mercoledì 6 marzo 2024

Europee 2024, primo sì per il taglio alle esenzioni dalla raccolta firme

Ci è voluto più tempo del previsto, ma - con quasi due settimane di ritardo rispetto alla prima tabella di marcia - ieri sera la commissione Affari costituzionali del Senato ha approvato l'emendamento alla legge di conversione del decreto-legge n. 7/2024 ("decreto elezioni 2024") che riduce sensibilmente le ipotesi di esenzione dalla raccolta delle firme per presentare le liste alle elezioni europee (a partire dalle prossime, previste per l'8 e il 9 giugno). Il testo, prima riformulato (e alleggerito) e poi accantonato, stavolta ha ottenuto il consenso della maggioranza dei membri dell'organo. Il cammino in commissione della legge di conversione non è ancora finito, potenzialmente è ancora possibile intervenire in aula; se però nulla cambierà, di fatto all'appuntamento elettorale di giugno - ma anche alle successive elezioni europee, ammesso che le norme non cambino di nuovo, magari a ridosso della presentazione delle candidature - non sarà più possibile evitare la raccolta delle sottoscrizioni grazie alla semplice adesione a un partito politico europeo rappresentato al Parlamento europeo

Emendamento riformulato, ma accantonato

Due settimane fa si era dato conto di come l'emendamento originario presentato da quattro senatrici e senatori di Fratelli d'Italia (primo firmatario Marco Lisei) fosse stato riformulato. Vale la pena ricordare che il primo testo presentato avrebbe esentato dalla gravosa raccolta delle sottoscrizioni richiesta per le elezioni europee - dalle 30mila alle 35mila per ogni circoscrizione e, comunque, almeno 3mila in ciascuna regione della circoscrizione - solo i partiti con almeno un gruppo parlamentare, quelli che alle ultime elezioni politiche avevano eletto deputati o senatori "in ragione proporzionale" e quelli che, essendo affiliati a un partito europeo dotato di gruppo a Strasburgo, avevano eletto almeno un europarlamentare in Italia (sapendo che, però, nel 2019 avevano avuto eletti solo forze che oggi hanno un gruppo parlamentare).
Il nuovo testo, reso noto il 20 febbraio, ha ampliato l'esenzione alle forze politiche che, essendosi presentate alle ultime elezioni politiche con proprie liste, avevano ottenuto almeno un eletto anche solo nei collegi uninominali. In questo modo, ai partiti esentati dalla prima versione (Fdi, Lega, Fi, Pd, M5S, Alleanza Verdi e Sinistra, Italia viva, Azione e Noi Moderati, grazie al gruppo; il Maie, grazie all'elezione di parlamentari in ragione proporzionale) si aggiungerebbero +Europa, Sud chiama Nord, Centro democratico, nonché Union Valdôtaine, Svp e quasi certamente il trentino Campobase (mentre solo un'interpretazione molto benevola potrebbe includere tra gli esonerati Italia al centro, Coraggio Italia e Udc).
Pure in quel modo, però, rimarrebbe sostanzialmente sbarrata la "via europea" all'esenzione, per come era stata aperta dall'Ufficio elettorale nazionale per il Parlamento europeo nel 2014, con la sua decisione sulla lista Verdi europei. In quel caso, infatti, il collegio di giudici della Corte di cassazione aveva accolto un'interpretazione estensiva dell'art. 12 della legge n. 18/1979 (che non prevedeva formalmente, pur dandolo probabilmente per scontato, che l'eurodeputato esentante fosse stato eletto in Italia): secondo quella nuova lettura, un partito italiano avrebbe potuto ottenere l'esonero quale affiliato a un partito politico europeo che alle precedenti elezioni europee avesse ottenuto almeno un eletto (anzi, fosse rappresentato al Parlamento europeo) in uno dei Paesi dell'Unione, purché si presentasse "un simbolo congiunto" del partito italiano e di quello europeo (e possibilmente si allegasse la dichiarazione del segretario del partito europeo che attestava l'affiliazione del soggetto politico nazionale). Com'è noto, nel 2019 quella via era stata percorsa da molte sigle, a volte perfino con qualche eccesso - esenzione ottenuta grazie a partiti europei non inseriti nel relativo registro, semplici associazioni politiche transeuropee o partiti di altri paesi che avevano eletto europarlamentari - non respinto però dagli Uffici centrali circoscrizionali
In sede di illustrazione degli emendamenti, se ci si basa sul resoconto sommario di commissione, non risulta vi fosse stata alcuna spiegazione dell'emendamento strozza-esenzioni (né della sua riformulazione). Giunto il momento del voto, però, in commissione si erano manifestati essenzialmente giudizi negativi, a partire da quello di Italia viva, che con la senatrice Dafne Musolino aveva tenuto a precisare che Iv non aveva partecipato alla scrittura dell'emendamento in oggetto e non si era mai prestata "a predisporre normative tese ad impedire o a rendere più difficoltosa la presentazione di liste alle consultazioni elettorali", peraltro volte "a modificare le regole del gioco a pochi mesi di distanza dalle elezioni europee, con la conseguenza di penalizzare soprattutto i partiti più piccoli"; questo non avrebbe impedito un voto favorevole, essenzialmente sulla scorta del riconoscimento dell'esenzione alle forze politiche che avevano ottenuto eletti alle Camere nei collegi uninominali (mentre in origine, come si è visto, si era proposto di riservare l'esonero ai partiti dotati di gruppo parlamentare - come Italia viva - o che avevano ottenuto eletti in ragione proporzionale, ottenendo dunque risultati più consistenti).
Più severo era stato il giudizio di Peppe De Cristofaro, di Alleanza Verdi e Sinistra, che aveva giustificato il voto contrario richiamando le fonti europee - in particolare, si segnala qui, il Codice di buona condotta in materia elettorale della Commissione europea per la democrazia attraverso il diritto ("Commissione di Venezia"), al punto 65, ma anche la Raccomandazione (UE) 2023/2829 della Commissione, al punto 3 - che invitavano alla stabilità del diritto elettorale, specialmente nell'ultimo anno prima del voto; allo stesso tempo, era stato stigmatizzato il venir meno dell'esenzione dalla raccolta firme dei "movimenti affiliati a un partito politico europeo costituito in Gruppo parlamentare al Parlamento europeo, anche in considerazione della complessità della raccolta di firme per le elezioni europee".
Perplessità erano state espresse anche da un partito della maggioranza, cioè dalla Lega, tramite Paolo Tosato: questi aveva rilevato una certa incoerenza - non sono parole sue, ma di chi scrive - nell'esonerare dalla ricerca di sottoscrittori un partito che alle ultime elezioni europee abbia ottenuto almeno un seggio e aderisca a un partito politico europeo, negano invece la stessa esenzione a chi abbia ottenuto eletti, ma non sia affiliato a un partito europeo. Sulla base di quest'osservazione, Tosato aveva chiesto di eliminare il passaggio legato all'affiliazione al partito (e al gruppo parlamentare?) europeo o, in alternativa, di accantonare lo stesso emendamento. Proprio questa era stata la soluzione adottata dal presidente di commissione Alberto Balboni (Fdi), a fronte della disponibilità "ad un approfondimento istruttorio" della sottosegretaria all'interno Wanda Ferro. 
Su tali basi, il confronto sull'emendamento tagliaesenzioni era stato rinviato - si riteneva - alla settimana successiva, lasciando spazio a ulteriori riflessioni e, magari, a nuove riformulazioni del testo, anche con il contributo dei partiti di minoranza. Da una parte, era da apprezzare il riferimento di alcune forze politiche ai principi europei che richiedevano di non modificare le norme elettorali a ridosso del voto, alla gravosità della raccolta firme per le elezioni europee e all'inopportunità di ostacolare l'esonero attraverso la rappresentanza al Parlamento europeo (tra l'altro, l'intervento di Avs risultava ancora più significativo, considerando che l'eventuale presentazione di una lista attraverso il Partito della sinistra europea, se resa di nuovo possibile, potrebbe sottrarle più di qualche voto); colpiva un po' di più che un partito come Italia viva, aderente al Partito democratico europeo e al gruppo parlamentare europeo Renew Europe, non abbia detto nulla - a giudicare da quanto riportato dal resoconto sommario - sul sostanziale blocco, almeno per questa volta, delle esenzioni per i partiti nazionali affiliati a partiti europei anche senza propri eurodeputati. Allo stesso tempo, si poteva condividere il rilievo di incoerenza mosso dalla Lega circa la negazione dell'esonero al partito nazionale con eurodeputati, in caso di mancata appartenenza a un partito e gruppo europeo; non sfuggiva peraltro come il partito guidato da Matteo Salvini non avesse fatto alcuna esplicita apertura ai partiti nazionali membri di partiti europei ma privi di eletti al Parlamento europeo, che per la Lega sarebbe stata potenzialmente svantaggiosa (perché avrebbe aperto la strada alla lista presentata dal Patto autonomie e ambiente, sotto l'egida dell'Efa - Alleanza libera europea). 

Gli altri emendamenti di due settimane fa

Le votazioni, iniziate la mattina di giovedì 22 febbraio, avevano peraltro visto il ritiro di non pochi emendamenti, incluso quello della Lega sull'elevazione del limite di mandati consecutivi a tre per tutti i comuni sopra i 5mila abitanti; il partito guidato da Salvini - sempre attraverso Paolo Tosato - aveva annunciato la non partecipazione al voto sugli altri emendamenti in materia di limiti ai mandati dei sindaci. Non era però stata ritirata la proposta di modificare la "legge cornice" sulle elezioni regionali prevedendo il limite massimo di tre mandati per i presidenti: per Tosato si erano fatte troppe modifiche disordinate in tema di mandati elettivi, per cui valeva la pena lasciare scegliere al corpo elettorale se confermare o no un presidente di Regione con due mandati pieni all'attivo. Se il governo alla fine si era rimesso alla commissione, il presidente Alberto Balboni aveva confermato parere contrario (pur non accogliendo le richieste di dichiarare l'emendamento improponibile, benché il decreto contenga un riferimento alle elezioni regionali): a suo dire, era giusto prevedere un limite ai mandati consecutivi di tutti gli organi monocratici (anche se sul numero si poteva discutere) e, anzi, gli era parso inopportuno eliminare ogni limite alla ricandidatura in tutti i comuni fino a 5mila abitanti (col rischio di fossilizzare "situazioni poco trasparenti e poco compatibili con il ricambio democratico"), quando sarebbe stato meglio limitare l'intervento ai comuni più piccoli. Avevano avversato l'emendamento anche Pd, M5S, Alleanza Verdi e Sinistra, Forza Italia e Fratelli d'Italia, mentre Azione non aveva partecipato al voto; oltre che dalla Lega, il voto favorevole era arrivato da Italia viva, ma l'emendamento era stato comunque respinto.
Era stato invece approvato un emendamento di Michaela Biancofiore (Coraggio Italia) volto a introdurre il principio in materia elettorale regionale dell'esonero dalla raccolta firme per le liste "che, al momento della indizione delle elezioni regionali, sono espressione di forze politiche o movimenti corrispondenti a gruppi parlamentari presenti in almeno uno dei due rami del Parlamento nazionale, sulla base di attestazione resa dal segretario o Presidente del partito rappresentato nel Parlamento" (ipotesi più ristretta rispetto alle esenzioni previste da molte norme regionali: si tratta di capire se queste potranno essere ancora legittime, visto che la "legge cornice" non richiede formalmente di limitare le fattispecie di esonero a questa, o dovranno uniformarsi all'emendamento appena approvato).
Quanto ad altre proposte messe in votazione, si era uniformato l'orario di votazione della giornata di sabato dalle ore 15 alle 23 (invece che dalle ore 14 alle 22) seguendo, a quanto si è detto nel dibattito, una sollecitazione delle prefetture; si era approvato l'aumento una tantum dei compensi - proposto dal M5S - per i seggi in cui si svolgeranno più consultazioni elettorali (dunque con almeno un altro voto oltre a quello europeo); si era posticipato al 29 settembre il termine per lo svolgimento delle elezioni provinciali previste quest'anno, ma - si è precisato - relativamente alle sole province "tenute al rinnovo elettorale dei propri organi entro il quarantacinquesimo giorno successivo all'ultima proclamazione degli eletti nei comuni interessati al voto nel turno ordinario annuale" (lo ha proposto il centrodestra, ma anche il Pd ha aderito). Con riguardo al voto dei "fuori sede", era stato approvato un emendamento riformulato di Fratelli d'Italia che prevedeva la sperimentazione del voto, ma solo per le europee di quest'anno e solo per coloro che studiano in una regione diversa: la proposta aveva avuto il favore anche delle opposizioni, che però avevano lamentato un compromesso al ribasso (la contestuale proposta dell'estensione del voto ai "fuori sede" pure ai referendum e non solo per motivi di studio, ma anche di salute o di lavoro, avanzata dal M5S e sottoscritta anche da altri esponenti dell'opposizione, era stata respinta, con tanto di parere negativo del governo generato dalla "attuale mancanza di strumenti tecnici adeguati a garantire la sicurezza nell'esercizio del voto"). 
Si è votato anche sull'emendamento di Fratelli d'Italia in materia di simboli politici registrati come marchi: tanto il governo quanto il relatore avevano espresso parere favorevole, purché il testo fosse riformulato in modo tale da non comprendere più la seconda parte della proposta, cioè quella che avrebbe finito per eliminare il parere obbligatorio e vincolante all'amministrazione interessata - in questo caso il Ministero dell'interno - circa la registrazione come marchio di segni distintivi contenenti parole, figure o segni "con significazione politica". L'emendamento è stato dunque riformulato e approvato: se il disegno di legge di conversione completerà il suo iter in tempo, entrerà in vigore la modifica al codice della proprietà industriale, in base alla quale "[l]a registrazione come marchio d'impresa di simboli o emblemi usati in campo politico o di marchi comunque contenenti parole, figure o segni con significazione politica non rileva ai fini della disciplina elettorale e, in particolare, delle norme in materia di deposito dei contrassegni, liste dei candidati e propaganda elettorale". Ciò significherebbe evitare esplicitamente la possibilità che sorgano diritti o prelazioni con il deposito e l'eventuale registrazione come marchio di emblemi politici - per cui, per essere chiari, il simbolo del Movimento sociale Fiamma tricolore che il segretario nazionale Daniele Cerbella ha depositato il 26 ottobre scorso potrebbe non evitare al partito contestazioni di confondibilità con l'emblema di Fdi - e non dovrebbe nemmeno consentire rischiose confusioni di discipline (non permettendo, per esempio, a chi avesse depositato un simbolo come marchio di usarlo come tale e invocare le norme dei segni distintivi, al fine di aggirare i limiti posti dalle disposizioni sulle campagne elettorali).
Non erano stati invece approvati invece gli emendamenti del MoVimento 5 Stelle volti a introdurre di fatto il principio dell'accorpamento delle consultazioni elettorali (riproponendo tra l'altro il secondo turno ordinario di votazione per le elezioni amministrative) e a vietare l'assunzione di personale dipendente da parte delle aziende speciali, delle istituzioni e delle società a partecipazione pubblica regionale o locale nei due mesi precedenti e nei due mesi successivi al voto nei territori interessati, così come quello (sostenuto anche da Avs e Pd, con l'astensione del presidente Fdi Balboni) volto a eliminare l'innalzamento del limite ai mandati successivi ai comuni tra 5mila e 15mila abitanti.
Si era invece scelta la via dell'accantonamento, come per la proposta tagliaesenzioni, per l'emendamento di Forza Italia volto a limitare l'ineleggibilità a consigliere regionale ai soli dipendenti della Regione che svolgano funzioni e attività amministrative: il testo, riformulato per due volte (l'ultima per fare salve le altre ineleggibilità e incompatibilità previste per i consiglieri regionali), aveva però incontrato la contrarietà netta di Pd (attraverso Dario Parrini), M5S (con Alessandra Maiorino) e Italia viva (con Dafne Musolino), ritenendo che quella proposta di modifica potesse - essendo qualificata come norma di interpretazione autentica - "sanare evidentemente situazioni di consiglieri regionali che temono di essere dichiarati decaduti" (parole attribuite a Parrini). Benché il senatore forzista Mario Occhiuto avesse segnalato che si voleva soltanto circoscrivere le cause di ineleggibilità, ritenendo che i dipendenti regionali con mansioni solo esecutive non avrebbero potuto "utilizzare la propria posizione per acquisire un tornaconto o un vantaggio in sede di presentazione della candidatura" e non sarebbe stato ragionevole impedire loro di candidarsi, Lega e Fratelli d'Italia avevano suggerito un approfondimento istruttorio, accantonando l'emendamento e così il presidente Balboni aveva scelto di fare.

Il taglio delle esenzioni approvato

L'accantonamento dell'emendamento di Fdi volto a restringere le esenzioni e la disponibilità del governo a un approfondimento istruttorio, come si è detto, avevano fatto pensare a possibili, ulteriori mutamenti della proposta, già modificata due settimane fa, magari dando più attenzione ai partiti nazionali iscritti a partiti politici europei, anche se privi di propri eletti.
In questo senso, sono trapelate notizie di contatti - con membri della I commissione e con la sua presidenza - di alcune formazioni italiane effettivamente aderenti a partiti politici europei per ottenere una formulazione ancora più aperta dell'emendamento, restituendo la possibilità - attualmente prevista grazie all'intervento dell'Ufficio elettorale nazionale del 2014 e alle decisioni successive degli uffici circoscrizionali - di godere l'esenzione dalla raccolta firme alle formazioni aderenti a partiti europei registrati e rappresentati al Parlamento europeo (da persone elette negli altri Paesi), purché l'affiliazione fosse certificata da una dichiarazione firmata dal legale rappresentante del partito politico europeo e debitamente autenticata; da parte di alcuni soggetti la richiesta era più ampia, onde estendere l'esonero anche a soggetti non ancora inseriti nel registro dei partiti europei, ma che avessero fatto domanda di iscrizione. Per non far proliferare i casi di esenzione e contenere gli eccessi dell'ultima tornata, in ogni caso, le richieste si erano orientate verso l'esclusione dal beneficio per le formazioni italiane che vantavano collegamenti con semplici partiti di Paesi europei (e non veri partiti transnazionali) e, soprattutto, c'è chi aveva chiesto di precisare che ciascun partito politico europeo avrebbe potuto esentare una sola lista a livello nazionale, non permettendo più a ciascuna sigla aderente di presentare una propria lista senza firme (magari per consentire ad altri soggetti un accesso facilitato alle schede) e, possibilmente, favorendo l'aggregazione di tutte le formazioni nazionali aderenti al singolo partito europeo in un'unica lista. 
Le indiscrezioni - circolate prima delle elezioni regionali sarde - non avevano escluso un'apertura di alcune forze di maggioranza a una riformulazione meno severa del testo, ma non erano mancate riserve di altri soggetti politici, probabilmente più interessati a evitare il sorgere di liste in grado di attirare voti di bacini elettorali almeno in parte coincidenti. Nel frattempo, l'esame degli emendamenti accantonati era slittato di una settimana: il 28 febbraio, in effetti, si è saputo - per bocca del senatore di Fdi Marco Lisei, vale a dire il primo firmatario dell'emendamento sulle esenzioni - che l'esame del disegno di legge di conversione del "decreto elezioni 2024" sarebbe comunque passato alla settimana successiva "in attesa del parere della Commissione bilancio sugli emendamenti eventualmente approvati".
Il tempo di esaminare gli emendamenti accantonati, tuttavia, è arrivato ieri sera, nella seduta "notturna" della I commissione, svoltasi tra le 20 e 10 e le 21 e 20. L'emendamento che vuole restringere le esenzioni per le elezioni europee è stato approvato, mentre è stato di nuovo accantonato quello che punta a limitare l'ineleggibilità a consigliere regionale per i dipendenti regionali con funzioni e attività amministrative (la sottosegretaria Ferro aveva chiesto di specificare che la più ristretta condizione di ineleggibilità al consiglio regionale troverà applicazione solo pro futuro e il dem Andrea Giorgis ha chiesto di esplicitare questo effetto, mentre il M5S ha contestato l'opportunità dell'uso dell'interpretazione autentica, per natura retroattiva, mentre sarebbe stato meglio - come sottolineato pure da Italia viva - modificare la disposizione; per i proponenti però la precisazione sull'efficacia solo per il futuro snaturava lo spirito interpretativo ed era necessario approfondire il significato del testo proposto). 
Tornando all'emendamento tagliaesenzioni, si è innanzitutto registrato un fatto nuovo, cioè l’annuncio di voto favorevole da parte del senatore leghista Tosato: questi ha dichiarato di mantenere le sue riserve (probabilmente legate innanzitutto all’incoerenza relativa all’esenzione riconosciuta al partito con eletti a Strasburgo e aderente a un partito europeo, ma negata in assenza di affiliazione), ma di fatto in questo modo è venuta meno l’unica riserva esplicita proveniente dalla maggioranza di governo.
La sola critica esplicita è rimasta quella di De Cristofaro (Avs): questi ha ammesso che occorrevano chiarimenti sulla materia delle esenzioni, "considerato che nelle scorse elezioni europee si era dovuto intervenire in via giudiziaria per decidere sull’ammissibilità delle liste" (in realtà la frase riportata dal resoconto è solo in parte vera: dopo l’episodio pilota del 2014 dei Verdi europei, infatti, il contenzioso in materia nel 2019 è stato molto ridotto e ha riguardato - per l’esenzione di matrice europea - solo le liste che il Movimento Gilet arancioni aveva tentato di presentare), ma lui rimaneva contrario "per motivi di metodo e di merito". Sul piano del metodo, De Cristofaro ha ribadito come sia "decisamente inopportuno modificare le norme elettorali poco prima del voto" (richiamando la raccomandazione 2023/2829 della Commissione europea citata sopra); quanto al merito, ha segnalato il potenziale restrittivo di una modifica che interviene a fronte di un "elevato numero di sottoscrizioni da raccogliere per le elezioni europee", quando piuttosto "in un contesto di forte astensionismo e crisi della democrazia, sarebbe preferibile incoraggiare la partecipazione alla competizione elettorale". Si tratta certamente di ragioni fondate, ma non sfugge come in questo caso non sia stato speso alcun argomento legato all’opportunità di considerare serie (e dunque di non richiedere le firme) candidature promosse da partiti nazionali affiliati a partiti europei presenti a Strasburgo, ma senza eletti conseguiti in Italia. In sede di votazione, in ogni caso, l’emendamento è stato approvato (il resoconto sommario non consente di conoscere i numeri dei voti favorevoli o contrari e delle astensioni). 
Si può poi segnalare l'accoglimento di alcuni ordini del giorno, frutto di emendamenti che erano stati presentati e poi ritirati. Tra questi, due ordini del giorni di Forza Italia: uno con l'intento di "far rientrare pienamente le province nell'ordinamento degli enti locali" disciplinato dal Tuel (abbandonando di fatto la "legge Delrio" del 2014, la cui riforma organica sarebbe "ormai non più rinviabile"), l'altro espressamente teso a impegnare il Governo "a valutare ogni utile iniziativa, anche normativa, per poter procedere all'introduzione di una tessera elettorale digitale, in progressiva sostituzione della tradizionale tessera elettorale", facendo sì che "la certificazione dell'avvenuta partecipazione al voto avvenga mediante un'apposita applicazione informatica, interoperabile con l'Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente (ANPR), e secondo modalità tecniche da definirsi con decreto del Ministro dell'interno". Ora è dunque più chiaro cosa avesse inteso Forza Italia con l'emendamento che puntava a non applicare le disposizioni in tema di tessera elettorale.
Niente da fare invece per l'ordine del giorno di Luis Durnwalder (Svp), volto a impegnare il Governo, "in sede di esame della riforma del TUEL, a valutare la possibilità di innalzare a tre il limite dei mandati per i sindaci dei Comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti", in modo che solo i cittadini valutino se confermare o no un sindaco già rieletto e non ci siano discriminazioni tra comuni in ragione della popolazione.

Partita chiusa?

L'approvazione da parte della I commissione del Senato dell'emendamento Lisei - sia pure nella sua versione più leggera - è un segnale serissimo per le liste che erano convinte di avere diritto di presentarsi senza dover raccogliere le firme in virtù dell'appartenenza (loro o di un partito vicino alla lista) a un partito politico europeo rappresentato a Strasburgo. Vale innanzitutto per la citata lista Pace Terra Dignità, che da ieri sera sa di doversi muovere con estremo urgenza per raccogliere più di 30mila firme in ogni circoscrizione, delle quali almeno 3mila in ogni regione (con tutta la difficoltà che si può immaginare in Valle D'Aosta, Molise e Basilicata); di più, considerando che le liste dovranno essere presentate nelle corti d'appello di Milano, Venezia, Roma, Napoli e Palermo tra il 30 aprile e il 1° maggio e che nel frattempo occorrerà dotarsi di tutti i certificati di iscrizione dei sottoscrittori nelle rispettive liste elettorali comunali, la raccolta dovrà essere completata in poco più di 50 giorni. Un compito oggettivamente difficile, anche per un partito con una storia significativa - come il Prc, potenziale latore dell'esenzione che tuttora gli spetterebbe in virtù dell’affiliazione al Partito della Sinistra europea, da esso cofondato - ma con un'organizzazione territoriale non efficace e diffusa come un tempo.
La situazione non sembra migliore per Volt, che tra l'altro non è nemmeno ufficialmente un partito politico europeo a ogni effetto, pur essendo un'organizzazione politica paneuropea e transnazionale. Per quella forza politica, in alternativa all’ardua ricerca dei sottoscrittori, resterebbe aperta solo la possibilità di concorrere a una delle liste certamente esenti dalla raccolta firme (come avvenne nel 2022, quando partecipò alle elezioni politiche all’interno della lista del Partito democratico - Italia democratica e progressista): potrebbe concorrere a migliorare il risultato della lista, se si federasse a partiti medio-piccoli potrebbe anche essere determinante per raggiungere la soglia di sbarramento del 4%, ma in ogni caso avrebbe molta meno visibilità.
Lo stesso Patto autonomie ambiente, progetto-sorellanza legato al partito europeo Efa - alleanza libera Europea (grazie a varie forze politiche che ne fanno parte, a partire dal Patto per l'autonomia del Friuli-Venezia Giulia), non potrebbe più evitare la raccolta firme, a meno di unirsi anche "simbolicamente" - per mantenere una certa omogeneità sul piano dell'autonomismo - a un altro partito aderente all'Efa, cioè l’Union valdôtaine. Svanirebbero anche, allo stesso tempo, le speranze di chi contava su altri partiti iscritti a soggetti politici europei rappresentati a Strasburgo per presentare le proprie liste, come avevano fatto il Popolo della Famiglia (grazie ad Alternativa popolare) e i Popolari per l'Italia - entrambi i membri del Ppe - nel 2019.
In una nota, Rifondazione Comunista ha parlato di "vergognoso blitz antidemocratico" che "cambia le regole del gioco a partita iniziata”, sottolineando che "questo scippo può essere fermato alla Camera" e chiedendo che si intervenga lì con un emendamento. in realtà, la vera e ultima sede per intervenire sembra essere soltanto l'aula di Palazzo Madama: una volta arrivato a Montecitorio, infatti, è molto probabile che il testo venga "blindato" anche perché è già passato più di un mese dalla sua presentazione, dunque è trascorso oltre metà del tempo per la sua conversione. Ci si permette di sperare che qualche forza politica presente in Senato per esempio un emendamento per codificare l'esenzione legata all'appartenenza a un partito politico europeo rappresentato a Strasburgo (così da ritornare almeno alla condizione prospettata nel 2019 dalla guida del Viminale): in questo modo il dibattito avverrebbe in aula, dunque con una pubblicità decisamente Maggiore fino a quella avuta sinora, cosa che richiederebbe maggiore responsabilità alle forze parlamentari. Tutte.

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