mercoledì 13 marzo 2024

Senato, l'aula discute sul decreto elezioni 2024, tra europee e comunali: resta la stretta alle esenzioni, ma firme dimezzate "una tantum"

Oggi risulta essere una giornata cruciale per la definizione delle regole da applicare alle ormai prossime elezioni europee (8-9 giugno 2024). L'assemblea del Senato, infatti, ha oggi esaminato il disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 7/2024 ("decreto elezioni 2024"), incluse le disposizioni relative alla raccolta firme e all'esenzione da quell'onere. 
La discussione merita anche questa volta di essere analizzata, benché abbia fatto irruzione nel dibattito la proposta della Lega che ha ripresentato l'emendamento per consentire il terzo mandato consecutivo ai presidenti delle giunte regionali e ne ha presentato un altro volto ad abbassare al 40% la quota sufficiente a essere eletti sindaci al primo turno nei comuni sopra i 15mila abitanti, di fatto evitando il ballottaggio (dopo il primo tentativo - poi rientrato - in sede di discussione sempre a Palazzo Madama del testo sulle elezioni nei piccoli comuni, in quel caso su proposta prima di Forza Italia, poi di tutto il centrodestra).  
 

Gli ultimi passaggi in Commissione

Dopo l'approvazione, il 5 marzo, della nuova versione dell'emendamento di Fdi che riduceva le ipotesi dell'esenzione dalla raccolta delle firme - precludendo in particolare l'esonero a forze che non avessero ottenuto l'elezione di deputati, senatori ed europarlamentari nelle circoscrizioni italiane - la discussione sulla conversione in legge del "decreto elezioni 2024" è proseguita il giorno dopo in Commissione Affari costituzionali, in particolare sull'emendamento di Forza Italia - accantonato nelle ultime sedute -volto a limitare l'ineleggibilità a consigliere regionale ai soli dipendenti della Regione che svolgano funzioni e attività amministrative. La seconda riformulazione (dunque il terzo testo) aveva incontrato la netta contrarietà di Pd (con Dario Parrini), M5S (con Alessandra Maiorino) e Italia viva (con Dafne Musolino), per i quali aver qualificato quella disposizione come di interpretazione autentica avrebbe costituito lo strumento per "salvare" dalla decadenza consiglieri regionali attualmente in carica.
Nella seduta del 6 marzo, dunque, la sottosegretaria all'interno Wanda Ferro ha chiesto la terza riformulazione: "Fermo restando quanto previsto dall'articolo 274, comma 1, lettera l), del decreto legislativo 18 luglio 2000, n. 267, la causa di ineleggibilità prevista ai fini dell'elezione a consigliere regionale dall'articolo 2, primo comma, numero 7) della legge 23 aprile 1981, n. 154, si applica esclusivamente ai dipendenti della regione che svolgano, al momento della candidatura al rispettivo consiglio, funzioni e attività amministrative". Dalla rubrica dell'articolo era però sparito il riferimento all'interpretazione autentica: si è così ritenuto non più necessario specificare che la disposizione sarebbe stata applicata (solo) dalla data di entrata in vigore della legge di conversione. Il testo - inapplicabile retroattivamente, secondo le spiegazioni della sottosegretaria sollecitate da Parrini e Andrea Giorgis, anche sulla base di varie sentenze recenti della Corte costituzionale - avrebbe consentito l'eleggibilità dei dipendenti regionali con mansioni solo esecutive (non amministrative), restando invece ineleggibili i componenti degli uffici di staff e i consulenti (applicandosi per costoro le norme dettate per i titolari di qualifiche dirigenziali). La riformulazione, accettata dal senatore forzista Claudio Lotito, non aveva dissipato i dubbi del M5S, del Pd e di Alleanza Verdi e Sinistra, che non hanno partecipato al voto: costoro avevano avanzato dubbi sulla proponibilità dell'emendamento (ritenuto estraneo alla materia del decreto), ritenendo inopportuno introdurre una disciplina sulle ineleggibilità diversa rispetto a quella prevista per comuni e province dal Testo unico per gli enti locali (per cui i rispettivi dipendenti non si possono candidare, se non si mettono in aspettativa non retribuita entro la presentazione delle candidature) e che - per la tesi dell'opposizione - parrebbe volta a soddisfare "interessi personali non bene individuati" o a risolvere "i problemi di un numero ristretto di beneficiari", derogando alla disciplina vigente che consente ai dipendenti di potersi candidare, purché si mettano in aspettativa, "proprio a tutela dell'ente di appartenenza". In votazione l'emendamento era comunque stato approvato.
Ieri sera la commissione ha completato l'esame degli emendamenti (con l'approvazione delle proposte di modifica di natura finanziaria formulate su richiesta della commissione Bilancio) e si è espressa sul mandato al relatore (che è lo stesso presidente di commissione Alberto Balboni, di Fdi). In quella sede, se Azione (attraverso Mariastella Gelmini) si è astenuta, preannunciando la presentazione di proposte volte ad estendere ai lavoratori fuori sede, ai malati e a coloro che prestano loro cura la possibilità del "voto fuori sede", Italia viva (con Dafne Musolino) ha fatto altrettanto, criticando anche la mancata estensione del possibile terzo mandato consecutivo ai sindaci dei comuni superiori e ai presidenti di giunta regionale e l'emendamento sull'ineleggibilità dei dipendenti regionali con mansioni esecutive; il partito di Renzi, tuttavia, ha anche stigmatizzato l'emendamento sull'esenzione dalla raccolta firme alle elezioni europee, "evidenziando - si legge nel resoconto - che non si sarebbe dovuto approvare una norma simile a pochi mesi dalle elezioni stesse e che si sarebbe comunque dovuto introdurre una normativa volta a facilitare la presentazione delle liste, invece di introdurre ulteriori vincoli". Il Pd ha invece votato contro, sia per l'insufficienza della disciplina del voto per gli studenti fuori sede, sia per l'eliminazione al tetto dei mandati per i comuni fino a 5mila abitanti, come pure sul citato "emendamento ineleggibilità"; nell'intervento finale di Dario Parrini non c'è stato alcun riferimento, invece, alla questione dell'esonero della raccolta firme, così come non ne ha fatti per il M5S Alessandra Maiorino (che ha formulato critiche affini a quelle di provenienza dem), dando l'impressione che per le forze maggiori dell'opposizione la riduzione dei casi di esonero dalla raccolta delle sottoscrizioni non sia vissuta come un vulnus particolarmente grave (un'impressione in lieve parte smentita dal successivo dibattito in aula). Un giudizio moderatamente critico su quell'emendamento, del quale "si sarebbe potuta predisporre una versione migliore", è arrivato piuttosto da Alleanza Verdi e Sinistra (con Peppe De Cristofaro), critica ancora una volta sul voto "insufficiente" ai "fuori sede" e sui limiti meno stringenti ai mandati consecutivi dei sindaci.
 

La lettera di Rifondazione comunista a Mattarella

Nel frattempo, il 9 marzo, era stata resa nota dal Partito della Rifondazione comunista una lettera inviata al presidente della Repubblica Sergio Mattarella il giorno prima dal segretario del Prc Maurizio Acerbo (nonché dal responsabile Democrazia e istituzioni Giovanni Russo Spena e dal responsabile dell'ufficio elettorale Raffaele Tecce), ma firmata innanzitutto da Walter Baier, presidente del Partito della Sinistra Europea, uno dei dieci partiti politico europei riconosciuti ai sensi del regolamento n.1141/2014 e inseriti nell'elenco pubblicato in rete.
La missiva, inviata al "garante supremo della nostra Carta Costituzionale e del sistema democratico", è chiaramente legata all'iniziativa del Prc che "sta coproponendo" la lista Pace Terra Dignità, i cui promotori più noti sono Michele Santoro e Raniero La Valle: lista che, sulla base della prassi aperta nel 2014 e consolidata nel 2019 che esonerava le liste legate a un partito europeo che avesse eletto eurodeputati all'ultima elezione, non avrebbe dovuto raccogliere le firme se avesse presentato un contrassegno composito, mentre a seguito dell'emendamento di Fratelli d'Italia (pur se riformulato) dovrebbe raccogliere le sottoscrizioni, essendo già trascorsa gran parte dei 180 giorni di tempo anteriori al termine di deposito delle candidature. 
Secondo gli autori della lettera, "una simile modifica, a poche settimane dalla scadenza del termine per presentare le firme, [...] è però evidentemente incostituzionale, perché non prevede una norma transitoria, e genera una evidente disparità, [...] perché incide su una situazione giuridica di vantaggio già conseguita, e dunque retroattivamente su diritti 'quesiti', particolarmente sensibili trattandosi di diritti elettorali". In particolare, per gli scriventi si deve tenere conto di quanto deciso più volte dalla Corte di Giustizia dell'Unione europea, per cui "un legislatore nazionale violerebbe i principi di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento qualora adottasse, in modo improvviso e imprevedibile, una nuova legge che sopprime un diritto di cui godevano fino a tale momento i soggetti passivi, senza lasciare a questi ultimi il tempo necessario per adattarsi, e ciò senza che lo scopo da conseguire lo imponga".
Se dunque il Partito della Sinistra europea e il presidente del gruppo GUE al Parlamento europeo nel 2019 avevano dato mandato per la presentazione del contrassegno della lista La Sinistra (contenente le miniature dei rispettivi emblemi europei) e le liste erano state regolarmente ammesse sulla base della decisione del 2014 dell'Ufficio elettorale nazionale sui Verdi europei, ritenendo come sufficiente fattore di serietà l'elezione di europarlamentari da parte del partito politico europeo di riferimento anche in altri paesi, l'emendamento fatto approvare da Fdi ha reso improvvisamente necessario l'aver eletto europarlamentari, che innalza in prospettiva l'asticella per ottenere l'esenzione dalla raccolta firme, ma lo fa anche con riguardo alle elezioni europee per cui le candidature si presentano tra un mese e mezzo, poco più di un quarto del tempo previsto dalla legge n. 53/1990 per la raccolta delle firme (tempo sfruttato in pieno, invece, da chi sapeva già che non avrebbe avuto nessuna possibilità di essere esonerato).
Per il Prc e per la Sinistra europea la messa in dubbio della "legittima aspettativa, sulla base della legge vigente, di essere esentati" e il cambio delle regole "nella decorrenza dei termini non deve essere ritenuto possibile": le regole si possono sempre cambiare, "ma con effetto dalle successive tornate elettorali, evitando di ledere situazioni già completamente maturate, come, nel caso di specie, il diritto a presentarsi della lista degli scriventi. E d’altra parte ammettere una simile modifica a meno di due mesi dalla scadenza, significa ammettere modifiche delle regole financo a pochi giorni, o il giorno prima, del termine di scadenza per la consegna delle firme".
La lettera non lo cita, ma non sembra possibile trascurare il precedente pesante della sentenza  Ekoglasnost contro Bulgaria della Corte europea dei diritti dell'uomo (6 novembre 2012): lì si legge che "la stabilità della legislazione elettorale assume una particolare importanza per il rispetto dei diritti garantiti dall’articolo 3 del Protocollo n. 1", perché "se uno Stato modifica troppo spesso le regole elettorali fondamentali o se le modifica alla vigilia di uno scrutinio, rischia di scalfire il rispetto del pubblico per le garanzie che si presume assicurino libere elezioni o la sua fiducia nella loro esistenza". L'adozione di misure restrittive "poco tempo prima dello scrutinio [...] può rivelarne il carattere sproporzionato". La sentenza ha ovviamente citato il Codice di buona condotta in materia elettorale della Commissione di Venezia - più volte ricordato su questo sito - che in una delle sue disposizioni sottolinea l’importanza della stabilità del diritto elettorale, per cui non dovrebbero essere mutate le regole fondamentali del sistema elettorale meno di un anno prima delle elezioni, potendo essere interpretate modifiche più a ridosso, "seppur in assenza di una volontà di manipolazione, come legat[e] a interessi di parte congiunturali". Questo vale per le norme sulla modalità dello scrutinio, la composizione delle commissioni elettorali e la suddivisione in seggi elettorali delle circoscrizioni, ma la Corte Edu ha ritenuto che "anche le condizioni di partecipazione alle elezioni imposte alle formazioni politiche facciano parte delle regole elettorali fondamentali" e "l'introduzione di nuove esigenze poco tempo prima della data delle elezioni può indurre, in casi estremi, alla squalifica d’ufficio di partiti e coalizioni di opposizione, che beneficiano di un sostegno popolare importante, e così avvantaggiare le formazioni politiche al potere"; non è forse quest'ultimo il caso della lista che il Prc si preparava a copresentare, ma le questioni legate al tempo della modifica delle norme restano intatte. Anche perché, ferma restando la legittimità di affrontare con congegni appositi "il serio problema posto dalla partecipazione alle elezioni di numerose formazioni senza una vera legittimità politica ed elettorale", è vero che occorre presentare e approvare per tempo le norme, per approntare "una soluzione adeguata al problema dei 'partiti politici fantasma' pur rispettando il principio della stabilità delle regole fondamentali della legislazione elettorale".
 

I nuovi emendamenti in Assemblea

L'approdo oggi pomeriggio (dalle ore 16) del disegno di legge di conversione in aula a Palazzo Madama è stato preceduto dalla presentazione di vari emendamenti su vari punti. Si è già ricordato come la massima attenzione sia stata attratta dagli emendamenti della Lega sul terzo mandato per i presidenti delle giunte regionali (bocciato: 26 sì, 112 no, 3 astensioni) e sull'elezione dei sindaci dei comuni superiori con il 40% senza il ballottaggio (quest'ultimo ritirato e trasformato in ordine del giorno - poi approvato, con 81 voti a favore e un contrario, ma senza partecipazione al voto delle opposizioni - con l'annuncio del presidente del gruppo leghista Massimiliano Romeo di un'indisponibilità al ritiro alla prossima occasione), ma non può sfuggire l'attenzione sugli emendamenti relativi alla presentazione delle candidature alle elezioni europee.
Due proposte, in particolare, sono state presentate da Alleanza Verdi e Sinistra, con primo firmatario Peppe De Cristofaro. se la prima punta alla soppressione della disposizione introdotta in commissione (per ritornare alla condizione del 2019), la seconda - che chi scrive conosce piuttosto bene - propone di affiancare all'esenzione per i partiti costituiti in gruppo e quelli che abbiano ottenuto seggi in ragione proporzionale (non anche nei collegi uninominali, in base a quanto si legge) e per i partiti che abbiano ottenuto almeno un seggio in Italia alle ultime elezioni europee (purché la forza politica italiana sia affiliata a un partito europeo costituito in gruppo a Strasburgo) un'esenzione per "le liste presentate da uno o più partiti o gruppi politici affiliati a un partito politico europeo che risulti iscritto al registro istituito dall'articolo 7 del regolamento (UE, Euratom) n. 1141/2014 e che nell'ultima elezione abbia ottenuto, attraverso i partiti o gruppi politici nazionali affiliati, almeno un seggio al Parlamento europeo". Questa previsione consentirebbe di nuovo la possibilità di presentare liste per le forze italiane appartenenti a un partito europeo che abbia eletto europarlamentari in altri paesi europei; lo stesso emendamento precisa però che l'affiliazione al partito europeo sia "certificata a mezzo di dichiarazione sottoscritta dal legale rappresentante del rispettivo partito politico europeo a beneficio di una sola lista da presentare nelle circoscrizioni italiane e autenticata da un notaio o da un'autorità diplomatica o consolare italiana": non sarebbe più possibile, dunque, la compresenza di più liste esenti da firme per il riferimento al medesimo partito europeo per il tramite di diversi partiti aderenti (com'era accaduto nel 2019 con le liste di Popolo della Famiglia - Alternativa popolare e Popolari per l'Italia).
Un altro emendamento è stato presentato da Azione, a firma di Mariastella Gelmini e del senatore giurista Marco Lombardo: esso prevede che solo a partire dalle elezioni europee successive al 2024 siano esonerati i partiti "costituiti in gruppo parlamentare nella legislatura in corso entro il 30 settembre dell'anno precedente, anche in una sola delle due Camere" o che abbiano ottenuto almeno un seggio in ragione proporzionale; l'esenzione sarebbe prevista anche per le liste espressioni di partiti che abbiano eletto almeno un europarlamentare in Italia alle elezioni europee precedenti (purché, anche qui, quei partiti siano membri di un partito europeo costituito in gruppo); si prevede poi, probabilmente per evitare interpretazioni difformi tra gli uffici elettorali, che "I presupposti per l'esonero dalla raccolta firme [...] sono riconosciuti ai partiti e ai gruppi politici, su richiesta degli stessi, dalla Direzione centrale dei servizi elettorali del Ministero dell'Interno entro il 31 ottobre dell'anno precedente a quello delle elezioni", con decadenza dal beneficio se non si fa richiesta in tempo.
L'attenzione più rilevante va però all'emendamento presentato da Fratelli d'Italia (stessi firmatari dell'emendamento presentato in commissione - Marco Lisei, Costanzo Della Porta, Domenica Spinelli, Andrea De Priamo - cui si aggiunge Michele Barcaiuolo) che "limitatamente alla elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia del 2024" riduce della metà "il numero minimo delle sottoscrizioni richiesto [...] per la presentazione delle liste dei candidati in ciascuna circoscrizione elettorale", per cui occorrerebbero almeno 15mila firme per ogni circoscrizione (75mila in tutto) e comunque almeno 1500 per ogni Regione. Considerando che è la stessa forza politica ad avere proposto un ammorbidimento significativo - sia pure una tantum - del requisito delle firme, dopo che il primo firmatario aveva detto che le firme non erano in numero così elevate, non è improbabile che la moral suasion richiesta da Rifondazione comunista al Presidente della Repubblica abbia avuto qualche effetto. 
Tanto la Commissione (con il presidente Balboni) quanto il governo (con la sottosegretaria Ferro) hanno dato parere contrario agli emendamenti delle opposizioni, favorevole a quello della maggioranza. Se l'aula ha bocciato gli emendamenti a prima firma De Cristofaro (quello volto a tornare allo stato del 2019 con 48 sì, 77 no e un'astensione; quello teso a restaurare l'esenzione per via solo europea con 43 sì, 77 no e 4 astenuti) e quello di Azione (33 sì, 77 no, 16 astenuti), la proposta di Fdi sul dimezzamento delle firme per il solo 2024 è invece passata con 106 voti favorevoli, 3 contrari e 18 astenuti.

Considerazioni finali

La prima valutazione va fatta sul metodo. E non si tratta solo delle profonde perplessità sulla correttezza di modificare dettagli rilevanti delle norme sul voto e sul procedimento elettorale quando mancano poche settimane alla presentazione delle liste. L'emendamento di Fratelli d'Italia che ha ridotto le esenzioni per le elezioni europee non è mai stato illustrato dai presentatori in Commissione (nelle sue varie versioni), così come non è stato illustrato quello che ha dimezzato le firme per il solo 2024, così come non si sono registrati interventi di Fdi sugli altri emendamenti in materia di esonero. Non sapremo mai, quindi, perché Fdi ha voluto esporsi con il taglio alle esenzioni, perché ha fatto mezzo passo indietro, perché oggi ha accettato - pur avendo detto in passato alla stampa, per bocca del primo firmatario, che "il numero delle firme non è così alto" - di dimezzare le firme, anche se solo per questa volta. Non sarà prassi illustrare tutti gli emendamenti, ma questo era particolarmente importante e il silenzio non può non colpire (non in positivo ovviamente). 
La questione firme ed esenzioni è stata in effetti lambita da tre interventi di senatori di Fratelli d'Italia; due di questi non paiono convincenti ("È prevista anche l'esenzione delle sottoscrizioni di firma per le elezioni europee per il partito che abbia ottenuto con il suo contrassegno un seggio nelle ultime elezioni europee" di Domenica Spinelli, cofirmataria dell'emendamento, ma quell'esenzione c'era già, mentre ne sono state eliminate altre...; De Priamo, altro cofirmatario, ha parlato invece di "norme per la semplificazione delle firme per le elezioni europee, sulle quali il collega Lisei ha fatto un attento lavoro emendativo", ma "semplificazione" non pare il termine corretto...). Il terzo intervento, quello di Costanzo Della Porta, sembra il più appropriato: "con il decreto-legge in esame poniamo anche un freno alle cosiddette liste fasulle. Ho letto dei dati e alle scorse elezioni europee si presentarono 18 liste, dieci delle quali hanno preso meno dell'1% e sette di queste dieci hanno preso meno dello 0,5%. Pertanto, nessuno vuole vietare la libera partecipazione alle consultazioni elettorali, però non dobbiamo neanche alterare le regole del gioco; per questo, restringere l'ambito di chi può partecipare non avendo consenso ci sembra un fatto piuttosto naturale"; meno naturale - ci si permette di dire - è farlo a ridosso della presentazione delle liste, senza prevedere fin dall'inizio norme una tantum per attutire il colpo per chi aveva legittime aspettative circa l'esenzione e avrebbe comunque le forze di raccogliere metà delle firme previste (da apprezzare, invece, l'invito dello stesso Della Porta affinché la Camera approvi presto il ddl Pirovano - ex Augussori sulle elezioni nei piccoli comuni). 
Da ultimo, appartiene a Fdi anche la sottosegretaria Wanda Ferro, che qualche frase sul punto l'ha detta: "La raccolta delle firme per le elezioni europee è già iniziata e i partiti hanno termini più stretti per raccogliere le firme nel numero previsto per legge. Ciò ha visto da parte della maggioranza la volontà di questo taglio di oltre il 50 per cento, per quella volontà di chi sempre e comunque rispetta credo la politica e che ha trovato accoglimento da parte del Ministero dell'interno". Ciò ovviamente spiega la legittimità e ragionevolezza del taglio, ma non la scelta della stretta sulle esenzioni (ma non toccava certo al governo o alla sottosegretaria Ferro questa spiegazione).
Per correttezza occorre dire che nemmeno gli altri partiti proponenti di emendamenti hanno illustrato le loro proposte nel merito: fanno eccezione - in sede di discussione generale - solo le parole pronunciate dal senatore De Cristofaro (Avs), molto simili a quelle dette in Commissione: "Trovo eccessivamente restrittiva [...] la normativa che ridisegna la possibilità di presentarsi alle elezioni europee. La considero sbagliata nel metodo e nel merito: nel metodo, perché credo che sia sbagliato cambiare le norme a pochi mesi o addirittura a poche settimane dal voto; nel merito, perché penso che sia troppo ristretta la possibilità di presentarsi alle elezioni, soprattutto per chi è fuori dal Parlamento. Vedo che c'è un emendamento che riduce il numero delle firme: questo mi sembra comunque un passo in avanti positivo, ma anche su questo probabilmente si doveva evitare una forzatura che nel corso delle giornate passate c'è stata e che dal mio punto di vista vede un forte elemento di dissenso".
Qualcosa di più si è detto negli interventi finali, con Gelmini (Azione) che ha ricordato come "si sia cercato - e lo abbiamo respinto con perdite - di modificare le regole del gioco a gioco iniziato e quindi non abbiamo consentito un esonero dalle liste delle firme che fosse fatto in modo da agevolare questo o quel partito"; "In un momento in cui è sempre più difficile chiamare al voto gli elettori e avere la loro partecipazione, si dovrebbe favorire al massimo, in ogni sua forma e in qualsiasi modo la possibilità di partecipare alle elezioni e anche all'elettorato passivo di candidarsi - ha aggiunto Dafne Musolino, di Italia viva, già Sud chiama Nord e non è forse inutile notarlo -. Invece, sempre con un emendamento della maggioranza viene introdotta una norma nel provvedimento [...] che voleva togliere la possibilità di non dover raccogliere le firme a quei partiti che, pur avendo eletto dei rappresentanti e quindi pur avendo dei parlamentari eletti, non li avevano eletti al proporzionale, ma soltanto ai collegi uninominali. Che cosa avevano fatto di male questi partiti [...] per meritarsi di non poter godere dell'esenzione della raccolta delle firme, che è nel testo della legge elettorale che vigeva fino a quando non è stato pubblicato questo decreto-legge? [...] Fatto sta che dopo una vibrata protesta di alcuni movimenti politici, condivisibile perché questa è una norma francamente antidemocratica nel momento in cui cambi le regole del gioco a novanta giorni dalle elezioni (indipendentemente da quali siano questi movimenti politici), è stato fatto anche qui un piccolo aggiustamento e si consente l'ammissione anche se si hanno solo eletti all'uninominale e non nel sistema proporzionale". 
Critiche sono arrivate anche da Alessandra Maiorino (M5S): "Poi avete cambiato le regole del gioco (peccato che la democrazia non è un gioco, ma è una cosa seria) a due mesi dalla scadenza elettorale delle europee. [...] Avete ristretto le condizioni per cui i partiti si possono presentare alle competizioni europee, complicando di gran lunga la situazione. Poi, evidentemente, presi da pentimento, avete allargato quelle restrizioni, per cui oggi chi deve raccogliere le firme non ne deve più raccogliere 150.000, ma 100.000. Peccato però che chi si stava preparando alle competizioni europee aveva già trovato una soluzione a norma vigente prima di questa roba che votiamo oggi. [...] Insomma, avete fatto un pasticcio inenarrabile e antidemocratico [...] a due mesi dalla presentazione delle liste necessarie per competere alle elezioni europee. Per cui avete inficiato i rapporti democratici e la possibilità di partecipare democraticamente alle elezioni". Per correttezza va detto che le firme da raccogliere sarebbero almeno 75mila e non 100mila; altrettanta correttezza richiede di segnalare che negli interventi dei senatori del Partito democratico - al di là delle parole di Dario Parrini, in cui si cita "tutta un'altra serie di situazioni, per le quali sarebbe stato invece necessario adottare in tempo utile, non a ridosso del voto, con un confronto ampio in Parlamento e senza la tagliola che in qualche modo il decreto-legge rappresenta, un intervento organico: non un intervento che sembra calato dall'alto, imposto e quindi avente le caratteristiche quasi di una forzatura, che viene portata avanti senza tener conto a sufficienza delle prerogative del Parlamento" - non si riesce a trovare un solo cenno esplicito alla questione delle esenzioni.
Il disegno di legge è stato approvato poco prima delle ore 21, con 79 sì, 39 no e 9 astenuti. Ora tocca alla Camera approvarlo entro la scadenza del 29 marzo. Nel frattempo le liste che pensano di poter raccogliere 75mila firme (e almeno 1500 per Regione) dovranno concentrare tutte le loro forze per cercare di raggiungere l'obiettivo: qualche simbolo che contava sulla "via europea" non arriverà sulla scheda, ma forse la moria sarà minore del previsto.

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