lunedì 12 maggio 2025

La tv che si fece simbolo: addio a Giancarlo Cito (ma non alla sua Lega)

Mentre è ormai nel vivo la campagna elettorale per le poche elezioni amministrative in arrivo quest'anno, sembra opportuno dedicare un po' di spazio a qualche campagna elettorale passata, andando indietro anche di alcuni decenni, perché è l'attualità a richiederlo. Ieri, infatti, è morto Giancarlo Cito, classe 1945, sindaco di Taranto dalla fine del 1993 all'inizio del 1996, quando divenne deputato nella XIII legislatura. Sono dati significativi, a modo loro, ma non bastano certamente a spiegare il rilievo di Cito nella storia politica italiana - e non solo tarantina - e, soprattutto, per i drogatidipolitica. Già, perché ciò che conta davvero, in questo senso, è che nel 1990 aveva trasformato la propria emittente televisiva in lista elettorale e nel 1992 addirittura in partito, scegliendo come elemento centrale del simbolo proprio il marchio della sua tv locale.
L'emittente, Antenna Taranto 6, l'aveva fondata nel 1985, dopo un passato da imprenditore edile (di canali ne avrebbe fatto nascere un altro nel 1989, Super 7); già prima, però, Cito era stato militante del Movimento sociale italiano, finendo accoltellato durante la campagna elettorale per le elezioni politiche del 1976, quando era candidato alla Camera nella circoscrizione Lecce-Brindisi-Taranto (ottenne 10678 preferenze, si classificò quinto ma per il Msi-Dn scattarono solo due seggi). Nel 1980, però, dopo l'espulsione dal partito (si dice per posizioni ritenute troppo estreme) scelse di "mettersi in proprio", creando una propria lista per il consiglio comunale, denominata Taranto Nostra: fu un primo esperimento, che pose le basi per la svolta successiva.
Proprio grazie ad At6, infatti, Cito acquisì una popolarità notevole, divenendo rapidamente noto grazie a una rubrica condotta in prima persona e ponendosi in piena contestazione delle maggioranze di centrosinistra che stavano amministrando il comune di Taranto. Nel 1990, così, Giancarlo Cito fu pronto per il grande salto: creò la lista At6 per Taranto, con il logo quadrato e squadrato dell'emittente - in teoria blu, ma ancora in bianco e nero sulle schede - che occupava quasi tutto il cerchio destinato a contrassegno elettorale. Il risultato stupì soprattutto i non tarantini: 20054 voti, pari al 13,48% (il quarto risultato migliore, dopo, Dc, Pci e Psi), che fruttarono 7 seggi, uno dei quali ovviamente per lo stesso Cito, che il 6 e il 7 maggio ottenne 14355 preferenze personali, più di chiunque altro. 
"Io sono pronto a governare la città anche con Dc e Psi, a patto che siano tolti di mezzo i vecchi amministratori corrotti: gliel'ho gridato in faccia mille volte e nessuno mi ha mai denunciato. Ora Taranto è stanca, non vuole intromissioni dal Nord per i suoi affari" spiegò a Bruno Tucci del Corriere della Sera, per il quale At6 era "la grande sorpresa della città dell'acciaio, operaia fino all'esasperazione, proletaria fino al midollo". E al giornalista che gli chiedeva se la pensasse come i leader delle Leghe, Cito rispondeva: "Può darsi, solo che io ho avuto voti non solo dagli emarginati, ma anche dall'alta borghesia della città".
Di fatto, però, anche Giancarlo Cito scelse di perseguire la stessa scelta veneta e lombarda, anche per contrapporsi a quel progetto politico: nel 1992, infatti, fondò la Lega d'azione meridionale, mantenendo sempre il marchio televisivo in bella mostra, ma con la parola "Lega" in grande evidenza, anche grazie a un improbabile font Coolsville, così poco adatto alle schede elettorali. Con quelle insegne, Cito ottenne 25281 preferenze sempre nella circoscrizione di Brindisi-Lecce-Taranto, portando la lista della Lega a 35749 voti in quello stesso territorio, toccando il 3,15% (poco più di un punto in meno dei repubblicani, ma più dei Verdi, del Pli, della Rete, della Lista Pannella); a livello nazionale, però, i 53759 voti ottenuti da quella Lega - anche in altre circoscrizioni, a partire dal resto della Puglia e dalla Basilicata - pesarono solo lo 0,14% e, vista la ripartizione proporzionale allora applicata, non si tradussero in alcun seggio.
L'approdo in Parlamento poteva attendere: i traguardi locali non erano meno importanti. Così nel 1993, entrata in vigore l'elezione diretta del sindaco con il sistema a ballottaggio eventuale per i comuni sopra i 15000 abitanti, Giancarlo Cito si candidò direttamente come sindaco, sostenuto solo dalla sua At6 - Lega d'azione meridionale: nel turno elettorale autunnale i voti a suo favore divennero 39555 e con il 30,33% ebbe accesso al ballottaggio come secondo (lasciando fuori, come altrove, il candidato della Dc e dell'Unione di centro), ma due settimane dopo i voti lievitarono a 61281 e, con il 52,6%, riuscì a battere il candidato di centrosinistra Gaetano Minervini, oggetto di notevoli attacchi mediatici da parte di Cito (soprattutto sulle "sue" trasmissioni) in campagna elettorale. Iniziò un periodo epico, indimenticabile per i sostenitori del telesindaco ed esecrabile per i suoi detrattori, sempre ad alto volume e incentrato tutto sui temi della sicurezza cittadina e della vivibilità: di certo la notorietà acquisita in quella fase, ben oltre i confini tarantini, sarebbe tornata utile per il salto successivo.
Sempre nel 1993, infatti, era stata approvata la nuova legge elettorale per le Camere, con il 75% dei seggi assegnati in collegio uninominali: in quelle condizioni, si sarebbero potute riprodurre le condizioni per emergere in un territorio più limitato rispetto alle vecchie circoscrizioni. Nel 1994 la Lega d'azione meridionale si ripresentò, dovendosi accontentare dello 0,15% a livello nazionale nella quota proporzionale; nel collegio di Taranto - Italia - Monte Granaro, però, la percentuale schizzò al 29,83%, battendo tutti i partiti (il Pds, seconda lista più votata, si fermò al 18,79%, staccando di un punto e mezzo la neonata Alleanza nazionale) e nell'uninominale il candidato di quella Lega, Pietro Cerullo (già iscritto a Democrazia nazionale dopo la militanza missina), superò gli avversari e fu eletto. Nell'anno della vittoria del centrodestra - pur se "a geometria variabile" - guidato da Silvio Berlusconi e del profluvio di spot con la bandierina tricolore, finiva per apparire perfettamente coerente - e, volendo, anche un po' più in là - lo sbarco a Montecitorio di un'emittente locale, che peraltro da alcuni mesi non esisteva più (per la mancanza di concessione da parte del ministero delle poste e delle telecomunicazioni) ma era sopravvissuta nel simbolo di un partito.
Il 1995 non fu un anno tranquillo per il fondatore della Lega d'azione meridionale, per l'avvio di vicende giudiziarie che negli anni seguenti non si sarebbero chiuse in modo felice (altre ne sarebbero sorte, dall'esito alterno). Sospeso dalla carica di sindaco dopo un rinvio a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa, nel 1996 - mentre era riuscito a diventare presidente onorario del Taranto Football Club 1927 - si candidò direttamente lui alla Camera, nello stesso collegio in cui il suo partito aveva ottenuto l'unico eletto: con 33960 voti ottenne il 45,91% (battendo Michele Pelillo per l'Ulivo e proprio il deputato uscente Cerullo, ripresentato dal Polo per le libertà ma fermo al 18,85%) e fu eletto a Montecitorio, confermando la presenza parlamentare della Lega d'azione meridionale.
Cito (che riuscì a portare alla vittoria, come suo successore alla guida dell'amministrazione tarantina, il compagno di partito Gaetano De Cosmo) grazie all'approdo alla Camera incrementò la sua notorietà e, per giunta, le occasioni stesse di aumentarla: si pensi al comizio che tenne a Mantova il 18 maggio 1996 contro la Lega Nord per sfidare Bossi e la sua linea secessionista (al punto che si parlò di "Marcia su Mantova") o alla manifestazione organizzata a Chioggia il 15 settembre sempre del 1996 - lo stesso giorno della "Dichiarazione di indipendenza e sovranità della Padania" - con tanto di contusioni per lo stesso Cito in occasione degli scontri con le forze dell'ordine; lo stesso può dirsi per la scelta di candidarsi nel 1997 come sindaco alle elezioni amministrative di Milano, con l'idea di "tarantizzarla" (ma riuscì ad arrivare solo sesto, con lo 0,75% dei voti personali e lo 0,85% per la lista). 
La presenza parlamentare della Lega d'azione meridionale, peraltro, consentiva la partecipazione alle elezioni europee senza la necessità di raccogliere le sottoscrizioni: anche quella era un'occasione assolutamente da non perdere. Non c'è dunque da stupirsi nel ritrovare, tra le liste presenti in tutte e cinque le circoscrizioni nel 1994 e nel 1999, quella del partito di Cito: al suo secondo appuntamento, per l'occasione, quella Lega si rifece il look. Il simbolo originario fu ridotto e collocato - un po' seguendo lo schema già praticato da Pds-Ds e An - nella parte inferiore di un cerchio blu a sfumatura radiale: al suo interno, sopra a un tricolore pennellato, l'elemento più evidente - ancor più del nome della lista, ripetuto per sicurezza - era di certo il cognome dello stesso Cito. La sovraesposizione produsse come esito finale un raccolto di 94181 voti, lo 0,3% a livello nazionale, cui concorse soprattutto lo 0,96% ottenuto nell'Italia meridionale (grazie anche alle 26594 preferenze personali raccolte solo lì, senza contare quelle ottenute altrove).
Non si può, peraltro, parlare della partecipazione della Lega d'azione meridionale alle europee del 1999 senza dire che, nella lista presentata per l'Italia centrale, era stata inserita anche Mirella Cece. Già, proprio la fondatrice del Sacro Romano Impero Liberale Cattolico, che pure qualche settimana prima, nelle ore precedenti la consegna dei contrassegni al Ministero dell'interno, aveva avuto a che fare proprio con la furia di Cito. "Ah, no, io sono il numero uno, ho diritto di essere il primo!", avrebbe risposto lui al momento di ricevere il numero per la fila che si era creata davanti al Viminale e che era autoregolata - com'è tuttora - dalla stessa Cece. "Qui si parte da zero, siamo tutti zeri, il numero va in base all’arrivo" rispose lei, incurante delle proteste di Cito che continuavano, insieme a quelle dei suoi sostenitori. Dovette cedere, l'ex telesindaco, cercando di farsi perdonare la sua intemperanza pagando pizza e bibite ai presenti in affamata attesa, ma si vide negare con fermezza dall'Imperatrice la possibilità di lasciare la piazza per passare la notte più comodamente in albergo. Qualcosa di Mirella Cece dovette affascinarlo, al punto da inserirla in lista e consentirle di fare campagna elettorale proponendo idee verosimilmente non troppo in linea con quelle del partito che la ospitava.
Nel 2000, con lo stesso contrassegno inaugurato l'anno prima, Cito si propose come presidente della giunta regionale di Puglia, ma la sua candidatura ottenne l'1,32%: troppo poco per far scattare un seggio, anche se il candidato della Lista Emma Bonino ottenne meno di lui. In quello stesso anno la Lega d'azione meridionale sostenne come aspirante sindaco di Taranto Mario Cito, figlio di Giancarlo: con il 7,92% ottenne due seggi, ma rimase fuori dal ballottaggio. Nel 2001 - quando ormai erano intervenute altre vicissitudini giudiziarie sfavorevoli - Cito ritentò la corsa nel solito collegio uninominale (peraltro con un simbolo ritoccato, in cui "Lega" era ancora più evidente che in passato ed era stata aggiunta la dicitura "Federazione del Sud"), ma il calo di voti in termini assoluti (9776) e percentuali (13,89%) non permise di confermare il seggio e fece venire meno tutti i vantaggi della presenza in Parlamento.
Nel 2007 Mario Cito si ricandidò come sindaco, con il simbolo leggermente modificato (nel carattere della parola "Lega"): con il suo 20,25% (25032 voti) fu terzo e rimase fuori dal ballottaggio, ma si tolse la soddisfazione di rappresentare la lista che in quel turno aveva ottenuto più consensi di tutti (17669 voti, pari al 15,61%). Cito jr ripresentò la sua candidatura anche nelle due occasioni successive (nel 2012 a capo di una coalizione di destra che arrivò al ballottaggio, nel 2017 sostenuto solo dalla Lega fondata dal padre): non riuscì a ottenere la guida del comune, ma confermò il posto da consigliere (mentre non centrò l'elezione alla regione Puglia nel 2015, ma nella lista di Forza Italia). 
Gli ultimi anni hanno visto un ruolo decisamente defilato di Cito sul piano politico-mediatico, salvo che per alcune occasioni generalmente poco confortevoli (inclusa la revoca del vitalizio); nel frattempo anche la figlia Antonella si è candidata alle elezioni politiche (nel 2018, per la lista Italia agli italiani), mentre il figlio Mario ha continuato a presentarsi con la formazione politica fondata dal padre. Lo sta facendo tuttora, alle elezioni anticipate di Taranto: un Cito continuerà ad apparire sulle schede e continuerà la storia politica di At6, anche se il suo punto di origine si è spento. 

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