mercoledì 26 marzo 2025

Valle d'Aosta, il trifoglio degli Autonomisti di Centro

Non mancano certo i movimenti nell'area del centro, in Italia come nei territori. Vale anche per la Valle d'Aosta, regione a statuto speciale nella quale si registra la presentazione di un progetto politico denominato Autonomisti di Centro: si tratta di un cammino comune promosso da tre partiti locali, cioè Pour l’Autonomie, Rassemblement Valdôtain e Stella Alpina, ma supportato anche da due associazioni culturali (Esprì ed Evolvendo). In effetti, il progetto sarebbe nato nello scorso autunno, con la collaborazione di due forze dell'attuale maggioranza (Pour l'Autonomie e Stella Alpina) e di una di opposizione (Rv): si tratterebbe di un'intesa "finalizzata, pur nel pieno rispetto delle rispettive identità e organizzazioni, a promuovere una comune azione politica nell'ambito delle sfide che attendono la Valle d’Aosta".
Il percorso comune degli Autonomisti di Centro è stato presentato il 20 marzo da Aldo Di Marco (Pl'a), Stefano Aggravi (Rv) e Ronny Borbey (Sa) con l'idea di aprirsi a "tutte le forze politiche e sociali che riconoscono nell'Autonomia speciale lo strumento essenziale per gestire il presente e costruire il futuro" della Valle d'Aosta, partendo dall'approfondimento di temi fondamentali per la popolazione regionale (si parte proprio dall'autonomia speciale, oggetto del confronto il 29 marzo coi costituzionalisti Matteo Cosulich e Giovanni Boggero, ma ci si occuperà anche di trasporti, rifiuti, politiche a sostegno della famiglia, sanità, agricoltura e transizione economica), in modo da stimolare la discussione in pubblico attraverso lo strumento del "laboratorio di idee e proposte".
Le tre forze politiche si presentano tutte come di fede autonomista e di posizione centrista, pur avendo storie diverse: quella di Pour l'autonomie è legata soprattutto al suo fondatore, Augusto Rollandin (mancato lo scorso anno), quella di Stella alpina si ricollega alla storia cattolica democratica dei Democratici popolari e a quella successiva della Fédération Autonomiste, mentre Rassemblement Valdôtain è frutto della scissione dalla Lega valdostana della componente autonomista liberale (e via via aveva accolto anche altre sensibilità, per esempio con l'ingresso di Claudio Restano, consigliere del gruppo misto che era stato eletto con Vda Unie). 
Il simbolo scelto per il percorso comune è un cerchio di colore blu scuro, con una circonferenza concentrica bianca che raccoglie i simboli delle tre forze attualmente parte dell'alleanza, pur senza contenere del tutto il nome in cui spicca soprattutto la parola "Centro" (con la "o" che rende graficamente il concetto di centro grazie a un puntino rosa, stesso colore del resto del nome). Tra i tre simboli in miniatura e la denominazione spicca la presenza di un trifoglio: quell'elemento grafico - che non può non ricordare, anche se solo nel nome, l'esperimento di alleanza del 1999-2000 tra il Partito repubblicano italiano, la cossighiana Unione per la Repubblica e i Socialisti democratici italiani - non è stato inserito affatto per caso e non può spiegarsi solo con la partecipazione attuale di tre soggetti politici. 
"Il trifoglio - spiega appunto Stefano Aggravi - è presente ovunque in Valle d'Aosta, è un elemento fondamentale, tra l'altro, per la salubrità del latte e per la produzione della fontina. In più, come sottolinea Ronny Borbey di Stella alpina, il trifoglio rimanda direttamente alla figura di Oger Moriset, che fu vescovo di Aosta nel '400 senza avere alcun casato: il trifoglio divenne simbolo allo stesso tempo di unità, montanità e ruralità". Tuttora, sulle pareti del palazzo vescovile restaurate pochi anni fa, sono visibili le decorazioni ad affresco risalenti al medioevo con un gran numero di trifogli; lo stesso fregio, abbinato al giglio del capitolo della cattedrale, si può trova all'interno del duomo di Aosta (come mostra la foto precedente).
I promotori del cammino comune tengono a precisare che il loro non è un cartello elettorale; è però innegabile che quest'anno sia prevista la scadenza del consiglio regionale e non è certo lontano nemmeno il voto per rinnovare l'amministrazione comunale di Aosta. Unire le forze è fondamentale soprattutto a livello regionale, vista la doppia soglia di sbarramento prevista dalla legge elettorale proporzionale a premio eventuale (in prima battuta restano fuori le liste che non abbiano raggiunto almeno il quoziente regionale, che equivale al raggiungimento del 2,85% circa; in seconda battuta sono escluse le liste che non abbiano ottenuto almeno due seggi in base al primo riparto). 
Pure per questo motivo, in un primo tempo il tavolo del percorso comune era più ampio, comprendendo anche La Renaissance Valdôtaine, evoluzione del Rinascimento Valle d'Aosta che aveva partecipato al voto del 2020 nel comune capoluogo e in regione (mantenendo un'ispirazione grafica artistica, si è passati dalla creazione di Michelangelo alla Venere di Botticelli). Il 24 marzo, però, il movimento guidato da Giovanni Girardini ha fatto sapere di prendere atto "della decisione di Pour l'Autonomie, Stella Alpina e Rassemblement Valdôtain di interrompere il percorso unitario intrapreso, nonostante l'accordo unanime raggiunto il 17 marzo sui punti programmatici minimi", decisione che sarebbe stata "motivata da dubbi sulla 'tenuta stabile' di Renaissance Valdôtaine"; per il gruppo di Girardini resta necessario puntare alla costruzione di "un'alternativa di discontinuità per innescare un reale cambiamento" per l'amministrazione del comune di Aosta. Non è mancata la replica degli Autonomisti di Centro, secondo i quali la posizione di Renaissance che giudicava "condizione imprescindibile" per proseguire il cammino comune la candidatura di Girardini come sindaco di Aosta (lui era arrivato al ballottaggio cinque anni fa, per poi essere sconfitto da Gianni Nuti) era comprensibile ma prematura: "In questa fase, infatti, si era valutata l'opportunità di aprire un confronto più ampio e profondo, incentrato sulla costruzione di una reale discontinuità nell'azione amministrativa a livello comunale. Crediamo che la politica debba confrontarsi sui contenuti, proponendo anche scelte di cambiamento e discontinuità, che non si riducano alla mera sostituzione di persone, ma che rispondano a una visione condivisa", dovendosi considerare l'individuazione dell'aspirante guida dell'amministrazione cittadina "il punto di arrivo di un percorso politico e non una premessa non negoziabile".
Di certo l'area interessata da questi movimenti resta molto delicata: giusto ieri si è appreso, attraverso Ansa, che consigliere regionale Diego Lucianaz ha lasciato il gruppo di Rassemblement Valdôtain (di cui era stato uno dei primi membri) per aderire al gruppo misto. Lo avrebbe fatto "per ragioni legate al nuovo accordo politico concluso dal movimento con altre forze politiche" (dunque per la nascita degli Autonomisti di Centro), dichiarando di non condividere l'attività amministrativa degli altri gruppi: "questa situazione non mi permetterebbe di rimanere coerente con la lotta politica che ho cercato di portare avanti fin dalla mia elezione al Consiglio regionale". Si attendono, evidentemente, nuovi sviluppi.

venerdì 21 marzo 2025

Pordenone, simboli e curiosità sulla scheda

Per le elezioni amministrative si vota tradizionalmente in primavera, ma quest'anno le urne si apriranno per prime in Friuli - Venezia Giulia: il 13 e il 14 aprile, in particolare, si andrà ai seggi in quattro comuni, tutti interessati da fattispecie di scioglimento anticipato. Di questi, l'unico capoluogo di provincia è Pordenone, comune chiamato al voto in anticipo rispetto alla scadenza naturale dell'amministrazione seguita alle elezioni del 5-6 ottobre 2021 a causa dell'opzione per il seggio di europarlamentare da parte del sindaco Alessandro Ciriani (fratello di Luca - attuale ministro per i rapporti con il Parlamento - e come lui iscritto a Fratelli d'Italia). 
Si contenderanno il ruolo di sindaco quattro persone, che potranno contare sul sostegno complessivo di 12 liste (una in più del 2021, mentre il numero delle persone aspiranti alla poltrona di sindaco è rimasto lo stesso). Oltre a due coalizioni (centrosinistra per Nicola Conficoni, centrodestra per Alessandro Basso), sulla scheda finiranno due figure outsider, che con la loro unica lista cercheranno comunque di ottenere spazio in consiglio comunale. Candidati e simboli sono riportati di seguito, come di consueto, in base alla disposizione sulla scheda.
 
* * *
 

Marco Salvador

1) Salvador Sindaco - La Civica - Civica FVG 

Il sorteggio ha collocato al primo posto la candidatura di Marco Salvador, dipendente Hera, consigliere uscente eletto nel 2021 per la lista La Civica, allora a sostegno del candidato di centrosinistra Gianni Zanolin. Questa volta Salvador corre da solo (ma con l'appoggio, tra l'altro, di Azione), sostenuto da un'unica lista, Salvador Sindaco, che contiene al suo interno le miniature - nemmeno troppo piccole - dei simboli di La Civica (che sullo sfondo sfumato simil Instagram riprende il fiume - anche se può sembrare un mare - e la porta di pietra dello stemma cittadino, ma in alto inserisce un profilo del Monte Cavallo) e di Civica FVG, altro gruppo sorto a livello regionale alla fine del 2022, che nel simbolo altrettanto sfumato - e composto con la stessa font - inserisce tre sagome stilizzate di persone a mezzo busto.   
 

Anna Ciriani

2) #AmiAmoPordenone

Seconda candidatura è quella di Anna Ciriani, docente di materie letterarie e aspirante sindaca di Pordenone già nel 2021. Allora si parlò di lei, oltre che per il carattere anticonformista della sua figura, perché la lista civica Anna Ciriani sindaca - #AmiAmoPordenone era stata esclusa per problemi legati ai moduli della raccolta firme: si erano registrate ben tre decisioni dei giudici amministrativi, inclusa l'ultima del Tar Trieste che - ritenendo applicabile anche a livello regionale il termine (più favorevole) dettato da norme statali per presentare documenti utili - aveva di fatto aperto la strada alla riammissione. Quest'anno Ciriani ha ritenuto che le ragioni per proporsi come prima cittadina fossero rimaste immutate ed è tornata sulla scheda col suo simbolo di tre anni e mezzo fa (col cognome su fondo viola sfumato in alto, il nome-hashtag nella parte inferiore e una fascia biancorossa/tricolore nel mezzo. Non ci sono altri aspiranti sindaci con lo stesso cognome, che però è ugualmente presente sulla scheda.
 

Nicola Conficoni

3) Partito democratico

Esaurite le candidature sostenute da una sola lista, il terzo nome sulla scheda è quello di Nicola Conficoni, consigliere regionale dem e candidato - non senza polemiche - per il centrosinistra, stavolta privo del MoVimento 5 Stelle (che non partecipa ufficialmente alla competizione, al di là di un esponente che appoggia Salvador). Prima delle cinque liste presentate è quella del Partito democratico, che nel 2021 fu il partito più votato (superato solo dalla "lista Ciriani" del centrodestra). Come allora, il Pd presenta il suo simbolo nazionale ufficiale, senza alcuna altra indicazione.
 

4) Italia viva

Ironia della sorte - visti i rapporti storici non proprio idilliaci tra le due forze politiche - l'estrazione ha collocato a fianco del Pd il simbolo di Italia viva, in uno dei non frequentissimi casi di alleanza conclamata con i dem (senza l'inserimento di candidati in liste dalla natura civica). Sulle schede dunque apparirà il fregio ufficiale del partito fondato da Matteo Renzi (pure in questo caso senza altre indicazioni nominali o territoriali): Iv esordisce così nelle competizioni elettorali pordenonesi, dopo che alle elezioni politiche, europee e regionali aveva partecipato sempre a liste con altre forze politiche della stessa area.
 

5) Un'altra Pordenone c'è 

Terza formazione a sostegno di Conficoni è Un'altra Pordenone c'è, lista "plurale e pluralista, ecologista, socialista, progressista, laica", come si qualifica sulla propria pagina Facebook. Il simbolo scelto per concorrere, tanto semplice e leggibile quanto elegante, riporta il nome tricolore su fondo giallo scuro; spiccano, come particolarità, l'uso di una fogliolina verde con ombra come apostrofo (oltre che per segnalare la sensibilità ecologista) e di un carattere manoscritto (che ricorda un po' il gesso, visto il colore bianco del testo) per scrivere "c'è". 
 

6) Il Bene Comune

Torna sulle schede come parte della coalizione di centrosinistra la lista Il Bene Comune, lista civica (cui concorrono Prc, Sinistra Italiana, Open FVG ed Europa Verde) che nel 2021 aveva sostenuto già Zanolin e aveva proposto come possibile candidato sindaco l'ex vigile del fuoco Stefano Zanut, che poi ha fatto un passo indietro all'emergere di Conficoni (Zanut è comunque capolista). Il simbolo è lo stesso del 2021: un albero stilizzato e sfumato - ma il tronco ricorda anche una sagoma umana a braccia aperte - su un fondo altrettanto sfumato ottanio-verde, con vari pallini bianchi e di altre tinte che delineano la chioma e rimarcano la pluralità della lista.  
 

7) Pordenone in salute

Chiude la coalizione di centrosinistra la lista civica Pordenone in salute, partita dall'iniziativa di vari professionisti della sanità che hanno scelto di impegnarsi in questa campagna elettorale. Il simbolo, elaborato da Laura Battistella (uno dei rari casi in cui chi ha creato il fregio è noto e si esprime), contiene "un grande cuore multistrato" tricolore "che avvolge il municipio, edificio simbolo della città"; la "N" maiuscola di "iN" vuole "rafforzare il concetto e l’obbiettivo", mentre i riferimenti a "Sanità Sociale e Ambiente" completano il contrassegno. Nemmeno qui c'è il nome di Conficoni, che dunque non figura in alcuno dei cinque contrassegni della sua coalizione.
 

Alessandro Basso

8) Pordenone cambia

Ultimo dei candidati sulla scheda, in base all'ordine di estrazione, è Alessandro Basso, anch'egli consigliere regionale in carica, presentato dal centrodestra. Pure Basso può contare su cinque liste, la prima è quella che più rimanda alle elezioni precedenti: si tratta di Pordenone cambia, la formazione più votata in assoluto nel 2021 e legatissima all'ex sindaco ed ora europarlamentare Alessandro Ciriani. Non a caso, sotto ai monumenti pordenonesi mostrati al centro (da sinistra, le chiese di San Marco, San Giorgio e della Santissima Trinità, poi la Loggia municipale, probabilmente la Casa del Mutilato e il teatro Verdi), figura l'espressione "Lista Ciriani", persino più evidente - per questioni cromatiche - di "Basso sindaco". Il cognome di Ciriani dunque è rimasto (pur molto rimpicciolito), anche se lui ovviamente non è candidato.
 

9) Fratelli d'Italia

Non poteva non essere presente nella coalizione di centrodestra il simbolo del partito per cui Basso è consigliere regionale, dunque Fratelli d'Italia. Rispetto al 2021, anno in cui l'unico riferimento contenuto nel contrassegno era al candidato alla guida del comune (dunque a Ciriani, come se fosse stato ritenuto in grado di correre senza il sostegno della leader), questa volta Fdi ha scelto una formula grafica già vista in altre occasioni e ormai codificata, con l'espressione "Giorgia Meloni per" e il riferimento al candidato sindaco, che sormonta la miniatura del simbolo ufficiale di Fdi.
 

10) Pordenone civica

In posizione mediana nella coalizione di centrodestra c'è la seconda lista civica, denominata appunto Pordenone civica; in effetti non sembra fuori luogo indicare la formazione come quella più legata al candidato, viste anche le dimensioni del cognome dell'aspirante sindaco (ma non è la dimensione più grande, come si vedrà). La natura civica della lista emerge, tra l'altro, dalla stilizzazione del palazzo comunale (presente dunque due volte nella coalizione) e dalla presenza del fiume stilizzato, ispirato - anche qui, come si è visto per il simbolo di Salvador - allo stemma del comune di Pordenone.
 

11) Lega

Quarta lista della coalizione che appoggia Basso è quella della Lega, vale a dire il partito che esprime il presidente della regione, Massimo Fedriga. In questo caso non può sfuggire una modifica grafica rilevante: nome del partito e figura di Alberto da Giussano sono stati proporzionalmente ridotti (e le lettere non sono state ridisposte lungo il bordo del cerchio del contrassegno), in modo da lasciare il semicerchio inferiore alla campitura azzurra (quella della "lista Fedriga" alle ultime regionali) al posto del blu classico, che tinge invece il cognome del candidato sindaco, scritto decisamente a caratteri cubitali (e senza che compaia il nome del segretario federale Matteo Salvini).
 

12) Forza Italia

Ultima lista della coalizione di centrodestra e dell'intera scheda elettorale è quella di Forza Italia. Il contrassegno impiegato è in fondo una variante (un po' ammassata, va detto) dell'ultimo fregio usato a livello nazionale, con la bandierina tricolore stretta tra il riferimento al Partito popolare europeo e il cognome di Silvio Berlusconi, mentre in basso un segmento circolare blu contiene il riferimento al candidato sindaco. Riferimento che, come si è potuto vedere, è presente in tutti e cinque i simboli della coalizione: una scelta diametralmente opposta a quella operata dal gruppo che sostiene Conficoni.

martedì 18 marzo 2025

Un #romanzoViminale ante litteram: sfogliando il Corriere del 1948

Chi frequenta abitualmente questo sito non ha bisogno che lo si ricordi: il deposito dei contrassegni destinati alle schede elettorali è da sempre il momento pubblico che caratterizza per primo e in modo più evidente l'avvicinamento al giorno - o ai giorni - del voto per il rinnovo delle Camere o del Parlamento europeo. Sembra di poter dire così soprattutto a partire dal 1958, anno in cui trovarono prima applicazione le norme introdotte dalla legge n. 493/1956 - e trasfuse nel testo unico per l'elezione della Camera, cioè il d.P.R. n. 361/1957 - che avevano previsto un'unica procedura di deposito dei simboli presso il Ministero dell'interno per i partiti, per gli altri gruppi politici e per eventuali soggetti singoli: da quel momento, nel giro di pochi giorni (in origine tra il 68° e il 62° giorno prima dell'apertura delle urne, ora tra il 44° e il 42° giorno prima, considerando solo le elezioni politiche), tutti i soggetti interessati a presentare il proprio emblema - e, almeno in linea teorica, a impiegarlo per distinguere candidature - si ritrovano al Viminale e suscitano puntualmente l'interesse della stampa.
Era così, almeno in parte, anche per le due elezioni politiche precedenti (1948 e 1953), ma con una significativa differenza: era previsto un doppio binario, con i partiti e gli altri soggetti politici organizzati "privilegiati" rispetto ad altri soggetti. In particolare, partiti e gruppi politici organizzati avevano la possibilità di depositare presso il Viminale il contrassegno per le loro liste (circoscrizionali o per il collegio unico nazionale) "non oltre il sessantaduesimo giorno anteriore a quello della votazione", con l'esame di ammissibilità dei simboli da parte del ministero entro tre giorni dalla presentazione; nella fase successiva del deposito delle liste/candidature (presso la cancelleria della Corte d'appello o del Tribunale competente), da effettuare "non più tardi delle ore 16 del quarantacinquesimo giorno anteriore a quello della votazione", i presentatori di ciascuna lista avevano l'onere di dichiarare "con quale contrassegno depositato presso il Ministero dell'Interno" volessero distinguere le candidature o - pensando di impiegarne uno diverso - di depositare il proprio fregio elettorale unitamente alle liste e ai relativi documenti (a partire dalle firme a sostegno), fregio la cui ammissibilità sarebbe stata valutata dai vari uffici elettorali - nei dieci giorni successivi - sulla base della confondibilità con i simboli depositati al ministero (dunque più tutelati) e con quelli depositati in precedenza presso il singolo ufficio.
Questo doppio binario comportava che le liste esclusivamente locali o i candidati ai collegi uninominali del Senato interessati a impiegare un proprio contrassegno - sapendo che sarebbe stato comunque possibile collegarsi in gruppo a persone legate a simboli diversi, in base alla legge elettorale del Senato - non avessero normalmente interesse a presentarsi al Viminale (affrontando magari le spese e le difficoltà del viaggio): per questo motivo, oltre che per l'assenza di un formale termine iniziale per il deposito - anche se si può presumere che in qualche modo il Ministero dell'interno indicasse un giorno e un momento prima dei quali i contrassegni non sarebbero stati accettati - si può supporre che dentro e fuori il Palazzo del Viminale ci fosse meno ressa di quanto accade ora prima delle elezioni politiche ed europee, al punto tale che i contrassegni erano ricevuti direttamente al quarto piano, sede - allora come oggi - dei servizi elettorali.
Questo, ovviamente, non significa che il tempo del deposito fosse meno sentito rispetto a ora. Un documento particolarmente interessante, in questo senso, è rappresentato da un articolo pubblicato in prima pagina dal Corriere d'Informazione - vale a dire l'edizione pomeridiana del Corriere della Sera - nel numero distribuito il 17 febbraio 1948: il pezzo, firmato da Alberto Ceretto (già capo del "servizio italiano", dunque degli interni per Ansa e in seguito resocontista dei lavori della Camera per il Corriere), offre appunto una cronaca della presentazione dei simboli che precedette le elezioni del 18 e 19 aprile - il primo voto politico dell'Italia repubblicana - con un uso abbondante dell'ironia nel raccontare quelle fasi. Il pezzo conferma che il deposito, in quell'occasione, si concluse alle 20 di lunedì 16 febbraio 1948 (esattamente 62 giorni prima che si aprissero le urne), ma si apprende che i primi contrassegni erano stati ricevuti dal Viminale la mattina di martedì 10 febbraio, addirittura una settimana prima. 
Le quattro colonnine di taglio alto offrono uno spaccato tanto della creatività mostrata allora - quando i simboli erano rigorosamente in bianco e nero e, tra l'altro, non erano ancora vietati i soggetti religiosi e il metro della confondibilità era meno severo - quanto delle reazioni della burocrazia ministeriale, specie davanti a un contrassegno presentato "espresso" (cioè appena realizzato) in modo tanto artigianale quanto difforme rispetto alle prescrizioni dettate dagli uffici. Vale la pena leggere quelle righe, cercando di immergersi in quel tempo, fatto di scrivanie che si affollavano di cartelline verdi, simboli in triplice copia consegnati da soggetti passeggianti da quelle parti e non ancora destinati all'esposizione in bacheca (proprio perché il deposito aveva una connotazione più intima e riservata, ma pur sempre solenne).

La pioggia cominciò martedì scorso, alle nove del mattino, e ininterrottamente è durata fino alle ore venti di ieri sera. Non era la consueta pioggia primaverile, l'acquerella che vien giù, sottile e tepida, dal cielo, ma una pioggia di carta che si rovesciava in una stanza del Viminale punto per fedeltà di cronaca, la stanza n. 20 del quarto piano, dove i funzionari del servizio elettorale hanno visto, durante questi giorni, i loro tavoli allagati di contrassegni di lista. Le cartelle verdi, con i simboli e i verbali di deposito, sono diventate una collinetta e quando, iersera, è scoccata l'ora fatale di chiusura, 102 contrassegni risultavano presentati al Ministero degli Interni. Centodue in confronto dei 61 depositati per le elezioni del '46: inflazione anche nei simboli. 
I primi furono presentati martedì scorso da quattro signori, che, quando l'ufficio si aprì, passeggiavano in già nervosamente dinanzi alla famosa porta n. 20. Da quanto tempo misuravano a gran passi il corridoio? Nessuno lo sa: forse erano arrivati quando il cielo appena sbiancava alle prime luci dell'alba, dopo aver pernottato all'addiaccio, ed ora si guardavano con occhio nemico, invidiosi del primo posto che sarebbe toccato a uno di loro, in ordine di presentazione. Perché, vi chiederete, tanta premura? Perché nel campo elettorale, come in ogni competizione agonistica, l'uomo ha le sue teorie e crede nella scaramanzia. L'urgenza di conquistare il primo posto è connessa con la teoria secondo la quale l'elettore vota per istinto, senza studiare la scheda, è portato a segnare una crocetta accanto al primo simbolo su cui posa l'occhio.
Nei tanti simboli piovuti al Viminale, la fantasia s'è sbizzarrita come più non avrebbe potuto. Ci sono, è vero, dei simboli ricorrenti, che molti partiti hanno scelto e che, pertanto, si ripetono, con lievi sfumature di diversità, all'infinito. La stella a cinque punte, per esempio, che i monarchici hanno naturalmente abbinato alla corona, ed i 
«frontisti» hanno invece tratteggiato come sfondo alla testa di Garibaldi. 
Ma, al di fuori di questi motivi, che sono i più comuni, quante estrose invenzioni! Prendete il sole, ad esempio: voi credete che il sole sia unico, uguale per tutti, inconfondibile. Illusione. Basta sfogliare le cartelline verdi per constatare in quanti modi diversi gli uomini vedono il sole: c'è il sole fermo e senza raggi, quello, invece, che inonda il creato di raggi, dritti e acuti come str
ali, quasi volesse forarlo con la sua vampa; e c'è il sole leonardesco, dei raggi zigzaganti.

 

E poi, perché non considerare il sole nei momenti del suo quotidiano e luminoso viaggio che, proiettato nell'eternità, può somigliare al gran viaggio dell'umanità nel tempo? Ecco, quindi, il sole alto sull'orizzonte, lontano, splendido ed irraggiungibile; ed ecco, invece, il sole nascente, ancora a metà della sua prodigiosa apparizione all'orizzonte. Quest'ultimo, lo conoscete, è il sole che, primamente, scelsero come emblema internazionale i socialisti, ed è riapparso all'orizzonte della camera n° 20 del Viminale, recatovi da Ivan Matteo Lombardo e Simonini, come contrassegno dell'Unione socialista. 
 
E che altro, infine, se non il sole volete che scegliesse come simbolo l'associazione politica naturisti italiani? Il suo astro fulgente, però, a una sorta di carattere pubblicitario, perché la parola naturismo spicca proprio al centro della pancetta del sole, come la «réclame» di una pasticca per la gola. 
Ricostruzione
Se parecchi degli emblemi sono mostruosamente complicati, il più semplice fu quello ideato da un mutilato. Egli arrivò all'ufficio elettorale a mani vuote, prese da un tavolo un pezzo di carta e una matita azzurra, tracciò una macchia blu, vi scrisse sotto 
«mare calmo» e porse il foglio all'impiegato. Questi trasecolò e fece rilevare al presentatore, in primo luogo, che il contrassegno doveva essere disegnato in inchiostro e consegnato in tre esemplari; poiché quella macchia non rappresentava nulla.
«
Voi lo dite, - si scandalizzò l'altro. - Dint'o mare 'nce sta' tutte cose», e la sua voce di napoletano vibrava di commozione in quel semplice inno al mare. Poi si convinse, e tornò, ieri, recando il nuovo emblema del «gruppo politico degli italiani»: l'Italia effigiata in una donna armata di spada e con lo scudo crociato sul seno rigoglioso. Ma una curiosità c'era, anche questa volta, nel disegno, ed era il copricapo, di foggia veramente inusata per una donna. «E' il colbac del Piemonte reale», spiegò il presentatore dinanzi allo sguardo interrogativo del funzionario.
 
La cronaca appena riportata può essere completata con il resoconto puntuale che sempre il Corriere d'Informazione (edizione della notte), uscito proprio il 10 febbraio, offriva della prima mattina di deposito degli emblemi. I primi quattro signori che si contendevano il primo posto nelle procedure di deposito, a quanto pare, dovevano essere lì per depositare i fregi del Movimento nazionale unitario (distinto dal "profilo dell'Italia geografica", con tanto di Venezia Giulia "larga", Istria e Dalmazia, Savoia e Nizzardo e persino un po' di costa africana; presentatore risultava Luigi Gasparotto), del Partito nazionale monarchico (con Alfredo Covelli presentatore ufficiale), del Partito socialista italiano (contrassegno simile a quello del Psiup del 1946 e apportato da Lucio Luzzatto) e del Fronte democratico popolare (con Garibaldi sopra la stella presentato da Virgilio Nasi). L'elenco continuava con il Partito comunista italiano (stesso emblema della Costituente, depositato da Pietro Secchia e presentato - al pari del fregio del Psi - per evitare che altri potessero accampare diritti su quel segno o su segni simili), il Partito democratico del lavoro ("una ruota dentata che racchiude una spiga di grano e una fiamma emergente", presentato - a quanto pare di capire - da Edgardo Longoni), la Gioventù comunista (da cui sarebbe nata la Fgci: depositante fu Giancarlo Pajetta) e il Movimento sociale italiano (con la fiamma tricolore presentata da Giorgio Almirante). La "prima dozzina" si completava con il Blocco popolare unionista (presentato da Santi Paladino), la Concentrazione degli indipendenti per l'indipendenza d'Italia (presentato da Luciano Maria Moretti: "un reticolato con delle fiamme da esplosione, in alto una croce con la scritta 'Per l'indipendenza d'Italia'"), il Fronte liberale democratico dell'Uomo Qualunque (col simbolo della testata di Guglielmo Giannini presentato da Mario Rodinò) e l'Alleanza cattolico-monarchica (emblema presentato da Giorgio Asinari di San Marzano). Secondo un articolo uscito il giorno dopo sull'edizione "principe" del Corriere, al posto numero 13 si era collocato il simbolo della Dc.
Dell'Alleanza cattolico-monarchica, tuttavia, sarebbe stata chiesta la sostituzione del fregio, perché la corona al centro si sarebbe potuta confondere con il simbolo di "Stella e Corona" del Pnm: rimase dunque una corona di alloro, abbinata al nodo Savoia e a una croce. Il 18 febbraio il Corriere d'Informazione diede notizia anche della bocciatura del simbolo del Fronte della Gioventù per la somiglianza col simbolo del "Blocco democratico popolare", anche se una forza con quel nome non c'era: in effetti si trattava del Fronte democratico popolare già ricordato. In effetti, tra i simboli ammessi non figura quello del Fronte della Gioventù (che ovviamente non era il Fdg che si sarebbe affermato come "giovanile" del Msi-Dn, ma la continuazione - o, se si preferisce, quel che rimaneva - dell'organizzazione giovanile partigiana ormai molto vicina al Pci: a depositare il simbolo con il volto di Garibaldi, in effetti, fu Enrico Berlinguer). 
Rileggendo l'articolo scritto da Alberto Ceretto per il Corriere d'Informazione, tra l'altro, si trova citata l'Associazione politica naturisti italiani menzionata nel testo: nel cercare tra i simboli ammessi nel 1948 le grafiche per illustrare l'attento e ironico resoconto, tuttavia, non emerge alcuna traccia Associazione politica naturisti italiani - nome che non figura in alcuna dei simboli presentati pure in seguito - né di un sole contenente la parola "naturismo" (mentre emergono, per esempio il sole "leonardesco, dai raggi zigzaganti" del Movimento sociale rivoluzionario europeo mostrato sopra e quello "alto sull'orizzonte" e "che inonda il creato di raggi, dritti e acuti come strali" del Movimento nazionale fra sinistrati e danneggiati di guerra). Guardando al numero di contrassegni contenuti nella pubblicazione ufficiale del Viminale, peraltro, si nota la presenza di 98 emblemi, a fronte dei 102 di cui parla l'articolo: se uno di quelli mancanti potrebbe essere quello del Fronte della Gioventù depositato da Berlinguer, che qualcosa sia andato storto in fase di esame del contrassegno naturista - da parte dei servizi elettorali guidati dal capo divisione (Angelo?) Vincenti - portando alla sua esclusione? Il mistero, almeno per ora, resta, insieme al fascino di un racconto ex post della #maratonaViminale.
 
Un ringraziamento meritatissimo va a Lorenzo Pregliasco, che ha segnalato l'articolo e ha spinto all'approfondimento sulla vicenda.

sabato 8 marzo 2025

Partito liberaldemocratico, un inizio ad ala spiegata fuori dai poli

Il "centro" politico in Italia non cessa di essere (e anche di apparire) in movimento: proprio oggi si è registrata la comparsa di un nuovo soggetto, che ha scelto consapevolmente di adottare l'etichetta di "partito". Si tratta del Partito Liberaldemocratico (anche se, a guardare il simbolo - di cui si dirà più avanti - si sarebbe tentati di dire Partito Liberal democratico), vale a dire la forza politica nata dall'impegno comune - iniziato alla fine di novembre con la manifestazione Il coraggio di partire - di Libdem europei (l'associazione-costituente-partito fondata nel 2022 da Giuseppe Benedetto, Alessandro De Nicola, Oscar Giannino e Sandro Gozi, presieduta da Andrea Marcucci e membro dell'Alde Party), Nos (il "media-partito" lanciato dal fondatore di Will Italia Alessandro Tommasi), l'associazione Liberal Forum (nata nel 2022 su impulso di varie figure legate al mondo liberale, pur collocate in origine su fronti diversi) e Orizzonti liberali, cioè l'associazione-cantiere promossa da Luigi Marattin dopo la sua uscita da Italia viva a settembre dello scorso anno. 
L'idea di concorrere a costruire "un vero partico liberaldemocratico equidistante sia da destra che da sinistra" ha impegnato i soggetti per vari mesi, fino alla preparazione dell'iniziativa di presentazione di oggi, tenutosi presso lo spazio Roma Eventi di via Alibert (dietro Piazza di Spagna). Insieme, per la libertà. L'inizio di un cammino nuovo era il titolo scelto per questo evento che ha unito soggetti che in tempi recenti non avevano avuto posizioni sovrapponibili: alle ultime elezioni europee, per esempio, Libdem aveva concorso alla lista Stati Uniti d'Europa (sostenuta anche da Marattin, allora in Iv, e anche da Liberal Forum che aveva appoggiato la candidatura di Graham Watson nel Nord-Est), Nos era invece stato parte della lista Siamo Europei guidata da Azione. 
In un certo senso si può parlare di evoluzione del progetto Libdem europei, almeno sul piano politico e giuridico. La presentazione di oggi era infatti stata preceduta, il 29 novembre 2024, da una prima assemblea dei soci dell'associazione Liberali Democratici Europei per deliberare la modifica dello statuto in modo da trasformare l'associazione nel partito Libdem. Il 20 febbraio, poi, si era appreso di una nuova convocazione dell'assemblea (il 28 febbraio in prima convocazione e il 5 marzo in seconda) per ulteriori modifiche statutarie: "il nostro Statuto, così modificato, costituirà - si leggeva nel sito libdemeuropei.it - la base del futuro partito liberaldemocratico a cui daremo vita con gli amici di Orizzonti Liberali, Nos e Liberal Forum in un grande congresso la prossima estate".
Per il congresso, dunque, è ancora presto, ma intanto l'evento di lancio c'è stato, così come sono stati elaborati lo statuto ("frutto del lavoro di una commissione" dei quattro soggetti politici coinvolti) e soprattutto - per quanto interessa qui - il simbolo, presentato ieri. Lo statuto rinnovato contiene la descrizione del fregio, la stessa riportata nella domanda di marchio, depositata venerdì 7 marzo da Piero Cecchinato, avvocato esperto di diritto commerciale, bancario e finanziario (ed esperto anche di diritto della proprietà industriale) nonché segretario di Libdem europei:
logo di forma cilindrica con 4 colori: azzurro chiaro e blu scuro di sfondo, un bordo blu scuro che contorna tutto il perimetro del logo; colore bianco per il nome del Partito formato da 3 parole (“Partito Liberaldemocratico”); colore giallo per il puntino sopra la i della seconda parola che rappresenta il nome del partito; e colore giallo anche per la figura dell'ala in alto a destra posizionata sopra la terza parola del nome partito. Il colore blu scuro predomina la parte bassa a destra del cerchio mentre l'azzurro chiaro la parte in alto a sinistra con al centro il nome e l’immagine dell'ala.
L'ala gialla che si vede nel simbolo richiama, per chi la riconosce, quella del bird of liberty, simbolo classico dei liberaldemocratici europei che ha caratterizzato per molti anni (e in varie versioni) il gruppi libdem al Parlamento europeo (Eldr): tuttora i liberaldemocratici britannici utilizzano quell'immagine (e per un certo periodo lo hanno fatto in Italia i Liberaldemocratici di Marco Marsili: chissà se lui, che si era lamentato dei Liberal Democratici di Lamberto Dini e Italo Tanoni, sarà contento di questo nuovo nome...) e proprio Libdem - quando era pensato soprattutto come "movimento liberale democratico europeista" - ha utilizzato comunque un uccello giallo ad ali spiegate, prima reso con la tecnica dell'origami, poi nella forma più semplificata vista fino a poco tempo fa. Quanto ai colori, il giallo rappresenta i libdem in vari paesi europei, spesso abbinato proprio all'azzurro-blu (che appare anche nell'attuale logo dell'Alde, che pure ha rinunciato al giallo). 
La scelta di usare il termine "partito" - in controtendenza rispetto a quanto visto negli ultimi anni - e di evitare riferimenti all'Italia o ad altre grafiche esplorate negli ultimi decenni era emersa già poco prima della presentazione, quando Luigi Marattin, in un'intervista ad Aldo Torchiaro per il Riformista, aveva dichiarato: "La crisi della politica in Italia - si vede anche dal modo in cui negli ultimi trent’anni si sono chiamati quasi tutte le formazioni politiche che nascevano. Quasi nessuno si chiamava 'partito', come se fosse una cosa tossica; invece i partiti, se fatti per questo secolo e non per il precedente, sono ancora lo strumento migliore per la democrazia rappresentativa. E poi nessuno metteva nel proprio nome un'identità politica: tutti a saccheggiare l'orto botanico (querce, margherite, ecc) o a utilizzare combinazioni del nome 'Italia'. Invece da un nome di un partito si deve capire subito qual è la visione di società che ne deriva".
"Siamo una possibilità per tutti, non un privilegio per pochi": così stava scritto sullo schermo accanto al simbolo appena comparso, mentre il manifesto del partito cerca di sviluppare il credo della forza politica, volto a combattere i tre spettri dell'autocrazia, del populismo e della conservazione, unendo democrazia politica ed economia di mercato. "Varando questo partito che unisce quattro associazioni - ha detto Marattin all'inizio dell'evento - cominciamo a mettere mano a quella frammentazione che ha reso l'area liberaldemocratica meno forte di quanto non sia in Italia. Oggi vi presentiamo il manifesto, quello in cui crediamo, le nostre proposte politiche; vi presentiamo una classe dirigente, una strategia di comunicazione che discutiamo con tanti ospiti esterni; apriamo il tesseramento e tra tre mesi eleggeremo i nostri organi. Partiamo con le cose importanti, le altre verranno dopo". 
"Quando vi siete innamorati l'ultima volta dell'attività politica? Quando siete andati a votare l'ultima volta con passione e determinazione?" ha chiesto Pietro Ruggi, socio fondatore e presidente di Liberal Forum. "Per tanti di noi forse è passato troppo tempo: per decenni ci siamo trovati a dover scegliere tra una destra populista, giustizialista e illiberale e un centrosinistra anch'esso populista e giustizialista, per i liberali era una situazione impossibile. Oggi per me si realizza un sogno: avere un partito che può essere un punto di riferimento politico-elettorale per i liberaldemocratici italiani, da lasciare in eredità ai nostri giovani. Un partito non si fonda per l'obiettivo di riunire i liberaldemocratici: lo si fonda perché ci sono valori non negoziabili condivisi tra tutti noi".  
"Se metà delle persone non vota - ha aggiunto Alessandro Tommasi di Nos - vuol dire che metà delle persone non crede minimamente nella politica, perché negli ultimi trent'anni sono mancati una visione del paese, un metodo di lavoro chiaro, sistemi di incentivo alla partecipazione politica per componenti importanti della nostra società. Siamo sicuri che lo scontro tra centrodestra e centrosinistra sia ancora attuale, o invece sarà necessario schierarsi a difesa dei principi democratici e dello stato di diritto, che certe forze politiche non sposano in pieno?".
"Quando ho iniziato a fare politica qualche decennio fa - ha chiosato Andrea Marcucci - sembrava che il bene della libertà fosse ormai acquisito nel mondo occidentale e anche in Italia. Semplicemente non era vero, come ha dimostrato la storia: in momenti difficili come questo, diventa un discrimine scegliere di stare dalla parte di chi viene offeso e aggredito, di chi sceglie i diritti, di chi sa che le riforme e la spesa pubblica ci possono essere ma solo in presenza di un'economia di mercato. Il motore di secoli che ha portato allo sviluppo della nostra società è stato l'amore per la libertà e lì bisogna tornare. Facciamo un primo passo di un percorso che abbiamo elaborato e studiato e che è difficile, perché tra liberali trovarsi d'accordo è un incubo... ma siamo andati avanti e ci crediamo". La sede del partito, tra l'altro - in via Veneto 7 a Roma - coincide con l'ufficio romano usato da Marcucci fin dalla sua prima elezione a parlamentare (nel 1992 con il Pli alla Camera; sarebbe poi tornato al Senato nel 2008 con il Pd, rimanendovi fino al 2022). 
Tra i molti interventi della giornata, al di là degli apprezzabili contributi esterni, meritano di essere segnalati due passaggi interni. Il primo lo ha fornito Gianmarco Brenelli, tra i fondatori di Liberal Forum, a lungo impegnato nel mondo liberale (e, tra l'altro, nella Federazione dei liberali guidata da Raffaello Morelli): "Nel nostro manifesto introduciamo alcune novità, innanzitutto la parola 'Partito': la nostra - ha detto - è l'unica democrazia che ormai non si fonda sui partiti, abbiamo avuto fasi floreali, di cesarismo, di 'partiti' in cui non si discute e non si applica la costituzione e noi vogliamo andare nella direzione opposta, creando una forza politica contendibile. Grazie al disastro che si è creato in Italia, nel Parlamento europeo non esiste un contributo italiano alla famiglia liberale, a dispetto di una domanda dell'8-10% rivelatasi non nei sondaggi, ma nei voti: serve uno strumento che costituisca l'offerta a questa domanda".
Il secondo momento intenso è arrivato da Oscar Giannino, che ha offerto un intervento decisamente movimentato: "I nostri punti programmatici non sono un programma elettorale, cui lavoreremo quando ci avvicineremo alle elezioni, vedendo quanto la condizione di questo paese e quella internazionale si sarà ulteriormente ridotta alla malora. Così come non sono un programma di governo completo, perché questo lo faremo evolvere nel tempo attraverso le forme di un partito contendibile che fa congressi a tutti i livelli e non sopporta i partiti personalistici, senza averci niente a che fare. Però abbiamo scelto punti programmatici che sono irriducibilmente diversi da quello che dicono questa destra e questa sinistra e da quello che hanno fatto per anni, lasciando le loro impronte digitali sul paese". Comunque vada, la strada è impegnativa: decidere di percorrerla - qualunque idea si abbia - è una sfida che merita rispetto.