio di merito prosegua davanti al tribunale di Roma, per valutare effettivamente la continuità giuridica della "sua" Dc rispetto a quella storica. In fondo, però, per lo stesso Cuffaro non c'è poi fretta: gli ultimi risultati di rilievo - soprattutto in Sicilia - il suo partito li ha ottenuti con un simbolo diverso, che mantiene la croce ma la colloca su un drappo bianco. Ha ragione l'ex presidente della Regione siciliana quando dice che il Viminale ha ammesso alle ultime politiche quel contrassegno (bocciando quelli delle "altre" Democrazie cristiane), anche se l'uso di quello stesso emblema senza scudo crociato ha suscitato qualche malumore in chi - come Giuseppe Alessi, nipote dell'omonimo ideatore dell'emblema democristiano e figlio dell'ex deputato Alberto - non accetta di scindere nome e simbolo storici. Paradossalmente, dopo l'ultima ordinanza in materia, Cuffaro può rafforzare la sua convinzione sull'opportunità di usare il suo drappo crociato, se non altro per non avere noie in sede elettorale.
Sull'ordinanza emessa in risposta al ricorso di Cuffaro è però intervenuto anche Gianfranco Rotondi, presidente della Fondazione Sullo - Democrazia cristiana, presidente di Verde è Popolare, nonché deputato aderente al gruppo di Fratelli d'Italia: 
L'odierna decisione del tribunale civile di Roma, più esattamente del dottor Goggi, conferma ciò che ho sempre amichevolmente detto all’amico Totò Cuffaro, del quale salvo la buona fede e ammiro la passione democristiana: tutte le sentenze hanno confermato la validità degli atti concernenti la successione giuridica della Dc. Alla luce di questi atti, il simbolo è in uso all'Udc, il nome al mio partito e il patrimonio al Ppi. La decisione odierna recupera questa storia, e la riconferma. La Dc si potrebbe ricostruire solo riunendo gli aventi titolo giuridici, che siamo Cesa ed io, e abbiamo dato più volte questa disponibilità anche all'amico Cuffaro. Se questo disegno di unificazione non riesce, bisogna raggiungere almeno un gentlemen agreement che permetta a ciascuna delle nostre esperienze di esprimersi senza confusione né avvilenti conflitti giudiziari. Per il ruolo giuridico che ho svolto in questi anni, e per l’amicizia che mi lega a tutti gli ultimi protagonisti democristiani, mi permetterò di svolgere una funzione attiva per recuperare tutti una militanza serena. Intanto aspetto tutti i partiti democristiani al tradizionale raduno di Saint Vincent, che si svolgerà a fine ottobre, e darà a tutti una occasione di dialogo.
Ieri lo stesso Rotondi ha fatto diffondere un suo intervento filmato, nel quale parla di "sentenza [...] che chiude definitivamente la contesa sullo scudo crociato" e di occasione per capire se "questa inflazione di simboli democristiani è una strategia [...] per boicottare i partiti democristiani presenti in Parlamento" o se è possibile trarne qualcosa di concreto: in particolare, il deputato annuncia di mettere a disposizione "di tutti i soci che vorranno ridare vita a questo partito" il nome "Democrazia cristiana" (uso che gli è stato concesso,  dal Ppi - ex Dc il 21 dicembre 2004). L'invito è rivolto innanzitutto a Cesa e a Cuffaro, ma anche agli altri soggetti che hanno dato vita a progetti democristiani: tutti loro sono chiamati a partecipare all'evento in programma l'ultimo fine settimana di ottobre a Saint Vincent - sede storica dei convegni della sinistra sociale democristiana, mentre negli ultimi anni è stata scelta per gli eventi organizzati dalla Fondazione Sullo - Dc, dal quotidiano la Discussione e dai progetti politici legati a Rotondi, incluso l'attuale Verde è Popolare - per confrontarsi insieme "su come rimettere in campo una proposta politica che si richiami alla Democrazia cristiana. Se c'è buona fede, questo è l'appuntamento giusto, non nei tribunali".
Per amore di precisione è il caso di fare due chiose alle parole di Rotondi (sempre nel pieno rispetto): da una parte, non si può dire che dal tribunale di Roma sia arrivata una "chiusura definitiva" della querelle sullo scudo crociato, se non altro perché si è trattato solo di un giudizio cautelare a cognizione sommaria e - salvo rinunce esplicite, che sul punto non ci sono state - resta ancora aperta la strada del giudizio di merito a cognizione piena, che in teoria (anche se questo sito ha già espresso i suoi dubbi in materia) potrebbe accertare una continuità tra Dc "storica" e Dc-Cuffaro che al momento non è emersa con evidenza. Dall'altra parte, è opportuno rilevare che in nessuna parte dell'ordinanza appena emessa si fa riferimento alla questione del nome della Dc e alla concessione dello stesso a Rotondi; naturalmente chi scrive è ben consapevole dell'atto con cui i rappresentanti legali del Ppi - ex Dc Luigi Gilli e Nicodemo Oliverio il 21 dicembre 2004 hanno concesso a Rotondi "sino a revoca" l'uso della denominazione "Democrazia cristiana" (tuttora rientrante nel patrimonio del Ppi) e la facoltà di difenderlo in sede giudiziale, così come sa che in altri giudizi - in particolare quello iniziato dalla Dc-Sandri nel 2006 - l'associazione Democrazia cristiana guidata da Rotondi ha visto tutelato il proprio diritto al nome.
Rileva che Rotondi non è stato citato nell'ordinanza appena emessa anche Nino Luciani, che in base a un altro percorso rivendica per sé il titolo di segretario politico della Dc (lui a dire il vero sottolinea l'estraneità di Rotondi rispetto a una precedente sentenza, emessa sempre dal giudice Goggi del tribunale di Roma, quella del 2022 citata anche dalla Dc-Cuffaro). In un post su Facebook, in ogni caso, Luciani annuncia che il 23 settembre 2023 sarebbe in programma una "assemblea organizzativa della Dc, prevista da un accordo" tra la Dc guidata da Luciani (e che lui proclama essere "storicamente e giuridicamente continua con quella del 1994") e il quasi omonimo soggetto politico i cui riferimenti sono i citati Raffaele Cerenza e Franco De Simoni. Ciò sempre nel tentativo di riunire la Dc.
Non poteva mancare il commento di un altro segretario nazionale Dc, Antonio Cirillo, lo stesso del XIX congresso citato dall'Udc per smentire la legittimazione di Cuffaro: "In seguito alla rinascita della DC, abbiamo osservato un incremento significativo nelle manovre di disturbo e nelle campagne di disinformazione da parte di coloro che hanno sempre cercato di ostacolare il nostro rinnovamento. Desidero sottolineare che coloro che si autoproclamano Democristiani, senza alcun fondamento legittimo, sono stati formalmente diffidati sia da me che dal Segretario Amministrativo, Dr. Sabatino Esposito. Il nostro statuto non prevede alcun diritto 'successorio'. La fondazione Sullo non possiede alcuna autorità o diritto di decidere sul futuro del Partito. Questa è chiaramente una manovra maldestra per altro priva di rilevanza giuridica. Tuttavia, la nostra direzione è chiara e determinata, e non siamo disposti a deviare dal nostro percorso. In questo contesto, esorto tutti i membri e sostenitori a rimanere uniti e solidali. Eravamo consapevoli di tali tentativi di sabotaggio sin dall'inizio della nostra rinascita politica. Questi sono tentativi vani che mirano esclusivamente a ostacolare la nostra missione di rinascita della Democrazia cristiana. Tuttavia, siamo confidenti nella nostra integrità e trasparenza, e a differenza di altri, non abbiamo nulla da nascondere. Nonostante le continue provocazioni, siamo fermi nel nostro impegno e abbiamo apertamente invitato i detrattori a un dibattito pubblico, ma hanno sempre evitato il confronto".
Non sono al momento pervenute notizie dalla Dc guidata da Angelo Sandri, ma si suppone che da quelle parti si possa concordare sul fatto che a Cuffaro non sia stata accordata tutela sul simbolo, mentre con meno favore potrebbero essere accolte tesi favorevoli all'Udc. 
Considerato tutto quello che si è detto fin qui, si capisce perché non si crede che dal tribunale di Roma sia arrivata una chiusura definitiva della vicenda dello scudo crociato e, più in generale, della Democrazia, né tanto meno che tutte le parti in cause (letteralmente, non è un errore) ritengano di deporre le armi e di unirsi in un unico progetto politico, che persegua e attualizzi le idee della Democrazia cristiana senza bisogno di scomodarne nome e simbolo. Ovviamente chi scrive è pronto a ricredersi se le cose dovessero andare diversamente; eppure... 

2 commenti:

  1. Summum ius, summa iniuria. Persone che aspirano a fare politica dovrebbero capire quando ci si deve fermare.

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    1. facile dire ai nostalgici ma il fare è diverso: hanno ancora la passione dello scudocrociato!! XD XD XD

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