martedì 22 ottobre 2024

Patto per il Nord, il federalismo riparte con Pinamonte da Vimercate?

Tentare di mettere insieme di nuovo movimenti, partiti, sigle, comitati, liste civiche e persone "per fare un grande sindacato del Nord". Questo è il motto sulla base del quale non poche persone si sono ritrovate a Vimercate (in provincia di Monza e della Brianza - con l'indicazione, nel manifesto di convocazione, del toponimo "Padania"), per assistere alla presentazione del simbolo del Patto per il Nord, associazione per la quale si è impegnato e si sta impegnando soprattutto Paolo Grimoldi, ex deputato della Lega Nord (poi Lega) ed ex segretario della Lega Lombarda, espulso dal partito alla fine di giugno di quest'anno (dopo le sue prese di posizione contro le alleanze europee della Lega con i tedeschi di Afd e il Rassemblement National di Le Pen).
La nuova associazione è stata presentata il 13 ottobre alla tenuta La Lodovica a Oreno di Vimercate. Scelta tutt'altro che casuale: "Ci siamo scervellati in tutti i modi per trovare un simbolo che potesse essere la base da declinare nei vari territori - ha spiegato Grimoldi -. Siamo qui perché la figura che abbiamo messo nel simbolo è partita da qui, cioè Pinamonte da Vimercate, guerriero e diplomatico che ha realmente fondato la Lega Lombarda e ha messo tutti d'accordo". E infatti, accanto al nome dell'associazione (con le parole "Patto" e "Nord" quasi una sull'altra e in grande evidenza) si trova proprio la figura di Pinamonte, dallo sguardo un po' severo nelle vesti di console di Milano, che come Alberto da Giussano ha la spada (tenuta però bassa, a riposo) e lo scudo (tenuto dietro le gambe). E, trattandosi di figura più esistente del guerriero rappresentato a Legnano ma assai meno nota ai più, ha provveduto a delinearne un ritratto storico essenziale il padrone di casa (anzi, "conservatore temporaneo", come ha precisato lui stesso), Dino Crippa, pluricollezionista e appassionato di storia: "Una volta incontrai Bossi - ha raccontato all'inizio - e, nel donargli un'immagine di Pinamonte, gli dissi 'Questo è il personaggio che fece la concordia langobardorum' e lui disse in dialetto: 'ma chi è questo, un prete?'".
Se Pinamonte da Vimercate (luogo che, incidentalmente, dista 25 km di auto da Giussano e 44 km dalla piazza del monumento di Legnano) è stato individuato come figura simbolo - in tutti i sensi - del nuovo progetto politico con le radici in un passato ben definito, i relatori predefiniti potevano dire molto sulla base di riferimento. Al tavolo, oltre a Grimoldi - del resto già creatore del Comitato Nord a suo tempo - si sono alternati Giuseppe Leoni (cofondatore della Lega Lombarda nel 1984 e rappresentante, in questo caso, della Lega per il Nord), Roberto Castelli (ex ministro leghista e fondatore-presidente del Partito Popolare del Nord), Roberto Bernardelli e Angelo Alessandri (ex parlamentari della Lega Nord - il secondo è stato segretario nazionale per l'Emilia - e, nel 2017, cofondatori di Grande Nord), Giancarlo Pagliarini (già ministro leghista, ora presidente onorario della Rete 22 Ottobre per l'Autonomia) e - pur essendo arrivato in ritardo - Mario Borghezio (già deputato, europarlamentare e sottosegretario leghista, ora presidente della Fondazione federalista per l'Europa dei popoli).
Quelle citate, dunque, sono tra le sigle maggiori tra quelle che in tempi più recenti hanno inteso rilanciare il discorso autonomista/federalista; non sono state le sole, però, ad aderire alla manifestazione del 13 ottobre. In quell'occasione, infatti, Francesca Losi - tra i fondatori di Autonomia e libertà (con Castelli) e del Partito popolare del Nord (di cui è vicesegretaria), eletta a giugno consigliera comunale a Pontida per la lista Federalismo e autonomia (che univa Grande Nord e Ppn) - ha citato per esempio Umbria autonoma, indicata come una delle liste che avrebbero dovuto concorrere alle elezioni regionali umbre di novembre, indicando come aspirante presidente l'avvocato Francesco Miroballo, già leader della Lega in Umbria (le candidature, però, in effetti non sono state presentate). 
Nell'elenco dei gruppi aderenti è stato citato anche Impegno popolare, formazione legata ad Alex Airoldi (già impegnato da giovane nei tentativi ri-democristiani di Flaminio Piccoli, poi fondatore dei Cristiani democratici federalisti): Airoldi stesso, secondo quanto indicato da vari media, figurerebbe nel direttivo dell'associazione Patto per il Nord. Tra le altre sigle presenti nell'elenco letto da Losi c'era anche Forza Nordassociazione interna a Forza Italia creata quest'anno dall'ex leghista Flavio Tosi, che ha aderito a quel partito come pure Marco Reguzzoni, che poco prima si era già candidato come indipendente nelle liste forziste alle europee (con l'esplicito sostegno di Umberto Bossi, pur non sufficiente a ottenere l'elezione).
Il primo logo e il logo attuale dei Repubblicani
Proprio Reguzzoni, anche come presidente dell'associazione I Repubblicani,  ha voluto mandare un suo messaggio all'evento del 13 ottobre, letto dalla stessa Losi. Lo stesso hanno fatto Toni Iwobi (eletto al Senato nella Lega nel 2018 e passato da pochi mesi anch'egli in Forza Italia: lui ha inviato un vocale, diffuso in sala) e Matteo Brigandì, promotore del gruppo Lega per il Nord dopo essere stato parlamentare leghista e - per breve tempo - membro del Csm: "La Lega Nord - ha scritto nel suo testo letto da Losi - non esiste più, è stata assorbita dalla Lega per Salvini premier, i principi cardine sono andati a farsi benedire, Salvini si posiziona all'estrema destra, addirittura facendo attestare su posizioni moderate Fratelli d'Italia, ma noi con l'estrema destra non abbiamo niente a che spartire; non perdiamo tempo ed energie anche solo a criticare chi ci ha defraudato dei nostri ideali".
In effetti ad aprire e tenere le fila della giornata è stato Roberto Bernardelli: fazzoletto verde nel taschino, ha proposto il canto di "un inno che ci è particolarmente caro", cioè il Va' Pensiero dal Nabucco di Verdi (canto riuscito, a parte qualche intoppo tecnico), poi ha dato la parola a Francesca Losi (per la lettura dei messaggi dei non partecipanti) e ha ringraziato Paolo Grimoldi, "perché ha studiato e realizzato il simbolo e ha realizzato il movimento". Proprio Grimoldi ha tenuto uno degli interventi più attesi: "Noi - ha detto in apertura - siamo donne e uomini che vogliono mettere le risorse a disposizione prima, per esempio, per le liste d'attesa nella sanità invece che in un ponte: questo riassume chi siamo". L'idea di costituire l'associazione Patto per il Nord "non è mia, è di qualcun altro..." (inevitabile pensare a Umberto Bossi) e in ogni caso fa tesoro di esperienze precedenti: "Siamo già stati dal notaio, in camera di commercio, all'ufficio brevetti - ha spiegato l'ex parlamentare - onde evitare che qualcuno domattina si svegli per poter utilizzare il nostro nome". Con quale spirito si avvia il Patto per il Nord? "Noi siamo qui - ha precisato Grimoldi - non perché siamo degli scappati di casa o speriamo di andare a fare i consiglieri di zona o gli assessori, ma perché abbiamo un lavoro; ci hanno già offerto ampiamente candidature, posti, nomine, ma semplicemente noi siamo quelli che non hanno mai cambiato idea e non hanno dimenticato il sapore della libertà"; chi vorrà unirsi ai fondatori sarà benvenuto, ma "ci dev'essere una regola chiarissima: chi prima arriva meglio alloggia e varrà comunque la regola democratica sull'anzianità di partecipazione, come nessuno imporrà mai un segretario dall'alto". Parole suonate come una stoccata ad altri partiti, probabilmente inclusa la Lega attuale, che pare non avere particolarmente gradito la nuova iniziativa politica contrassegnata da Pinamonte: "A qualcuno - ha segnalato Grimoldi - è stato detto che partecipare alle iniziative del Patto del Nord comporterà conseguenze disciplinari: bene, alla prossima minaccia andiamo dai carabinieri".
Guardando alcuni dei cardini del programma enunciato da Grimoldi, si ritrovano alcuni punti caratterizzanti della storia della Lega Nord: la riforma costituzionale in senso federale come stella polare con le macroregioni (con un riferimento esplicito alle tesi di Gianfranco Miglio), la soppressione dell'agenzia delle entrate e il mantenimento delle entrate fiscali innanzitutto a livello locale, l'attenzione ai redditi e alle pensioni del Nord, l'idea per cui "tutti sono benvenuti nelle nostre terre, ma chi non rispetta le regole o non le condivide non sarà trattenuto"; a questi propositi si aggiungono inserimenti puntuali e nuovi, come la contrarietà all'installazione di caselli su tracciati stradali - come il tratto di superstrada Milano-Meda che unisce Bovisio Masciago a Lentate sul Seveso - finora gratuiti. Grimoldi ha concluso il suo intervento tra gli applausi con il proprio motto: "Potranno toglierci anche la vita, ma non la libertà".

Gli interventi

Subito dopo Grimoldi sono intervenuti - per dirla con Bernardelli - i seniores del Patto per il Nord, vale a dire coloro che sono stati citati all'inizio dell'articolo: figure che hanno avuto un ruolo importante nella storia della Lega Nord (e lombarda prima ancora) e che poi ne sono uscite e che, in qualche caso, hanno ritenuto di muoversi per tempo per mantenere attiva una militanza "autentica". Non a caso è stata data la parola innanzitutto a Roberto Castelli, che il 20 novembre 2023 ha fondato il Partito popolare del Nord (di cui è segretario), partecipando a competizioni elettorali locali e che si appresta a correre in Liguria alle regionali. "Grazie per essere stato presentato come padre nobile della Lega - ha esordito Castelli - ma preferisco essere qui come fondatore di Patto per il Nord" (lui stesso ha indicato Bernardelli, Grimoldi e Losi come altri fondatori, anche se per un certo periodo lo statuto consentirà ancora di ottenere questa qualifica: "La storia ci dirà se erano incoscienti o profetici"). 
"Da tre anni cerchiamo di mettere insieme le forze - ha continuato - e abbiamo capito che l'unico modo per andare avanti è federarci. In ogni caso è necessario partecipare alle competizioni elettorali: siamo alle regionali in Liguria perché la parola 'Nord' per noi non deve uscire dal dibattito politico odierno". Castelli ha concluso il suo intervento proclamando "Padania libera", non prima di avere segnalato l'avvenuta adesione al Ppn in Piemonte - luogo in cui il partito ha un simbolo leggermente diverso, con un drapò piemontese in evidenza nella parte superiore e in basso il riferimento ad Autonomia piemontese, movimento federato col Ppn - di due figure rilevanti, sia per la storia della Lega (Domenico Comino), sia per quella dell'autonomismo tout court (Roberto Gremmo, di cui ci sarà ancora occasione di parlare più avanti).
Molto tecnico e concreto - in linea con lo stile della persona - è stato l'intervento di Giancarlo Pagliarini (anche in rappresentanza della Rete 22 ottobre per l'autonomia, dopo avere militato tra l'altro nella Lega Padana Lombardia di Bernardelli e nell'Unione federalista rifondata nel 2011 da Paolo Bonacchi): lui ha infatti tracciato un ritratto del federalismo ideale (avendo come modello la Svizzera, a partire dal passaggio del suo preambolo in cui si dice che il popolo svizzero e i cantoni sono "determinati a vivere la loro molteplicità nell’unità, nella considerazione e nel rispetto reciproci"), soprattutto sul piano fiscale. "Le tasse - ha detto - devono restare sul territorio, salvo far arrivare allo Stato federale solo quello che gli serve per assolvere ai suoi compiti". Priorità assolute per Pagliarini sono smontare lo stato supercentralista ed evitare i politici di mestiere, che faranno ciò che serve a essere rieletti piuttosto che quel che occorre davvero.
La voce delle origini è stata portata soprattutto da Giuseppe Leoni, innanzitutto nella sua qualità di co-fondatore (con Bossi e sua moglie Manuela Marrone) della Lega autonomista lombarda: "Io sono ripetente: ho già fatto una volta la Lega e ora sono qui per la seconda volta; essendo un ripetente sicuramente ho studiato bene la lezione. Rispetto a quando abbiamo fatto la Lega, nel 1984, il mondo è cambiato: pensate che non c'era nemmeno il fax, mentre ora abbiamo i telefonini; le cose che volevamo fare allora, però, le ho risentite ancora adesso. Certo, allora non avevamo le idee chiare: Umberto Bossi è stato un mago e dobbiamo riconoscerlo, ma un giorno era autonomista, un giorno era separatista, quello dopo ancora era indipendentista e capitava che io, che vivevo con lui, portassi avanti le 'penultime' idee e lui avesse già cambiato posizione e mi chiamasse dicendo che non avevo capito un c...". 
Al di là dei ricordi, che certo non svaniscono, Leoni ha manifestato con nettezza la sua contrarietà al corso che la Lega avrebbe preso da tempo (già dai primi anni Dieci) e in particolare nel periodo più recente, senza nascondere critiche dure all'ultimo raduno di Pontida avvenuto il 6 ottobre scorso (e che ha visto la partecipazione di Viktor Orbán, Marlene Svazek, del rappresentante di Vox e di Roberto Vannacci): "Io ero innamorato delle idee di quella Lega e ora sono innamorato del Patto per il Nord e questo cerco di trasmettere a voi, perché chi è innamorato di un progetto politico non tradisce, non lo può tradire. Guardate le foto del palco di Pontida e di Venezia, dove non sono mai salito: tutti loro hanno tradito, vergogna! Ne sono convinto, anche tra noi ci sono traditori: è la normalità dell'uomo, anche Gesù è stato tradito da una persona che aveva scelto come apostolo. Il 12 aprile 2013 avevo costituito l'associazione Padania libera perché avevo capito che le cose non andavano bene, la gente era presa da tante altre cose; poi ho fatto Federalismo Sì e alcune persone sono state elette consiglieri comunali, ho messo a disposizione le sedi, tutte azioni per tenere acceso il lumino delle battaglie federaliste. La Lega mi ha dato tante opportunità, se non fossi stato con Umberto Bossi non avrei mai conosciuto certi personaggi: all'inizio non avevamo un obiettivo, a parte andare contro Roma, oggi invece lo abbiamo, perché domenica scorsa il territorio di Pontida, che io come tanti di voi ho 'comprato', è stato dissacrato e quindi ora siamo contro quei 'patrioti'. Potremmo essere gli alfieri che si impegnano per liberare la nostra terra e tornare al Nord!".
Se  per la giornata del 13 ottobre Bernardelli si è riservato un ruolo soprattutto di trait d'union tra le varie figure coinvolte, per Confederazione Grande Nord è intervenuto soprattutto Angelo Alessandri, cofondatore e segretario del partito per l'Emilia-Romagna. Dopo aver ricordato i trascorsi emiliani di Pinamonte, nuovo simbolo per i sostenitori del federalismo, Alessandri ha detto: "Abbiamo vinto tante battaglie nel corso degli anni come Lega Nord, anche se non abbiamo vinto la guerra; poi a un certo punto Roma ci ha comprato lo strumento, trova sempre qualche giannizzero cui dare trenta denari, ma non ha comprato il popolo, che c'è ancora e ha tuttora voglia di lottare. Non voglio morire romano o arrendermi a Roma: se non riusciremo noi a fare la Padania, ci riusciranno i nostri figli o nipoti, l'importante è mantenere quel vessillo. L'obiettivo però secondo me non dev'essere andare a Roma a governare, come pure abbiamo fatto: non è a Roma che si cambiano le cose, al più là si va a controllare, ma bisogna ripartire dai comuni, dalle torri municipali, dalle identità. Il merito di Umberto Bossi, infatti, è stato dare identità a chi non l'aveva mai avuta".
Nemmeno il tempo di riflettere su questa frase - che in effetti non riesce a dare il giusto valore a chi ha studiato identità, autonomie e tradizioni, come a chi si è impegnato prima di Bossi almeno nelle battaglie autonomiste, ma riconosce senza dubbio chi era riuscito a ottenere risultati elettorali rilevanti - e il microfono è passato a Mario Borghezio: fazzoletto verde col Sole delle Alpi al collo, più che da presidente della Fondazione federalista per l'Europa dei popoli (il cui logo ricorda molto quello del Comitato Nord) Borghezio ha parlato da militante storico e sanguigno, proponendo un discorso a pugno battente (letteralmente, facendo risuonare in tutta la sala le botte all'incolpevole tribuna di legno collocata accanto al tavolo dei relatori). "Eravamo rimasti e spiritualmente siamo ancora tutti sul Po a fare quel giuramento: siamo padani e non spergiuri, eravamo in tanti fedeli a quell'uomo straordinario che si inventò uno stato e ci convinse a seguirlo sul Po, rendendoci  protagonisti della Storia". Dopo un elogio a Grimoldi ("Ha la stoffa"), Borghezio non ha risparmiato critiche e insulti tanto alla politica e burocrazia romane, quanto agli ultimi anni di attività leghista: "Calderoli ha fatto di tutto per portare avanti un briciolo di autonomia, ma con tutto quello che abbiamo visto e passato, noi che abbiamo vissuto in quei ministeri di m... come la realtà della burocrazia romana e del centralismo abbia ridotto il Nord in queste condizioni, come si può ancora pensare di cambiare le cose da Roma? Il Patto riscopre il senso di appartenenza e la volontà di fare della Lega. O siamo rivoluzionari o non concludiamo un c...: dobbiamo tirare fuori i c...i e spaventarli di nuovo, come li spaventava Bossi e noi con lui. Le rivoluzioni le fanno i giovani o gli anziani che non hanno paura di rischiare, che non sono rimasti attaccati alle poltrone: quando qualcuno ha cominciato a die che non andava più di moda il verde o che non si doveva parlare di Padania se ne sono fott...".
Non sono mancati, verso la fine del momento pubblico della giornata, gli interventi di varie militanti, elette o ex elette: dalla citata Francesca Losi ("Dobbiamo riprenderci la scuola, che dalla prima elementare all'ultimo anno delle superiori deve diventare regionale, anche per i programmi e per concorsi per il personale docente, così come dobbiamo combattere una battaglia in sala parto: un quinto dei nati in Lombardia è di origine straniera, ci vogliono politiche pesanti per permettere alle donne del nord per i prossimi 10-20 anni di partorire serenamente più volte per sconfiggere l'inverno demografico") a Lisa Molteni (consigliera a Gerenzano), da Monica Mazzoleni (ex consigliera regionale della Lombardia) a Monica Rizzi (già assessora regionale lombarda, ora responsabile organizzativa di Grande Nord); ha parlato pure l'ex deputato Roberto Caon (che la Lega Nord l'aveva lasciata nel 2015, seguendo prima Flavio Tosi in Fare!, per poi entrare in Forza Italia nel 2017 e in Azione nel 2022) e l'ex consigliere regionale Roberto Cenci.

La voce di Gremmo

Non poteva passare inosservato, in coda alla mattinata, l'intervento volutamente critico di Roberto Gremmo, fresco aderente al Partito popolare per il Nord - come ricordato da Castelli - ma soprattutto autonomista della prim'ora ("Qui dentro siamo solo in due, Roberto Bernardelli e il sottoscritto, a poter vantare una militanza dal 1980: in quell'anno l'ex ministro Pietro Bucalossi e Bernardelli fondarono la prima lista civica per Milano", mentre nello stesso anno Gremmo era impegnato con liste analoghe in Piemonte). 
Gremmo ha tracciato una sorta di bilancio, da cui trarre indicazioni per il futuro: "In questi anni ho visto tante speranze e tante persone belle, lavoratrici e oneste partecipare a queste assemblee, incluse quelle organizzate dall'associazione La Fara di Biassono, ma dopo esserci riuniti non si è concluso nulla. Io sono vecchio e malato, non voglio perdere ancora tempo con chiacchiere: per questo mi sono iscritto al Ppn e sono disposto a collaborare con questo comitato, ad alcune condizioni. Prima di tutto non bisogna essere "in vendita", non si possono fare battaglie per poi vendere ciò che si è ottenuto in cambio di altro; bisogna prendere contromisure perché questo non accada. Secondariamente, occorre smetterla con le operazioni nostalgia e smettere di guardare indietro: da persona che non ha mai aderito alla Lega Nord e non corre il rischio di rimpiangere qualcosa, dico che se sono stati fatti sbagli, pazienza, bisogna guardare avanti, possibilmente avendo come orizzonte la Padania Separatista che ha dato il titolo a un libro cui ho collaborato. In terzo luogo, faccio mio un motto formulato da Domenico Comino: 'Basta meridionalismi, basta pianto greco, basta mangiare a casa d'altri'. Da ultimo, dev'essere chiaro che il Patto per il Nord non sono lombardi, ma di tutto il Nord: occorrono forze che operano anche nelle altre Regioni e serve rispetto per le altre regioni, per ottenere un'autonomia padana cantonale, come la Svizzera". 
Il giorno dopo l'evento a Vimercate, Gremmo ha scritto alla direttrice della Nuova Padania, Stefania Piazzo, esprimendo alcune riserve - tra l'altro - sulla scelta di Pinamonte come simbolo del Patto per il Nord; Piazzo gli ha risposto in calce. Lo scambio di opinioni, riguardando il simbolo appena scelto, merita di essere riportato per intero, lasciando a chiunque legga la possibilità di farsi un'idea.  

Cara Direttrice, ho partecipato ieri al convegno di Vimercate come sostenitore di "Autonomia Piemontese" federata al Partito Popolare del Nord e  sono stato ben lieto di constatare una presenza incoraggiante di molta gente che crede ancora nel federalismo e nelle autonomie delle regioni alpino-padane. 
Non posso però rinunciare a qualche critica che rivolgo non per spirito disgregatore, ma per evitare di partire con il piede sbagliato. E mi riferisco prima di tutto a quello che era l’oggetto dell’incontro, la presentazione del simbolo del Patto per il Nord. A differenza del guerriero della Lega Nord, l'Alberto da Giussano che brandiva potente e minaccioso la spada della riscossa, il guerriero esibito ieri teneva abbassato il suo fioretto. Se doveva rappresentare un alternativa militante alla deriva centralista del Capitano, era l’immagine meno adatta. E per di più evocava un personaggio particolare della già troppo fantasiosa epopea della Lega Lombarda dei Comuni in lotta contro l'Impero. 
Proprio così, perché Pinamonte da Vimercate, oggi rievocato, non partecipò alla battaglia di Legnano, perché non era un soldato ma un politicante, che tale si doveva rivelare perché, dopo il patto di Costanza, fu uno dei primi ad accordarsi col Barbarossa quando venne a Reggio Emilia l'11 febbraio 1185, ottenendo come omaggio per il suo vassallaggio l’ambita carica di podestà di Asti. Come simbolo può essere l’emblema d’una prova di forza per poi trattare? Non voglio crederlo. Pinamonte, fra l’altro, non era nemmeno di Vimercate, anche se ostentava il titolo nobiliare cittadino, ma apparteneva ad una delle più ricche famiglie milanesi, sempre pronte ad andare di buon grado a patti di buona creanza con tutti. 
Certamente, il Convegno di ieri aveva invece buone intenzioni battagliere, anche se, a parer mio, non ha chiarito bene su quali punti programmatici operare, se eventualmente alleato con altri e soprattutto chiarendo bene subito i modi e le forme della collaborazione delle sue diverse componenti interne. E’ stata ancora troppo una operazione nostalgia, il rimpianto di una Lega che non c’è più, da non rimpiangere.

 

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Caro Roberto, i tempi cambiano, e cambiano anche i modelli di riferimento. Patto per il Nord, se evolverà in partito, dovrà pur affrontare un congresso e in un congresso si decide la linea politica: con chi stare, con chi allearsi se serve, quali obiettivi raggiungere. 
Concordo con te che il simbolo può esteticamente piacere o non piacere. Di certo è evidente la sua matrice, e da quali identità culturali e politiche scaturisca, da quale cordone ombelicale mai reciso con le origini arrivi. Il rischio è che richiami solo chi ha vissuto quel periodo politico, e non attragga chi non sa nemmeno cosa sia Pontida. Però c'è la parola "Nord". E questo è un altro discorso. La partita se la giocano tutta lì gli amici del Patto per il Nord. Serve una dimensione prepolitica, di comunicazione (non di comunicati stampa), di eventi popolari e culturali, di programmazione e formazione della classe dirigente.
Pinamonte non è un figo, è pure bruttino, però chi lo usa come immagine grimaldello per attirare i delusi, i rassegnati, può spettinare quelli con i capelli leccatini che il Nord lo hanno spernacchiato, forse anche più di lui, consegnando questi territori ad uno scambio di posti e non ad uno ma a mille podestà e ras locali. Almeno ci provano, e lo scopriremo alle prossime elezioni. Altrimenti, Pinamonte torna al museo. 

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