Chi appartiene alla categoria dei #drogatidipolitica, a prescindere dall'età e dalle proprie posizioni politiche, difficilmente può non restare colpito dalla scomparsa, a 67 anni, di Roberto Maroni. Chi scrive e amministra questo sito non ha mai votato per un simbolo contenente l'immagine di Alberto da Giussano, ma non occorre essere (o essere stati) militanti leghisti per riconoscere il ruolo avuto dallo stesso Maroni non solo nella vita del partito, ma in generale della vita politica italiana, certamente della "Seconda Repubblica" ma grazie alle radici messe negli ultimi scampoli della Prima.
Senza alcun esercizio di ipocrisia, la figura di Roberto Maroni ha per chi scrive lati di simpatia (vuoi per il cognome singolare, spesso oggetto di battute grevi e non particolarmente originali, vuoi per la sana e consapevole pratica musicale, in particolare dell'organo Hammond) e altri di totale non condivisione (dal concorso alla definizione di vari punti del "pacchetto sicurezza" a varie posizioni in materia migratoria). Questi ultimi non possono comunque bastare per negare il legame tra Roberto Maroni - classe 1955 - e le istituzioni: lui è infatti stato tre volte ministro in tre legislature e per quattro governi (per un totale di oltre 9 anni di permanenza in carica, avendo per un pugno di mesi rivestito anche il ruolo di vicepresidente del Consiglio dei ministri), risultando poi presidente della giunta della Regione Lombardia nella consiliatura 2013-2018 dopo essere stato ininterrottamente deputato per sei legislature (dalla XI alla XVI, cioè dal 1992 al 2013). In questo ricco cursus honorum, l'aver ricoperto per quasi un anno e mezzo il ruolo di segretario federale della Lega Nord sembra quasi un particolare significativo ma minore; non può però essere così per chi ha passione per i volti e i risvolti della politica italiana.
Al di là dei trascorsi pre-leghisti di Maroni (con la militanza giovanile, tra l'altro, in Democrazia proletaria), è impossibile non evocare il suo incontro con Umberto Bossi nel 1979, dal quale sarebbe poi disceso l'impegno per costituire la Lega Lombarda nel varesino (senza dimenticare che il 12 aprile 1984 la Lega [autonomista] lombarda fu costituita ufficialmente proprio a Varese, pur non avendo Maroni tra i suoi fondatori notarili) e per portare avanti il disegno della Lega Nord (fondata nel 1989, dopo le elezioni europee alle quali aveva concorso la Lega lombarda - Alleanza Nord). Non riuscì a diventare consigliere regionale in Lombardia nel 1990, a dispetto dei 912 voti presi (non erano pochi, ma non bastarono per essere uno dei due eletti della Lega lombarda - Lega Nord), ma due anni dopo centrò al primo colpo l'approdo alla Camera, dopo le elezioni politiche del 5-6 aprile 1992 (fu il più votato della Lega Nord nella circoscrizione Como-Sondrio-Varese con 29.618 voti, doppiando un altro futuro ministro, Roberto Castelli).
Il rilievo su scala nazionale di Maroni da quel momento sarebbe durato oltre un quarto di secolo (e sempre da militante della Lega Nord, fatta eccezione per una manciata di settimane nei primi mesi del 1995); occorre riconoscere, tuttavia, che il momento più importante e insieme più delicato per la vita politica di Roberto Maroni sarebbe arrivato giusto vent'anni dopo il voto che portò il politico varesino per la prima volta in Parlamento. Proprio il 5 aprile 2012, infatti, Maroni condivise eccezionalmente la gestione della Lega Nord in "triumvirato" con Roberto Calderoli e Manuela Dal Lago, dopo che Umberto Bossi - già "minato" dall'ictus del 2004 - scelse di dimettersi dalla segreteria federale del Carroccio in seguito allo "scandalo Belsito" e alle vicende che erano arrivate a coinvolgere la famiglia del Senatur.
Entrato "triumviro" al V congresso ordinario della Lega Nord (Assago, 30 giugno - 1° luglio 2012), Roberto Maroni ne uscì segretario federale, unico candidato per voltare pagina. In quell'assise congressuale, il fondale riportava la scritta pennellata verde "Prima il Nord!", destinata a diventare uno dei simboli della segreteria maroniana della Lega Nord. Dovette esserne convinto anche Diego Volpe Pasini, quando nel 2013 al Viminale, prima delle elezioni politiche, presentò un contrassegno contenente la stessa espressione, sempre verde e sempre pennellata (ma con un altro stile), creando un certo scompiglio e con un risultato concreto sul piano delle candidature.
Già prima del congresso di Assago, in effetti, non era passata inosservata la foto di Roberto Maroni - fresco "triumviro" - che, alla "serata dell'Orgoglio leghista" alla fiera di Bergamo (tuttora visibile su Radio Radicale), impugnava una scopa con il verde "Sole delle Alpi" impresso sulle setole, anche se era assai meno marcato e visibile rispetto a quello che nel 2010 era apparso ovunque nella scuola di Adro (BS). L'ostensione dell'emblema, in ogni caso, era volta a simboleggiare l'intenzione e la necessità per il partito di fare pulizia al proprio interno, per evitare di scomparire dalla scena politica. Per qualcuno, in seguito, la scopa sarebbe diventato anche uno mezzo per spazzare metaforicamente via il governo Monti e tutte le riforme dei "tecnici", ma in effetti fu - anche per vari mesi - il simbolo di una stagione delicatissima, che portò il Carroccio a superare di poco il 4% alle elezioni politiche del 2013 (meno della metà del risultato ottenuto cinque anni prima), ma reggendosi comunque in piedi, anche grazie alla vittoria dello stesso Maroni alle regionali lombarde. Le sue dimissioni dalla segreteria del partito poco prima di quell'autunno aprirono le porte alla carriera da leader di Matteo Salvini (con tutte le trasformazioni che via via sarebbero arrivate), ma questa avrebbe probabilmente preso tutt'altra piega se Maroni nel 2013 non fosse riuscito a tenere in piedi il partito.
Un'operazione, la sua, che ebbe anche risvolti simbolici. Perché, se uno dei primi atti della segreteria Maroni - il 13 luglio 2012 - fu togliere il cognome di Umberto Bossi dal simbolo del partito (rimettendo nel segmento inferiore blu la parola "Padania"), nel tentativo di spersonalizzare l'operato del Carroccio e di mettere di lato un cognome che in quel momento per la prima volta attirava fischi in mezzo agli applausi, qualche mese dopo sarebbe toccato proprio al nuovo segretario federale metterci il nome (oltre che la faccia). Nel contrassegno elettorale della Lega Nord schierato sulle schede del 2013, infatti, sotto l'immagine del guerriero di Legnano (e sotto la miniatura del "Sole delle Alpi" e la miniscritta "Padania") apparve proprio il cognome di Roberto Maroni; era stato lui in persona ad annunciare la novità, una manciata di ore prima.
Non era stato facile mettere il proprio riferimento al posto di quello del fondatore Bossi, potenzialmente anzi il rischio era molto forte. Maroni però seppe vincere la sfida: quando il 24 e il 25 febbraio 2013 gli elettori lombardi trovarono il cognome del nuovo leader leghista sul contrassegno della Lega Nord nelle schede di Camera e Senato e - con evidenza ancora maggiore - sul fregio della lista Maroni presidente schierata alle regionali (lì il Carroccio aveva impiegato il simbolo della Lega Nord - Lega Lombarda con il riferimento alla sola Padania), diedero il 42,82% al centrodestra, lo spadone sguainato sfiorò il 13% e la lista del nuovo presidente della regione andò oltre il 10%. Un risultato di tutto rispetto, che non permette di considerare residuale l'importanza di Maroni nella storia della Lega Nord.
Da La Padania del 23 settembre 1997 |
Resta almeno una pagina della storia politica di Roberto Maroni particolarmente rilevante sul piano simbolico. Dei suoi tre incarichi ministeriali, due furono al Ministero dell'interno: nelle sue due permanenze al Viminale (11 maggio 1994 - 17 gennaio 1995 e 8 maggio 2008 - 16 novembre 2011), Maroni si trovò a gestire per due volte le elezioni europee (1994 e 2009), un turno di elezioni regionali (2010, cui aggiungere quello del 2011 in Molise, anche se ormai si era in regime di "federalismo elettorale") e vari turni di elezioni amministrative (oltre che un paio di consultazioni referendarie, nel 2009 e nel 2011), ma mai le elezioni politiche, visto che non fu mai ministro dell'interno alla fine di una legislatura. Non si può però evitare di ricordare che fu proprio Roberto Maroni, in qualità di capo del "Governo provvisorio della Padania", a organizzare e gestire la "macchina elettorale" in vista dell'elezione del Parlamento della Padania tenutasi il 26 ottobre 1997 - giusto un quarto di secolo fa - nelle province del Nord (e in quelle di Toscana, Umbria e Marche) per indicare 200 membri (e 10 osservatori) dell'assemblea che, convocata a Chignolo Po (Pv), avrebbe dovuto scrivere una Costituzione per la Padania, quale Federazione indipendente o confederata con l'Italia.
Fu proprio Maroni, in particolare, a presentare il progetto di "legge elettorale" che si sarebbe applicata in vista del voto di fine ottobre nei gazebo (altro simbolo di una stagione leghista, quella più secessionista) e fu sempre lui a presentare ai giornalisti, il 22 settembre di quell'anno in una conferenza stampa a Palazzo Donà a Venezia (sede del "Governo provvisorio"), i 63 simboli depositati per le "elezioni padane" (altri se ne sarebbero aggiunti nei giorni seguenti, più di uno non sarebbe finito sulle schede). C'era da restare a bocca aperta davanti a quei cartoni verdi - il colore che andava per la maggiore in casa leghista allora - con incollati sopra i simboli in fila per quattro: c'era di tutto, dalla fiaccola spezzacatene dei Liberal Democratici alle spighe disposte a "Sole alpino" dei Democratici europei - Lavoro padano, fino alla colomba su spade intrecciate dei Cattolici padani e alla falce e martello rossa dei Comunisti padani (sì, proprio quelli in cui fu eletto Matteo Salvini), per non parlare delle formazioni più piccole e improbabili. Non è rimasto molto di quel rito elettorale di venticinque anni fa (oltre a Salvini, s'intende), ma la costanza delle persone - e non importa quante furono, le polemiche sui numeri qui non interessano - che si recarono ai gazebo a dispetto di un freddo scoraggiante non merita di essere consegnata all'oblio. Tra pochi giorni quell'esperienza sarà ricordata in un libro curato da chi scrive e concepito da tempo come iniziativa per festeggiare i dieci anni di vita di questo sito; sarà anche un'occasione, a questo punto, per ricordare una tappa rilevante della carriera politica di Roberto Maroni, anche attraverso le sue dichiarazioni. Per il momento, con il rispetto che caratterizza i #drogatidipolitica, sia lieve la terra a Maroni, che si fece simbolo in un momento delicato dopo averne "tenuti a battesimo" molti, rendendo meno imprendibile una realtà che non esisteva.
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