Chi appartiene alla categoria antropologica dei drogatidipolitica - glieli farete ammettere senza troppa difficoltà - ha quasi sicuramente una o più figure politico-partitiche di riferimento e altre che detesta, cordialmente o ferocemente (per i motivi più vari, anche poco fondati sulla ragione e molto sul sentire). Del pantheon laicissimo di tutti gli aderenti alla schiera, però, meritano certamente di far parte alcune persone; tra queste, nella modesta opinione di chi scrive, deve essere assolutamente ricompreso Edmondo Berselli, soprattutto per lo sguardo lucido e disincantato offerto nelle sue analisi, proposte con un linguaggio consistente e tagliente il giusto, senza mai posare la leva dell'(auto)ironia.
Vale la pena di parlarne oggi innanzitutto perché quindici anni fa Berselli è purtroppo venuto a mancare, dopo averci donato una decina di libri stimolanti - prima per il Mulino, poi per Mondadori - spazianti dalla politica alla cultura (alta o bassa, e tanti saluti agli steccati e agli scaffali), dalla musica leggera al territorio e allo sport, un fascio di altri testi inclusi in altri libri, una messe enorme di articoli su varie testate (dal Mulino e dalla Gazzetta di Modena fino alla Repubblica e all'Espresso, passando per il Resto del Carlino, il Messaggero, La Stampa e il Sole 24 Ore), spettacoli musical-sociologici (con Shel Shapiro) e programmi radiotelevisivi mai banali, preziosissimi per leggere l'Italia e gli Italiani, allora come oggi, a patto di poterli - oltre che volerli - ancora leggere e vedere.
Proprio per rendere di nuovo disponibile una delle opere più significative e dirompenti di Edmondo da Campogalliano, da poche settimane - ecco il secondo motivo per scrivere ora di Berselli, anche se qualsiasi scusa potrebbe andare bene, ragion per cui in questo sito si sono colte varie occasioni per citarlo - la casa editrice Quodlibet ha scelto di ripubblicare Venerati maestri, saggio funambolico uscito per la prima volta con Mondadori nel 2006: era l'anno, lo si ricordi en passant, della seconda vittoria alle elezioni politiche di Romano Prodi, il cui "fattore C" celebrato altrove dallo stesso Berselli non fu comunque sufficiente a evitargli il secondo affondamento parlamentare meno di due anni dopo, con contorno di orrido pasto a base di mortadella e di spumante che, spumeggiando secondo codici di geometria esistenziale o secondo meccaniche divine, rovinò quasi irrimediabilmente il velluto di uno scranno dell'aula di Palazzo Madama. Questa però è un'altra storia, da Sinistrati doc (bersellianamente parlando), quindi non meniamo a spasso il cane e torniamo indietro ("a bomba", direbbe qualcuno in italiano pseudomoderno e giovanilistico): si parlava del libro.
Ecco, sulla copertina originale mondadoriana di Venerati maestri, come una sorta di simbolo del volume (cioè qualcosa che etimologicamente unisce e collega la pagina di fronte al contenuto delle pagine interne), c'era un'italica giostrina tratteggiata a mano, con i paletti che infilzavano persone, libri e teleschermi, al posto dei tradizionali cavallucci: un'immagine un po' circense, un po' pungente (ma senza sadismo, o per lo meno q.b.) per quella che era qualificata come "Operetta immorale sugli intelligenti d'Italia"; sul retro, in compenso, un bel tritacarne macinava - oltre che un libro e un televisore - anche un giornale, un microfono e una telecamera. Più avanti si sarebbe potuta scegliere anche, per dire, un'accozzaglia di quotidiani, riviste, telecomandi e magari pure smartphone (sebbene nel 2006 - l'anno prima dell'uscita dell'iPhone - quella parola fosse nota a ben pochi, in un tempo in cui bisognava per forza pigiare su qualche tasto per telefonare o mandare messaggi e gli unici vocali concepibili erano quelli lasciati in segreteria), tutti cacciati in uno scatolone con la scritta evidente "Maneggiare con cura" (invito rivolto soprattutto ai conformisti e ai soggetti sbertucciati pagina dopo pagina, specie se suscettibili).
Ora invece in copertina c'è una splendida immagine di un "dottore della peste", con tanto di maschera a becco, e la scelta è ancora una volta azzeccatissima: tra miasmi di guerre, corruzione, politica gridata, post-verità, onnipresenze mediatiche straripanti e magari piuttosto sguaiate, ci vorrebbe eccome un dottore sui generis - no, un virologo no, anche se qualcuno non sembra arrendersi all'idea - anzi, ci vorrebbe proprio Edmondo Berselli, per ricordare l'importanza di sorridere di noi e delle nostre debolezze per evitare di prenderci troppo sul serio (un rischio che quasi chiunque corre a ogni passo). E anche se il libro è di quasi vent'anni fa, i suoi aromi non si sono ancora esauriti e assolvono ancora alla loro funzione.
Già, perché nel tempo sono spuntati nei campi più disparati - con le varie categorie di esperti che si succedono nei salotti televisivi e sui social network, a seconda del tema del momento - tanti "personaggi pubblici ancora viventi, parlanti e onnipresenti in tv, che sanno il futuro e non ci prendono mai, dirigono l’opinione corrente e il conformismo diffuso", che "perdurano, ossia tirano a campare con ostinazione senza demordere, finché saranno solo una scoreggina che ha fatto molta puzza, e che il vento della storia avrà disperso oltre lo strato d'ozono". La citazione è tratta dal testo scritto sulle bandelle del libro appena tornato in libreria, vergato con le iniziali "e.c.", che stanno per Ermanno Cavazzoni, prezioso scrittore reggiano, cantore dei lunatici e direttore della collana Compagnia Extra di Quodlibet: queste parole, oltre a richiamare un quasi dimenticato spot flatulento di Dolce & Gabbana evocato nel libro (e non erano ancora arrivati gli scoiattoli che, grazie alla potenza di una gomma da masticare, salvavano ex tergo la foresta dagli incendi...), attivano subito la memoria dei drogatidipolitica e fanno ripescare, a prescindere dalle intenzioni di Cavazzoni, l'epiteto "scorreggia nello spazio" scagliato da Umberto Bossi contro Gianfranco Miglio attraverso il Giornale (17 maggio 1994, a pagina 3), uno degli insulti più crudi che i cataloghi di citazioni politiche raccolgano. Ma evocano direttamente soprattutto la nota e temuta tripartizione elaborata da Alberto Arbasino per descrivere i tempi della carriera di uno scrittore - il cruccio di chi scrive è non avere mai individuato con esattezza la sede in cui la massima è stata enunciata o fissata dal suo creatore - e che proprio in questo libro Edmondo Berselli acutamente ha esteso in potenza a tutte le persone di cultura (o almeno tali considerate o sedicenti), rendendo così ancora più noto il paradigma.
Perché ormai sono davvero in pochi a non sapere che, tra lo stadio iniziale e solitamente giovanile di brillante promessa (quello in cui "si tornisce il muscolo, e quindi conta di più il movimento in sé che non il raggiungimento del traguardo") e quello finale, ambitissimo e impegnativo di venerato maestro, c'è lo status temibile di solito stronzo, in cui peraltro è facilissimo cadere e da cui non è altrettanto agevole uscire per l'avanzamento (o upgrade, in milanese moderno ormai estesosi un po' dappertutto). E che anche dopo aver raggiunto il livello superiore, dietro le lodi sperticate tributate in pubblico (sui giornali, sulle riviste specializzate, in tv, perfino online) si nascondono spesso critiche feroci e stracciate di acido prussico in privato: altro che incontestabili, insomma, e la fatica di diventare venerati maestri non ripara dal rischio di essere considerati cazzoni, che sono imprescindibili ma hanno difetti tali che, signora mia, non ne parliamo proprio (anzi, parliamone, e tanto, ma a microfoni e telecamere spente, così del solitostronzismo - copyright, probabilmente, di Riccardo Bocca - non ci sono prove evidenti).
È quasi superfluo dire che la citata tripartizione è valida, validissima anche in politica e i drogatidipolitica - come si è accennato all'inizio - la praticano con ampiezza, senza risparmio e magari con qualche variante. Ciascuna e ciascuno ha la sua personale lista di brillanti promesse da poco emerse, di promesse che col tempo - a volte piuttosto in fretta - si sono rivelate soliti stronzi (status ovviamente declinabile pure al femminile), di soliti stronzi che sono stati sempre tali e tali puntualmente rimarranno, di venerabili maestri (categoria che ci si permette di aggiungere, per indicare chi non è ancora venerato ma ha le caratteristiche per la canonizzazione e, come tale, è oggetto di ammirazione di singole persone) e, ovviamente, di venerati maestri - altrettanto declinabili al femminile - che però troppo spesso sono passati a miglior vita (del resto nel frattempo è morto anche Arbasino, così come non ci sono più Franco Battiato, Dario Fo, Giovanni Sartori e tanti altri nominati nel libro da Berselli). O forse proprio per questo, chissà, sono più al riparo delle critiche e anzi, col passare del tempo, ricevono il tributo perfino di certi avversari e chissà se ad alcuni dei venerati farebbe davvero piacere o al pensiero non si toccherebbero - con rispetto parlando - i tommasei: perché va bene il parce sepulto, ma della genuinità di certe giravolte è lecito dubitare.
E allora basterebbe questo per essere grati a Edmondo Berselli, per capire che la sua ironia ben mirata è uno strumento essenziale per osservare la scena politica di oggi, tenendo a mente quella di ieri e rischiando perfino di prevedere quella di domani. Berselli non è solo l'inventore delle categorie del "forzaleghismo" e del "partito ipotetico" (parlando del Pd): è una sorgente molto più ricca. E non si tema di approcciarsi a lui perché era (anzi, è) "troppo colto, troppo spiritoso, troppo troppo", come ha scritto una manciata di ore fa Marco Ciriello, berselliano doc (che si occupi del suo amato sport o di altro). Perché Berselli aveva ben chiaro che "l'Italia che canta" è "l'Italia che conta" - come ha fatto capire dal libro Canzoni. Storia dell'Italia leggera in avanti - e quindi, studiando con piacere e gusto chi ascoltauna "canzonetta" o chi si addivana davanti alla televisione, ha sempre saputo farsi capire. Anche quando la materia è ostica, anche quando la scrittura lascia emergere riferimenti culturali oscuri per chi legge: il messaggio arriva sempre, chiaro e diretto (specie per chi ne è oggetto) e casomai può spingere ad approfondire ciò che ancora non si conosce.
Si tragga ad esempio da Venerati maestri una breve descrizione del Foglio, quotidiano che oggi come vent'anni fa è molto presente nelle rassegne stampa e molto considerato nella sfera politica e nei suoi dintorni, complice le sue firme di arte e parte varia:
Un comitato che progetta un cavallo al giorno tirandone fuori bellissimi cammelli e splendide giraffe, e ci sono dentro o ci sono passati futuristi, dannunziani, tradizionalisti, fascisti, comunisti, evoliani, una proporzione tremendamente alta di radicali e rosapugnoni, poi liberali di ogni foggia, all'americana e all’europea, quindi americanisti, antislamici, animalisti, ex fiancheggiatori del terrorismo di sinistra espulsi perché preferivano il poker alla riunione strategica, e ultimamente una folla di neoconservatori guerrafondai e una quantità di new born christians, che proprio come il loro dio Elefante adorano Ratzinger, il Sant'uffizio, la Porta di bronzo, e cercano di rivalutare criticamente e speciosamente qualsiasi eredità cattolica o anche ogni misfatto clericale dall'Inquisizione in qua, fino ai nostri giorni.
Tralasciate il fatto che anche Benedetto XVI nel frattempo è spirato (molti anni dopo essersi dimesso) e che Giuliano Ferrara - vivissimo, beninteso - è ora solo editorialista e non più direttore del "suo" Foglio: per il resto il ritratto fogliante (già anticipato in Post italiani) è tuttora molto vivido e acquista subito la gratitudine dei drogatidipolitica che all'improvviso ritrovano lì quell'aggettivo sostantivato - rosapugnoni - e sentono subito il sapore del 2006, di elezioni al cardiopalmo, di seggi contestati e coalizioni continuamente in bilico, fino alla caduta d'inizio 2008 evocata prima e alla stravittoria berlusconiana (da cui sarebbe venuto il libro Sinistrati), che peraltro non avrebbe evitato al Cavaliere il ricorso ai responsabili e le dimissioni venute dall'Europa, che peraltro Edmondo Berselli non ha fatto in tempo a vedere e commentare.
E si torna sempre lì, agli spunti che avremmo potuto ancora avere se non si fosse spento, alle risate di livello superiore - per qualità e genuinità - che avrebbe potuto far sorgere una nuova pagina di libro, una nuova rubrichina o un nuovo articolone scritto con la facilità di chi maneggia con precisone concetti e parole (come il padre faceva con le bilance a Campogalliano, un'immagine che si deve al ricordo di Ugo Berti). Il tutto persino quando dagli scritti di Berselli emergeva, una volta in più, che i "Post Italiani" - a prescindere dal colore politico, ammesso che avesse ancora senso parlarne - avevano conosciuto un'altra evoluzione, dimostrandosi puntualmente "Italiani con riserva", che cercavano di procedere ma avevano cura di fare solo mezzo passo alla volta, forse perché non ci credevano davvero o forse in omaggio alla massima attribuita a Moro dallo stesso Berselli già nel libro Il più mancino dei tiri (in cui un capolavoro calcistico di Mario Corso era un'ottima scusa per parlare di politica): "Non fate nulla. Nulla. E se proprio non ce la fate a non fare assolutamente niente, fate pochissimo".
Programma difficile, a volerlo fare apposta. Meglio dedicarsi un po' di tempo e recuperare un libro o un articolo qualsiasi di Edmondo, sperare che qualche articolo o qualche spezzone radiotelevisivo riemerga per offrire uno spunto che, pur concepito più di tre lustri fa, resta lievito per chi vuole fermentare. Perché grazie alla lucidità e all'ironia, corrosiva ma con garbo - persino quando sconfinava nelle parolacce - Berselli si è fatto egli stesso simbolo dei drogatidipolitica, da inesausto osservatore di ciò che avveniva dentro e fuori dalle aule parlamentari, con rispetto ma anche con l'intento di non farsi appesantire, nemmeno da se stesso e dal suo tanto conoscere. Per questo, a lui e a chi continua a farlo conoscere (per colleganza o per affetto), va la gratitudine che non si consuma.
Questo articolo è dedicato a Marzia Barbieri, moglie di Edmondo, e agli amici "Bersellers" con cui ho condiviso un tratto di strada prezioso, senza che ci siamo mai allontanati: mastro Andrea Quartarone (che ha avuto la fortuna di lavorare con Edmondo), Angelo Ciardullo e Leonardo Margaglio.
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