lunedì 13 ottobre 2025

Veneto, strada sbarrata a Zaia nei simboli elettorali: qualche riflessione

Simbolo elaborato da quello del 2020
Le liste per le elezioni regionali del Veneto (e per le altre regioni che voteranno il 23 e il 24 novembre, cioè Campania e Puglia) dovranno essere consegnate tra le ore 8 di venerdì 24 ottobre e le ore 12 di sabato 25 ottobre, dunque c'è ancora tempo per definire le candidature; tuttavia in questi giorni è scoppiato il "caso Zaia", che sembra destinato a infiammare - almeno in parte e salvo sorprese - i giorni che mancano al deposito delle liste e, di seguito, al voto. Anche perché la questione è direttamente legata ai simboli che finiranno - anzi, che non finiranno - sulle schede elettorali.
Per rendersene conto basta guardare i quotidiani online di oggi, incluso - per esempio - Il Gazzettino, che riporta alcune battute pronunciate a margine di un evento a Vicenza da Luca Zaia, presidente uscente che non può ricandidarsi (avendo già espletato due mandati consecutivi - iniziati nel 2015 e nel 2020 - dopo la modifica dello statuto e della legge elettorale nel 2012, più quello precedente durato dal 2010 al 2015), anche per la mancata approvazione di norme che consentissero un terzo mandato consecutivo: 
Se sono un problema vedrò di renderlo reale, il problema. Cercherò di organizzarmi in maniera tale da rappresentare fino in fondo i veneti: certo, c'è ancora tempo per decidere come e in che modo. Nel momento in cui accade che tu sei il presidente uscente e sparisce la lista del presidente, e lo posso capire quando non sono candidato, sembrava che si potesse mettere il mio nome sul simbolo della lista, e ho visto che c'è stato un veto a livello nazionale, allora ho detto che io sono un problema. [Il motivo dell'assenza del mio nome dal simbolo della Lega?] Non lo deve chiedere a me. Dovrei essere immodesto per dirlo, ma tutti i sondaggi in questi anni lo hanno detto ampiamente. È ovvio che la mia figura rappresenta una garanzia, per questo amore che ho sempre avuto con i veneti, e anche perché sono stato quello che ha saputo dire tanti sì ma anche tanti no. Non è questione di 'esilio', penso che l'unica preoccupazione che ho è che questa regione resti la numero uno a livello nazionale. Se qualcuno mi chiede il risultato più grande, io dico lo standing dei veneti. Consegno un Veneto che ha una visibilità e una reputazione a livello nazionale e internazionale che nel 2010 non aveva.
Dichiarazioni simili erano già risuonate su vari media nei giorni scorsi - in particolare il 10 ottobre, quando Zaia aveva incontrato in piazza San Marco il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in occasione dei 35 anni di attività della "Commissione di Venezia" - insieme alla voce che voleva Zaia come capolista della Lega in tutte le circoscrizioni, ma non confermata dallo stesso presidente uscente ("Al momento non c’è nulla di deciso circa il mio ruolo alle prossime elezioni regionali del Veneto"); era peraltro significativo che lo stesso Zaia, pur assicurando il proprio sostegno ad Alberto Stefani, vicesegretario nazionale scelto come candidato dal centrodestra ("Lui è un ragazzo in gamba"), avesse sentito il bisogno di sottolineare come, a suo dire, non fosse "mai accaduto in un paese che si vieti ad una persona di utilizzare il proprio nome nella campagna elettorale".
Simbolo rielaborato (non realistico)
Che potesse crearsi con una certa facilità un "caso Zaia" nel 2025 era chiaro da tempo, almeno fin da quando - lo scorso anno - era fallito il primo tentativo della Lega di modificare il limite vigente di due mandati consecutivi per i presidenti delle giunte regionali, durante la conversione del "decreto elezioni 2024". Proprio in quell'occasione, tra l'altro, era stata ventilata l'ipotesi, anche piuttosto concreta, che il presidente del Veneto potesse essere candidato - e quasi certamente eletto - alle europee, come sarebbe accaduto con Stefano Bonaccini, prossimo alla scadenza del suo secondo mandato come presidente dell'Emilia-Romagna. In quell'occasione, però, Zaia rifiutò, scelta che lui oggi rivendica ("Sono fatalista e credo che una persona debba impegnarsi fino alla fine nel rispetto appunto degli impegni presi: prova ne sia che un anno fa rinunciai a un seggio sicuro in Europa") ma che inevitabilmente ha costretto il centrodestra a interrogarsi su cosa sarebbe accaduto alla tornata elettorale veneta successiva e, in particolare, su come rapportarsi con le aspirazioni di Zaia a ripresentarsi come candidato consigliere, ma anche e soprattutto a far pesare i propri quindici anni di guida della Regione. La questione, inevitabilmente, è diventata ancora più urgente - riguardando ovviamente anche altre situazioni, prima tra tutte quella di Vincenzo De Luca in Campania e di Michele Emiliano in Puglia - dopo che un nuovo emendamento leghista (alla futura legge n. 122/2025 sulla composizione dei consigli e delle giunte regionali) per rendere possibile il terzo mandato non ha avuto migliore fortuna
Nel corso dei mesi, anche a seguito del rifiuto di Zaia di seguire la via europea, si sarebbe "aperto il vaso di Pandora in casa Lega, fino ad arrivare ai fuochi incrociati" sul nome dello stesso Zaia (lo sostiene Cesare Zapperi sul Corriere della Sera). I problemi, tuttavia, sarebbero stati anche all'interno della coalizione, con le forze politiche alleate della Lega non particolarmente disposte a dare spazio sulla scheda elettorale a una presenza "ingombrante" come il cognome di Zaia, che fosse nel simbolo di una "lista del presidente uscente" o in quello del suo stesso partito. Lo scorso 25 agosto, per dire, Antonio Tajani aveva dichiarato così ai microfoni di Agorà, a chi gli aveva chiesto se il candidato del centrodestra del Veneto sarebbe stato espresso dalla Lega: "Io non ho preclusioni nei confronti di nessuno, dobbiamo scegliere i candidati migliori per il migliore risultato possibile. Certo, in Veneto non si possono fare la lista della Lega e la lista di Zaia che non ha alcun significato, perché non è che ogni esponente di partito può fare una lista, non va bene. Non può essere parte di un accordo politico questo". Una lista che un paio di settimane prima il segretario della Lega Matteo Salvini aveva ritenuto "un valore aggiunto" per le elezioni regionali venete.
Ora, va ricordato che in ambito leghista - come anche in altre forze politiche - è già nota la strategia, praticata a livello territoriale, di inserire nei contrassegni elettorali nomi di chi aveva già ricoperto la carica di sindaco nello stesso comune o perfino in comuni vicini (il caso più noto, anche a prescindere dalla fine tragica della storia, è stato quello di Gianluca Buonanno): non stupisce, dunque, che chi per quindici anni ha legato la propria notorietà politica al Veneto, come pure il partito cui questi è iscritto, avessero interesse a massimizzare la raccolta dei consensi anche grazie al cognome "Zaia" in bella vista. Allo stesso modo, però, era difficile che gli altri partiti della stessa coalizione accettassero - oltre alla candidatura come consigliere del presidente uscente, comunque non scontata: si veda il caso della Puglia, con Antonio Decaro che sembra aver accettato di candidarsi a patto che Emiliano non fosse inserito in una delle liste - la presenza di una lista direttamente riferita al tre volte presidente (che avrebbe drenato molti voti dalle altre formazioni, forse dalla stessa Lega), ma anche l'inserimento del cognome di Zaia nel simbolo della Lega, che in quel modo avrebbe potuto raccogliere ancora più voti e sbilanciare i rapporti di forza all'interno del centrodestra.
Probabilmente ha avuto un peso il fatto che alla fine sia stato scelto come candidato di nuovo un esponente della Lega, benché Fratelli d'Italia (unica regione che, fin dalla prima elezione indiretta del presidente della giunta, nel 1995, non ha mai guidato la Regione Veneto con un proprio esponente, essendosi succeduti Giancarlo Galan e Luca Zaia) abbia consensi nettamente maggiori a livello nazionale. Ancora il 12 luglio, per dire, il responsabile organizzativo nazionale del partito, Giovanni Donzelli, aveva messo in guardia gli alleati: "Niente bandierine a tutti i costi, non facciamo il pallottoliere o il gioco del Monopoli e non è che dobbiamo fare per forza questo lo prendo io e questo lo prendi tu: se lo dovessimo fare, Fdi dovrebbe prendere tutto. Fi governa cinque regioni, la Lega quattro e noi tre e le proporzioni non sono queste". Certamente l'aver scelto di nuovo un esponente (e non di seconda fila, a dispetto della giovane età) della Lega come aspirante presidente non è un risultato irrilevante per il partito guidato da Matteo Salvini, ma Fdi potrebbe facilmente rivendicare il proprio atto di "generosità" (non sono parole pronunciate pubblicamente in questi giorni, ma in politica non è difficile immaginarle) e farlo pesare in seguito - in particolare in sede di formazione della giunta e di individuazione delle cariche, al di là di ogni disegno relativo a future elezioni regionali, come quelle lombarde - soprattutto se il risultato della propria lista fosse significativo e portasse a conquistare un gran numero di seggi. Un risultato che sarebbe stato certamente più difficile in presenza di una "lista Zaia" (l'ipotesi più problematica per tutte le altre forze politiche) o anche con la presenza del cognome del presidente uscente nel simbolo della Lega. 
Simbolo rielaborato (non realistico)
Naturalmente qualunque richiesta, anche pressante, degli alleati non può impedire al partito di Salvini di inserire Zaia in lista - avendo evidentemente la Lega già valutato quell'opzione come positiva per sé, oltre che per la coalizione - e di giocarsi tutto nella raccolta delle preferenze, chiedendo a gran parte degli elettori leghisti di scrivere il nome di Zaia (anche se questo toglierebbe voti ad altri candidati maschi, potendo al contempo rappresentare un'inattesa possibilità per le candidate, qualora elettrici ed elettori scegliessero di esprimere due preferenze). Ovviamente Fratelli d'Italia godrà del traino "naturale" dell'essere il partito di maggioranza relativa e che esprime la Presidente del Consiglio (mentre, allo stesso tempo, il riferimento a Silvio Berlusconi continua a essere, almeno in parte, un elemento di riconoscibilità per Forza Italia), dunque era comprensibile sia che la Lega puntasse a "controbilanciare" le forze grazie al riferimento a Zaia (mantenendo comunque il riferimento a Salvini, come sembrava che potesse accadere), sia che il presidente uscente volesse far pesare i suoi quindici anni di guida della giunta regionale anche attraverso una propria lista. Entrambe le legittime aspirazioni, tuttavia, pare abbiano dovuto cedere il passo alla posizione degli alleati, in particolare di Fdi. 
C'è ancora tempo, in ogni caso, perché la situazione cambi, in un senso o nell'altro. Tuttavia, questa situazione dimostra ampiamente come i simboli e il loro contenuto - inclusi i nomi di persone da inserire - giochino un importanza palpabile nell'agone politico-elettorale: non sposteranno per forza voti, ma il pensiero o il timore che possano farlo sono assolutamente concreti e produttivi di effetti.

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