domenica 7 gennaio 2024

Salutando Santagata, Besostri e i loro simboli

L'anno è iniziato da pochi giorni e la politica italiana annovera già due lutti rilevanti, giunti a distanza di poche ore, che riguardano soprattutto la cosiddetta "Seconda Repubblica", con rilevanti sconfinamenti nella "Prima" (ammesso che questa periodizzazione abbia un senso) e nell'attualità: può suonare triste e dolente iniziare l'anno del sito in questo modo, ma un ricordo sembra d'obbligo, anche per la particolarità di entrambe le figure. Tanto Giulio Santagata quanto Felice Carlo Besostri, infatti, sono stati personaggi non di primissima fila (non hanno mai guidato formalmente un partito; Santagata è stato deputato per tre legislature e ministro senza portafoglio per due anni, Besostri è stato senatore per una sola legislatura e, anni prima, sindaco di un piccolo comune), ma assolutamente imprescindibili per chi, tra i #drogatidipolitica e non solo, voglia inquadrare correttamente più di una fase della politica e delle istituzioni italiane, soprattutto dalla metà degli anni '90 in avanti.
Non è dato sapere se Giulio Santagata fosse tra i "congiurati pre-ulivisti" il 21 dicembre 1994 in quell'incontro nella sede bolognese di Nomisma, in Strada Maggiore, più volte raccontato in vari articoli da Edmondo Berselli (evidentemente tra i presenti, come conferma lo stesso Prodi nel suo libro Strana vita la mia). C'erano sicuramente - oltre a Romano Prodi e a Berselli - Dario Franceschini, Gianclaudio Bressa, Arturo Parisi, Vannino Chiti (allora presidente Pds della Toscana, presente col suo vice Fabrizio Geloni, del Ppi) e Antonio La Forgia (segretario Pds dell'Emilia-Romagna, accompagnato dall'ex sindaco di Bologna Guido Fanti). Eppure Santagata, economista nato e cresciuto in una famiglia democristiana di Zocca, con padre sindacalista (già, Papà non era comunista, come il titolo di un romanzo del fratello Marco, tra i più apprezzati studiosi di letteratura italiana) ma con una storia anche da militante del Pci, certamente stato vicino a Prodi fin dal primo giorno del suo impegno politico: è lo stesso fondatore di Nomisma e futuro Presidente del Consiglio a ricordare che fu proprio Santagata a trovare - insieme a Gianni Pecci - il famoso pullman ("Lo trovarono in una carrozzeria di Modena; un vecchio Iveco che era appartenuto a una ditta di Assisi specializzata in pellegrinaggi. Lo pagammo 20 milioni") con cui si girò tutto il Paese facendo nascere via via i "Comitati per l'Italia che vogliamo", antecedenti dell'Ulivo. Nel racconto di Prodi, poi, è ancora Santagata a essere stato individuato da Parisi come referente del disegno di un Ulivo quale espressione dell'intera coalizione (e non come alleanza di comitati e liste non pidiessine o come semplice lista).
Nessuno può stupirsi, a questo punto, nel ritrovare Santagata nel ruolo di "uomo ovunque" dello staff prodiano, per usare di nuovo un'espressione di Edmondo Berselli (che tra l'altro - guai a scordarlo - nel suo capolavoro Quel gran pezzo dell'Emilia e più avanti in Venerati maestri cita lo stesso Santagata tra coloro che, al pari dell'Equipe 84, di Guccini e dei Nomadi, "si davano al beat per evitare la politica", visto che c'erano già i comunisti a farla). Consigliere economico all'epoca del primo governo Prodi, è ancora al suo fianco nell'esperienza di presidente della Commissione europea (per questo accreditato come in quota Democratici, pur non essendo stato candidato). Eletto per la prima volta alla Camera nel 2001 nel collegio uninominale di Modena centro per l'Ulivo in quota Margherita (federazione cui i Democratici avevano concorso e in cui confluirono quando si decise di trasformarla in partito), riuscì a farsi confermare nel 2006 (in Lazio) sempre nella lista dell'Ulivo: fu senza dubbio tra gli autori della risicatissima vittoria dell'Unione, quale fondatore della Fabbrica del programma e responsabile delle campagne prodiane per le primarie e per le elezioni politiche; anche per questo divenne ministro per l'attuazione del programma nel secondo governo Prodi. 
Santagata mantenne il seggio anche nel 2008 (in Campania) sotto le insegne del Partito democratico, mentre non fu ricandidato nel 2013 (visti anche i tre mandati consecutivi appena compiuti) e dovette certamente soffrire molto nel vedere impallinata la candidatura al Quirinale dell'amico Romano Prodi. Per ritrovare il suo nome legato a un simbolo si deve passare alla fine del 2017, quando Giulio Santagata risulta essere tra i promotori -  insieme ai rappresentanti dei Verdi, del Psi e di Area progressista - della lista Italia Europa Insieme, indicato addirittura quale capo della forza politica: non a caso, nel contrassegno spuntava proprio il ramo d'Ulivo (poi ridimensionato per evitare contestazioni). La lista ha avuto poca fortuna e in quell'occasione Santagata non è stato eletto, ma non aveva smesso di coltivare "l'ira del riformista", per riprendere il titolo del suo ultimo libro.
Se Giulio Santagata uscì dal Parlamento nel 2013, Felice Besostri l'aveva abbandonato addirittura nel 2001, al termine della sua unica legislatura, quella iniziata nel 1996 con l'elezione al Senato, anche per lui sotto le insegne dell'Ulivo: candidato nel collegio di Milano 3, fu battuto da Riccardo De Corato, ma ottenne comunque il seggio grazie al recupero proporzionale. La sua era stata una delle candidature vincenti su cui aveva potuto contare la Federazione dei Laburisti di Valdo Spini, quasi due anni dopo la sua nascita, in uscita da un Partito socialista italiano prossimo alla messa in liquidazione; proprio come esponente del Psi, peraltro, dal 1983 al 1988 Besostri era stato sindaco del comune di Borgo San Giovanni (allora in provincia di Milano, dal 1992 in quella di Lodi). Besostri aderì al gruppo del Pds, anticipo della scelta dei Laburisti di concorrere alla formazione - nel 1999 - dei Democratici di sinistra. Nel 2001 fu candidato di nuovo sotto le insegne uliviste; perse sempre contro De Corato ancora nello stesso collegio, ma il risultato del centrosinistra non gli consentì di ottenere il seggio nella quota proporzionale. Mancò l'elezione anche nel 2006, candidato in Lombardia dai Ds in sedicesima posizione (non proprio favorevole: il seggio non scattò nemmeno per Franco Bassanini, collocato all'undicesimo posto della lista bloccata).
Non risultano candidature nel 2008 e nel 2013, ma appena prima del 2008 era iniziata la battaglia per cui Besostri è in assoluto più noto tra i #drogatidipolitica e non solo. Già ricercatore di diritto pubblico comparato, Besostri intervenne infatti - quale cittadino elettore e avvocato di Udeur, Uniti a sinistra, Rinnovamento della sinistra, Associazione Rosso Verde e Gruppo del Cantiere - nel giudizio di ammissibilità sui referendum "Guzzetta-Segni" volti a far assegnare il premio di maggioranza della "legge Calderoli" alla lista più votata (e non a una coalizione): si voleva contestare l'ammissibilità dei quesiti anche perché l'assenza di una soglia minima per attribuire il premio avrebbe potuto alterare troppo il risultato delle elezioni. In quell'anno, Besostri intervenne in un giudizio amministrativo con cui si era chiesto di annullare gli atti di convocazione delle elezioni politiche per incostituzionalità di varie norme della legge elettorale, da sottoporre alla Corte costituzionale: Si trattò del primo tentativo concreto di far arrivare al giudice delle leggi una questione di costituzionalità relativa alla legge elettorale politica. Il cammino, impervio e costellato di insuccessi, nel 2013 centrò l'obiettivo: in primavera la Corte di Cassazione - di fronte al ricorso di Aldo Bozzi, che nel 2009 aveva agito per far accertare la lesione dei loro diritti elettorali, con l'intervento di Tani, Besostri e altri cittadini - volle interpellare la Corte costituzionale, che a dicembre colpì il premio di maggioranza e le liste bloccate della "legge Calderoli" (emettendo poi la sentenza n. 1/2014). Besostri avrebbe ingaggiato e coordinato - con vari avvocati che avevano accettato di operare pro bono - altre battaglie per depurare dalle incostituzionalità altre leggi elettorali (per il voto politico, europeo e regionale), ma ha seguito anche contenziosi in materia di autodichia parlamentare e vitalizi: se certe iniziative non hanno avuto fortuna, l'azione contro la legge elettorale Italicum è finita con la bocciatura del ballottaggio e il meccanismo dell'opzione per i candidati multieletti (sentenza n. 35/2017 della Corte costituzionale) e prima ancora l'impegno del Coordinamento per la democrazia costituzionale (cui ha partecipato lo stesso Besostri) ha concorso nel 2016 al voto negativo sulla riforma costituzionale.
In occasione delle elezioni del 2018 (con un'altra legge che secondo lui presentava gravi vizi), Felice Besostri è stato candidato in varie circoscrizioni per Liberi e Uguali, senza risultare eletto: è stato candidato come socialista, benché il Partito socialista italiano - come si è visto prima - abbia concorso a un'altra lista. Senza mettere in dubbio la sua vicinanza al Psi, Besostri ha concorso all'attività - oltre che dell'Istituto di studi politici Giorgio Galli, animato da Daniele Comero - di vari soggetti collettivi di quella stessa area, quali il Gruppo di Volpedo, la Rete socialista e l'associazione Socialismo XXI. Sembra dunque giusto ricordare, accanto alla battaglia appassionata per elezioni autentiche (come dimostrano i suoi recentissimi intervento nel format concepito per lui e con lui da Vladimiro Poggi, Besostri c'è), anche un impegno militante portato avanti fino all'ultimo giorno.
Per tutte le ragioni indicate sin qui, non considerare il ruolo di Giulio Santagata e Felice Besostri negli ultimi trent'anni di vita politica e istituzionale italiana sarebbe davvero inopportuno, per chi volesse avere una visione più completa, non trascurando i vari passaggi, anche da un simbolo all'altro.

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