martedì 30 gennaio 2024

Decreto elezioni 2024: cosa c'è, cosa manca (per ora), effetti sui simboli

Risulta in vigore da oggi ed è già stato presentato al Senato per la sua conversione il decreto legge 29 gennaio 2024, n. 7, rubricato "Disposizioni urgenti per le consultazioni elettorali dell'anno 2024 e in materia di revisione delle anagrafi della popolazione residente e di determinazione della popolazione legale". I media hanno messo in luce soprattutto alcuni aspetti di queste norme, a partire dalla possibilità di accorpare le elezioni europee alle altre scadenze elettorali previste in primavera (il turno più nutrito di elezioni amministrative e, probabilmente, almeno le regionali del Piemonte: si vedrà meglio più avanti) nei cosiddetti election days e dall'intervento sui limiti al numero di mandati consecutivi per i sindaci nei comuni fino a 15mila abitanti. Il contenuto del decreto-legge merita comunque di essere approfondito di seguito.
 

Votare per due giorni: istruzioni per l'uso (ed eccezioni)

Per prima cosa, l'articolo 1 prevede che tutte le consultazioni del 2024 (si parla ritualmente anche di referendum, benché non ne siano previsti) si svolgano in un giorno e mezzo, di norma per l'intera domenica (dalle ore 7 alle ore 23) e per metà del lunedì (dalle ore 7 alle ore 15). Il decreto-legge precisa però che la prescrizione non vale per le elezioni già indette, dunque certamente non vale per le regionali della Sardegna, già previste per il 25 febbraio, né per quelle in Abruzzo, convocate per il 10 marzo già lo scorso 19 ottobre (le liste si presenteranno tra il 9 e il 10 febbraio); avranno invece a disposizione 24 ore (16 + 8) le persone chiamate al voto per le elezioni regionali in Piemonte, Basilicata e Umbria, non ancora indette.
Si prevede il voto in un giorno e mezzo anche per le elezioni dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia, ma con le operazioni articolate diversamente. Poiché infatti lo scorso anno il Consiglio dell'Unione Europea ha previsto che il voto per il rinnovo del Parlamento europeo si sarebbe tenuto in tutti i Paesi dell'Unione tra giovedì 6 giugno e domenica 9 giugno 2024, è impossibile votare di lunedì: per conservare il principio stabilito con il decreto, in Italia si è scelto di votare per le elezioni europee per metà della giornata di sabato 8 giugno (dalle ore 14 alle ore 22) e per tutta la giornata di domenica 9 giugno (dalle ore 7 alle ore 23). Le elezioni (amministrative ed eventualmente regionali) che saranno accorpate alle elezioni europee, ovviamente, seguiranno gli stessi orari di apertura dei seggi.
Non è la prima volta in cui in Italia si vota anche di sabato: è accaduto sempre in occasione delle elezioni europee - e amministrative accorpate - nel 2004 (12 e 13 giugno) e nel 2009 (6 e 7 giugno), cioè nel periodo in cui si era ripreso a votare in un giorno e mezzo (mentre alla fine del 2013 si è tornati a un giorno solo, per risparmiare). Si tratta, com'è noto, di una misura volta a rendere più accessibile l'esercizio del diritto di voto, anche se in questo caso non manca qualche - inevitabile - controindicazione pratica. Lo stesso decreto, infatti, precisa che i seggi (gli "uffici elettorali di sezione") dovranno tassativamente essere insediati entro le 9 del sabato (e i presidenti, insieme ai rispettivi segretari, dovranno ricevere il materiale elettorale entro le 7 e 30); le operazioni preliminari, inclusa l'autenticazione delle schede, dovrà concludersi in mattinata, in modo da poter aprire regolarmente i seggi alle 14, tenendoli aperti fino alle 22; la domenica saranno tutti i componenti dell'ufficio elettorale di sezione (e non solo, come il giorno prima, il presidente, il segretario e il personale del comune interessato, oltre che le forze dell'ordine di vigilanza ovviamente) a dover subire una levataccia per poter aprire regolarmente il seggio alle 7, sapendo che dovranno tenerlo aperto fino alle 23. A dispetto della maratona, converrà che presidente, scrutatori e segretario siano ben svegli e lucidi, visto che - subito dopo la chiusura della sezione, il riscontro dei votanti e il sigillo alle eventuali urne "da rinviare" - dovranno iniziare lo scrutinio delle schede delle elezioni europee, prestando particolare attenzione alle preferenze espresse e verificando che, qualora siano indicati due o tre nomi, siano presenti entrambi i generi (storicamente le persone che si candidano alle elezioni europee sono meno note rispetto a quelle che si presentano alle comunali o alle regionali, quindi occorre che qualcuno nel seggio controlli sempre sui manifesti delle candidature). Finite le operazioni e sigillata la sezione, si potrà andare a dormire un po' di più, in attesa di ritrovarsi al seggio alle 14 del lunedì per scrutinare le altre schede eventualmente rimaste (quelle delle elezioni regionali e comunali, nei territori interessati da quei voti).

Le norme sulle elezioni amministrative

Un gruppo di disposizioni del decreto-legge n. 7/2024 è dedicato essenzialmente alle elezioni amministrative. Oltre ad alcune norme in materia di revisione delle anagrafi della popolazione residente e di determinazione della popolazione legale (quella, in particolare, che determina se un comune ha più di 15mila abitanti, ne ha tra 5mila e 15mila, meno di 5mila o è "sotto i mille", con l'applicazione delle rispettive regole elettorali), si precisa che in tutti i comuni capoluoghi di provincia - e, nelle province con nome composto, la regola vale per tutti i comuni ricompresi nella denominazione - si applica il sistema elettorale previsto per i comuni "superiori" (con le candidature a sindaco sostenute da una o più liste e la previsione di un eventuale ballottaggio se nessuna persona ha superato il 50% dei voti al primo turno), anche se la popolazione fosse inferiore a 15mila abitanti (la norma non vale per i comuni compresi nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano).
Si è molto parlato poi delle modifiche ai limiti ai mandati consecutivi dei sindaci: in particolare, se per i comuni superiori nulla cambia (si possono svolgere al massimo due mandati consecutivi, essendone possibile un terzo solo se uno dei due precedenti è durato meno di due anni e mezzo e non per dimissioni volontarie), per i comuni con popolazione tra 5mila e 15mila abitanti è possibile svolgere tre mandati consecutivi, mentre non è più previsto alcun limite per i comuni con popolazione fino a 5mila abitanti. La norma, che modifica stabilmente le regole prima in vigore (ovviamente fino a eventuali altre modifiche), muove dalla consapevolezza che "nei comuni di minore dimensione demografica risulta di fatto spesso problematico individuare candidature per la carica di primo cittadino, per cui il divieto di rielezione per un terzo mandato comporta rilevanti criticità", a partire dal rischio che non si presenti nessuno (con conseguente commissariamento) o che ci sia solo un candidato (eventualità di cui si dirà tra poco): permettere un terzo mandato consecutivi (o, nei comuni fino a 5mila abitanti) consentirebbe dunque di ridurre i problemi appena citati e di immaginare una programmazione politica potenzialmente a lungo termine; non sono però mancate voci critiche, secondo le quali, in questo modo, si consente di fatto a una persona di guidare un comune per quindici anni di fila - e anche di più, in ipotesi "fino alla consunzione", nei comuni più piccoli - non favorendo la formazione di nuove classi dirigenti locali e, nelle ipotesi peggiori, non scoraggiando il costituirsi di relazioni di potere durature. 
L'inserimento di queste disposizioni sul numero dei mandati, per qualcuno, potrebbe essere il presupposto per elevare a tre mandati consecutivi il limite anche per i presidenti delle giunte regionali; si tratta però di una partita molto delicata (si dovrebbe intervenire sulla "legge cornice" statale che detta i principi in materia di elezioni regionali, la n. 165/2004) e dall'esito per niente scontato (anche perché il presidente della giunta regionale è molto più simile al sindaco di un comune "superiore", per il quale il limite è ancora di due mandati consecutivi, rispetto alla figura che guida un comune "inferiore")
Il decreto-legge contiene poi una norma valida solo per le elezioni ammnistrative del 2024, anche se di fatto ripropone norme previste in passato, sempre una tantum (in decreti-legge o in sede di conversione), dal 2021: nei comuni fino a 15mila abitanti, se è stata ammessa una sola lista, le elezioni sono valide (e tutti i candidati sono eletti) purché vada a votare almeno il 40% delle persone aventi diritto - non computando nel corpo elettorale gli iscritti all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero (AIRE) che non si siano recati alle urne - e purché la lista abbia ottenuto almeno il 50% dei voti espressi (percentuale calcolata quindi su tutte le schede votate, incluse quelle bianche e quelle nulle). Si tratta, com'è noto a chi frequenta questo sito, di una delle previsioni contenute nel d.d.l. a prima firma di Luigi Augussori presentato nella scorsa legislatura (e approvato in Senato nel 2021, senza finire il suo percorso alla Camera) e ribattute nell'identico disegno di legge presentato nel 2022 da Daisy Pirovano (approvato meno di un anno fa a Palazzo Madama e tuttora all'esame della commissione competente di Montecitorio). Mentre però dal 2021 si applicano (pur se ogni volta una tantum) le norme anti-commissariamento, non si è ancora arrivati a reintrodurre un numero esiguo di firme da raccogliere a sostegno delle liste nei comuni sino a mille abitanti: si era arrivati a invocare questa norma dopo i noti casi di "liste di extra muros" in tanti piccolissimi centri e che in vari casi sembravano essere state presentate per ragioni extra-elettorali (non di rado provocando disagi al funzionamento delle istituzioni locali). 
Considerando che qualche norma - incluse quelle sul limite ai mandati consecutivi - non riguarda solo il 2024 ma modificano stabilmente le regole, qualcuno potrebbe anche presentare un emendamento che renda stabile l'intervento sulla validità delle elezioni nei comuni inferiori ed estenda la raccolta delle sottoscrizioni ai comuni "sotto i mille", di fatto sfruttando la corsia preferenziale della conversione del decreto-legge per introdurre una volta per tutte una norma già approvata a larga maggioranza in quella stessa aula di Palazzo Madama ed evitare che si incagli di nuovo alla Camera.

I simboli per le europee, tra date e incognite

Il decreto-legge pubblicato ieri non parla mai dei contrassegni elettorali, ma alcune sue previsioni hanno effetti anche su quella materia. Il testo, infatti, precisa opportunamente che, anche se per rinnovare il Parlamento europeo si comincerà a votare già di sabato, "ai fini del computo dei termini dei procedimenti elettorali, si considera giorno della votazione quello della domenica": questo significa, per quanto soprattutto interessa qui, che il deposito dei simboli che distingueranno le liste per le elezioni europee dovrà essere effettuato presso il Ministero dell'interno dalle ore 8 alle ore 20 di domenica 21 aprile e dalle ore 8 alle ore 16 di lunedì 22 aprile (con la presentazione delle liste tra il 30 aprile e il 1° maggio); per le elezioni amministrative, invece, le liste e tutti gli altri documenti relativi alle candidature (inclusi i contrassegni) si presenteranno nei rispettivi comuni tra venerdì 10 e sabato 11 maggio.
Se queste considerazioni possono già preparare un orizzonte di media primavera per la prossima #MaratonaViminale (pur se più breve di un giorno, come da previsione di legge, rispetto ai tempi dettati per le elezioni politiche), restano alcune incognite, che potrebbero avere effetti anche sulla presentazione dei simboli alle elezioni europee. Occorrerà, in particolare, prestare la massima attenzione agli emendamenti che saranno presentati in commissione e in aula: qualcuno, infatti, potrebbe riguardare sia la soglia di sbarramento, sia l'esenzione dalla raccolta delle firme.
Sul primo punto, non è un mistero che varie forze politiche vedano di buon occhio un abbassamento della soglia del 4% attualmente prevista (e introdotta nel 2009). La clausola di sbarramento non sarebbe obbligatoria, se si riporta alle circoscrizioni infranazionali l'obbligo di prevedere una soglia tra il 2% e il 5% per le circoscrizioni in cui si assegnano più di 35 seggi (così prevede la decisione 2018/994 del Consiglio), mentre l'obbligo ci sarebbe se si considerasse come circoscrizione l'intero territorio nazionale (in cui si assegnano 76 seggii); diverso sarebbe il discorso se si abbassasse l'asticella al 3%, in armonia con la legge elettorale politica. Dalla sua introduzione in avanti, la soglia di sbarramento ha favorito l'aggregazione di forze politiche diverse in liste unitarie: se l'esito elettorale spesso è stato insoddisfacente, quasi sempre la grafica dei rispettivi contrassegni ne ha risentito molto (con soluzioni e accostamenti che hanno prodotto accozzaglie visive o fregi difficili da leggere o da riconoscere). L'abbassamento della soglia potrebbe ridurre questa tendenza, ma non è detto: con il risultato utile maggiormente alla portata, partiti diversi potrebbero comunque cedere alla tentazione di unirsi in federazioni ad hoc, cercando di trovare soluzioni "simboliche" più o meno soddisfacenti.
A monte, però, un altro fattore di complicazione della grafica è costituito dalla ricerca spasmodica di scorciatoie per evitare la raccolta delle sottoscrizioni: alle elezioni europee, per essere presenti in tutta l'Italia, ne occorrono almeno 150mila, perché ne servono almeno 30mila per ognuna delle 5 circoscrizioni; come se non bastasse, la legge chiede che in ognuna delle regioni comprese nella circoscrizione sia raccolto almeno un decimo delle firme, altrimenti la lista è nulla, il che richiede l'impresa quasi impossibile di trovare almeno 3mila sottoscrittori in Valle d'Aosta, Molise e Basilicata. Com'è noto, però, varie forze politiche sono esenti per legge quest'onere: vale, in particolare, per i partiti costituiti in gruppo parlamentare anche in una sola delle Camere (cioè Fratelli d'Italia, Lega, Forza Italia, Noi moderati, Pd, Alleanza Verdi e Sinistra, M5S, Italia viva e Azione, nonché gli autonomisti) o che nell'ultima elezione abbiano presentato candidature "con proprio contrassegno" e abbiano ottenuto almeno un seggio in una delle due Camere (cioè certamente +Europa, Maie, Svp-Patt, Union Valdôtaine e Centro democratico, ma probabilmente anche Campobase). In teoria l'elenco fatto sin qui dovrebbe coprire tutto l'elenco delle forze esenti, considerando che vi risultano incluse tutte le forze che hanno eletto europarlamentari nel 2019 e tutte le quattro liste della coalizione di centrodestra del 2022 (ci si sente di escludere che contino come singoli "partiti esentanti" Udc, Italia al centro e Coraggio Italia, visto che non hanno presentato una propria lista, ma la candidatura era di Noi moderati); resterebbe il caso di Impegno civico, quarta lista del centrosinistra, effettivamente collegata ai candidati di coalizione eletti, ma si dubita che si voglia consentire lo sdoppiamento di quel contrassegno elettorale (e non si è certi che qualcuno voglia riproporre Impegno civico, anche solo come "pulce").
Com'è noto, però, nel 2014 l'Ufficio elettorale per il Parlamento europeo, riammettendo i Verdi Europei, ha aperto la via della candidatura senza firme alle liste espressione di forze politiche che aderiscano a un partito politico europeo che alle ultime elezioni europee abbia ottenuto eletti. In origine si era in concreto ammessa l'esenzione a una lista legata a un partito italiano che fosse membro regolare di un partito europeo rappresentato a Strasburgo (con tanto di quote pagate e di dichiarazione del legale rappresentante del partito europeo) e con un contrassegno di lista contenente tanto le insegne del partito europeo quanto quelle del partito italiano membro: il Viminale aveva tradotto queste circostanze in condizioni per l'ammissione di questo "esonero mediato", ma di fatto nel 2019 gli uffici elettorali circoscrizionali hanno praticato un'interpretazione molto generosa di quei criteri, accettando le liste senza firme anche quando sono state presentate da soggetti politici transnazionali che non erano partiti politici europei iscritti al rispettivo registro o da partiti di altri Paesi europei che hanno eletto un eurodeputato (e confermando che un partito politico europeo può esentare più liste, se presentate da diverse forze politiche a questo affiliate). Quei tentativi - quasi tutti riusciti - di evitare la "caccia alle firme" hanno certamente complicato i rispettivi contrassegni elettorali a causa dell'inserimento delle miniature (le "pulci") dei partiti esoneranti, visto che dell'esenzione riconosciuta a questi ultimi beneficiano anche le liste con "contrassegno composito" in cui si riconosca appunto il partito esonerato. Non è però escluso che qualcuno in Parlamento voglia porre un po' di ordine al fenomeno delle esenzioni, regolando in modo più puntuale l'esonero legato ai partiti europei e magari riducendone l'applicazione (per evitare la frammentazione dell'offerta elettorale e, magari, la possibile presenza di "liste di disturbo"): anche in questo caso, si potrebbe sfruttare la conversione del decreto presentando un emendamento.
Le prossime settimane, dunque, saranno decisive per avere un quadro normativo più netto, in preparazione alla scorpacciata elettorale di primavera.

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