venerdì 9 febbraio 2024

Dimensione cristiana, un simbolo per ricordare Maria Fida Moro

L'autore di queste righe non ha mai conosciuto Maria Fida Moro, scomparsa due giorni fa a 77 anni, eppure ha incontrato le sue parole molto tempo fa, alla scuola elementare, quando un "libro di lettura" - così veniva chiamato spesso il volume adottato per la materia genericamente chiamata "Italiano" - riportò tra vari brani di prosa anche uno stralcio del suo primo libro, decisamente autobiografico: La casa dei cento Natali. Di quelle righe è rimasto il ricordo di un'atmosfera semplice e genuina, senza che quel bambino sapesse nulla dell'autrice, del ruolo politico avuto dal padre e dei 55 giorni più cupi del 1978 iniziati il 16 marzo con il rapimento di Aldo Moro in via Fani e conclusi il 9 maggio con il ritrovamento del cadavere del presidente della Democrazia cristiana in una Renault 4 rossa parcheggiata in via Caetani. 
Qualche manciata di anni dopo, in un cestone di libri della biblioteca cittadina offerti agli utenti a una cifra simbolica quel non più bambino - divenuto nel frattempo un losco figuro, per giunta #drogatodipolitica - scorse proprio un'edizione economica di quel libro, ormai piuttosto difficile da trovare, e se ne appropriò immediatamente. Ritrovò nelle prime pagine quegli episodi di vita familiare (così insolitamente normali, per avere come protagonista un ministro e presidente del Consiglio) e si lasciò colpire dall'immagine offerta da un breve passaggio, ponte tra innocenza e apocalisse, di cui sarebbe stato sempre grato all'autrice: "Ho sempre pensato alla mia casa come ad un rifugio sicuro e lieto, tanto lieto che sembrava che lì fosse molto spesso Natale. La mia casa e la mia famiglia sono abbinate, nel mio cuore, all'idea del Natale. E nella casa dei cento Natali io ho vissuto serena, nonostante le difficoltà, fino al giorno dell'apocalisse, quando la cattiveria umana è venuta a frantumare tutte le certezze, in una volta sola, un qualsiasi giovedì di marzo".
Quel giovedì di marzo e il suo seguito di violenza, sangue e verità mai del tutto emerse ha di certo segnato il resto della vita di Maria Fida Moro: in uno degli ultimi eventi pubblici cui partecipò - e di cui questo sito si è occupato, trattandosi di una nuova pagina nel racconto delle vicende post-Dc, vale a dire l'assemblea "Popolari 101" del 18 gennaio 2020, una manciata di giorni prima dell'inizio dell'epoca Covid-19 per l'Italia - ribadì la sua convinzione che il padre fosse stato ucciso "non a caso, ma per il suo progetto politico dell'Europa, un progetto mazziniano, antico, fatto di contenuti e non solo di tappeti rossi e di fiori" e lamentò tra lo stupore generale che la legge n. 206/2004 prevedesse benefici per le vittime del terrorismo ma fosse "inapplicabile ad Aldo Moro" (e solo lo scorso anno la Camera ha di fatto esteso - secondo le dichiarazioni della stessa Maria Fida Moro, su impulso della presidente del Consiglio Giorgia Meloni - quei benefici anche ai discendenti dell'esponente democristiano ucciso dalle Brigate Rosse). 
Oltre all'impegno per difendere la memoria del padre (pure attraverso un'incessante ricerca della verità, al di là di ogni "versione ufficiale"), questo sito vuole ricordare l'impegno politico di Maria Fida Moro, segnato da varie candidature, ma non solo. Per quanto se ne sa, la prima candidatura di rilievo - la sola sfociata in un'elezione - risale al 1987 (undici anni dopo l'ultima candidatura nazionale di Aldo Moro, avvenuta però alla Camera, nel collegio di Bari-Foggia), quando la Democrazia cristiana scelse di candidarla al Senato, in Puglia, nel collegio di Bitonto: staccò gli altri candidati con oltre 49mila voti (il 35,41%, ben più alto del 21,11% del Pci, del 18,31% del Psi - che candidò Gennaro Acquaviva - e del 10,32% del Msi, per fermarsi ai partiti con un risultato a due cifre; Moro riuscì così a ottenere uno degli otto seggi spettanti alla Dc in quella regione, entrando nel gruppo di Palazzo Madama contrassegnato dallo scudo crociato.
Nel mese di ottobre del 1990, tuttavia, durante il restauro dell'appartamento milanese di via Monte Nevoso che le Br avevano usato come covo, emersero varie lettere inedite (e non spedite) di Aldo Moro, contenenti giudizi molto duri su vari esponenti della Dc. Pochi giorni dopo Maria Fida Moro annunciò l'intenzione di abbandonare il partito: lasciò il gruppo il 7 marzo del 1991, approdando da indipendente a quello della Rifondazione comunista (presieduto da Lucio Libertini). Lei stessa, oggetto di feroci critiche dal mondo cattolico per quella decisione, in una nota parlò di una scelta "maturata liberamente e spontaneamente. Fermo restando che io rimango quella che sono e che sono sempre stata, e le cose in cui credo son quelle, spero di aver finalmente l'opportunità di sentirmi membro di un gruppo, cioè accettata a pieno titolo nonostante il mio cognome. Ribadisco la mia amicizia nei confronti di tutti i parlamentari di qualsiasi partito ed in particolare di coloro che mi hanno accolto in senato riconoscendomi in buona fede e trattandomi con lo stesso rispetto che io dedico a tutti. 
ho scelto, sull'esempio di mio padre, di vivere la politica come servizio e di stare sempre dalla parte degli ultimi. non sono comunista più di quanto non sia stata democristiana, perché non credo nelle etichette, ma nelle persone. Considero di essere approdata in uno spazio libero dove dalle differenze nasca la possibilità di un mondo migliore". In quel momento - poco più di un mese dopo la fine del XX (e ultimo) congresso del Pci e la trasformazione di quel partito in Pds con la scissione a sinistra - Rifondazione comunista non aveva ancora un simbolo definito, anche perché il partito di Sergio Garavini, Libertini e Armando Cossutta rivendicava per sé il nome e l'emblema del Pci (e il nome indicato nell'atto costitutivo era proprio "Partito comunista italiano", mentre l'etichetta del gruppo parlamentare era dichiaratamente provvisoria): solo il 26 aprile sarebbe arrivata l'ordinanza con cui il Tribunale di Roma inibiva al "sedicente" Pci l'uso delle vecchie insegne, ma nel frattempo si erano dovute depositare le liste per varie elezioni comunali del 12 maggio e i rifondatori comunisti, nei non pochi casi in cui il simbolo originale del Pci non era stato ammesso, avevano dovuto escogitare soluzioni grafiche alternative.  
Già prima che Rifondazione comunista tenesse il suo primo congresso (a dicembre del 1991), però, Maria Fida Moro lasciò il gruppo, probabilmente non condividendo il ricorso "guerresco" all'ostruzionismo parlamentare (e altri atteggiamenti del nascente partito): alla fine di novembre passò al gruppo misto e lì terminò la X legislatura. Alle elezioni politiche del 1992 fu il Partito socialista italiano (quello in versione "allargata", con "Unità socialista" nel simbolo) a candidarla, sempre al Senato e sempre in Puglia, ma in quel caso direttamente nel collegio di Bari; gli oltre 24mila voti ottenuti (pari al 15,36%) furono battuti solo dai 39mila del democristiano Luigi Ferrara Mirenzi, ma superiori ai consensi raccolti dalle persone candidate dal Msi (terzo partito in quel collegio), dal Pds, dal Psdi (che proponeva Mimmo Magistro, futuro segretario), dal Pri e da altre formazioni, incluso il partito che l'aveva accolta nel suo gruppo nei mesi precedenti, Rifondazione comunista (che aveva schierato Luciano Canfora), ma la percentuale del Psi in Puglia era stata più alta (17,22%), così quello di Maria Fida Moro non poté risultare uno dei quattro risultati relativi migliori in regione, in grado di aggiudicarsi un seggio.
Se molto scalpore aveva destato l'adesione al gruppo rifondatore comunista, 
a novembre del 1993 non fece meno discutere la candidatura come sindaca del comune di Fermo per il Movimento sociale italiano - Destra nazionale (ottenne il 5,44% e divenne consigliera): "Voglio verificare - dichiarò - se nel nostro paese esistono ancora degli spazi democratici". Già in primavera Maria Fida Moro aveva iniziato a scrivere sul settimanale L'Italia, diretto da Marcello Veneziani e legato alla "nuova destra". ''Mi ferisce ancora nel ricordo - scrisse - l'episodio che mi ha convinta ad uscire da Rifondazione a causa di una mia doverosa difesa dell'onorevole Fini (che in quel momento neppure conoscevo di persona e del quale non condivido le idee, per esempio sulla pena di morte) gratuitamente emarginato da un incontro pubblico in nome dell'antifascismo. Antifascismo che però non ha impedito neanche un anno e mezzo più tardi a Rifondazione comunista di far parte del fronte del No insieme al Msi".
Già alla fine di febbraio del 1994, dopo aver concorso ai primi passi della futura Alleanza nazionale, Maria Fida Moro scrisse una lettera aperta a Gianfranco Fini per manifestare la sua delusione sul nascente progetto politico: "Per un anno io ho parlato in pubblico di Alleanza nazionale e mi era stata descritta come cosa altra e diversa da quella che vedo prefigurarsi ora. E questo non è giusto, perché io ho fatto da amplificatore ad un messaggio che ritenevo valido e credibile, ma che purtroppo non corrispondeva ad alcuna realtà". Non fu più candidata alle elezioni politiche, mentre partecipò alle elezioni europee del 1999: fu una sorta di ritorno a casa, visto che si presentò sotto le insegne di Rinnovamento italiano - Lista Dini, che aderiva al Partito popolare europeo; le 858 preferenze ricevute nella circoscrizione centrale e le 987 raccolte in quella meridionale, però, la tennero lontana dall'unico seggio conquistato dalla lista (andato a Pino Pisicchio).
Maria Fida Moro si avvicinò poi all'area radicale, aderendo al Partito radicale nonviolento transnazionale transpartito e a Radicali italiani (entrò anche nella giunta di segreteria di quest'ultimo soggetto a febbraio del 2007, su richiesta della segretaria Rita Bernardini e della tesoriera Elisabetta Zamparutti): "Non perfetti, ma buffi, persone che tra valanghe di parole sono capaci di compassione", disse nel sintetizzare l'identità delle persone che davano corpo a quell'area. Nel 2021 aderì anche a Nessuno Tocchi Caino, nell'anno in cui proprio il volto e le parole di Aldo Moro furono impiegate nella nuova campagna di iscrizioni: "Lo faccio per papà, mi iscrivo a Nessuno Tocchi Caino. Mi iscrivo, tra parentesi, ad Aldo Moro" disse la figlia, secondo il ricordo che ne ha dato ieri Sergio D'Elia sull'Unità, aggiungendo anche qualche riflessione sul rapporto tra la figlia di Moro e Marco Pannella: "per Maria Fida era un 'mito', il fratello maggiore che aveva provato contro tutto e contro tutti a salvare il suo amato padre da chi era convinto che un nobile fine potesse essere perseguito con qualsiasi mezzo".
Proprio a sostegno di una figura nata in area radicale arrivò l'ultima candidatura di Maria Fida Moro, quando nel 2016 concorse alla lista Più Roma - Democratici e popolari per appoggiare la corsa di Roberto Giachetti a sindaco della capitale: lei ottenne 428 preferenze e Giachetti perse il ballottaggio contro Virginia Raggi. Volendo però cercare di raccontare un'esperienza politica decisamente personale e caratterizzante per la figlia primogenita di Aldo Moro, non si può prescindere dal partito politico che fu fondato a Bari alla fine di maggio del 2013 da lei (come vicepresidente) e dal figlio Luca Moro (presidente): Dimensione cristiana con Moro. Nelle iniziali delle prime due parole evocava la Dc, il simbolo conteneva uno stendardo bianco crociato su fondo azzurro, inserito in una corona blu, con il cognome "Moro" evidenziato in un cartiglio: "Abbiamo preso questa decisione - spiegò Maria Fida Moro all'agenzia Adnkronos commentando la scelta di fondare il movimento politico centrista - per due ragioni etiche: fare uscire Aldo Moro dal portabagagli e rimetterlo al centro della vita politica italiana e per ridare peso e valenza alle parole perdute della politica". Il simbolo descritto non finì mai al Viminale e non è dato sapere se abbia partecipato a qualche consultazione elettorale; di certo, però, rappresenta una pagina grafica e "simbolica" che non si può ignorare, specie nel momento in cui si augura a Maria Fida Moro che la terra le sia lieve.

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