domenica 21 gennaio 2024

Le Democrazie cristiane, tra ricorsi in Sardegna e citazioni in Campania

AGGIORNAMENTO del 22 gennaio, ore 14:45: Il Tar di Cagliari ha accolto il ricorso della Democrazia cristiana che ha come segretario Totò Cuffaro, che dunque potrà presentare regolarmente le proprie liste con il suo simbolo originario
Dalla sentenza si apprende innanzitutto che la Dc-Cuffaro, di fronte alla ricusazione del contrassegno da parte dell'Ufficio centrale regionale presso la Corte d’Appello di Cagliari, il 19 gennaio aveva comunque depositato un contrassegno alternativo (per ora non noto), ma non voleva comunque "effettuare [...] alcuna acquiescenza al provvedimento impugnato" dell'Ucr, chiedendo appunto la riammissione del primo contrassegno (quello ufficiale del partito, con il drappo crociato su fondo blu) e, in caso di necessità, la concessione di misure cautelari urgenti (incluso il rinvio delle elezioni), anche se a quest'ultimo punto ha rinunciato. Questa mattina la difesa della Dc-Cuffaro ha precisato che il secondo simbolo è stato presentato "a titolo puramente cautelativo [...] con l’intento, dunque, di rinunciare al secondo simbolo in caso di riammissione del simbolo originario"; l'avvocatura dello Stato contestava che in quel modo la Dc avrebbe avuto due simboli a disposizione e questo non sarebbe stato accettabile (non essendo prevista la rinuncia del simbolo sostitutivo), ma per i giudici ha valore la precisazione, nel deposito del simbolo sostitutivo, che si trattava di presentazione solo cautelativa (senza accettare l'esclusione del primo emblema) e il fatto che l'ordinamento non preveda espressamente l'impossibilità di rinunciare al secondo simbolo in caso di riammissione del primo (e, in ogni caso, l'Ufficio centrale regionale non avrebbe dovuto ammettere il simbolo sostitutivo a quelle condizioni, cioè con la prospettazione del ricorso).
Nel merito, il collegio ha richiamato il criterio della diligenza/preparazione "dell'elettore medio", dunque che si debba presupporre che chi vota eserciti "un'attenzione e una capacità non inferiori alla norma di confronto tra i diversi simboli, tali da consentire all'elettore di coglierne le differenze a meno di similitudini vertenti su elementi plurimi e davvero significativi" (a tale proposito si è richiamata la sentenza n. 2487/2015 del Consiglio di Stato, sez. V, che aveva confermato l'ammissibilità della lista Lega Toscana - Più Toscana alle regionali del 2015), escludendo rischi di confondibilità in caso di "elementi di differenziazione [...] prevalenti sugli elementi che accomunavano i due contrassegni" e considerando anche che la diligenza dell'elettore medio contemporaneo è (o dovrebbe considerarsi...) assai maggiore rispetto al passato, visto il "più elevato livello di maturità e di conoscenze acquisite dall'elettorato" (così, per esempio, Tar Venezia, sez. I, sent. n. 6464/2002, che aveva confermato l'ammissibilità della Liga Veneta Repubblica alle comunali di Cittadella).
Così tratteggiato l'elettore "mediamente diligente", per i giudici questi non può confondere il simbolo della Dc-Cuffaro con quello dell'Udc: "i due simboli - si legge - hanno in comune il solo elemento cromatico centrale bianco e rosso, ma si differenziano su tutti i restanti elementi", con lo scudo crociato con scritta "Libertas" per l'Udc e la bandiera/drappo senza scritta (e con sviluppo orizzontale, non verticale) per la Dc-Cuffaro; anche i colori dello sfondo (blu scuro per la Dc, azzurro per l'Udc) e le scritte sono diversi, quindi "escludere il simbolo della ricorrente per la comunanza cromatica di un solo elemento non è conforme al sopra descritto criterio interpretativo, costantemente adottato nella prassi giurisprudenziale". Non si considera dunque prevalente la "forte valenza simbolica"  o - parametro usato in passato - la "rilevante valenza identificativa" della croce rossa in campo bianco: le differenze contano di più (cosa che non si sarebbe potuta dire in presenza di due scudi).
Per i magistrati, poi, ha molto peso in questo senso - come si è segnalato ieri - che il contrassegno prima bocciato in Sardegna sia stato già ammesso in varie altre competizioni (elezioni politiche 2022, regionali siciliane 2022, elezioni amministrative 2022 e 2023): questo basta per dire che si discute "non già di un simbolo completamente nuovo, per il quale il rischio di confusione è potenzialmente maggiore, bensì di un simbolo già ammesso a precedenti competizioni elettorali, nonché già rappresentato in seno ai relativi organi politici" (non si fa nessun riferimento alla posizione della presentatrice del simbolo, Francesca Donato, che non risulta essere stata eletta con la Dc-Cuffaro, dunque l'argomento - poco probante di per sé - non è stato sottoposto a verifica). Nulla conta, da ultimo, che il simbolo della Dc-Cuffaro somigli a "simboli di altri partiti, diversi dall’Udc (alcuni dei quali avevano anche diffidato l’odierna ricorrente dall’utilizzo del simbolo in discussione)" (il riferimento è probabilmente alla Dc-Rotondi e alla Dc-Cirillo). lo stesso Ufficio centrale regionale non si è minimamente basato su questo argomento nell'escludere il simbolo.
Effetto immediato di questa sentenza (che peraltro ha compensato le spese processuali) è l'ammissibilità delle liste della Dc-Cuffaro, considerando che la decisione è arrivata con anticipo sufficiente sul termine delle ore 20 per il deposito delle liste presso gli uffici circoscrizionali: si ricorda che la Dc non deve raccogliere le firme grazie all'adesione tecnica di Domenico Gallus, quindi le liste volendo si potranno presentare senza problemi (senza bisogno di misure di rinvio).
Lo stesso collegio giudicante ha invece respinto il ricorso della Democrazia cristiana che si riconosce nella segreteria di Antonio Cirillo. Senza valutare ragioni di rito, i giudici hanno ritenuto molto somiglianti i simboli della Dc-Cirillo (la versione inserita nel contrassegno composito con Alleanza Sardegna e Pli) e dell'Udc: in entrambi c'è lo scudo crociato con la scritta "Libertas", elemento dominante rispetto alla scritta "Democrazia cristiana" o ad altri particolari, quindi c'è "una chiara predominanza, qualitativa e quantitativa, degli elementi di somiglianza tra i due simboli rispetto agli elementi che li differenziano, con evidente rischio di confusione per l'elettore medio". Il fatto che il simbolo della Dc-Cirillo sia stato inserito "in miniatura" nel contrassegno composito per i giudici ha peggiorato la situazione, perché ha reso il nome "Democrazia cristiana" ancor meno leggibile, rispetto allo scudo. Se questo è vero, è inutile chiedersi se è stato rispettato il contraddittorio con il depositante dei due contrassegni quasi uguali nel procedimento elettorale preparatorio. 

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Domani sera scadranno i termini per la presentazione delle liste per le elezioni regionali in Sardegna, previste per il 25 febbraio (le candidature alla presidenza della giunta, invece, dovranno essere presentate entro il 25 gennaio). Sempre domani, peraltro, è previsto che il Tar di Cagliari si riunisca per pronunciarsi sui ricorsi presentati contro l'esclusione dei contrassegni dalla competizione elettorale. Nel momento in cui si scrive i ricorsi risultano essere due, entrambi presentati da formazioni politiche denominate "Democrazia cristiana": occorre quindi attenzione per ricostruire correttamente il quadro e capire esattamente quali simboli sono stati esclusi dall'Ufficio centrale regionale e chi sta tentando di farsi riammettere alla competizione (anche prospettando un rinvio della data del voto per poter compiere tutti gli adempimenti legati alla presentazione delle candidature).
Il primo ricorso è quello presentato dalla Democrazia cristiana che si riconosce nella segreteria di Salvatore "Totò" Cuffaro e che il 14 gennaio aveva depositato il proprio contrassegno al posto n. 6 in Corte d'appello a Cagliari. L'Ufficio centrale regionale, però, il 17 gennaio ha escluso quel simbolo e quello della Democrazia cristiana con Rotondi (n. d'ordine 28), ritenendo che questi contengano innanzitutto "elementi letterali, grafici e cromatici palesemente idonei a generare confusione nell'elettore medio", per la presenza in entrambi della dicitura "Democrazia cristiana" su sfondo blu e di una croce rossa in campo bianco: in questo senso, per i membri del collegio non ha importanza che una croce "sia inserita in uno scudo e l'altra in un drappo, attesa la forte valenza simbolica della croce in sé". 
Sempre l'Ufficio centrale regionale ha rilevato la confondibilità di entrambi gli emblemi "per simboli, dati cromatici e diciture con elementi caratteristici del simbolo usato tradizionalmente" dall'Unione democratici cristiani e democratici di centro - Udc, presente tanto in Parlamento quanto in Consiglio regionale e tra i depositanti dei contrassegni anche per le nuove elezioni regionali. In quest'occasione, tra l'altro, l'Udc ha scelto di depositare un simbolo in cui lo scudo crociato è più grande rispetto a quello degli anni precedenti (un po' come avvenuto lo scorso anno) e, soprattutto, nel segmento superiore rosso ha scelto di inserire la propria sigla, creando di fatto un ulteriore punto di somiglianza nel contrassegno della Dc-Cuffaro (che nella parte superiore ha dal 2021-22 l'acronimo Dc). 
L'esclusione dei simboli della Dc-Cuffaro e della Dc-Rotondi, dunque, è avvenuta sulla base dell'art. 8, comma 7 della legge regionale n. 7/1979, in base al quale "Non è ammessa [...] la presentazione da parte di altri partiti o gruppi politici di contrassegni riproducenti simboli o elementi caratterizzanti simboli che per essere usati tradizionalmente da partiti presenti in Parlamento e nel Consiglio regionale possono trarre in errore l'elettore": si tratta, com'è facile verificare, di una disposizione quasi identica all'art. 14, comma 6 del d.P.R. n. 361/1957 (testo unico per l'elezione della Camera dei deputati), cui si aggiunge solo la presenza in Consiglio regionale - oltre che nelle assemblee parlamentari - come fonte di protezione più intensa per un contrassegno, anche ove questo non fosse depositato nella singola competizione elettorale. Mentre tuttavia la Democrazia cristiana con Rotondi ha scelto di depositare un emblema sostitutivo (con la sigla al posto del nome intero e con il disegno della balena bianca su fondo non più blu, ma bianco), la Dc guidata da Cuffaro ha scelto di opporsi alla decisione dell'Ufficio centrale elettorale. 
Gli avvocati della Dc-Cuffaro, in particolare, nel ricorso contestano radicalmente che il simbolo del partito sia confondibile con quello dell'Udc, sostenendo che per rendersene conto basterebbe "analizzarli sinotticamente con serenità". La sigla "Dc" sarebbe diversa da "Udc"; il drappo rettangolare (crociato) senza scritte sarebbe diverso dallo scudo crociato con l'iscrizione "Libertas"; il "blu oltremare" della Dc sarebbe diverso dal fondo azzurro dell'Udc (peraltro sormontato dalla "mezzaluna rossa in testa". L'atto che ha escluso il contrassegno della Dc-Cuffaro, per la difesa del partito, sarebbe "manifestamente ozioso, puntiglioso quanto inutilmente cavilloso, soffermandosi e magnificando elementi di confondibilità che in un quadro di insieme non sussistono, non si reggono e si sfaldano nella loro inconsistenza": si sarebbe invece dovuto seguire quanto stabilito nel 2020 dal Consiglio di Stato, che aveva ribadito la necessità di un giudizio "non incentrato esclusivamente sulla 'quantità' dei segni grafici somiglianti, ma anche e soprattutto sulla 'confondibilità' e sulla capacità di trarre in errore l’elettore medio alla luce di un giudizio qualitativo e contestualizzato", dovendosi sanzionare con l'esclusione l'esistenza di "una oggettiva e non minimale capacità decettiva" (così  la sentenza della sez. III, n. 5404/2020, che peraltro aveva escluso la lista Patto per la Toscana - Roberto Salvini presidente dalle regionali di quell'anno).
Per la difesa della Dc-Cuffaro sarebbero prova dell'errore di valutazione compiuto dall'Ufficio centrale regionale l'ammissione del contrassegno "senza contestazione alcuna" alle elezioni politiche del 2022 e, nello stesso anno, alle ultime elezioni amministrative a Palermo (tra l'altro nella stessa coalizione dell'Udc) e alle regionali siciliane (con l'ammissione di Dc-Cuffaro e Udc senza contestazioni). Gli avvocati ribadiscono anche le osservazioni proposte all'Ucr dalla depositante del contrassegno della Dc, l'europarlamentare Francesca Donato: questa, eletta nelle liste della Lega nel 2019 e uscita dal gruppo Identità e democrazia nel 2021, a gennaio del 2023 ha scelto di rappresentare la Dc (allora guidata da Renato Grassi, poi da Cuffaro). Per i magistrati dell'Ufficio centrale regionale, però, l'elezione di Donato con un diverso partito non consentirebbe di sostenere che la Dc ha eletto un proprio rappresentante al Parlamento europeo, dunque non attribuirebbe un titolo di protezione del simbolo; per la difesa della Dc-Cuffaro, invece, è "totalmente irrilevante il fatto che il Partito ricorrente abbia o meno partecipato alle consultazioni elettorali europee" (elezioni cui non ha partecipato essendo stato bocciato il contrassegno nel 2019) e nessun organo potrebbe "alterare i connotati intrinseci e la ragione sociale" della Dc. In più, per gli avvocati il divieto per "altri partiti o gruppi politici" di usare simboli impiegati da "partiti presenti in Parlamento e nel Consiglio regionale" non varrebbe per "i partiti già nati e strutturati" ma solo per quelli "che si presentano ex novo in una competizione elettorale", dunque non per la Dc. 
Nell'ultima parte del ricorso la difesa della Dc-Cuffaro insiste  nell'affermare che quella formazione sarebbe stata "pacificamente riconosciuta quale continuatrice ed erede" della Dc storica, invocando a proprio sostegno la sentenza delle sezioni unite civili della Corte di cassazione del 2010. Sul punto, peraltro, occorre ricordare che a quella sentenza la Dc guidata da Fontana, Grassi e Cuffaro non ha partecipato: di quella decisione si dice che avrebbe "riconosciuto la permanenza in vita giuridica del Partito fondato da De Gasperi, mai sciolo o liquidato, ma solo con organi decaduti" (come avrebbe potuto farlo la sentenza di Cassazione, che si limita a dichiarare inammissibili sul piano formale quasi tutti i ricorsi, è davvero difficile da capire; anche la sentenza della Corte d'appello del 2009, peraltro, riconosce solo l'irregolarità del passaggio da Dc a Ppi, ma non lo dichiara nullo, anche perché il Ppi non era parte necessaria del giudizio). Il ricorso cita pure la "sentenza Scerrato" del Tribunale di Roma (n. 17831/2015), che invitava al rispetto dello statuto della Dc: proprio su quella base il giudice aveva demolito gli atti del XIX congresso del 2012, in preparazione al quale era stato compilato l'elenco degli iscritti (rinnovati) alla Dc che è stato usato nel 2016 per il processo di riattivazione che ha portato alla segreteria Cuffaro...

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Il secondo ricorso al Tar di Cagliari è stato invece presentato sabato 20 gennaio dalla Democrazia cristiana che ha sede non in piazza del Gesù (senza numero civico) come la Dc-Cuffaro, ma in via delle Giunchiglie 8: si tratta della Dc che dopo il XIX congresso del 18 febbraio 2023 ha come segretario amministrativo (e legale rappresentante, nonché già depositante del contrassegno al Viminale prima delle elezioni politiche del 2022) Sabatino Esposito e come segretario politico Antonio Cirillo (SPSSTN54B24H834U), sulla base di un diverso percorso giuridico che parte sempre dalla sentenza della cassazione a sezioni unite del 2010 ma si è articolato in modo diverso e con passaggi differenti, pur nel dichiarato rispetto dello statuto del partito.
In particolare, oggetto di ricusazione non sarebbe stato un contrassegno riproducente solo il simbolo di questa Dc, ma un emblema composito, depositato il 15 gennaio con il n. 34, che all'interno del simbolo di Alleanza Sardegna (formazione guidata da Gerolamo Solina) ospita le miniature dei simboli del Partito liberale italiano (guidato a livello nazionale da Roberto Sorcinelli) e della Dc-Cirillo. Curiosamente, peraltro, in questo caso lo scudo crociato è sempre proposto nella versione "arcuata", ma la grafica in questo caso è leggermente diversa, essendo stato scelto lo scudo normalmente impiegato dalla Democrazia cristiana guidata da Angelo Sandri (il quale, salvo errori, non dovrebbe essere parte di questo tentativo: è probabile che la scelta grafica si spieghi solo con l'idea di rendere più leggibile lo scudo e la scritta "Libertas").
Le ragioni alla base della ricusazione sarebbero due. La seconda è, anche qui, la presenza dello scudo crociato confondibile con il simbolo dell'Udc, ma in prima battuta l'Ufficio centrale regionale ha rilevato che il contrassegno in questione era "pressoché identico al contrassegno n. 21, fatta salva una variazione grafico-cromatica marginalmente differente e, in quanto tale, idonea a generare confusione nell'elettore medio". Il simbolo elettorale depositato con il n. 21, in effetti, è una "bicicletta" che comprende i simboli di Alleanza Sardegna e del Pli, la cui alleanza - a sostegno della candidatura di Paolo Truzzu nel centrodestra - era stata annunciata pochi giorni prima. 
L'avvocato della Dc-Cirillo ha innanzitutto provveduto a ribattere a questa contestazione: ha sostenuto in particolare che il contrassegno n. 21 (As-Pli) sarebbe stato "presentato a titolo puramente cautelativo" da Gerolamo Solina "in vista della definizione degli accordi elettorali con la Democrazia Cristiana, che hanno poi portato alla successiva presentazione del contrassegno [...] raffigurante al suo interno anche il simbolo su fondo bianco dello scudo crociato", da parte dello stesso Solina (delegato all'uso dei simboli di Pli e Dc-Cirillo): per la difesa democristiana, insomma, l'Ufficio centrale regionale avrebbe dovuto interloquire con Solina che avrebbe negato ogni rischio di confusione tra i due contrassegni (tanto più che - anche ove fossero stati ammessi entrambi - in sede di presentazione delle liste ne sarebbe stato scelto solo uno dei due, in particolare quello con tre simboli, in base all'ultimo accordo raggiunto), mentre questo contraddittorio sarebbe mancato (e, sempre stando al ricorso, non sarebbe stata nemmeno indicata espressamente la possibilità di sostituire il contrassegno: Solina avrebbe tentato di chiederlo, ma il "ricorso" sarebbe stato dichiarato irricevibile).
Quanto alla contestata confondibilità con il simbolo dell'Udc, la difesa della Dc-Cirillo richiama la sentenza n. 6391/2010 della V sezione del Consiglio di Stato, con cui era stato respinto il ricorso dell'Udc contro la riammissione del simbolo della Dc-Pizza alle elezioni provinciali di Milano nel 2009 (tra l'altro con il sorteggio che si era divertito a collocare il simbolo dell'Udc, con proprio candidato presidente, subito sotto a quello della Dc-Pizza, che sosteneva nel centrodestra Guido Podestà). In quell'occasione i giudici di Palazzo Spada avevano rilevato "svariati elementi di difformità" tra i simboli delle due formazioni (la divisione del contrassegno dell'Udc in due parti ben distinte, con la scritta "Casini" ben marcata in alto e al di sotto uno scudo crociato più piccolo rispetto a quello della Dc-Pizza e sovrapposto alle vele di De e Ccd, oltre che abbinato al nome "Unione di centro", mentre la Dc-Pizza aveva solo lo scudo crociato grande su fondo blu e il nome): senza entrare nel merito dell'uso legittimo dello scudo crociato e dell'eventuale continuità tra Dc storica e Dc-Pizza, per il Consiglio di Stato non c'era facile confondibilità vista la presenza di "elementi comportanti diverso impatto visivo, come la diversità dei colori prevalenti, e sostanziale diversità data" dalla presenza del riferimento evidente a Casini. 
Per la difesa della Dc-Cirillo, se si applica il parametro usato nel 2010 al caso in esame, si ritrova di nuovo la presenza di "elementi comportanti diverso impatto visivo", cioè i colori (azzurro con mezzaluna rossa per l'Udc, bianco per la Dc) e le scritte del tutto diverse. In particolare, il simbolo della Dc sarebbe "individuabile in modo immediato per l'indicazione della scritta 'Democrazia cristiana' nello scudo crociato", mentre l'Udc userebbe una sigla e un nome differente, in più sono "diverse e distinguibili le dimensioni grafiche dello scudo crociato" (così come le forme: unico punto di identità sarebbe la presenza della scritta "Libertas"). Basterebbe tutto questo a dire che "i tratti differenziali dei due simboli sono ragionevolmente maggiori di quelli che li accomunano", mentre "la visione complessiva esclude il paventato rischio di confusione". Nessun riferimento qui alla pretesa legittimità del percorso di riattivazione della Dc e alla titolarità del suo simbolo storico.

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Con riguardo all'impugnazione decisa dalla Dc-Cirillo, va detto che il ricorso presentato il 20 gennaio sembra essere tardivo rispetto alla ricusazione comunicata il 17 gennaio (il termine è di 48 ore); probabilmente il ricorrente spera di essere comunque in tempo visto che il ricorso con cui Solina - quale delegato all'uso del simbolo della Dc nel contrassegno composito depositato per secondo - aveva reagito in prima battuta all'esclusione del fregio è stato dichiarato irricevibile il 19 gennaio, ma non è detto che questo basti. Naturalmente non è affatto in discussione la partecipazione alle elezioni della lista Alleanza Sardegna - Pli, il cui contrassegno è stato regolarmente ammesso e la cui presentazione senza firme è garantita dal sostegno tecnico dei consiglieri Francesco Paolo Mula (AS) e Giovanni Satta (Pli).
Quanto al ricorso della Dc-Cuffaro, questo merita più attenzione, se non altro perché oggettivamente c'è un precedente di peso, ossia l'ammissione incontestata del contrassegno alle elezioni politiche del 2022 (anche se, va detto, in quell'occasione l'Udc era stata inserita nel cartello Noi moderati e lo scudo crociato era quasi invisibile, ma era pur sempre presente in Parlamento con alcuni eletti nei collegi uninominali per il centrodestra); ciò potrebbe però non essere sufficiente al Tar per ribaltare la decisione dell'Ufficio centrale regionale.
Vale la pena precisare che alla fine del 2023 la Dc guidata da Totò Cuffaro ha fatto causa alla Democrazia cristiana con Rotondi (e allo stesso Rotondi), a Nino Luciani, ad Antonio Cirillo, ad Angelo Sandri, a Emilio Cugliari e a Raffaele Cerenza e Franco De Simoni, chiedendo che siano convocati davanti al tribunale di Avellino (città in cui la Dc-Rotondi ha sede e in cui Rotondi risiede) per sentir accertare dal giudice che la Democrazia cristiana guidata da Cuffaro è "in continuità giuridica soggettiva con il Partito della Democrazia cristiana fondato nell'anno 1943", dunque ha diritto all'uso esclusivo del nome del partito e che tutti gli altri soggetti devono smettere di impiegarlo (dovendo anche pagare i danni legati a usi illegittimi). 
Nell'atto di citazione si legge che Luciani, Cirillo, Sandri, Cugliari, De Simoni e Cerenza si proclamano "tutti segretari della Democrazia cristiana, in forza di dichiarazioni unilaterali di investitura o invocando l'esito di votazioni di fantomatici congressi della Dc, neppure astrattamente riferibili alla vita associativa della Democrazia cristiana", usurpando il nome, il simbolo e l'identità del partito; quanto a Rotondi, si dice che si afferma titolare del diritto a usare il nome "Democrazia cristiana" sulla base di un atto compiuto dai "pretesi legali rappresentanti di un partito (neppure è chiaro con esattezza quale), in tesi titolare del nome" (si dice che il Ppi ne sarebbe titolare sulla scorta degli accordi di Cannes giudicati nulli dalle sezioni unite civili della Corte di cassazione, eppure non c'è nessuna dichiarazione di invalidità esplicita di quegli atti, ma solo un'osservazione obiter dictum in altro processo) e si nota che grazie alla visibilità dovuta all'appartenenza al gruppo parlamentare di Fratelli d'Italia - indicato come "reale soggetto [...] che si cela dietro il tentativo di impedire che la Democrazia cristiana ritorni centrale nel dibattito politico" - Rotondi sarebbe responsabile dei maggiori danni patiti dalla Dc.
L'atto introduttivo del giudizio fonda la tesi della continuità tra Dc storica e Dc-Cuffaro su vari elementi: a) sul mancato passaggio congressuale nel cambio di nome da Dc a Ppi (il che "corrispondeva, nella sostanza, alla nascita di un nuovo soggetto politico in discontinuità" con la Dc, rimasta invece "sostanzialmente inattiva negli anni successivi al 1994 per effetto del mancato rinnovo alla scadenza e, quindi, della intervenuta decadenza di tutti gli organi statutari"); b) sulle ben note sentenze del 2009 (Corte d'appello di Roma) e del 2010 (Corte di cassazione a sezioni unite civili), anche se pare che si faccia dire loro ciò che in effetti non dicono (nessuna parte di quelle sentenze ha invalidato il cambio di nome o gli accordi di Cannes, pur essendone stati segnalati i "difetti"); c) sul percorso iniziato nel 2016 a norma dell'art. 20, comma 2 del codice civile (percorso, a detta della citazione, suggerito dalla Cassazione e dal Tribunale di Roma nella citata "sentenza Scerrato", ma ci si permette sommessamente di non condividere queste affermazioni) e sugli atti che ne sono seguiti - ovviamente non considerando valide le contestazioni al XIX congresso del 2018 mosse da Luciani e altri - ma anche sui risultati elettorali ottenuti soprattutto in Sicilia nel 2022 e in vari luoghi nel 2023 (come prova della "rilevanza dell'attività associativa e politica" della Dc, dunque della sua esistenza concreta).
Ci sarà tempo per conoscere gli esiti di quest'azione legale (che segue all'esito non positivo del ricorso contro l'Udc con cui l'anno scorso Cuffaro aveva chiesto al Tribunale di Roma di inibire al partito di Lorenzo Cesa l'uso dello scudo crociato); nel frattempo sarà interessante vedere l'esito del ricorso sardo, anche per le sue ricadute sulla procedura elettorale.

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