giovedì 16 agosto 2012

Contro il manganello delle tasse. Oggi come allora

Le tasse non piacciono a nessuno, è noto e non c’è bisogno di un’indagine per averne conferma. C’è chi si limita a pensarlo, c’è chi non lo tiene per sé e lo grida come e dove può. Qualcuno, mentre era al governo, ha più volte giustificato l’evasione fiscale (senza domandarsi con quali soldi avrebbe fatto fronte alle spese dello Stato), era nelle cose che qualcun altro prima o poi pensasse di costruirvi intorno un movimento.
Da pochi giorni quell’idea si è fatta partito, grazie a Leonardo Facco, giornalista, scrittore ed editore. A dire il vero, statuto e atto costitutivo non ci sono ancora, dunque il partito, inteso come associazione vera e propria, per il momento non esiste, ma è questione di settimane. Il nome, però, è già lì: «Forza evasori». Chiaro, inequivocabile, indisponibile a letture accomodanti. Accanto al nome, cinque articolate idee di programma che compongono – sono parole dell’ideatore – un «passaporto per la salvezza». Si snocciolano in fretta, volendo: «Del fisco me ne infischio», «Dieta paleolitica per lo Stato», «Il futuro è mio e lo decido io», «Abbasso la squola», «Libertà di pensiero e di confessione».

A voler tentare (indegnamente) di tradurre il tutto in concetti semplici: niente imposte sul reddito per chi guadagna meno di 10mila euro l’anno, imposta per tutti al 15% e Iva generale al 5% (da ripartire tra comuni, regioni e stato), un sistema fiscale più semplice che non richieda l’intervento di un commercialista, niente imposte su bolli vari, niente patrimoniale sulla prima casa, ma potere ai cittadini di accettare o meno con referendum l’applicazione di ciascun balzello (e diritto di evasione se non si arriva a tutto questo entro il primo anno del governo prossimo venturo). Eppoi, dimezzamento del debito pubblico vendendo le proprietà vendibili dello Stato, licenziamento di due milioni e mezzo di dipendenti pubblici (con un anno di preavviso e agevolazioni fiscali di peso), abolizione di tutti i sussidi (associazioni di volontariato comprese), separazione completa tra Stato e sistema bancario, privatizzazione totale della previdenza pensionistica, liberalizzazione totale dell’offerta scolastica (programmi compresi) e abolizione di ogni rapporto costituzionalizzato fra religioni e Stato.
Bel programmino, una bella cura da cavallo con cui – sono sempre parole di Facco – «abbattere ciò che è irriformabile e, al contempo, sgombrare le macerie»: roba da prendere l’Italia e rivoltarla come un calzino, squassandolo per bene, prima e dopo. Certo, il partito ancora non c’è e nemmeno il simbolo: «Lo sta preparando un grafico – spiega ancora l’ideatore del partito – verrà valutato dai fondatori in una riunione ristretta ai primi di settembre e poi presentato ufficialmente in autunno».
Nel frattempo, però, quel “passaporto per la salvezza” si è dotato di un’immagine evocativa: un poveraccio (in completo color petrolio, ma sempre poveraccio, per la fine che fa) preso per le caviglie da una mano innestata su un manganello («Il manganello delle tasse!») che provvede a scrollarlo indebitamente, privandolo di monete e banconote. L’immagine è presa a prestito dall’iconografia americana – non a caso dalle tasche escono chiaramente dei dollari – ma per Facco va benissimo anche in terra italica.
A ben pensarci, era in giacca e aveva gli occhi fuori dalle orbite anche il travet che veniva schiacciato dal torchio dell’Uomo qualunque di Giannini; a voler essere filologi a tutti i costi, anche dalle tasche di quel malcapitato schizzavano via le monetine (ma solo nella testata del giornale, nel simbolo di partito non ce n’era traccia). Sono passati quasi settant’anni e sembra quasi che non sia cambiato niente, a parte la posizione: che essere sgrullati come uno shaker da un manganello sia meglio che finire schiacciati in una pressa, è tutto da vedere.

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