Sui media negli ultimi giorni ha inevitabilmente grande spazio ogni notizia che riguardi la salute di Silvio Berlusconi, dopo il suo ricovero al San Raffaele a Milano. Giusto oggi, però, su alcuni quotidiani si trovano alcuni articoli - come quelli di Francesco Olivo sulla Stampa e di Lorenzo Giarelli sul Fatto Quotidiano - che ragionano anche sul futuro di Forza Italia a partire dalle regole interne, quelle dello statuto attualmente in vigore.
Non è la prima volta che nel dibattito pubblico si parla di questo (era già capitato nel 2015, quando Raffaele Fitto aveva lamentato il mancato rispetto di procedure democratiche interne e, a quanto si era appreso, si era rivolto all'avvocato Gianluigi Pellegrino a tutela della democraticità del partito); di certo, però, la situazione odierna appare molto più delicata. Questo soprattutto perché forse per la prima volta appare in dubbio la permanenza nel ruolo di guida del partito di colui che ha voluto, fondato e presieduto Forza Italia fin dall'inizio, rappresentandone in ogni momento l'incarnazione e l'unico vero punto di sintesi e legittimazione, irrinunciabile e indiscutibile. La questione, ovviamente, è soprattutto politica, ma è anche giuridica, perché ha a che vedere appunto con il rispetto delle regole interne e, prima ancora, sul loro contenuto e sul modo in cui queste vengono stabilite: si tratta di profili che interessano la "democrazia nei partiti" e che rilevano ancora di più riguardando quello che nel corso degli anni è stato qualificato come "partito azienda", "partito mediale" (Paolo Ferrari) e "partito personale" (Mauro Calise). Un partito che, in ogni caso, è chiamato a fare i conti con le regole: sia quelle che ha scelto di darsi (da anni), sia quelle introdotte in un secondo momento dalla legge.
Spigolando negli statuti del partito
Silvio Berlusconi risulta essere presidente di Forza Italia fin dal 18 gennaio 1994, giorno in cui il movimento politico "Forza Italia!" (incluso il punto esclamativo) fu ufficialmente fondato con atto costitutivo rogato dal notaio Francesco Colistra ed esattamente otto giorni prima del discorso della "discesa in campo". L'atto indicava come componenti del primo comitato di presidenza, per i primi tre anni di vita dell'associazione politica, Berlusconi e gli altri fondatori, cioè Mario Valducci (scelto come amministratore nazionale), Antonio Martino, Luigi Caligaris e Antonio Tajani. In quella prima fase, il presidente nazionale aveva - in base al primo statuto allegato all'atto costitutivo - tre compiti principali: attuare la linea politica espressa dall'assemblea degli associati e dal comitato di presidenza, coordinare l'attività del movimento e rappresentare quest'ultimo "nelle sedi istituzionali e nelle trattative politiche nazionali"; la rappresentanza legale e patrimoniale spettava invece all'amministratore nazionale. Tanto l'elezione del presidente nazionale, quanto la nomina dell'amministratore nazionale spettava al comitato di presidenza (organo cui spettava la conduzione politica di Forza Italia), in teoria eletto dall'assemblea degli associati, ma non in quella prima occasione visto che all'inizio gli associati coincidevano con i fondatori.
Lo statuto in quell'occasione era piuttosto scarno. La prima assemblea nazionale, tenutasi a Milano il 18 gennaio 1997 - dunque esattamente tre anni dopo la fondazione giuridica del partito - approvò regole più dettagliate, che poi furono lievemente modificate nei mesi successivi, anche dal primo congresso di Forza Italia, tenutosi dal 16 al 18 aprile 1998 (con Berlusconi confermato presidente). Sulla base di quelle norme, sarebbe toccato al congresso nazionale ("la più alta assise del Movimento"), oltre che definire e indirizzare la linea politica di Fi, eleggere il presidente (che restava in carica tre anni ed era rieleggibile), 6 membri del comitato di presidenza (l'art. 23 indicava come sarebbero stati scelti gli altri) e 50 del consiglio nazionale. L'art. 15 stabiliva pure che i congressi dovessero celebrarsi "in via ordinaria almeno ogni 3 anni", su convocazione del presidente "su delibera del Comitato di Presidenza" e che solo al congresso spettava il compito di modificare lo statuto (o, in alternativa, di delegare la modifica dello statuto al consiglio nazionale: per l'art. 74, ognuna delle due decisioni aveva bisogno del voto dei due terzi degli aventi diritto).
Sempre in quell'occasione si stabilì che la presentazione delle candidature alle elezioni nazionali, regionali e locali sarebbe avvenuta "per mezzo di procuratori speciali nominati dall'amministratore nazionale" (artt. 43 e 44): all'amministratore, eletto dal consiglio nazionale (su proposta del comitato di presidenza), spettava in via esclusiva anche ogni decisione sull'uso del contrassegno, dunque del simbolo (che curiosamente non era né descritto nello statuto, né allegato all'atto costituivo). In caso di dimissioni o impedimento permanente del presidente (art. 19), spettava al comitato di presidenza convocare immediatamente il consiglio nazionale perché provvedesse "alla sua sostituzione temporanea per il periodo strettamente necessario per la convocazione del congresso nazionale". Diversamente da quanto era accaduto in passato con altri partiti, peraltro, non si prevedeva nulla per l'ipotesi in cui la scadenza triennale non fosse stata rispettata, né era regolata la possibilità di attivare comunque il percorso congressuale ad opera degli iscritti in caso di inerzia da parte degli organi competenti.
Quelle norme rimasero sostanzialmente identiche anche in seguito, specialmente dopo il secondo (e per ora ultimo) congresso forzista, tenutosi dal 27 al 29 maggio 2004 ad Assago (come il precedente). L'unica novità rilevante, per quello che interessa qui, riguardò le eventuali modifiche statutarie, che per il nuovo testo dell'art. 74 erano "di competenza del Congresso Nazionale e del Consiglio Nazionale": dovendo supporre che bastasse l'intervento di uno solo dei due organi, si precisava che le loro delibere erano approvate "con il voto favorevole della maggioranza dei presenti purché costituiscano almeno i due terzi degli aventi diritto al voto" (quindi i due terzi restavano come quorum di validità dell'organo, ma diventava più facile modificare lo statuto con le nuove maggioranze).
Alle elezioni politiche del 2008, com'è noto, non partecipò Forza Italia, ma il Popolo della libertà. Il primo congresso del nuovo soggetto politico si svolse dal 27 al 29 marzo del 2009: Forza Italia, dopo un consiglio nazionale del 21 novembre 2008, sospese la sua attività ma non si sciolse (come del resto non fece nemmeno alleanza nazionale, così come i Democratici di sinistra e la Margherita dopo che si era dato luogo al Pd: tra i tanti motivi, tutti quei partiti avevano diritto a incassare i "rimborsi elettorali" per gli ultimi tre anni della XV legislatura, anche se questa era terminata in notevole anticipo). Quando, il 16 novembre 2013, il consiglio nazionale del Pdl decise - su iniziativa di Silvio Berlusconi - di riprendere l'attività di Forza Italia, non ci fu bisogno di "rifondarla": fu sufficiente ridestarla dal torpore iniziato cinque anni prima. Le regole interne, in tutto quel tempo, non erano cambiate, visto che lo statuto era rimasto lo stesso.
Le nuove regole sulla "democrazia nei partiti"
Tra la fine del 2013 e l'inizio del 2014, peraltro, entrarono in vigore le prime norme di legge in tema di democrazia interna ai partiti (il decreto-legge n. 149/2013, voluto dal governo di Enrico Letta e convertito con legge n. 13/2014): i partiti, se avessero voluto continuare a godere delle risorse pubbliche - sia pure nella forma, per loro meno conveniente rispetto agli abbondanti rimborsi del passato, del 2 per mille Irpef destinato dai contribuenti o della "contribuzione agevolata" - avrebbero dovuto adattare il loro statuto alle nuove previsioni di legge, sottoponendo il testo a una commissione che avrebbe verificato il rispetto dei requisiti. Il consiglio nazionale di Forza Italia il 4 agosto 2015 intervenne sulle norme statutarie e nell'autunno il testo superò l'esame della commissione, anche nelle parti che potevano sembrare un po' meno democratiche (ci si riferisce soprattutto alle procedure di selezione delle candidature, molto verticistiche e che non prevedono alcun coinvolgimento della base; la legge, però, si limita a chiedere di esplicitare come si selezionano le persone candidate, non impone consultazioni di iscritti o simpatizzanti). Le disposizioni che qui interessano, tuttavia, non sono state modificate in quell'occasione (e nemmeno nel 2017, in occasione di ulteriori ritocchi al testo).
Ora, se si scorre l'organigramma attuale, riportato dal sito del partito, è facile vedere che né il coordinatore nazionale (Antonio Tajani) né la vice-coordinatrice nazionale (Anna Maria Bernini, ora affiancata da Alessandro Cattaneo) sono cariche previste dallo statuto. Su questa base, è evidente che ogni decisione che fosse presa da loro, se non "confermata" (meglio: se non coincidente con le decisioni prese) dal presidente o dagli altri organi competenti, potrebbe risultare non conforme allo statuto, anche se ovviamente le iscritte e gli iscritti al partito potrebbero rispettarla per fedeltà e lealtà. Tuttavia, se - per mera ipotesi - il coordinatore o uno dei suoi due vice procedessero a qualche nomina o ad altre decisioni impegnative per Forza Italia, qualche iscritto potrebbe anche scegliere di rivolgersi al tribunale per chiedere di invalidare quegli atti, ritenendoli compiuti da soggetti non competenti. Questi potrebbero difendersi, per esempio, sostenendo di aver ricevuto la delega a compiere quegli stessi atti (l'art. 19, comma 5 dello statuto indica che il presidente di Fi può "delegare specifiche funzioni"), ma sarebbe loro onere dimostrare in modo adeguato l'esistenza di quella delega.
Tutto questo vale ora, che un presidente (potenzialmente) delegante esiste ed è in carica. Qualora dovesse venire a mancare o fosse impossibilitato in modo permanente a esercitare i suoi compiti, dovrebbe necessariamente partire il percorso di avvicinamento al congresso: il comitato di presidenza dovrebbe subito convocare il consiglio nazionale; questo dovrebbe scegliere un nuovo presidente pro tempore, che avrebbe essenzialmente l'incarico di convocare la nuova assise congressuale, nella data fissata dal comitato di presidenza e secondo i termini e i passaggi indicati dallo statuto.
Nel frattempo, la decisione sulla validità degli atti - a seguito di eventuali ricorsi - sull'operato del coordinatore o dei suoi vice spetterebbe comunque al giudice civile, che si troverebbe di fronte una situazione sicuramente delicata; potrebbe dunque prendere tempo, anche di fronte alla richiesta di provvedimenti urgenti. Se sospendesse o invalidasse quegli atti potrebbe essere considerato responsabile del "blocco" dell'attività di un partito di maggioranza, dal rilievo comunque non trascurabile; una decisione simile, comunque, sarebbe frutto della scelta di prendere sul serio le norme dello statuto, che i dirigenti di Forza Italia e, a loro modo, le iscritte e gli iscritti hanno scelto di darsi o di accettare. Si tratta, ancora una volta, di una questione di "diritto dei partiti", da considerare seriamente: i partiti possono scegliere le regole da applicare al loro interno, ma poi devono rispettarle (anche, ad esempio, nella cadenza dei congressi, che dopo il 2013 in Forza Italia non si sono più celebrati); se diventano inadeguate si possono cambiare, ma rispettandole finché sono in vigore. Nel frattempo, senza dubbio, l'uso del simbolo resta saldamente nelle mani dell'amministratore nazionale, Alfredo Messina, non ricandidato alle ultime elezioni politiche.
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