giovedì 15 febbraio 2024

Decreto elezioni 2024, norma "strozza esenzioni" in arrivo?

Dal 1° febbraio è iniziato presso la I commissione (Affari costituzionali) del Senato l'esame del disegno di legge di conversione del "decreto elezioni 2024", di cui si è parlato nei giorni scorsi. Come si è visto, il testo contiene disposizioni di varia natura, alcune effettivamente legate alle consultazioni elettorali di quest'anno, altre dalla portata decisamente più ampia, a partire dalle norme sul limite dei mandati consecutivi per i sindaci.
Trattandosi del procedimento di conversione di un decreto-legge (che dunque deve concludersi entro 60 giorni dall'entrata in vigore del decreto stesso, pena la sua decadenza fin dall'inizio), si è di fronte a una potenziale "corsia preferenziale" per introdurre in fretta regole di cui si vuole ottenere una pronta entrata in vigore senza attendere gli ordinari tempi parlamentari. Per questo vale la pena passare in rassegna gli emendamenti presentati dalle forze politiche in commissione, per capire su quali innovazioni si sta puntando, e quali potrebbero avere più possibilità di recepimento nei prossimi giorni: tra questi, uno sembra tagliare drasticamente il numero di forze politiche esentate dalla raccolta firme, rendendo praticamente inutile il ricorso all'esonero grazie alla presenza al Parlamento europeo.

Il dibattito sin qui

Vale innanzitutto la pena dare conto del dibattito parlamentare che si è svolto sin qui sulla materia del decreto. Dopo la seduta del 1° febbraio - in cui si è semplicemente presentato il testo del decreto da convertire - il giorno 6 si è svolta la discussione generale: questa non è stata troppo estesa, a giudicare dalla lunghezza del resoconto, ma soprattutto ha riguardato essenzialmente - come era prevedibile - la questione dei limiti ai mandati consecutivi dei sindaci. 
Decise contrarietà sono arrivate da Alleanza Verdi e Sinistra (per cui si è espresso Tino Magni) e dal MoVimento 5 Stelle (è intervenuto il senatore Roberto Cataldi): il giudizio è negativo soprattutto sull'abolizione del limite ai mandati nei comuni fino a 5mila abitanti, sottolineando che - usando le parole di Cataldi - "nei piccoli centri il sindaco gode sicuramente di una posizione di privilegio nei confronti di un futuro concorrente, in quanto può utilizzare i beni pubblici e avere a disposizione disponibilità economiche per realizzare iniziative ed eventi spesso strumentalmente collegati alle attività amministrative, e quindi ne riceve un indubbio vantaggio competitivo". Per Magni si dovrebbe puntare piuttosto sul rafforzamento delle assemblee elettive, il che dovrebbe far rifiutare anche l'aumento da due a tre dei mandati consecutivi possibili nei comuni di fascia "media" (tra 5mila e 15mila abitanti"), anche perché - ha continuato Magni - "vi è il rischio di una ulteriore estensione": con riguardo ai comuni superiori, è intervenuto nei giorni scorsi il presidente di Anci Antonio Decaro, mentre è noto che più di un presidente di giunta regionale ha espresso desideri analoghi. Desideri che però - sempre secondo Magni - potrebbero indurre a commettere "un tragico errore, in quanto già si verifica una concentrazione del potere nelle mani di una sola persona a causa dell'elezione diretta" (per cui potrebbe essere una migliore soluzione "disgiungere l'elezione del vertice da quella delle assemblee", che ovviamente sarebbe cosa diversa dal semplice "voto disgiunto" oggi previsto, perché contemplerebbe ancora la possibilità di stringere coalizioni, ma elimerebbe ogni collegamento tra liste e candidato sindaco e ogni automatica attribuzione di voti in caso di esclusivo voto di lista).
Più possibilista si è dimostrata Mariastella Gelmini, senatrice di Azione, che ha riconosciuto che "nei piccoli centri o nelle aree montane [...] si fatica a creare anche una sola lista per la scarsità di candidati", esprimendosi "a favore dell'eliminazione del limite di mandati per i Comuni sotto i 15.000 abitanti" (espressione che va dunque oltre la previsione del testo del decreto, che innalza ma mantiene il limite per i comuni medi) e valutando anche l'abolizione per i comuni superiori.
Per la maggioranza sono intervenuti - a vario titolo - solo esponenti di Fratelli d'Italia: il loro parere peraltro è assai rilevante, quali rappresentanti del partito con più seggi e che esprime la Presidente del Consiglio e che, dunque, ha più possibilità di ottenere l'approvazione di determinate norme. Si è espresso per primo Costanzo Della Porta, sindaco di San Giacomo degli Schiavoni (comune di poco sopra i mille abitanti della provincia di Campobasso), confermando le difficoltà di trovare potenziali candidati, negando che la fidelizzazione tra votanti e sindaco sia un aspetto patologico (dimostrerebbe invece "che la gestione amministrativa è stata efficiente, altrimenti il primo cittadino non sarebbe rieletto") e dimostrando apertura all'abolizione del limite ai mandati consecutivi per tutti i comuni "inferiori"; ha però confermato che il problema della resistenza alla candidatura non esiste "per i centri più grandi".
Ha accolto queste riflessioni anche il presidente della I commissione, Alberto Balboni, pur con qualche riserva in più sull'ampliamento del "mandato libero": il senatore di Fdi ha fatto intendere che avrebbe preferito che il limite ai mandati consecutivi fosse limitato ai comuni fino a 3mila abitanti, ma ha ritenuto che la soluzione individuata dal decreto sia "equilibrata", mentre "l'ampliamento del numero dei mandati per i Comuni di medie dimensioni potrebbe dare adito a qualche dubbio" e sarebbe inopportuno allentare il limite per i comuni superiori.
Da ultimo si è registrato l'intervento della sottosegretaria Wanda Ferro, che ha confermato - dati del Viminale alla mano - la difficoltà di trovare potenziali sindaci nei comuni più piccoli, facendo cenno anche ad alcune malepratiche non così rare (come il tentativo "di aggirare la norma facendo candidare una persona di fiducia del sindaco uscente, per consentirgli di continuare a governare indirettamente", ma si potrebbe anche citare il ricorso consapevole al commissariamento per mancanza di candidati, cosa che consente l'anno dopo all'ultimo sindaco di ripresentarsi); la stessa sottosegretaria di Fdi, peraltro, ha segnalato come la possibilità del terzo mandato nei comuni medi sia stata "concordata con l'ANCI, che aveva più volte sollecitato un intervento per risolvere le difficoltà che si presentano soprattutto nei casi in cui c'è una sola lista" (sollecitazioni che, com'è noto, si sono tradotte nelle misure una tantum di abbassamento del quorum dei votanti) e ha sottolineato che eventuali "logiche di fidelizzazione basate sul mero principio del do ut des" non metterebbero in ombra il concetto di democrazia da tradurre come "possibilità per l'elettore di compiere una scelta libera e consapevole, premiando il bravo amministratore".
L'unico intervento del Pd è stato del senatore Dario Parrini, a proposito dell'applicazione del limite dei mandati alle città capoluogo di provincia che siano però comuni inferiori (come Urbino): secondo Balboni dovrebbe prevalere "lo status dell'ente", prevedendo dunque la permanenza del limite dei due mandati.
Il dibattito è stato riaggiornato a martedì 13 febbraio, ma in quella sede il presidente Balboni si è limitato a dare conto della presentazione di 41 emendamenti, rinviando l'esame dei testi (si parla ormai della prossima settimana): al momento, dunque, tutto è fermo. 
 

Gli emendamenti presentati

Esaurito il resoconto del dibattito, occorre parlare ora degli emendamenti presentati (il limite è scaduto a mezzogiorno di lunedì 12 febbraio), che riguardano vari aspetti del decreto, anche (solo) apparentemente marginali. Il M5S, per esempio, chiede che sia aumentato il compenso ai componenti degli uffici elettorali di sezione (presidente, scrutatori e segretario) in misura maggiore di quanto già fatto dal decreto-legge; i tre partiti maggiori del centrodestra, invece, hanno chiesto di spostare al 29 settembre 2024 il termine per svolgere le elezioni provinciali (prorogando il mandato degli organi in carica).
C'è poi una serie di emendamenti presentati dal MoVimento 5 Stelle (attraverso Alessandra Maiorino e Roberto Cataldi), volti ad agire in vario modo sulla "macchina elettorale". Una delle proposte, per esempio, prevede il ritorno stabile a due "finestre" elettorali l'anno, con il voto tra il 15 aprile e il 15 giugno (o fino alla data delle elezioni europee, se in futuro fosse fissata più avanti) se il mandato degli organi scade nel primo semestre (o se la causa di scioglimento del consiglio diversa dalla fine mandato si sia verificata tra il 20 agosto dell'anno precedente e prima del 24 febbraio), oppure tra il 15 ottobre e il 15 dicembre ove gli organi scadano nel secondo semestre (o qualora la causa estintiva si sia verificata tra il 24 febbraio e il 19 agosto); lo stesso emendamento disciplina meglio e in modo stabile l'accorpamento di consultazioni elettorali (election day), abbinando automaticamente la data del voto amministrativo a quella delle elezioni europee, politiche o dei referendum che debbano eventualmente tenersi (la regola dell'accorpamento vale anche, in subordine, in caso di elezioni regionali, prendendo come riferimento - qualora le Regioni votino in giorni diversi - la "data in cui è convocato il maggior numero di elettori per le elezioni regionali"; altre parti dell'emendamento agiscono sulla "legge cornice" in materia di elezioni regionali - la legge n. 165/2004 - per agevolare l'accorpamento delle consultazioni ampliando la "forchetta" temporale per lo svolgimento delle elezioni regionali e chiedendo al Viminale di verificare "tempestivamente con le regioni interessate [...] la possibilità di coordinare la data per lo svolgimento delle elezioni regionali con la data delle altre consultazioni elettorali nel medesimo semestre al fine di permetterne lo svolgimento contestuale"); la possibilità di election day sarebbe facilitata anche norme ad hoc per i referendum (inclusa l'inedita previsione di due turni anche per quelle consultazioni, a seconda della data di ammissione dei quesiti da parte della Corte costituzionale).
Altri emendamenti a 5 Stelle toccano un tema delicato e annoso: lo svolgimento del voto in luoghi diversi dalle scuole. Da una parte ci si propone di creare il "Fondo per il voto anticipato e presidiato", volto a "introdurre in via sperimentale [...] modalità di espressione del voto che ne consentano l'anticipo e il presidio presso sedi, diverse dagli istituti scolastici, appositamente abilitate o autorizzate per il tramite di un certificato elettorale digitale [...] di una apposita applicazione informatica" realizzata dalla Presidenza del Consiglio in collaborazione con il Viminale; dall'altro lato, si suggerisce una nuova erogazione di contributi a favore dei comuni che individuino entro il 15 aprile 2024 sedi di seggio diverse dalle scuole (purché, anche stavolta, abbiano gli stessi requisiti individuati dalla legge). Il M5S propone anche di vietare le assunzioni di dipendenti "da parte delle aziende speciali, delle istituzioni e delle società a partecipazione pubblica locale o regionale, totale o di controllo" nei 60 giorni che precedono o seguono le elezioni comunali o regionali, "limitatamente ai comuni o alle regioni interessati", di consentire il voto alle persone impegnate "in operazioni di soccorso e di sostegno alle vittime di terremoti o di altre calamità naturali" nel comune in cui operano (al pari delle forze dell'ordine) e di ridurre gli spazi per le affissioni elettorali (le plance/tabelloni da installare appositamente, con una spesa tutt'altro che trascurabile) nei comuni superiori a 10mila abitanti, probabilmente prendendo atto di una tendenza sempre più diffusa a usare meno i manifesti tradizionali.
Altre proposte riguardano il voto dei "fuori sede", tema su cui peraltro si sta discutendo sempre in I commissione (ci sono sei disegni di legge abbinati). Fratelli d'Italia propone una sperimentazione, relativa alle sole elezioni europee del 2024, del voto per coloro che siano "per motivi di studio [...] temporaneamente domiciliati, per un periodo di almeno tre mesi nel quale ricade la data di svolgimento della predetta consultazione elettorale, in un comune italiano situato in una regione diversa da quella in cui si trova il comune nelle cui liste elettorali sono iscritti": si prevede la possibilità di votare in quello stesso comune di domicilio temporaneo se fa parte della stessa circoscrizione elettorale per le europee, oppure nel capoluogo della regione di temporaneo domicilio, in sezioni elettorali speciali in cui le persone possono votare - negli stessi giorni previsti per il voto "normale" - con le schede delle loro circoscrizioni (stampate in loco, ognuna con un'urna dedicata). Per accedere a questa possibilità occorre presentare apposita domanda al proprio comune di iscrizione nelle liste elettorali almeno trentacinque giorni prima della data del voto. Il MoVimento 5 Stelle, invece, prevede in modo più ampio che per i referendum (abrogativi e costituzionali) e per le elezioni europee tutti coloro che "per motivi di lavoro, studio o cure mediche, si trov[i]no in un comune di una regione diversa da quella del comune nelle cui liste elettorali risultano iscritti" possano dichiarare al loro comune di residenza - fino a 30 giorni prima del voto - di voler votare nel comune di lavoro/studio/cura; a differenza della proposta di Fdi, tuttavia, non è regolato in dettaglio il meccanismo del voto (dunque, con riguardo alle europee, non si dice cosa accada se la regione diversa da quella di residenza appartenga anche a una circoscrizione diversa).
Con riferimento alle province (e non solo per il momento elettorale, a quanto pare), Forza Italia chiede che a queste si applichi - oltre che la c.d. "legge Delrio" - anche il testo unico degli enti locali (Tuel), per quanto compatibile. Un diverso emendamento (della Lega, presentato da Daisy Pirovano e Paolo Tosato) farebbe venire meno l'incompatibilità tra le cariche di consigliere provinciale e assessore della rispettiva giunta, incompatibilità che rimarrebbe per i comuni superiori; i forzisti Claudio Lotito e Dario Damiani, invece, chiedono che si precisi la previsione delle ineleggibilità specificando che quella relativa a dipendenti di comune, provincia e regione per i rispettivi consigli valga solo per coloro "che svolgano, al momento della candidatura al rispettivo consiglio, funzioni e attività amministrative". 
Un emendamento presentato dal senatore Ernesto Rapani (Fdi) punta invece a rivoluzionare profondamente il sistema elettorale dei comuni superiori, eliminando la possibilità del "voto disgiunto" o del voto al solo candidato sindaco. Ulteriori proposte di modifica presentate da Azione (con Gelmini) e Fratelli d'Italia (con Marco Silvestroni) si occupano della rendicontazione delle spese di propaganda elettorale alle elezioni amministrative. Fdi chiede inoltre che i soggetti autenticatori individuati dall'art. 14 della legge n. 53/1990 possano autenticare anche le sottoscrizioni per i referendum previsti dal Tuel (quindi i referendum in ambito locale).
Meno chiaro, almeno a prima vista, è il significato dell'emendamento forzista (che porta le firme di Occhiuto, Maurizio Gasparri e Daniela Ternullo), in base al quale, con riguardo alle consultazioni elettorali e referendarie previste per il 2024 e non ancora indette, "non si applicano le disposizioni in materia di tessera elettorale" dettate dal d.P.R. n. 299/2000: si vuole forse tornare ai certificati elettorali, sostituiti con la tessera elettorale da bollare proprio dal decreto presidenziale appena citato?
Lega e Forza Italia (con due emendamenti quasi identici) hanno poi chiesto che le risorse stanziate a favore dei comuni per l'incremento delle indennità di sindaci, assessori e presidenti dei consigli comunali saranno assegnate a favore di quegli stessi comuni (anche qualora in passato gli amministratori abbiano rinunciato in tutto o in parte alle indennità) fino alla fine del 2025 (e non più del 2023). La Lega ha dedicato attenzione anche alle circoscrizioni di decentramento comunale, da una parte proponendo di renderne più facile la costituzione (rendendole già possibili in comuni con almeno 80mila abitanti, non più 100mila e abrogando i limiti introdotti nel 2009), dall'altra consentendo di applicare alle circoscrizioni dei comuni con oltre 300mila abitanti "le vigenti disposizioni in materia di aspettative, permessi ed indennità, applicabili ai comuni aventi uguale popolazione".
Sempre Lega e Forza Italia, in più, hanno presentato due emendamenti volti - a quanto pare - a limitare il più possibile le responsabilità dei sindaci e presidenti provinciali, quali organi politici, "nel rispetto del principio di separazione tra funzioni di indirizzo politico - amministrativo e gestione amministrativa": si preciserebbe che quelle figure sono "gli organi responsabili politicamente dell'amministrazione del comune e della provincia" (il corsivo indica la parola aggiunta) e si aggiungerebbe che "esercitano le funzioni di indirizzo politico-amministrativo loro attribuite, definendo gli obiettivi ed i programmi da attuare ed adottando gli altri atti rientranti nello svolgimento di tali funzioni, e verificano la rispondenza dei risultati dell'attività amministrativa e della gestione agli indirizzi impartiti", mentre sindaci e presidenti provinciali non sovrintederebbero più "al funzionamento dei servizi e degli uffici e all'esecuzione degli atti", così come non si sarebbe più responsabilità dell'esercizio o del mancato esercizio di poteri di ordinanza contingibile e urgente in caso di emergenza sanitaria, igiene pubblica, incuria del territorio o minacce all'incolumità pubblica e sicurezza urbana (mentre la responsabilità "dell'attività amministrativa, della gestione e dei relativi risultati" sarebbe solo dei dirigenti, che avrebbero "autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo").

In particolare, sul limite ai mandati

Come era prevedibile, non pochi emendamenti si concentrano sul tema del limite ai mandati consecutivi. Dei sindaci, come ha già fatto il decreto, ma anche ai presidenti delle giunte regionali: la Lega, infatti, ha presentato una proposta volta a intervenire sulla "legge cornice" che fissa i principi in materia di elezioni regionali per le regioni a statuto ordinario il limite di tre mandati consecutivi per i presidenti. L'emendamento, di Tosato, Mara Bizzotto ed Erika Stefani, precisa che l'innalzamento del limite opererà per le prime elezioni successive alle leggi regionali di attuazione del nuovo principio: insomma, per Liguria, Veneto, Campania, Puglia e - in teoria - Emilia-Romagna (regioni in cui si pone a breve la questione del terzo mandato) ci sarebbe tempo qualche mese per approvare la legge regionale. 
Tornando ai mandati dei sindaci, ci sono varie proposte in campo. Se il M5S propone semplicemente, come anticipato, di riportare il limite alla situazione pre-decreto (tre mandati per i comuni fino a 5mila abitanti, due mandati per tutti gli altri), il senatore Meinhard Durnwalder (Svp) presenta parecchie alternative: eliminare ogni limite ai mandati; estendere il limite del terzo mandato a tutti i comuni superiori a 5mila abitanti e alle province, con possibilità di un quarto mandato se una consiliatura è durata meno della metà e non è finita per dimissioni, conservando l'assenza di limite per i comuni più piccoli (la Lega, con Bizzotto e Tosato, ha proposto un'idea simile, priva della possibilità del quarto mandato in caso di consiliatura piucchedimezzata); estensione della possibilità del terzo mandato consecutivo ai comuni fino a 30mila abitanti; riserva di competenza in materia di enti locali per le regioni a statuto speciale (che evidentemente potrebbero regolare a loro modo anche la questione dei mandati).
Forza Italia, per parte sua, ha presentato due emendamenti: uno, a firma di Mario Occhiuto, estende l'innalzamento del limite al terzo mandato anche ai comuni "sorti a seguito di fusione anche per incorporazione nell'ultimo mandato amministrativo" (evidentemente potendo risultare un comune superiore a 15mila abitanti); l'altro, presentato da Francesco Silvestro, modifica il Tuel consentendo il terzo mandato consecutivo anche se si dimette volontariamente entro un anno dall'elezione un sindaco che debba convivere con una situazione in cui le liste collegate a uno dei suoi sfidanti "abbiano superato il 50 per cento dei voti validi" (il che porta, verosimilmente, a una situazione di "anatra zoppa", che nega la maggioranza al sindaco). Entrambi gli emendamenti, in ogni caso, si occupano di ipotesi marginali e non sono favorevoli - così come dichiarato da Forza Italia, anche attraverso il suo segretario Antonio Tajani - a un'estensione della possibilità del "terzo mandato" ai sindaci dei comuni superiori o ai presidenti delle Regioni ordinarie.

In particolare, l'emendamento "strozza esenzioni" alle europee

L'emendamento più interessante, per chi frequenta questo sito, riguarda certamente le esenzioni dalla raccolta firme per chi aspiri a presentare una lista alle elezioni europee: su questo sito si era ipotizzato fin dall'inizio che in Parlamento si potesse trattare questo tema. Una proposta di modifica presentata da Fratelli d'Italia (sottoscritta da Marco Lisei, Costanzo Della Porta, Andrea De Priamo e Domenica Spinelli), lasciando intatto il numero di sottoscrizioni da raccogliere, sembra ridurre drasticamente i soggetti esonerati dalla raccolta firme. Il testo dell'emendamento - mostrato per primo questa mattina da PublicPolicy - infatti recita così: 
Nessuna sottoscrizione è richiesta per i partiti o gruppi politici costituiti in gruppo parlamentare nella legislatura in corso al momento della convocazione dei comizi anche in una sola delle due Camere o che nell'ultima elezione abbiano presentato candidature con proprio contrassegno e abbiano ottenuto almeno un seggio in ragione proporzionale in una delle due Camere. Nessuna sottoscrizione è richiesta altresì per i partiti o gruppi politici che nell'ultima elezione abbiano presentato candidature con proprio contrassegno ed abbiano ottenuto almeno un seggio in una delle circoscrizioni italiane al Parlamento europeo, e che siano affiliati a un partito politico europeo costituito in gruppo parlamentare al Parlamento Europeo nella legislatura in corso al momento della convocazione dei comizi elettorali. L'affiliazione è certificata a mezzo di dichiarazione sottoscritta dal Presidente del gruppo Parlamentare europeo autenticata da un notaio o da un'autorità diplomatica o consolare italiana. Nessuna sottoscrizione è richiesta, altresì, nel caso in cui la lista sia contraddistinta da un contrassegno composito, nel quale sia contenuto quello di un partito o gruppo politico esente da tale onere.
Salvo errore, ciò significa che non è più sufficiente l'aver eletto almeno un parlamentare alle ultime elezioni politiche o almeno un eurodeputato, ma soprattutto viene completamente disinnescato il meccanismo dell'esenzione attraverso i partiti politici europei per chi non ha avuto eletti. Infatti, sul versante interno, per non dover raccogliere le firme bisogna avere almeno un gruppo parlamentare (è la condizione di Fdi, Lega, Fi, Pd, M5S, Alleanza Verdi e Sinistra, Italia viva, Azione, Noi Moderati, che però inizialmente era una lista comprendente più forze politiche e non il partito evoluzione di Noi con l'Italia; non è chiaro se possano fregiarsi di questa strada i partiti presenti nella denominazione di un gruppo parlamentare, quando questo sia composto, con riferimento a Coraggio Italia, Udc, Italia al centro, Svp) oppure avere ottenuto un seggio "in ragione proporzionale": questo dà spazio al Maie, ma non alle forze politiche che hanno eletto parlamentari nei collegi uninominali restando sotto la soglia di sbarramento (+Europa, Centro democratico, Sud chiama Nord). 
Se si passa invece al versante europeo, è esentato solo chi ha partecipato alle ultime elezioni europee in Italia "con proprio contrassegno" (questo avrebbe di nuovo messo in dubbio un autonomo titolo esonerante per Azione - Siamo Europei, come alle politiche del 2022, ma si è visto che il partito di Calenda ha mantenuto il gruppo alla Camera anche dopo l'uscita di Iv che ha formato un gruppo, in deroga rispetto al requisito numerico minimo al pari di quello di Azione) e ha eletto un europarlamentare in Italia, dovendo per di più sussistere un'affiliazione a un partito politico europeo dotato di gruppo parlamentare (certificata dal presidente del gruppo parlamentare). Il che significa, in soldoni, che in questa legislatura le forze politiche esenti "per via europea" sono solo alcune di quelle che sono già esenti grazie alla rappresentanza parlamentare italiana (Fdi, Lega, Pd, Fi e, volendo, Azione - ex Siamo europei: il M5S non aderisce a partiti o gruppi): la semplice affiliazione a un partito politico europeo o equivalente, secondo la strada aperta dall'Ufficio elettorale nazionale per il Parlamento europeo nel 2014, non permetterebbe più di correre senza firme se non si sono eletti europarlamentari in Italia (la congiunzione "e", anche se preceduta dalla virgola, non sembra lasciare dubbi). 
E se Europa Verde non ha bisogno di quell'esenzione grazie ai parlamentari eletti da Avs, rischia seriamente di chiudersi ogni spazio di esonero dalla raccolta firme per partiti affiliati a partiti europei che potrebbero essere interessati a liste autonome - magari per esentare (anche) altre forze - ma non hanno eletto eurodeputati in Italia (e non hanno nemmeno gruppi parlamentari): è il caso di Alternativa popolare e Popolari per l'Italia (Ppe), Psi (Pse - S&D), +Europa, Radicali italiani, Team K e LibDem (Alde - Renew Europe), L'Italia c'è e Tempi nuovi - Popolari Uniti (Pde - Renew Europe), Rifondazione comunista (Partito della sinistra europea), Alliance Valdôtaine, Comitato Libertà Toscana, Patto per l’Autonomia, Siciliani Liberi, Süd-Tiroler Freiheit e Union Valdôtaine (Efa), ma vale anche per Destre unite / Nuova Italia unita (Aemn - senza proprio gruppo) e per Forza Nuova (AFP - senza proprio gruppo). E nella stessa situazione sarebbero i partiti affiliati a soggetti politici transeuropei non presenti nel registro europeo dei partiti, come il Partito pirata (che non ha un proprio gruppo e comunque non ha eletti in Italia) o Volt o ancora l'Iniziativa dei partiti comunisti e operai d'Europa, cui si appoggiò il Partito comunista di Marco Rizzo nel 2019 anche grazie al collegamento con la Kke; ancor meno possibilità avrebbero coloro che nel 2019 hanno contato sul collegamento esplicito con un partito politico di un paese europeo che aveva eletto all'estero europarlamentari (come riuscì a fare nel 2019 il Partito animalista).
Certamente per qualcuno si può essere di fronte a un riordino di una disciplina che nelle ultime due elezioni europee aveva conosciuto prima una falla e poi uno squarcio, rendendo meno aleatorio l'accesso all'esenzione. In questo modo, però, l'istituto dell'esenzione verrebbe di fatto strozzato, nel senso di molto ridotto in modo repentino, a fronte - come si diceva - del mantenimento del requisito delle 30mila firme per ogni circoscrizione (di cui almeno 3mila in ogni regione), un traguardo davvero difficile da raggiungere. Ridurre così tanto le ipotesi di esenzione - è bene precisarlo - non è di per sé illegittimo: le esenzioni rimaste dovrebbero essere sufficiente segno di "serietà" delle candidature e la lettura "estensiva" data dall'Ufficio elettorale nazionale per il Parlamento europeo nel 2014 era basata sulle disposizioni in vigore, ma il legislatore resta libero di introdurne di nuove, più restrittive; certo è che un numero così alto di firme e non semplici da raccogliere nel modo richiesto può facilmente tradursi in uno sbarramento all'ingresso difficilmente superabile (è vero che nel corso del tempo i requisiti non sono cambiati mentre sono aumentati gli elettori - potenziali sottoscrittori - così come i soggetti autenticatori, ma il traguardo resta davvero molto dispendioso). Aggravare così tanto le eccezioni allo sbarramento, per giunta a tre mesi dal deposito delle candidature (per cui qualche lista che oggi sarebbe certamente esonerata dalla raccolta firme tra pochi giorni potrebbe dover raccogliere almeno 150mila sottoscrizioni: dei 180 giorni prima della fine del periodo per il deposito delle candidature concessi dalla legge per autenticare le firme, tra l'altro, ne restano solo 76), significa di fatto aggravare di molto lo sbarramento all'ingresso, ponendo anche qualche problema di legittimità costituzionale delle norme.
Le schede delle elezioni europee, insomma, si preparano a essere molto più vuote, a meno che in aula qualcosa cambi o spunti un'interpretazione molto diversa del testo, che però sul piano letterale sembra difficile da configurare. Il tutto mentre Michaela Biancofiore (Coraggio Italia) ha presentato un emendamento per introdurre, come principio in materia elettorale regionale, l'esonero dalla raccolta firme per le liste "che, al momento della indizione delle elezioni regionali, sono espressione di forze politiche o movimenti corrispondenti a gruppi parlamentari presenti in almeno uno dei due rami del Parlamento nazionale, sulla base di attestazione resa dal segretario o Presidente del partito rappresentato nel Parlamento": quasi tutte le Regioni, peraltro, prevedono già questa norma e, anzi, contemplano ipotesi molto più ampie di esenzione (basate sulla presenza qualificata in consiglio regionale o sulla semplice presenza in Parlamento).
E visto che si parla di firme, ci si sarebbe sinceramente attesi molto più facilmente un emendamento che recepisse il testo del "ddl Pirovano - ex Augussori", che oltre a stabilizzare il quorum di validità del 40% del corpo elettorale (scomputati gli iscritti ada ire non votanti) reintrodurrebbe un minimo di firme da raccogliere nei comuni #sottoimille. Il testo è già stato approvato dal Senato e in più Daisy Pirovano, sua proponente (e sostenitrice nella scorsa legislatura) è in I commissione e ha presentato altre proposte di modifica. Garantire maggiore genuinità alle liste nei piccoli comuni (evitando iniziative extra muros di serietà non sempre provata), probabilmente, sarebbe più urgente rispetto a preparare il terreno per il terzo mandato ai presidenti di Regione.

Marchi e contrassegni elettorali: due mondi distinti

Da ultimo, vale la pena dedicare un po' di attenzione a un emendamento presentato da Fratelli d'Italia (firmatari ancora Lisei, Della Porta, De Priamo e Spinelli), in materia di marchi d'impresa relativi a simboli usati in campo politico: la proposta di modifica si propone di ritoccare il codice della proprietà industriale in due punti rilevanti. 
Da un lato, l'emendamento interviene sull'art. 8 (relativo alla registrazione come marchi di ritratti, nomi e segni notori), precisando che "La registrazione come marchio di impresa di simboli o emblemi usati in campo politico o di marchi comunque contenenti parole, figure o segni con significazione politica non rileva ai fine della disciplina elettorale e, in particolare, delle norme in materia di deposito di contrassegni, liste dei candidati e propaganda elettorale": con questo sembra che si vogliano evitare tanto il sorgere di diritti o prelazioni legati al deposito e alla registrazione come marchio di emblemi politici, quanto la confusione di discipline (per cui chi avesse depositato un simbolo come marchio potrebbe pretendere di impiegarlo come tale e secondo le norme dei segni distintivi, anche quando determinati usi fossero vietati e sanzionati dalle regole sulla propaganda elettorale).
Dall'altro lato, si eliminerebbe dall'art. 10 (rubricato "Stemmi") l'obbligo per l'Ufficio italiano brevetti e marchi di chiedere un parere alle amministrazioni interessate circa la registrazione come marchio di segni distintivi contenenti parole, figure o segni "con significazione politica": in passato, infatti, la formulazione della norma comportava che l'Uibm si rivolgesse al Ministero dell'interno che di norma dava parere negativo sulla registrazione (arrivando, come si è ricordato più volte, a opporsi alla registrazione come marchio di segni politici di forma rotonda, tipica delle schede elettorali). In questo modo, contrassegni elettorali e marchi dovrebbero definitivamente diventare due mondi separati: si facilita la registrazione (magari a fini di sfruttamento commerciale per la produzione di gadget), ma si precisa che nulla ha a che vedere con gli impieghi a fini elettorali.

Nessun commento:

Posta un commento