giovedì 22 febbraio 2018

Perché "Berlusconi presidente" non è illegittimo (e non si riesce a togliere)

Mancano dieci giorni giusti alle elezioni, le candidature ormai sono definite (al di là di bocciature in extremis a sorpresa, come quelle del Partito comunista in Piemonte per problemi di firme certificati in seconda battuta), ma per qualcuno c'è almeno un elemento di incertezza, se non addirittura di potenziale turbamento delle elezioni: quella scritta "Berlusconi presidente" che, per più di qualcuno, non dovrebbe stare nel simbolo di Forza Italia, perché l'ex Cavaliere non potrebbe in nessun caso diventare Presidente del Consiglio, essendo incandidabile fino al 2019. La questione, in effetti, è oggetto di polemiche da mesi: di certo quell'indicazione sul contrassegno può essere considerata fuorviante, ma dire che è illegittima non si può e agire con successo per cercare di toglierla è di fatto impossibile.

Un "presidente" non illegittimo

Già il 18 ottobre scorso, intervistato da Liana Milella per Repubblica.it, il costituzionalista Gaetano Azzariti aveva riconosciuto che Berlusconi in nessun caso dopo le elezioni avrebbe potuto ricoprire alcun incarico di governo né essere candidato (operando ancora l'incandidabilità a norma della "legge Severino"), aveva ammesso che in un certo senso l'indicazione "Berlusconi presidente" rischiava di "trarre in errore l’elettore" (facendogli credere di votare per Berlusconi e di spingerlo verso la Presidenza del Consiglio, cosa che non potrebbe avvenire), ma la legge elettorale vieta(va) solo "la confusione che può essere prodotta dalla contestuale presentazione di due simboli di partito identici tra di loro", così come non sembra che la "legge Severino" vieti riferimenti "non veritieri" all'interno dei contrassegni. La questione probabilmente è un po' più complicata di così, ma coglie nel segno buona parte del problema. 
Di certo, nei giorni del deposito degli emblemi per le elezioni politiche al Viminale, i funzionari del ministero hanno analizzato anche la questione della legittimità dell'indicazione "Berlusconi presidente". Lo avevano fatto anche, tra l'altro, nel 2001, quando questa era apparsa per la prima volta all'interno del contrassegno della Casa delle libertà, quando ancora vigeva il sistema elettorale delineato dalla "legge Mattarella". Allora non era prevista la figura del "capo della forza politica" e qualcuno tra gli esperti dubitava persino che fosse corretta un'indicazione simile, molto più circostanziata rispetto alla sola indicazione del nome del leader nel simbolo (era accaduto con la Lista Pannella, col Patto Segni, coi Popolari per Prodi...), perché si temeva che questo potesse in qualche modo menomare la prerogativa del Presidente della Repubblica in materia di nomina del Presidente del Consiglio; in quell'occasione, comunque, si ritenne che "Berlusconi presidente" fosse solo un'indicazione in più per l'elettore e il ministero non obiettò nulla (e men che meno lo fece negli anni a venire, per il simbolo di Fi o del Pdl, quando indicare il capo della forza politica era diventato un obbligo per i singoli soggetti in campo).
Tornando al 2018, si diceva come certamente il Viminale si sia occupato anche della dicitura oggetto di polemiche in questi giorni, se non altro perché gli stessi giornalisti, nei giorni del deposito, avevano cercato di informarsi sulla questione. Qualche funzionario, interrogato sul punto e in forma rigorosamente anonima, aveva qualificato l'uso dell'espressione come "ingannevole ma regolare" (ne aveva scritto, per esempio, Claudia Fusani per Tiscali). Alla base di questa valutazione c'è certamente il ragionamento proposto già a ottobre da Azzariti, ma anche il fatto che in realtà l'indicazione non può dirsi del tutto falsa, perché in effetti Berlusconi è presidente, anche se "solo" di Forza Italia: la "legge Severino", infatti, pur prevedendo l'incandidabilità non impedisce certo a Silvio Berlusconi di ricoprire la posizione di vertice di un'associazione non riconosciuta di diritto privato quale è un partito politico. Anche solo per questo, dunque, l'indicazione testuale non può essere considerata illegittima.

Un "Presidente" inamovibile

Anche a voler insistere sulla natura ingannevole dell'espressione (perché in effetti è difficile trovare chi interpreti il "presidente" come riferito all'attuale posizione in Forza Italia e non all'auspicata poltrona di Palazzo Chigi), tuttavia, quasi ogni velleità di azione si scontrerebbe contro questioni formali, più esattamente di rito, di procedimento. Il primo ordine di problemi è legato al momento in cui ci si trova: la fase del deposito dei contrassegni, infatti, si è ormai chiusa davvero da molti giorni e non ci sarebbe più alcuno spazio per ottenere la ricusazione dell'emblema "incriminato" (magari facendolo sostituire con un altro o proprio estromettendolo dalla competizione). 
Il Viminale sul contrassegno non ha eccepito nulla, così come nessuno degli altri depositanti ha avuto rimostranze da fare sul simbolo in questione all'Ufficio elettorale centrale nazionale presso la Corte di cassazione: tra l'altro, sarebbe stato difficile dire quale tra i loro diretti interessi sarebbe stato leso dal simbolo (tutt'al più, forse, si sarebbero potuti lamentare i titolari dei simboli dei partiti in coalizione con Forza Italia, rivendicando l'interesse a non essere associati a un emblema potenzialmente decettivo, ma lo scenario è davvero improbabile, fantapolitico, e non sarebbe stato scontato un esito positivo dell'opposizione perché un vero interesse meritevole di tutela non sembra ritrovarsi qui). Ai semplici cittadini elettori, d'altra parte, la legge non consente di rivolgersi all'Ufficio elettorale centrale nazionale per far valere vizi relativi ai contrassegni, dunque in quella sede non si sarebbe potuto fare nulla.
Una volta che i magistrati di Cassazione hanno deciso sulle opposizioni in materia di contrassegni, il procedimento elettorale preparatorio passa alla sua fase successiva (quella relativa alle liste) e non è più possibile tornare indietro, per l'esigenza di fissare in modo certo la platea dei (potenziali) concorrenti, titolati a presentare candidature: nessuno, dunque, potrà più interpellare l'Ufficio elettorale centrale nazionale su questioni relative ai simboli ammessi. A questo punto, a qualcuno potrebbe sorgere l'idea di rivolgersi d'urgenza a giudici veri e propri, attraverso un ricorso ex articolo 700 del codice di procedura civile, chiedendo magari la sospensione della partecipazione alle elezioni della stessa Forza Italia: se a livello logico la soluzione proposta non sarebbe del tutto priva di senso, sul piano giuridico sarebbe destinata a un insuccesso assicurato e rovinoso. 
Il problema, di nuovo, è procedurale: nel 2008 le sezioni unite civili della Corte di cassazione - sentenza n. 9151 - hanno detto chiaramente che le questioni legate al procedimento elettorale preparatorio, anche quelle sull'ammissibilità dei contrassegni, non rientrano nella giurisdizione dei giudici ordinari (civili), né di quelli amministrativi, ma il giudizio spetta solo alle Camere e alle loro Giunte delle elezioni, alle quali è affidata la verifica dei poteri sui loro membri ex art. 66 Cost. 
Questa è la posizione di tutti i giudici civili interpellati, nella fase precedente le elezioni politiche, su questioni relative a simboli e candidature, nonché di quasi tutti i giudici amministrativi (rare voci contrarie, come quella del Consiglio di Stato che nel 2008 aveva riammesso in sede cautelare la Dc-Pizza a concorrere alle elezioni, sono state chiaramente spente dalla citata sentenza di Cassazione). Le Giunte delle Camere, è vero, una specie di gioco a scaricabarile, avevano negato che toccasse a loro pronunciarsi sulle lamentele relative a simboli e liste, ma la sentenza n. 259/2009 della Corte costituzionale ha detto con chiarezza che non c'è alcun vuoto di tutela, ma semplicemente un contrasto sull'interpretazione delle disposizioni.
Non potendosi rivolgere all'Ufficio elettorale centrale nazionale (perché ai comuni cittadini non è dato di interpellarlo e il tempo in ogni caso è scaduto), né ai giudici ordinari o amministrativi (perché sugli atti propedeutici al procedimento elettorale, a norme invariate, non spetta a loro pronunciarsi), quali possibilità resterebbero ai cittadini elettori? Ce ne sarebbero un paio, tutte piuttosto astratte, da giocarsi solo pensando al "dopo-elezioni". Occorrerebbe, infatti, che un certo numero di cittadini elettori, ai seggi, rifiutassero o restituissero le schede, facendo verbalizzare sommariamente che il loro gesto è dovuto alla presenza sulle schede stesse del simbolo di Forza Italia, considerato ingannevole per la dicitura "Berlusconi presidente", lasciando che poi siano le Camere e le loro Giunte a decidere in materia: a norma dell'art. 87 del d.lgs. n. 361/1957 (cioè il testo unico per l'elezione della Camera), spetta alla Camera stessa (e, simmetricamente, al Senato) giudicare "sulle contestazioni, le proteste e, in generale, su tutti i reclami presentati agli Uffici delle singole sezioni elettorali o all'Ufficio centrale durante la loro attività o posteriormente". 
E' appena il caso di dire che da quest'iniziativa non ci si potrebbe aspettare proprio nulla di concreto. Innanzitutto, nei futuri organi deputati alla verifica dei poteri (le Giunte), siederanno certamente esponenti di Forza Italia, che avranno tutto l'interesse a evitare ogni decisione che possa nuocere loro. Al di là di questo, già in passato - negli innumerevoli tentativi di portare la legge elettorale politica davanti alla Corte costituzionale - le Giunte hanno ritenuto di potersi pronunciare solo sui voti effettivamente espressi, non anche sulle ragioni alla base del rifiuto di esprimere un voto, irrilevanti ai fini della verifica dei risultati; non bastasse questo, un eventuale accoglimento di reclami presentati dagli elettori non potrebbe che provocare come conseguenza la ripetizione delle elezioni (vista la presenza del simbolo forzista in tutta l'Italia e il presumibile risultato determinante ai fini della composizione del Parlamento) e ben difficilmente i parlamentari vorrebbero segare il ramo su cui si sono da poco seduti. Chiaramente una simile decisione, agli occhi dell'opinione pubblica, apparirebbe ingiusta e autoconservativa, ma prospettare scenari diversi sarebbe, di nuovo, fantapolitico.
L'altra soluzione, non meno problematica, si colloca nel filone dei tentativi di colpire eventuali aspetti di incostituzionalità della legge elettorale (e che sono stati in qualche modo avallati dalla Consulta con le sentenze nn. 1/2014 e 35/2017): dei cittadini elettori, in particolare, potrebbero rivolgersi ai giudici civili, intraprendendo un'azione di accertamento del diritto dell'elettore "di esercitare il proprio diritto di voto libero", garantito in particolare dall'art. 1 e soprattutto dall'art. 48, comma 2 Cost, e dall'art. 3 del Protocollo 1 Cedu, diritto che sarebbe stato leso dall'art. 14 del testo unico per l'elezione della Camera, "nella parte in cui non prevede" che eventuali indicazioni testuali contenute all'interno del contrassegno non devono risultare ingannevoli o decettive, anche al di là delle ipotesi di confondibilità tra emblemi. Si tratterebbe, dunque, di un'azione dichiarativa volta, in via mediata, a ottenere un pronunciamento della Corte sulla legittimità costituzionale della disposizione indicata, auspicando in particolare una sentenza di accoglimento, additiva.
Chi pensasse di avere la strada spianata proprio per le due sentenze della Consulta citate prima (e non volesse tenere conto dei molti dubbi che sono stati espressi in dottrina sull'ammissibilità delle questioni di costituzionalità alla base di quelle decisioni), dovrebbe ricordarsi che in questo caso al giudice civile si chiederebbe di pronunciarsi su una disposizione che riguarda il procedimento elettorale preparatorio e non la formula elettorale: questo potrebbe bastare ad alcuni tribunali per negare la propria giurisdizione in materia, anche se i cittadini elettori si rivolgessero loro al di fuori di un procedimento elettorale, dunque tecnicamente al di fuori di situazioni che potrebbero farsi rientrare nella "verifica dei poteri".  A sollevare la questione, in chiave del tutto teorica, potrebbero invece essere le Giunte delle elezioni, se decidessero di occuparsi delle lamentele ipotizzate prima e se si ritenessero giudici a quibus, in grado di sottoporre questioni alla Corte costituzionale (e, naturalmente, solo a patto che - come nel caso della sentenza n. 1/2014 - un'eventuale pronuncia additiva della Consulta spieghi i suoi effetti a partire dalla legislatura successiva, senza pregiudicare l'attività e la legittimità del Parlamento eletto con quelle norme): come si vede, però, i "se" sono un po' troppi.
Se così è, occorre rassegnarsi del tutto a quel "Berlusconi presidente": resterà sul simbolo di Forza Italia, sui manifesti e sulle schede (presumibilmente già stampate, tra l'altro). Chi ritiene che quell'espressione sia ingannevole o truffaldina, potrà dimostrarlo in un solo modo: mettendo la sua croce altrove (o, al limite, non mettendola proprio).

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