La scomparsa di una persona merita sempre delicatezza, attenzione e una certa quota di silenzio, magari interrotto da parole di ricordo e da considerazioni rispettose (anche quando sono in dissenso: la morte non deve per forza cancellare o tacitare le distanze). Talvolta, però, la fine di una vita accende subito qualche luce, fa emergere dalla propria memoria un episodio, un'esperienza o anche - volendo - un simbolo.
Sapere della morte di Domenico (Mimmo) Lucà, deceduto ieri, non significa infatti soltanto pensare alla scomparsa di un ex parlamentare che ha avuto al suo attivo cinque legislature - dalla XII alla XVI, sempre come deputato - ma riporta alla mente di chiunque faccia parte della schiera dei #drogatidipolitica l'esperienza politica dei Cristiano sociali, il movimento di cui Lucà è stato prima tra i promotori, poi presidente (1999-2003) e infine a lungo coordinatore (fino alla fine del 2017). Il percorso politico era nato il 9 ottobre 1993, oltre tre mesi prima del "parto gemellare" post-democristiano del 18 gennaio 1994 (la mattina all'hotel Minerva aveva mosso i primi passi il Centro cristiano democratico di Pier Ferdinando Casini, Clemente Mastella e Francesco D'Onofrio; nel pomeriggio all'Istituto Sturzo c'era stato il primo evento del Partito popolare italiano, evoluzione giuridico-politica imperfetta della Dc) e due mesi e mezzo dopo l'assemblea programmatica costituente che - dal 23 al 26 luglio 1993 - aveva preparato il transito dalla Dc al Ppi.
Lì, il 25 luglio, Ermanno Gorrieri, esponente modenese della Dc (tra i fondatori della Cisl), era stato netto: per lui non si preparava la "rifondazione della Democrazia cristiana, ma la creazione del nuovo partito: tradotto in dialetto vuol dire sciogliere la Dc, non dobbiamo avere paura delle parole" e non si poteva avere una posizione intermedia ("Il fatto stesso di dire 'cambiamo nome, ma non il simbolo' è appunto una posizione [...] che non dà quel messaggio percepibile dalla gente che qui si dà vita a un partito nuovo e diverso dalla Dc"). Gorrieri aveva rivendicato "la funzione storica" del partito nella prima fase della Repubblica, ritenendo però esaurita la "funzione di mediazione di interessi e aspirazioni diverse a cui la Dc era 'delegata' [...] dalla situazione politica nella quale il Pci era inutilizzabile ai fini della democrazia". Ciò non avrebbe permesso l'equidistanza tra Pds e Lega Nord (lettura della scelta "centrista" di Mino Martinazzoli richiesta dai futuri Ccd Casini e Ombretta Fumagalli Carulli), a costo di creare un altro soggetto politico: "Credo sia possibile che in buona fede alcuni di noi credano che in un particolare momento storico ci sia necessità più di conservare che di cambiare e viceversa", dovendosi per Gorrieri optare per la "traduzione del valore della solidarietà nella tensione verso il massimo di uguaglianza possibile fra le persone, i ceti sociali, i popoli [...]". E se per Gorrieri le alleanze qualificavano il progetto, occorreva rispettare gli elettori scegliendo prima del voto da che parte stare: non potendo collaborare coi leghisti e vista la dissoluzione che interessava i "partiti delle vecchie coalizioni centriste", occorreva "non tanto [...] guardare al Pds, quanto [...] impegnarsi nella costruzione di una nuova aggregazione di centrosinistra, [...] nella quale possano trovare casa i cattolici dentro la Dc e altri che provengono da altre scelte, in collaborazione anche con filoni culturali laici" e che potesse realizzare anche alleanze col Pds, ma coi cattolici in posizione non subalterna.
Da quell'intervento (e da due incontri tenutisi il 24 aprile e il 28 giugno 1993, volti a promuovere la creazione di un soggetto politico di matrice cattolico-democratico-sociale) si arrivò appunto al 9 ottobre, giorno in cui al pontificio istituto Agostinianum a Roma si ritrovarono varie figure insieme a Gorrieri e all'europarlamentare (eletto nelle liste del Psi) ed ex segretario Cisl Pierre Carniti: tra loro c'erano Giorgio Tonini (già presidente Fuci, futuro senatore Ds e Pd), Laura Rozza Giuntella (presidente Fuci prima di Tonini, allora deputata della Rete), Luciano Guerzoni (classe '38, ecclesiasticista collaboratore di Gorrieri, allora deputato indipendente di sinistra, solo omonimo del Luciano Guerzoni, anch'egli modenese ma classe '35, già presidente della regione Emilia-Romagna e allora senatore Pds) e Giuseppe Lumia (già vicepresidente Fuci e tra i promotori del Pds). Obiettivo comune di coloro che - provenendo dal volontariato, dall'associazionismo, incluso quello delle Acli e dell'Agesci, e dal sindacalismo cattolico - avevano concorso a quel passaggio era contribuire alla nascita anche in Italia di una democrazia dell'alternanza: ciò non significava solo favorire un maggiore ricambio nel personale politico ("Più moralità significa più ricambio nella vita politica - aveva detto Carniti - l'inamovibilità produce sentimenti di impunità e, alla fine, condizioni d'illegalità"), ma soprattutto passare dalla rappresentanza frammentata e consociativa del proporzionale a un assetto con "due programmi, due schieramenti che concorrono e possono alternarsi alla guida del Paese", uno più progressista e uno moderato. Per Carniti c'era bisogno non di un nuovo partito, ma di "un soggetto politico autonomamente organizzato" che fosse "una componente del polo progressista, portando all'interno la voce, il peso, il patrimonio di idee, di sensibilità, di esperienza dei cristiani impegnati nel sociale". Una scelta cristiana, per la comune formazione e ispirazione ideale (che si voleva vedere riconosciuta e rispettata), ma laica e "non confessionale", per concorrere a salvarsi insieme.
In quello schieramento, oltre al Pds (purché si candidasse seriamente al governo del Paese), secondo Carniti e Gorrieri potevano rientrare gli ambientalisti (Verdi e altri), i socialisti di stampo riformista, Alleanza democratica, la Rete, quella parte di Dc che avesse voluto rompere del tutto con chi guardava al centrodestra e, volendo, anche quei Popolari per la riforma che però non avessero condiviso la scelta di Mariotto Segni di collocarsi al centro (sottintendendo che quella posizione potesse significare guardare potenzialmente a destra). E se il nome dei Cristiano Sociali evocava inevitabilmente quello del Partito cristiano sociale (inizialmente guidato da Gerardo Bruni), vale a dire una delle prime esperienze di cattolici impegnati in politica all'esterno della Democrazia cristiana e con una connotazione nettamente di sinistra, il simbolo era decisamente diverso. Niente badile e libro aperto con croce sullo sfondo, ma una stilizzazione dell'Uomo vitruviano di Leonardo Da Vinci, collocata su fondo rosso sfumato, a sua volta racchiusa da una corona verde in cui trovava posto il nome del movimento, scritto in bianco. Un modo, insomma, per collocare la persona al centro dell'azione, senza trascurare i colori nazionali.
Quel simbolo fu depositato al Ministero dell'interno in vista delle elezioni politiche anticipate del 27 e 28 marzo 1994, ma non risulta tra quelli ammessi: escluso che ci fossero simboli simili all'Uomo vitruviano, si deve immaginare che il contrassegno sia stato depositato in via cautelativa, ma sia stato considerato "senza effetti" (dunque inadatto a distinguere candidature) in mancanza di qualche documento, come ad esempio la nomina dei delegati al deposito delle candidature (una scelta conforme con l'idea di non agire come partito e non presentare proprie candidature nella quota proporzionale della Camera). I Cristiano sociali, in ogni caso, schierarono propri candidati nei collegi uninominali, mentre nelle liste proporzionali per Montecitorio si fece carico di quelle candidature il Partito democratico della sinistra. Proprio nella lista del Pds, nella circoscrizione Piemonte 1 (quella della provincia di Torino), fu candidato ed eletto Mimmo Lucà, sconfitto di misura nel collegio uninominale di Rivoli (il suo 38,96% fu superato dal 39,49% di Paolo Mammola). In quello stesso collegio, peraltro, Lucà sarebbe stato eletto sotto le insegne dell'Ulivo nel 1996 e nel 2001, mentre nel 2006 e nel 2008 l'elezione a deputato sarebbe arrivata nella circoscrizione Piemonte 1, prima nella lista dell'Ulivo e poi in quella del Partito democratico.
Il simbolo dei Cristiano sociali, dopo il 1994, non sarebbe più tornato nelle bacheche del Viminale, anche quando nel 2000 fu sostanzialmente modificato: fu abbandonata la stilizzazione leonardesca - forse perché, come qualcuno sostenne, dopo che all'inizio di febbraio del 1998 il capo dello Stato Carlo azeglio Ciampi aveva scelto proprio l'Uomo vitruviano per distinguere le future monete da 1 euro, era bene evitare di fare confusione - e si adottarono due rose, una rossa e una bianca, quasi a voler unire l'anima (e la destinazione) progressista e quella cristiana. Del resto si sarebbe chiamato proprio La rosa rossa / La rosa bianca un libro di Giorgio Tonini (con prefazione di Carniti), uscito nel 2001, relativo all'esperienza dei Cristiano sociali.
Nel 2003, come si è detto, Lucà sarebbe diventato coordinatore dei Cristiano sociali, che nel 1998 erano stati tra le anime che avevano portato all'evoluzione del Partito democratico della sinistra nei Democratici di sinistra; da coordinatore, si schierò nella delicatissima partita che nel 2005 riguardò i quattro referendum sulla procreazione medicalmente assistita, non condividendo l'invito dell'allora presidente della Conferenza episcopale italiana Camillo Ruini a praticare l'astensione e rivendicando come "fuori discussione" la "libertà di laici cattolici maturi".
In precedenza, nel 1995, Lucà era intervenuto alla prima assemblea nazionale dei Cristiano sociali, svoltasi il 18 e il 19 febbraio a Chianciano Terme (e tuttora ascoltabile grazie a Radio Radicale). In quell'occasione aveva detto la sua sullo scontro che stava dilaniando il Partito popolare italiano, circa la possibilità di allearsi con il centrodestra: "Il congresso di An ha fatto esplodere insieme la crisi del governo Berlusconi e le contraddizioni del Partito popolare: sono contraddizioni che guardiamo con rispetto, tuttavia sempre più si fa evidente l'incompatibilità all'interno del Ppi delle due anime, quella popolare e quella clerico-moderata, quella che pensa di avere un ruolo importante nello schieramento della destra e quella invece che pensa di essere fondamentale per un cartello democratico. Il dilemma non è sciolto, come dimostra l'ultimo consiglio nazionale: ne è risultata una situazione di impasse, per cui Buttiglione non può fare matrimoni a destra e i popolari non possono aderire alla candidatura Prodi. La soluzione trovata rimanda [...] semplicemente una scelta che si imporrà per forza di cose nelle prossime elezioni: noi non demonizziamo la strategia moderata di Buttiglione, [...] evidenziamo che tale esito non ha nulla a che fare con il popolarismo e con la tradizione del cattolicesimo democratico". In quell'occasione Lucà si domandava e chiedeva agli altri cattolici in politica: "è pensabile promuovere con efficacia i valori e le indicazioni programmatiche tanto care ai cattolici accomodandosi in un polo in compagnia di Pannella, Sgarbi, Meluzzi e Storace, imparentandosi con un partito azienda sceso in campo per la tutela di interessi finanziari ed aziendali privati a tutti evidenti? è immaginabile conciliare rigore morale e libertinismo, sobrietà politiche e volgarità demenziale, sensibilità sociale e liberismo iconoclasta, senso dello Stato e nuovo spirito proprietario? Chi pensa di conquistare consensi moderati inseguendo a destra chi, all'ombra di una connotazione religiosa solo apparente, ha trafficato per anni con la parte peggiore, più infame del mondo politico italiano, senza scrupoli [...] perde il suo tempo".
Pochi mesi dopo, alla seconda assemblea cristiano-sociale (15-16 settembre 1995, sempre a Chianciano), Lucà offrì un ritratto molto duro della situazione politica generale, che per vari tratti rischia di essere ancora attuale: "La politica italiana è ridotta a povera cosa: spesso è costretta a vivere una fase di vera e propria avarizia programmatica, ad inseguire contenuti, ad attendere che si riesca a concentrarsi sulle cose che importano davvero all' Italia che lavora, che fatica, che vuole cambiare. Invece è in pieno funzionamento del teatrino pericoloso degli scandali, veri o presunti; è in corso di frenetico allestimento la scenografia delle manipolazioni giornalistiche di un modo non proprio civile di esercitare il controllo di legalità nel nostro Paese. Si estendono le code velenose della Prima Repubblica, si diffonde una concezione della lotta politica come guerra totale per l'annientamento dell'avversario, si assiste impotenti all'imbarbarimento dei rapporti politici tra opposti schieramenti. [...] Viviamo, cari amici, una situazione difficile e di forte deperimento del valore della politica, in cui riemergono prepotenti le forze di un cinico qualunquismo, la cultura dell'affermazione dell'interesse individuale ad ogni costo, i fantasmi dell'antipolitica".
Non c'era solo la pars destruens in quell'intervento, come in quelli successivi. Un bilancio dell'esperienza dei Cristiano sociali può essere ritrovata nel volume Da credenti nella sinistra, curato da Lucà insieme allo storico Carlo Felice Casula (già autore di saggi relativi alla sinistra cristiana) e al giornalista Claudio Sardo e uscito nel 2019 per il Mulino. In copertina, guarda caso, si vede in filigrana il primo simbolo dei Cristiano sociali, quello che ha caratterizzato i primi tempi dell'attività del movimento. Il 7 maggio 2017 iniziò il percorso di chiusura anche giuridica di quell'esperienza, evocato da Lucà nel suo sito: quelle parole, forse, insieme al simbolo leonardesco evocato prima, sono il miglior modo per ricordare uno dei principali esponenti di un cammino concluso, ma non archiviato.
"Sabato, a Roma, abbiamo avviato il processo che porterà, entro il 2018, allo scioglimento dei Cristiano Sociali. Lo abbiamo fatto con discrezione, orgoglio e responsabilità. La discrezione è stato un tratto distintivo del cammino [...] di una piccola formazione di credenti impegnati nella Cisl, nelle Acli, nelle realtà scout dell’Agesci, nell’Azione Cattolica, nel variegato mondo del volontariato e della cooperazione sociale di matrice cristiana, che agli inizi degli anni '90, decidono di costituire un Movimento per rappresentare, nello schieramento progressista che affronterà di lì a poco la destra di Berlusconi, Bossi e Fini, il patrimonio di cultura politica e di presenza sociale del cristianesimo progressista. L'impegno dei cristiani che si erano formati alle importanti novità del Concilio, con la grande sfida di una politica intesa come 'la più alta forma di carità', il principio di laicità, la scelta degli ultimi e dei poveri come destinatari privilegiati del messaggio evangelico, non poteva rischiare la dissoluzione o la irrilevanza nel dibattito pubblico e nell'azione politica, di fronte alla disgregazione dei contenitori del cattolicesimo politico. [...] Sabato aleggiava tra noi una certa malinconia, ma anche l'orgoglio di chi sa di aver fatto del proprio meglio per adempiere alla missione delle origini. Passando per la esaltante stagione dell’Ulivo di Romano Prodi, abbiamo partecipato alla fondazione del Partito democratico, con l'intento di unire le diverse anime del riformismo, per dare una nuova prospettiva e una diversa classe dirigente all'Italia e all'Europa. Restiamo convinti che il Pd resti una grande idea, se fondata sul riconoscimento delle differenze generazionali, di genere, di cultura politica, di sensibilità sociale e territoriale, sull'idea che non esiste un partito o una fazione del capo, che il valore della comunità politica viene prima delle ambizioni e delle esigenze dei singoli o delle correnti, che occorre mantenere saldo il dialogo e il rapporto con i cittadini, con quelli che fanno più fatica e con le forme organizzate della partecipazione e della mediazione sociale. Abbiamo adempiuto al nostro compito. Il Pd può ancora crescere in un contesto di rinnovato centrosinistra e di riconciliazione con le istanze e le domande del suo mondo di riferimento, e per farlo non ha più bisogno di 'componenti' fondate su un presupposto di cultura religiosa o su identità del passato. Ma noi non ci rottamiamo, per la semplice ragione che le radici di una formazione democratica e la sua cultura politica e sociale, per quanto di minoranza, non si possono 'rottamare'. Si possono ricambiare i gruppi dirigenti per ragioni di anzianità o di rinnovamento, ma non si possono abbattere i depositi di significati e le tracce di senso del cammino importante e plurale di una storia. [...] Il cristianesimo sociale e democratico, oggi, vive e sviluppa più direttamente il rapporto con la politica e le sue istituzioni, pone meno l'accento sulla rappresentanza e punta più direttamente al dialogo negoziale con il Governo nazionale e locale, per svolgere appieno le sue funzioni di promozione sociale, di tutela delle comunità locali e di crescita politica della società civile. [...] I cristiano sociali, senza la maiuscola, sono il filo rosso di una storia in cui non cesseranno di riconoscersi le esperienze, le speranze e le testimonianze ricche di senso e di passione, di tante realtà dell’impegno sociale, sindacale e politico del futuro, motivate dall'inquietudine di una fede vissuta nel costante riferimento al Vangelo dei piccoli e degli ultimi, che Dio ama".
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