martedì 21 febbraio 2023

Ancora sul rapporto tra simboli e marchi: il caso di +Europa

A volte le coincidenze esistono o forse, più semplicemente, sono inevitabili. Era stata avviata fin dalla fine del 2022 la macchina congressuale di +Europa, che offrirà a partecipanti e osservatori il suo momento più importante dal 24 al 26 febbraio, quando i delegati delle varie liste/mozioni si ritroveranno per discutere del futuro politico del partito, per eleggerne i nuovi organi e modificare le norme dello statuto. Solo all'inizio di questa settimana - dunque ieri - si era però deciso di dare spazio al congresso di +E su questo sito (prestando particolare attenzione ai simboli delle liste presentate), essenzialmente per il poco tempo a disposizione e per trattare senza troppo anticipo l'aspetto congressuale più interessante per chi frequenta questo spazio. 
A distanza di appena un giorno, tuttavia, si rende necessario parlare di nuovo del percorso congressuale di +Europa, non più con riferimento ai loghi delle liste/mozioni, ma proprio a proposito del simbolo ufficiale del partito. Tutto è nato dalla notizia diffusa da Adnkronos - in un pezzo a firma di Antonio Atte e Francesco Saita - in base alla quale il simbolo di +Europa è stato depositato come marchio giusto ieri a nome di Benedetto Della Vedova e Riccardo Magi, rispettivamente segretario e presidente di +E (nonché unici deputati eletti dal partito nei pochi collegi uninominali vinti dal centrosinistra), insieme a Emma Bonino, militante storica e già parlamentare del Partito radicale (nonché della lista che portava il suo nome e prima ancora quello di Marco Pannella), oltre che senatrice proprio di +Europa nella scorsa legislatura. Si sarebbe trattato di una notizia di per sé, ma lo è ancora di più se si considera che il deposito è avvenuto a pochi giorni dall'apertura del rito finale del congresso e che Della Vedova e Magi - oltre che figure di vertice del partito - sono anche capilista di due delle sei mozioni in campo, che insieme esprimono 119 dei 250 delegati della platea congressuale, numeri che da soli potrebbero non essere sufficienti a determinare la nuova guida del partito (anche con l'apporto dei 4 delegati della mozione guidata da Stefano Pedica). 
Tanto è bastato per scatenare tensioni all'interno del partito, in particolare tra coloro che sostengono la candidatura alla segreteria di Federico Pizzarotti, ex sindaco di Parma e approdato di recente a +E. Sempre l'agenziAdnkronos, peraltro, haggiunto dopo qualche ora una dichiarazione riferibile a "fonti del partito", in cui si parlava di un deposito "meramente precauzionale" e già ritirato.

Il deposito del simbolo come marchio

La veridicità della notizia del deposito dell'emblema del partito è facile da verificare consultando il registro dell'Ufficio italiano brevetti e marchi. Con una rapida ricerca si trova la scheda relativalla domanda di marchio, presentata e depositata appunto lunedì 20 febbraio (dunque ieri) e relativalla grafica che "consiste nella dicitura '+EUROPA' in carattere stampatello maiuscolo di fantasia con il simbolo '+' sovrapposto alla lettera 'E'. Tale dicitura è in vari colori: giallo, blu, azzurro, verde, rosso, viola e fucsia, ed è posta all’interno di una circonferenza blu. Il tutto su sfondo bianco". Se si mette a confronto la descrizione appena vista con quella contenuta nello statuto - "Cerchio con fondo bianco e bordo blu, con: nella parte centrale, la dicitura '+Europa', in stampatello maiuscolo con grafica multicolore ('+' in giallo e 'Europa' in blu, turchese, verde, violetto, rosso corallo, fucsia)" si può dire che, al netto di alcune differenze di poco conto, si tratta esattamente del simbolo ufficiale del partito elaborato da Stefano Gianfreda e non, ad esempio, di una delle versioni impiegate alle elezioni (magari con la parte inferiore colorata di giallo a taijitu - e magari con un nome contenuto all'interno, come nel 2018 e nel 2022 o con le bandiere d'Italia e d'Europa, come nel 2019 per il simbolo in condominio con Italia in Comune e Pde).
La domanda di marchio è relativalle classi di beni e servizi 41 (Educazione; formazione; divertimento; attività sportive e culturali) e 45 (Servizi giuridici; servizi di sicurezza per la protezione di beni e di individui; servizi personali e sociali resi da terzi destinati a soddisfare necessità individuali), che come al solito seguono la "classificazione di Nizza"Quanto a coloro che figurano come richiedenti, la domanda indica tre quote divise in parti uguali tra Benedetto Della Vedova, Riccardo Magi ed Emma Bonino (nello stesso ordine in cui la scheda li riporta), mentre mandatari risultano essere ben 14 professionisti, tutti legati alla Giambrocono & C. S.p.A., vale a dire uno dei maggiori studi Italiani di consulenza in tema di proprietà industriale.

Il caso, la prassi e le sue insidie "circolari" 

Per Federico Pizzarotti, candidato alla segreteria sostenuto innanzitutto dalla lista/mozione che lo nomina nel simbolo, vale a dire Energie Nuove, il cui capolista è Piercamillo Falasca (in passato vicesegretario di +E, con Della Vedovalla segreteria) e che da sola può contare su 87 delegati su 250 (il numero più elevato di tutte le compagini) la scelta dei vertici attuali e uscenti di +Europa di depositare il simbolo come marchio suona come "una vera e propria dichiarazione di guerra", secondo quanto riporta l'agenzia: 
Abbiamo saputo del deposito del simbolo, il mondo è piccolo... L'azione non mi sembra una delle più lungimiranti: è un gesto che certamente non va nella direzione di trovare soluzioni di dialogo. Spero ci sia la possibilità di un ripensamento. Dal punto di vista pratico è un'azione che non porterà ad alcun risultato se non a quello di dare l'immagine di una chiusura, che è antitetica rispetto allo spirito di +Europa. Quindi spero che i tre firmatari ritirino questa richiesta di registrazione.
I lanci di agenzia continuano citando quella di cui si sta parlando come l'ultima puntata della "sfida tra gli eredi del Partito Radicale pannelliano e le sue anime", citando un caso avvenuto pochi mesi prima e relativo stavoltal percorso pre-congressuale di Radicali Italiani (l'atto finale del congresso si è tenuto a Rimini dal 9 all'11 dicembre 2022): si fa in particolare riferimento a un post apparso alla fine di novembre sul sito di Ri a firma di Massimiliano Iervolino, Giulia Crivellini e Igor Boni (segretario, tesoriera e presidente), in cui si lamentava come "le peggiori pratiche di gestione del potere, le stesse che Marco Pannella ha denunciato per cinquant'anni, sembra[sser]o essersi affermate anche tra alcuni radicali". Poco prima che il comitato nazionale di Ri decidesse le regole congressuali, in una manciata di ore erano "arrivate quasi novanta iscrizioni (pari a un quinto delle iscrizioni di un anno intero), la maggior parte delle quali riguardavano persone che non avevano mai avuto nulla a fare col movimento, cioè non risultavano presenti nell’indirizzario costituito da oltre 100mila persone e frutto di anni di appelli, raccolte firme e piccoli contributi", peraltro "dopo che era circolata una bozza informale di regolamento [...] in cui si ipotizzava che solo chi si fosse iscritto entro la mezzanotte di giovedì stesso avrebbe potuto partecipare e votare al congresso online", senza presentarsi presso la sede congressuale: un potenziale tentativo relativamente facile - secondo i denuncianti - di influenzare l'esito del congresso.
Per Radicali italiani sul banco degli imputati era finito per l'ennesima volta il tesseramento, specie quello "massivo" e "in zona Cesarini", magari di chi al partito non aveva mai aderito prima. E se nel 2021 ci si era scontrati anche in +Europa sulla regolarità del tesseramentoanche questa volta vari casi sono stati sottoposti alla commissione di garanzia (presieduta da Carlo Cottarelli): questa ha escluso 85 iscrizioni su un totale di 4758 (ma i casi dubbi erano circa 800), quando ha ritenuto che non fosse stato rispettato il principio del pagamento personale della quota di iscrizione e del divieto di iscrizioni collettive.
Lasciando da parte la questione delle tessere, però, qui rileva la questione del simbolo e del suo tentativo di registrarlo come marchio, ottenendo dunque diritti di privativa temporalmente e "merceologicamente" definiti su di esso. Si è già detto che nel tardo pomeriggio "fonti di +Europa" interpellate dAdnkronos hanno sostanzialmente sgonfiato il caso, precisando:
Il deposito del logo di +Europa era una iniziativa predisposta in via meramente precauzionale e tale era destinata rimanere, essendo peraltro noto che la procedura di assegnazione è lunga e articolata. Il deposito del logo di +Europa è stato ritirato.
In ogni caso, sembra opportuno analizzare la questione nel dettaglio, visto che presenta vari profili di interesse. La polemica sul simbolo-marchio è divampata anche perché un rapido giretto su una delle pagine del Ministero delle imprese e del Made in Italy (già Ministero dello sviluppo economico) permette di leggere che non possono essere registrati come marchio, dunque come segno distintivo qualificato, gli "stemmi di partiti politici". Se fosse semplicemente così, ovviamente, il problema semplicemente non esisterebbe: il deposito del simbolo di +Europa come marchio sarebbe destinato a un fallimento e si concluderebbe con la reiezione della domanda. In realtà la questione è assai più complessa, come la stessa pratica può facilmente dimostrare.
Se si spulcia di nuovo il database dell'Ufficio italiano brevetti e marchi, infatti, magari interrogandolo cercando la parola "Partito" o "Movimento" nella denominazione/descrizione, si trova un gran numero di domande di marchio relative a emblemi di partito reali o futuribili: di questi, non poche sono state respinte, altre sono state accolte, altre ancora sono tuttora sotto esame. Negli ultimi anni, per esempio, ce l'hanno fatta il Partito della Follia creativa di Giuseppe Cirillo, il Partito della Cultura di Alberto Veronesi, il Partito Valore Umano, il MoVimento 5 Stelle (2018), il Pd (rinnovato nella registrazione), il simbolo precedente del Psi (e quello col garofano di Panseca); niente da fare, invece, per il Partito liberale europeo, per il Partito Gay, per il Partito del Nord, per vari emblemi del Pli e per una marea di segni spesso sconosciuti o quasi. Gli esiti delle domande di marchio relative ai simboli di partito (esistenti, passati o potenziali), dunque, non sono univoci e consentono di escludere subito che "gli stemmi di partiti politici" non siano registrabili.
Da dove si dovrebbe trarre l'affermazione riportata dal sito del ministero? Di solito, in effetti, chi vuole depositare un emblema politico come marchio trova sulla sua strada l'art. 10 del codice della proprietà industriale. Se il comma 1 nega la registrabilità dei "segni  contenenti
simboli, emblemi e stemmi che rivestano un interesse pubblico" (ma non possono oggettivamente rientrarvi i simboli dei partiti, essendo peraltro possibile l'autorizzazione della "autorità competente", ruolo che non può essere rivestito da un partito), il comma 2 precisa che se il potenziale marchio contiene "parole, figure o segni con significazione politica o di alto valore simbolico", l'Ufficio italiano brevetti e marchi deve mandare il marchio per un parere alle amministrazioni pubbliche interessate o competenti: se queste sono contrarie alla registrazione del marchio, la domanda viene respinta. In quei casi, specialmente quando il deposito riguardava simboli di uso partitico nuovi o appena nati, il ministero finiva per interpellare spesso il Viminale e puntualmente i richiedenti si vedevano rispondere picche, essenzialmente per i dubbi circa l'uso che i titolari del "marchio politico" potrebbero fare sotto elezioni. 
Il Ministero dell'interno, in particolare, in varie sue note aveva spiegato di temere che la registrazione come marchio permettesse di aggirare le regole e i termini per il deposito dei contrassegni elettorali: visto che l'Ufficio italiano brevetti e marchi non valuta la confondibilità rispetto i contrassegni depositati, qualcuno poteva far circolare marchi simili ai simboli destinati alle schede invocando le norme sui marchi a proprio favore. Ancora di più, però, c'era il timore che registrare i simboli come marchi permettesse di aggirare le norme sulla propaganda elettorale: magari, dicendo che un certo emblema era utilizzato come marchio e non come contrassegno elettorale, si poteva fare "pubblicità" alle rispettive liste in tempi e modi non concessi per la propaganda. E visto che per il Viminale a identificare il contrassegno elettorale era "la caratteristica forma di cerchio", in quelle note indirizzate al Ministero dello sviluppo economico si precisava che il logo con significazione politica da registrare "dovrebbe comunque non presentare alcuna forma circolare": sotto questo profilo, non stupisce che vari simboli politici di forma quadrata abbiano superato il vaglio, assai più di quanto sia accaduto a quelli rotondi (lo stesso Piercamillo Falasca ne è del tutto consapevole, come si vide a suo tempo).
Lo stesso Ministero dell'interno, peraltro, finiva per suggerire una possibile via per consentire la registrazione di un simbolo di partito come marchio: quella di considerarli segni notori ai sensi dell'art. 8, comma 3 dello stesso codice della proprietà industriale. Si legge che "se notori, possono essere registrati o usati come marchio solo dall'avente diritto, o con il consenso di questi [...] i segni usati in campo [...] politico [...], le denominazioni e sigle di [...] enti ed associazioni non aventi finalità economiche, nonché gli emblemi caratteristici di questi". Pure in questo caso, in effetti, le note del Viminale chiedevano di evitare la forma circolare, ma di fatto le registrazioni viste sopra hanno mostrato delle eccezioni.  
Visto tutto questo, si può dire che la scelta di depositare il simbolo di +Europa come marchio si inserisce in un fenomeno molto più ampio di tentativi di tutelare un segno politico anche attraverso uno strumento - la registrazione come marchio - che certamente non è nato per questo scopo e, anzi, non sembra particolarmente adatto a questo. Benedetto Della Vedova, quale segretario (pro tempore), sembrava in qualche modo titolato al deposito del segno, così come volendo lo poteva essere Riccardo Magi quale presidente: lo statuto assegnal segretario la rappresentanza legale del partito e al presidente il compito di coadiuvare il segretario. Più delicato e difficile da spiegare sembrava il ruolo di Emma Bonino, che nel partito non hincarichi: si era peraltro scelto di non depositare il simbolo contenente il suo nome (nella versione del 2018 o del 2022), quindi si spiega meno il suo eventuale ruolo di "avente diritto", al di là ovviamente del suo "peso" politico.
Di certo i tempi di vaglio della domanda sarebbero stati del tutto incompatibili con l'eventuale sorgere di diritti subito dopo un potenziale verdetto sfavorevole del congresso. Sembranche ben difficile pensare che un'eventuale registrazione del marchio potesse impedire usi elettorali del segno da parte di soggetti diversi dai depositanti o senza la loro autorizzazione: le elezioni e i partiti sono regolate/i da norme diverse rispetto a quelle del diritto della proprietà industriale e si devono applicare quelle. Soprattutto, però, anche se il simbolo poteva e può oggettivamente ritenersi un segno notorio (tale è grazie all'uso fatto a partire dal 2018), non era scontato che l'ostacolo della forma circolare fosse tranquillamente superabile: non pochi emblemi politici tondi, anche noti, sono infatti ancora sotto esame. Benché ormai sia chiuso, dunque, il caso del simbolo di +Europa depositato come marchio è stato un'ottima occasione per richiamare alcune regole e alcune insidie, troppo spesso trascurate.

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