lunedì 17 luglio 2017

Cambiare il simbolo del Pd? Forse, ma chi lo dice?

Il 21 novembre il simbolo del Partito democratico, disegnato da Nicola Storto, compirebbe dieci anni: tanto sarà passato dal 21 novembre 2007, quando Walter Veltroni tolse il drappo verde dal pannello che conteneva la gigantografia del logo. Il condizionale però è d'obbligo, se si vuole dar retta alle voci che, negli ultimi giorni, danno quasi per certo un intervento più o meno robusto su quell'emblema. E non per desiderio di una persona qualunque, ma del segretario in persona, Matteo Renzi.
Ad aprire il gioco di supposizioni e retroscena è stato un articolo uscito ieri su Libero, a firma di Elisa Calessi (e ripreso persino da Dagospia). L'autrice ha buon gioco a ricordare che "la tentazione di rottamare il Pd o, per meglio dire, di dargli una riverniciata, di cambiare nome, marchio è, per Matteo Renzi, antica": andare alle prime Leopolde l'emblema dei dem nemmeno c'era, "come se quel popolo che si riuniva alla stazione antica di Firenze avesse un’ambizione più grande, che non si poteva confinare in quel marchio che già allora pareva vecchio, sebbene con pochi anni di vita".

Cambiare un marchio logorato

Al di là del flashback sugli inizi, ai lettori interessa sapere che quella voglia di mettere mano al partito e al suo logo sarebbe di nuovo viva in Renzi: 
Negli ultimi tempi è rispuntata. La tentazione, cioè, di fare un tagliando al Pd, di rinfrescarne l’immagine, il simbolo. Persino di cambiarlo. Perché, come accade ai prodotti di mercato, anche nel caso del Pd il marchio si è logorato. Non ha più la freschezza degli inizi. Ed essendo giovane, non può nemmeno contare sul legame affettivo rappresentato dai simboli dei vecchi partiti. Troppo recente per creare legami di appartenenza, troppo vecchio per rappresentare una novità.
Sarebbero una prova della voglia di svecchiare l'immagine del partito tanto la stipula di un contratto con Proforma, l'agenzia di comunicazione di Enzo Pasculli e Giovanni Sasso (la stessa che ha già alle spalle molti lavori per soggetti politici e per lo stesso Pd), perché agisca su vari fronti (dai social network alla propaganda), come pure l'affidamento a Matteo Richetti del coordinamento dell'area comunicazione e a Marco Agnoletti dell'incarico di portavoce dello stesso Renzi (lo era già quando l'attuale segretario era sindaco di Firenze) e di capoufficio stampa del partito. 
I cambiamenti, però, sembrerebbero riguardare anche l'elemento centrale della comunicazione politica del Pd: il suo simbolo. 
Tutto, per Calessi, sarebbe partito da un post su Facebook del 10 luglio di Roberto Morassut, qualificato come "veltroniano" e non proprio fortunato avversario di Roberto Giachetti alle primarie del centrosinistra per la guida della capitale.

Nel suo post, Morassut segnalava la disaffezione degli italiani verso i partiti ("Li considerano cose del passato"), ma non verso la politica: "C'è ne è abbastanza - diceva - per una riflessione di fondo su forme partecipative che i Democratici dovrebbero iniziare a sperimentare, più vicine ad un Movimento che ad un tradizionale Partito". Gli appassionati di diritto e organizzazione dei partiti potrebbero concentrarsi sulle riflessioni legate ai danni da mancata attuazione dell'art. 49 Cost. e sulla scarsa trasparenza delle forme partecipative e democratiche dei partiti odierni; il fatto è che l'attenzione della giornalista e di molti altri è andata alla "immagine di un nuovo, possibile simbolo: senza la P di 'partito', solo con la D di 'democratici'. Si avvicinerebbe ai Democratici americani o, per rimanere in casa, a quelli creati da Arturo Parisi, insieme a Romano Prodi, e che guardavano proprio ai cugini americani". 

Da dove viene quel simbolo?

Per Calessi, da tempo Renzi si chiederebbe se abbia senso che il Pd - lontano, lontanissimo dal risultato delle europee del 2014 - sia l'unico soggetto politico (o quasi l'unico) ad aver mantenuto nel nome la parola "partito" e vorrebbe intervenire in modo tangibile sul partito stesso. Dall'interno, soprattutto, ma anche con qualche segnale esterno, come il nome e il simbolo: 
Democratici e basta. Come il partito di Barack Obama. Per segnare l’inizio di una fase nuova, più movimentista, la chiusura definitiva con il partito novecentesco. Sono stati commissionati studi per vedere se il marchio funzionerebbe. Quanto si perde, quanto si guadagna. Sarebbe un altro strappo con il passato. Ma a volte, per salvare il presente, gli strappi vanno fatti.
Il fatto è che quel simbolo postato da Morassut sembra, stranamente, non averlo riconosciuto nessuno. Invece, per chi ha buona memoria, si trattava dell'emblema che già avrebbe potuto essere utilizzato dall'evoluzione del Pd dopo la vittoria dei "sì" al referendum costituzionale, per un corso del tutto nuovo, ma senza il nome non proprio gradevole di Partito della Nazione. L'idea sarebbe stata di Renzi, ma ne aveva scritto il 13 gennaio 2016 Alberto Maggi su Affari Italiani:
Il premier-segretario avrebbe deciso durante le vacanze estive di accantonare l'idea del Partito della Nazione, anche per evitare l'acronimo PdN, e di optare per il più semplice e immediato Democratici. La parola "Partito" viene tolta per dare l'idea di un soggetto politico giovane, nuovo, moderno e totalmente slegato con i partiti del secolo scorso. 
Quel simbolo dimezzato sarebbe stato già pronto per l'Italicum e avrebbe potuto forse raccogliere altri soggetti politici medio-piccoli, a rischio soglia, da Area popolare (ora Alternativa popolare), Ala, ciò che restava di Scelta civica e via mininaturizzando. Il tutto per compiere "l'ultimo step - sottolineavano non meglio precisate 'fonti dem' - del percorso iniziato da Achille Occhetto alla Bolognina".
Ora, che a pensar male del prossimo si faccia peccato ma si indovini, è cosa nota, specie in politica. Così, in quell'occasione avevo scritto che sul piano grafico era strano che, per dare un taglio col passato, ci si limitasse a "potare" il simbolo del 2007, rinunciando alla metà di sinistra ("Partito" e la "P"), ottenendo un logo a dominante colore rosso (adatto alla nuova collocazione nel Pse, ma poco gradito a eventuali ingressi centristi) e mantenendo sia la parola "Democratico" al singolare (quando in tutto l'articolo era declinata al plurale) sia il rametto di Ulivo, un legame col passato ormai più che appannato (senza contare che il "padre grafico" dell'Ulivo, Andrea Rauch, ne aveva già chiesto la rimozione). 
Mi era dunque venuto spontaneo chiedermi se il simbolo mostrato da Affari Italiani fosse proprio il bozzetto che girava al Nazareno o se fossero vere solo le voci sul nome e il probabile emblema fosse stato ricavato "artigianalmente" di conseguenza: la mia preferenza, manco a dirlo, era per la seconda ipotesi. A un anno e mezzo di distanza, però, probabilmente qualcuno si è dimenticato di quel precedente (lo stesso Morassut non aveva precisato da dove saltasse fuori l'emblema a corredo del suo post) e deve aver pensato che quell'immagine venisse direttamente da fonti democratiche. Tutto può essere, per carità, ma sembra ben difficile che un logo dimezzato possa essere il prossimo simbolo dem.

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