martedì 20 febbraio 2024

Elezioni europee, la stretta sulle esenzioni si allenta (ma solo un poco)

Non è passato inosservato l'emendamento "strozza esenzioni" presentato nei giorni scorsi da quattro senatrici e senatori di Fratelli d'Italia in I commissione (Affari costituzionali), nel percorso di conversione del "decreto elezioni 2024": i media hanno dato conto delle proteste di varie forze politiche che in caso di approvazione della modifica sarebbero costrette a raccogliere le firme, a partire da +Europa e Sud chiama Nord (che con le norme attuali sarebbero esonerate dalla ricerca dei sottoscrittori), fino ad Alternativa popolare, Volt e i gruppi legati al partito europeo Efa (tutti partiti che punterebbero all'esonero seguendo la strada tracciata nel 2014, su istanza dei Verdi Europei, dall'Ufficio elettorale nazionale per il Parlamento europeo). Oggi il sito del Senato ha pubblicato un nuovo testo dell'emendamento 4.0.7 presentato nelle scorse ore da Marco Lisei, Costanzo Della Porta, Andrea De Priamo e Domenica Spinelli, che evidentemente risente di alcune delle polemiche sollevate e degli appelli lanciati nei giorni scorsi. Ecco di seguito l'emendamento riformulato. 
Nessuna sottoscrizione è richiesta per i partiti o gruppi politici costituiti in gruppo parlamentare nella legislatura in corso al momento della convocazione dei comizi anche in una sola delle due Camere o che nell'ultima elezione abbiano presentato candidature con proprio contrassegno e abbiano ottenuto almeno un seggio in ragione proporzionale o in un collegio uninominale in una delle due Camere. Nessuna sottoscrizione è richiesta altresì per i partiti o gruppi politici che nell'ultima elezione abbiano presentato candidature con proprio contrassegno ed abbiano ottenuto almeno un seggio in una delle circoscrizioni italiane al Parlamento europeo, e che siano affiliati a un partito politico europeo costituito in gruppo parlamentare al Parlamento Europeo nella legislatura in corso al momento della convocazione dei comizi elettorali. L'affiliazione è certificata a mezzo di dichiarazione sottoscritta dal Presidente del gruppo Parlamentare europeo autenticata da un notaio o da un'autorità diplomatica o consolare italiana. Nessuna sottoscrizione è richiesta, altresì, nel caso in cui la lista sia contraddistinta da un contrassegno composito, nel quale sia contenuto quello di un partito o gruppo politico esente da tale onere.
Le parole sottolineate sono state aggiunte rispetto alla prima versione dell'emendamento: si tratta dell'unico intervento operato sul testo. La riformulazione, dunque, interviene soltanto sull'esenzione dalla raccolta delle firme legata al risultato delle ultime elezioni politiche: oltre alle forze politiche dotate di almeno un gruppo parlamentare al momento dell'indizione delle elezioni (Fdi, Lega, Fi, Pd, M5S, Alleanza Verdi e Sinistra, Italia viva, Azione, Noi Moderati) e a quelle che hanno superato la soglia di sbarramento del 3% (ottenendo seggi "in ragione proporzionale": è il caso, oltre che di quasi tutti i partiti indicati prima, del Movimento associativo italiani all'estero), quindi, l'emendamento concede l'esonero dalla raccolta firme alle forze politiche che, avendo partecipato alle ultime elezioni politiche "con proprio contrassegno", hanno eletto almeno una persona nei collegi uninominali
La nuova formulazione consente innanzitutto di dare più senso all'espressione "ottenuto almeno un seggio", perché è chiaro che essere ammessi al riparto proporzionale, grazie al superamento della soglia di sbarramento, porta inevitabilmente a ottenere più eletti (con la significativa eccezione della circoscrizione Estero, in cui è possibile ottenere anche un solo seggio in ragione proporzionale, com'è accaduto in questa legislatura al Maie). Ora, quindi, è certamente sufficiente che un partito abbia presentato proprie liste e che, pur non avendo superato il 3%, abbia ottenuto almeno un o una parlamentare nei collegi uninominali: in questo modo, sarebbero esenti dalla raccolta firme anche +Europa e Sud chiama Nord, come pure Centro democratico (che ha eletto Bruno Tabacci alla Camera nel collegio Milano - Loreto), ma anche l'Union Valdôtaine, la Südtiroler Volkspartei (Svp) e con ogni probabilità anche il Campobase (che ha eletto il senatore Pietro Patton a Trento): per queste ultime tre forze politiche, infatti, prima non era del tutto certo che potessero essere tutte esenti (c'era un gruppo di minoranze linguistiche e uno di autonomie). La nuova formulazione consente anche di rimediare alla stortura iniziale in base alla quale +Europa che aveva sfiorato il 3% (dunque l'ottenimento di seggi nella quota proporzionale) avrebbe improvvisamente dovuto raccogliere un gran numero di firme, mentre lo stesso onere sarebbe stato risparmiato a Noi moderati, che ha potuto formare un gruppo alla Camera (grazie ad alcuni "prestiti" di deputati) pur avendo ottenuto meno dell'1%. Molto più difficile sarebbe sostenere il diritto di evitare la raccolta firme per quelle forze politiche che hanno partecipato alle elezioni ma senza "proprio contrassegno", pur avendo ottenuto eletti: è il caso per esempio, dei partiti inseriti nel cartello Noi moderati, come Italia al centro (che ha eletto alla Camera Ilaria Cavo e Pino Bicchielli), Coraggio Italia (che conta su Martina Semenzato alla Camera e Michaela Biancofiore al Senato) e l'Unione di centro - Udc (che ha eletto Lorenzo Cesa alla Camera e Antonio De Poli al Senato), visto che il mandante al deposito era il solo Maurizio Lupi e non anche i rispettivi leader politici.
Il nuovo testo dell'emendamento, invece, lascia sostanzialmente chiusa la porta dell'esenzione "per via europea": diventerebbe sempre necessario - quest'anno e in prospettiva - avere partecipato con una lista alle elezioni europee precedenti, avere eletto almeno un europarlamentare in Italia (il che comporta superare il 4%) e, per giunta, essere affiliati a un partito politico europeo costituito in gruppo al Parlamento europeo, con tanto di dichiarazione autenticata del presidente del gruppo stesso. Dovrebbero dunque raccogliere le firme le liste promosse da partiti italiani affiliati a partiti politici europei (rappresentati a Strasburgo) ma privi di eletti in Italia, come Alternativa popolare e Popolari per l'Italia (Ppe), Psi (Pse - S&D), Radicali italiani, Team K e LibDem (Alde - Renew Europe), L'Italia c'è e Tempi nuovi - Popolari Uniti (Pde - Renew Europe), Rifondazione comunista (Partito della sinistra europea), Patto per l'Autonomia, Siciliani Liberi, Süd-Tiroler Freiheit (Efa), Fiamma tricolore e Destre unite / Nuova Italia unita (Aemn - senza proprio gruppo) e Forza Nuova (AFP - senza proprio gruppo); stesso destino avrebbero i partiti italiani affiliati a soggetti politici transeuropei non presenti nel registro europeo dei partiti (come il Partito pirata o Volt) e, a maggior ragione, i partiti italiani che nel 2019 avevano trovato sponda in partiti politici di un altro paese europeo che avevano eletto europarlamentari (allora ci era riuscito il Partito animalista).
L'emendamento riformulato, dunque, allenterebbe un po' la stretta sulle esenzioni, consentendo a un maggior numero di soggetti di presentare liste (o esentare formazioni che vogliano presentarle) ed eliminando alcune vistose disparità che si sarebbero create con la prima versione; la stretta però rimarrebbe e, in caso di approvazione, sarebbe significativa sia perché riguarderebbe la via europea di accesso alle schede elettorali (facendo segnare una battuta d'arresto del rilievo dato ai partiti politici europei, a partire da quelli inseriti nel relativo registro), sia per il tempo in cui l'intervento restrittivo avverrebbe. Oggi, infatti, mancano 70 giorni al termine per presentare le liste, poco più di un terzo del tempo concesso dalle norme sulla validità delle autenticazioni: chi faceva legittimo affidamento sull'esenzione grazie all'adesione al partito politico europeo - sulla base dell'interpretazione "vivente" delle norme in vigore, data nel 2019 dagli uffici elettorali - si troverebbe quasi all'improvviso a dover raccogliere in poche settimane almeno 30mila firme di elettrici o elettori in ognuna delle cinque circoscrizioni (e a procurarsi i relativi certificati di iscrizione alle liste elettorali), avendo cura di raccoglierne almeno 3mila in ciascuna Regione (con tutte le difficoltà legate a centrare l'obiettivo in regioni come la Valle d'Aosta, il Molise o la Basilicata). L'alternativa, ovviamente, sarebbe concorrere ad altre liste, magari esenti a loro volta dall'onere della raccolta.
Chi sostiene che l'obiettivo di raccogliere almeno 150mila firme (nel modo in cui si è detto e - ammesso che serva precisarlo - solo in forma cartacea, non essendo ammessa la firma con lo Spid o altri sistemi affini) sarebbe accessibile perché "il numero [...] non è così alto" forse lo fa pensando che l'asticella delle 150mila sottoscrizioni era allo stesso livello anche nel 1979, quando il corpo elettorale era composto da 42,2 milioni di persone, mentre nel 2019 erano quasi 51 milioni e nel frattempo è aumentato il numero dei soggetti abilitati ad autenticare le firme. Non si può però non sottolineare che alle elezioni politiche negli ultimi anni la soglia di sottoscrizioni da raggiungere è decisamente più bassa: nel 2018 per partecipare alle elezioni della Camera sarebbero state necessarie 94500 firme (e divennero 23625 grazie a una modifica una tantum, analoga a quella che ridusse le sottoscrizioni necessarie a un quarto del minimo previsto nel 2013, "sconto" di cui beneficiarono - per fare due esempi - il MoVimento 5 Stelle e Fratelli d'Italia); nel 2022 ne sarebbero servite 73500 (ridotte a 36750 trattandosi di voto anticipato). Di fronte a questi dati, ferma restando l'opportunità che una forza politica dimostri di avere un minimo di consistenza già prima del voto, sembra più difficile parlare di numero "non così alto", specie se "imposto" a circa 70 giorni dal voto: poco da obiettare se le stesse regole fossero previste per le elezioni del 2029, mentre qualche rilievo (almeno) di opportunità sorge nel voler applicare queste regole già ora (un pensiero che si potrebbe estendere, retroattivamente, all'introduzione dello sbarramento del 4% avvenuta nel 2009, ma almeno allora la discussione in Parlamento iniziò prima).
Resta dunque da vedere come si svolgerà il dibattito, quale sarà il parere del Governo e l'esito del voto sul punto, così come su altre questioni rilevanti, in particolare il limite ai mandati dei sindaci. Restando in tema di elezioni comunali, però, vale la pena segnalare che oggi pomeriggio alla Camera in commissione Affari costituzionali è ripresa la discussione del "ddl Pirovano - ex Augussori" già approvato dal Senato circa un anno fa, volto a rendere stabile la riduzione del quorum di validità delle elezioni amministrative nei comuni fino a 15mila abitanti in caso di presentazione di una sola lista (passando al 50% al 40%, scomputando a tale fine gli iscritti all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero che non abbiano votato), prevista una tantum anche dal "decreto elezioni 2024", ma anche a reintrodurre la raccolta firme nei comuni "sotto i mille" (da 5 a 10 nei comuni fino a 500 abitanti, da 10 a 20 nei comuni fino a 750 abitanti, da 15 a 30 nei comuni fino a 1000 abitanti). Se la commissione approvasse il testo in breve e il testo approdasse in aula in tempi ragionevoli, le norme potrebbero entrare in vigore già per queste elezioni comunali (il deposito delle liste è previsto tra il 10 e l'11 maggio). Pure qui si tratterebbe di norme che diverrebbero efficaci a ridosso del voto, ma il Parlamento ne discute da tempo (fin dalla scorsa legislatura) e oggettivamente limiterebbero assai poco l'accesso al meccanismo elettorale, ponendo in compenso un argine ragionevole alle iniziative degli extra muros che in più casi - a seguito di comportamenti poco commendevoli - hanno inciso negativamente sulla genuinità dell'esito elettorale e sul funzionamento delle istituzioni.

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