giovedì 30 aprile 2020

Viaggi a Millelire tra le schede nulle, simbolo dell'Italia che "svota"

Regionali Lazio 2010, rielaborazione
di una vera scheda nulla
Chiunque, nel corso della propria vita, abbia fatto almeno una volta il presidente, lo scrutatore o il segretario ai seggi, soprattutto in caso di elezioni (anche per i referendum in teoria, ma in pratica il rito è meno interessante), sa che uno dei momenti irrinunciabili, da che voto è voto, riguarda l'analisi delle schede nulle. E non certo quelle nulle per motivi meramente tecnici e generalmente per errore di chi ha votato, perché ad esempio contengono due "crocesegni" - così li chiamano i burocrati - su due simboli o due candidati diversi: a quelle si dedica giusto uno sguardo quando vengono trovate e uno quando si ricontano. Anche il soggetto in apparenza più serioso o compassato, invece, finisce per interessarsi di più alle schede che sono nulle proprio per scelta dell'elettore o dell'elettrice: loro, del resto, l'hanno fatto apposta per farsi leggere e guardare, anche se il messaggio non sarebbe andato oltre l'aula trasformata in seggio.
Qualche volta il confine, in realtà, è molto più ampio, anche grazie all'iniziativa di chi, a suo tempo, si è preso la briga di annotare le prodezze di chi ha scelto quella vita di protagonismo liberatorio o, addirittura, ha cercato complicità in varie parti d'Italia per produrre carnet di tutto rispetto. Possono chiamarsi così, infatti, titoli come Cazzi vostri io domani vado in Svizzera e Berlusconi ha pochi capelli ma in compenso ha..., libri - sì, libri, perché non dovreste chiamarli così? - usciti rispettivamente nel 1994 e nel 2012, entrambi editi da Stampa Alternativa nella mitica e coraggiosa collana Millelire (anche se, con il nuovo conio, di fatto era diventata "un euro", ma il senso era esattamente lo stesso). Libri pensati apposta per essere diffusi il più possibile e passare di mano in mano, partendo dai posti più impensati. Libri de combat, come l'ideatore dell'intero progetto di Stampa Alternativa, Marcello Baraghini, libertario e radicale purosangue. Con quello stesso spirito, Baraghini ha da poco messo online, liberamente scaricabili, tutti o quasi i Millelire (e i titoli di collane affini) nel sito di Strade Bianche, la libreria-editrice-covo-laboratorio di Pitigliano in cui si possono trovare tutti i titoli di Stampa Alternativa, ora che quell'esperienza si è chiusa con una procedura di liquidazione. E tra le opere messe a disposizione - sì, opere, perché no? - ci sono anche le due citate sopra.
Cazzi vostri io domani vado in Svizzera - di cui ha meritoriamente parlato pochi giorni fa Guglielmo Sano su Termometro Politico - prese il suo titolo da una frase realmente vergata su una scheda delle elezioni politiche del 1994 e fu frutto di un disegno preciso del compilatore, Gian Marco Chiavari: ben conscio che le schede nulle erano "un fenomeno che si è sempre verificato in ogni consultazione elettorale, un partito che è sempre stato presente e non sparirà certo come gli altri", contattò potenziali "talpe dei seggi" in ogni dove, ben felici di annotare e riportare le frasi più improbabili - dunque memorabili - riportate sulle schede. Doveva trattarsi indubbiamente di #drogatidipolitica a vario stadio, potendosi dire lo stesso di Eric Cò, curatore della raccolta più recente, nata peraltro proprio da un'esperienza diretta da segretario di seggio e da un incontro ravvicinato con un rappresentante di lista di una volta, di quelli che forse "non ne fanno più" ma per fortuna ci sono ancora (ognuno si legga il testo dell'introduzione da sé, non è giusto togliere il piacere della scoperta). 
In qualche modo il secondo libro è la versione aggiornata del primo (di cui l'autore è consapevole, citandolo nella sua introduzione), con un gruppo di suggeritori più limitato e un diverso criterio di organizzazione del materiale. In ogni caso, nell'una e nell'altra uscita editoriale, si tratta di un viaggio a un universo in cui siamo immersi e al quale, magari, abbiamo persino contribuito, ognuno con il suo modo: ora volgare, ora incazzato, ora esausto, ora ironico e volto chiaramente a scatenare le risatine dei componenti del seggio. Una sorta di complicità senza volto, che sarà pure inutile perché in politica il boicottaggio è "costoso solo per chi boicotta" (come scrive Cò nel suo introito), ma non può lasciare indifferenti gli/le appartenenti alla categoria dei #drogatidipolitica, che non riusciranno mai a condannare nemmeno la volgarità più gratuita e becera (del resto, la ben nota frase di Rino Formica sulla politica come "sangue e merda", pur detta in altro contesto, rende bene l'idea).
C'è da dire che, da questo punto di vista, la fantasia di chi entra in cabina ha conosciuto e conosce pochi confini. E non c'è bisogno di arrivare alle vette di coloro che nelle schede hanno infilato "scontrini, figurine, fette di insaccati, un preservativo ancora confezionato, un preservativo non confezionato, vari santini, una pagina strappata del Vangelo, vari foglietti con disegni fatti a mano, delle carte con personaggi dei cartoni animati, una fototessera, un ritaglio di una fotografia che riprende il segretario di sezione, foto di politici ritagliate da giornali variamente modificate, biglietti da visita, una piccola cartina di Milano con segnato un punto con la scritta 'Qui abito io', un biglietto di una lotteria scolastica, un buono sconto di un supermercato, il bugiardino di un medicinale, uno stuzzicadenti, un fazzoletto di carta utilizzata, una bustina di zucchero, un anello di plastica, una tessera del sindacato Cisl con la scritta 'merda servo dei padroni', la fotocopia di una banconota da 50€, alcune monete da uno o due centesimi", secondo l'elenco quasi in stile arbasiniano stilato dallo stesso Cò. Qui ci si limita a occuparci di si esprime soltanto con la matita copiativa.
Già, ma i simboli? C'entrano qualcosa in tutto ciò? In modo collaterale, se si pensa alla messe di scritte di varia natura che si rivelano spiegando le schede - una piccola antologia: "Annullatemi grazie", "votare o non votare / andate tutti a cagare", "non posso votare atei e falsi credenti", "Se Dio esiste deve avere comunque un'ottima scusa", "Oggi stamme peggio da ieri e figurate dimane!", "Sono un medico e come tale tutti vi dovete curare" (dal volume del 1994); "Ettcciiuuuu Scusate, ho smargagnato sulla scheda", "Questa è antrace", "Solo cedrata Tassoni", "Sento freddo", "Nutella al potere!", "Oggi era meglio che andavamo tutti a Gardaland", "Per fare l'avvocato devi essere un cane", "Cosa aspettate ad aggiustare via Roma?", "Tartufo", "Io voto per la prova televisiva almeno per vedere se il pallone ha superato la linea di porta", "E domani tutti in trasferta", "Chi non salta celerino è", "Pelù sei il mio dio", "Belpietro torna indietro", "Che fine ha fatto Marco Columbro?", "Tutti al mare sull'autoblu pagata da noi" (dal volume del 2012) - ma qualcosa c'entrano.
A dimostrarlo è soprattutto il libro curato da Chiavari, che ha dedicato due pagine alla categoria "Segni". Si è dato conto di come generalmente una scheda sia annullata con una megacroce, con croci o disegnini su ciascun emblema o con "una linea che percorreva direttamente tutti i simboli, non saltandone neppure uno": in questo caso, peraltro, non può sfuggire ai veri #drogatidipolitica un'immagine utilizzata nelle pagine precedenti, in cui tra i simboli segnati e annullati c'è persino quello giallo e verde, con asinello scalciante e quadrifoglio, del Partito democratico di Romeo Piacenti e si intravede uno scorcio del simbolo di Alleanza democratica di Willer Bordon. Tornando alla sezione "Segni", si dà conto delle varianti nullificanti di "segni sui segni", compreso il "rotondino concentrico spirale su ogni simbolo"; si nota però anche che sulle schede valide si sono rilevate "molta attenzione a non sorpassare i limiti del cerchietto del simbolo e numerosi voti per la Lega espressi con un segno a matita parallelo perfettamente alla spada di Alberto da Giussano".
Un atteggiamento maniacale? Probabilmente sì, ma forse non solo. Nel saggio posto a chiosa del volume, intitolato Dio benedica il PaeseRenato Mannheimer (allora solo straordinario di Sociologia politica all'Università di Genova: Porta a Porta non era nemmeno stato concepito...) non si era limitato a invitare a non dare un'interpretazione univoca delle schede nulle e delle astensioni (non potendosi parlare a tutti gli effetti di un "partito" per nessuno dei due fenomeni), ma aveva invitato a tentare di distinguere i tipi di messaggi che quei bollettini "malvotati" potevano offrire. Qui l'attenzione cade soprattutto sulla "ripetizione regolare di alcuni segni geometrici, che sarebbe interessante analizzare anche dal punto di vista della psicologia e della psicanalisi", segno di una certa "estraneità, ad un livello personale, più intimo, di quello della semplice non integrazione politica"; a quelle ipotesi sono accostate quelle, a loro modo simili, (e in altra maniera diverse) dell'uso della parolaccia o del "frequentissimo disegno del membro maschile, di varie dimensioni", per non parlare dei santini e delle scritte di matrice religiosa, segno di una certa esclusione dalla vita politica percepita da chi, magari, si sente perduto e distante perché sulla scheda "non si trova più nessuno dei simboli e delle sigle conosciute", ma solo partiti che "sono tutti nuovi. Almeno esteriormente". 
Il discorso di Mannheimer poteva valere nel 1994, dopo il terremoto politico di Mani Pulite e con il cambio di sistema elettorale (che partorì di per sé alcuni simboli nati ad hoc); vale anche oggi, di fronte a certi contrassegni-macedonia o del tutto anonimi, nati apposta per quell'appuntamento elettorale (magari per tentare di superare il 4%), per cui elettori ed elettrici non li riconoscono. Altri invece si ripresentano per l'ennesima volta e c'è chi li riconosce in un nanosecondo. Nell'uno e nell'altro caso, la mano armata di matita parte e lascia tracce, pronte a rivelarsi durante lo spoglio.

mercoledì 29 aprile 2020

1985, l'Alleanza pensionati (con De Jorio) approda alla regione Lazio

Qual è stato il primo partito legato ai pensionati ad avere avuto una rappresentanza almeno in un consiglio regionale? No, se qualcuno ha risposto il Partito pensionati, quello che dal 1987 si identifica essenzialmente con la figura di Carlo Fatuzzo, ha commesso un errore: la prima rappresentanza regionale dei pensionati risale infatti al 1985, due anni prima che il Partito pensionati venisse ufficialmente fondato.
La storia la racconta il suo protagonista, Filippo De Jorio, avvocato di origine napoletana ma da molti anni attivo a Roma. Il primo partito di De Jorio, in realtà, era la Democrazia cristiana e lo è stato decisamente a lungo: "si figuri che la mia prima tessera la presi a 17 anni, ora ne ho 87...", racconta, aggiungendo che nel partito dello scudo crociato lui è rimasto dal 1950 al 1984, sempre su posizioni chiaramente di destra o almeno di centrodestra, senza mai nascondere le sue nette simpatie monarchiche. All'inizio fu vicino a Giuseppe Pella e Ignazio Ughi, poi collaborò con Ferdinando Tambroni e Mariano Rumor, fino a entrare tra i collaboratori di Giulio Andreotti quando era Presidente del Consiglio nel 1973. Nel 1970 era diventato per la prima volta consigliere regionale in Lazio per la Dc, eletto nella circoscrizione di Roma mentre era assai apprezzato come avvocato amministrativista e tributarista. Lo divenne di nuovo nel 1980, agguantando l'ultimo seggio disponibile nella stessa circoscrizione, dopo aver passato tre anni difficilissimi "in autoesilio" (tra Svizzera, Francia e Principato di Monaco) tra il 1975 e il 1978, accusato di aver avuto un ruolo nel "golpe Borghese", fino al ritorno in Italia dopo l'assoluzione intervenuta proprio nel 1978.
Il 1984, nei progetti, doveva essere l'anno del balzo in avanti, con la candidatura alle elezioni europee. "Ero appoggiato da tutte le segreterie Dc delle regioni che facevano parte della circoscrizione centro - ricorda De Jorio - ed era un sostegno importante, come professionista affermato ero simpatico a tutti e non creavo problemi politici a nessuno. La mia candidatura doveva comunque passare dalla direzione nazionale, che si riunì di domenica. Quel giorno, in effetti, delle persone che mi sostenevano era presente solo Gianni Prandini, perché Franco Malfatti aveva avuto un attacco di febbre, mentre Arnaldo Forlani, per pigrizia, non si era nemmeno presentato, convinto com'era che quel passaggio fosse soltanto formale. E invece, nel vagliare le candidature da mettere in lista, arrivato alla mia il segretario Ciriaco De Mita disse 'Questo nome non mi piace'. Fu appunto Prandini a riferirmi questo e mi disse anche che, alle sue proteste e alla richiesta di spiegazioni, De Mita rispose soltanto 'Passiamo avanti', senza che si potesse aprire un dibattito sul mio nome".
De Jorio si è convinto del fatto che, con De Mita, il patronimico avesse giocato a suo sfavore: "Evidentemente il cognome, il mio, di una famiglia di antichi feudatari della sua provincia, Avellino - ha raccontato anche di recente nel libro ... E le mele continuano a marcire, pubblicato nel 2018 tra "i libri del Borghese" - non era di gradimento del segretario politico che voleva dimostrare a tutti di essere onnipotente". L'avvocato, in ogni caso, non accettò quel trattamento e lascià direttamente il partito: "Se questa Dc ormai è cosa tua, non è più casa mia", scrisse De Jorio in un telegramma indirizzato allo stesso De Mita. 
D'accordo, ma i pensionati? Arrivarono quasi a sorpresa, visto che dopo l'addio alla Dc De Jorio aveva pensato di concentrarsi sulla sua attività forense. Sempre nel 1984, però, poco dopo quelle dimissioni, De Jorio ricevette una visita inattesa: "Venne da me Giulio Cesare Graziani, cugino di Rodolfo maresciallo d'Italia, già generale dell'aeronautica, in passato tra i fonatori di Democrazia nazionale e amico da sempre. Lui mi propose di capeggiare una lista in difesa dei pensionati che lui aveva in animo di presentare alle regionali l'anno successivo. Ci pensai un po' e dissi: perché no? Fui accolto con simpatia in quella che si chiamava, appunto, Alleanza pensionati".
In effetti, in quell'occasione, il simbolo utilizzato fu quello dell'Alleanza italiana pensionati, con una curiosa costruzione letteral-geometrica, in cui una P nera prevaleva su quella che probabilmente era una A; il simbolo, peraltro, sembrava evoluzione di quello già apparso nel 1983 come Unione difesa pensionati. Per evitare di raccogliere le firme, tra l'altro, il contrassegno conteneva giusto al centro dell'emblema (e nel foro della P) la "pulce" della Liga Veneta, presente dal 1983 in Parlamento (lo stesso accordo ha portato, per esempio, il simbolo a correre pure in Emilia-Romagna). "Graziani fu un signore e mi cedette il posto di capolista - ricorda De Jorio - ma non mi andava di portarglielo via. Facemmo un accordo tra gentiluomini: se io fossi stato eletto, a metà mandato gli avrei lasciato il posto. Così facemmo: io riuscii a ottenere un posto, poi nel 1987 mi dimisi e lui subentrò a me in consiglio regionale". 
Nel 1990 De Jorio e Graziani ci riprovarono, con la lista Alleanza pensionati: il loro successo personale aumentò (De Jorio passò da 2230 a 3929 preferenze; Graziani da 818 a 1180 preferenze), ma la lista crollò da oltre 30mila voti a poco più di 19mila voti, quasi tutti concentrati in provincia di Roma, anche perché riuscì a essere presente anche nella sola provincia di Frosinone, non nelle altre tre (probabilmente per la difficoltà di dover raccogliere le firme anche altrove). In più, in quell'anno ben 27mila voti andarono alla lista del Partito pensionati, nato come si diceva nel 1987 e con la parola "Pensionati" ben visibile nel simbolo, nonostante nel frattempo anche il gruppo di De Jorio e Graziani si fosse dotato di un altro simbolo, più leggibile rispetto a quello del 1985.
A dire il vero, e piuttosto inspiegabilmente, il simbolo appariva più povero e meno curato rispetto a quello che lo stesso movimento, sempre con il nome Alleanza pensionati, aveva presentato alle politiche del 1987, prendendo 21.300 voti nella sola circoscrizione Roma-Viterbo-Latina-Frosinone. Accanto al simbolo, con la sigla AP in primo piano e un sapiente gioco di rilievi e trafori che dava l'idea della tridimensionalità in schede rigorosamente in bianco e nero, 3024 elettori scrissero il nome di Filippo De Jorio, un consenso dunque in aumento rispetto al 1985, ma non sufficiente a ottenere un seggio per la scarsa presenza territoriale. 
Ci volle altro, naturalmente, per scoraggiare De Jorio dal partecipare alla vita politica: sul piano elettorale si registrarono altre presenze significative, ma meritano di essere analizzate in un secondo momento.

martedì 28 aprile 2020

Il teschio contro droga e immigrati clandestini: il progetto incompiuto di Gremmo

L'esclusione della lista dell'Union piemonteisa dalle elezioni europee del 1989 era stata per Roberto Gremmo una batosta davvero pesante, soprattutto perché lui era consapevole di quanto sarebbe stato importante contare almeno su un eletto al Parlamento europeo, potendo far sentire la propria voce e ponendosi come "pari" della Lega Lombarda (in procinto di trasformarsi in Lega Nord). In quelle condizioni, invece, molti dei militanti piemontesisti della prim'ora meditavano di andarsene e qualcuno se ne andò davvero: ben pochi, tra gli elettori consolidati di Gremmo, alle europee avevano votato per l'Alleanza Nord in cui era confluito il Piemont autonomista Gipo Farassino, ma questo non bastava certo a ripartire con facilità, dopo una simile battuta d'arresto.
D'accordo, Gremmo era ancora consigliere regionale in Valle d'Aosta (anche se doveva difendere in tribunale il suo ruolo ottenuto nel 1988 dalle accuse di irregolarità nel procedimento elettorale), la moglie Anna Sartoris era ancora consigliera comunale a Santhià (dal 1987), ma era tempo di fare un balzo in avanti e bisognava capire come, possibilmente senza farsi assorbire dalla Lega Nord a trazione lombarda (mentre in effetti Roberto Vaglio, assieme ad altri esponenti interni, suggeriva di allearsi con il partito di Alberto da Giussano) e comunque senza chiudersi nel "recinto" autonomista.
Gremmo elaborò una strategia, che comunicò a simpatizzanti e aderenti all'Union Piemonteisa in un congresso che si svolse proprio a Santhià, in una domenica di luglio del 1989. Ed era una strategia spiazzante, che suonava come sfida all'umanamente possibile: in un momento in cui le forze disponibili erano poche o comunque in calo, il leader autonomista pensava di quadruplicare l'impegno, in vista delle elezioni regionali del 1990. "Quadruplicare" non era detto a caso: "Piemont - disse Gremmo, come riportato in Contro Roma - deve fare non una, ma quattro liste: la prima tradizionalmente autonomista; una seconda che raggruppi i pensionati; una terza che si occupi dell'ambiente e infine una per avere i voti dei meridionali, stufi dei partiti ma che non voterebbero mai Piemont". E ogni lista avrebbe avuto l'obiettivo di portare a casa un consigliere, arrivando a quattro o cinque in tutto.
Da La Stampa del 25 luglio 1989
Il congresso, a dispetto dello stupore di molti - che forse non si aspettavano tanta iniziativa dopo una sconfitta che non aveva nemmeno permesso di gareggiare - approvò la strategia di Gremmo, anche se in effetti questa era stata svelata solo in parte. Passi per le prime due liste, che - anche se avessero usato simboli nuovi rispetto al passato - erano comunque già state proposte da Gremmo; le altre due proposte, tuttavia, erano sufficientemente indefinite. La lista che doveva occuparsi di ambiente, per esempio, fu identificata dai più come un nuovo progetto di "lista verde", anche sulla scorta del risultato delle ultime europee (le liste della Federazione delle liste verdi e dei Verdi arcobaleno insieme avevano preso il 6% e in Piemonte anche qualcosa di più), mentre Gremmo spiegò di avere pensato soprattutto ai cacciatori, gruppo che aveva un proprio seguito e che era in sofferenza. La quarta lista, poi, era decisamente misteriosa: chi lo confermò alla guida dell'Union piemonteisa ne accettò il progetto in sostanza a scatola chiusa. 
Dal Corriere della Sera del 26 luglio 1989
Quelle dichiarazioni di Gremmo al congresso dell'Union Piemonteisa non fecero ovviamente piacere alla Lega Lombarda (non ancora Nord): Bossi, nei giorni successivi, dichiarò al Corriere della Sera che "a Gremmo è scoppiato il cervello", non potendo sembrare più lontane le posizioni dei due gruppi, oltre che i disegni politici. Bossi stava costruendo la sua Lega (Nord), Gremmo stava lavorando alle sue liste in Piemonte (e, lo si vedrà poi, anche in Lombardia). In effetti La Stampa, nel ricordare quei giorni, parlava addirittura di cinque liste: quella autonomista, quella di pensionati e quella sull'ambiente coincidono, quella più fumosa doveva servire "perché Farassino resti a casa". Ce n'era però una quinta, "contro la droga perché sono contro Pannella". Ed era proprio quello uno dei punti caratterizzanti il nuovo progetto politico, anche se non l'unico e, come si vedrà, non quello destinato a fare maggior scalpore. Lo stesso Gremmo spiegò il suo ragionamento nel suo libro Contro Roma:
In piena estate viaggiavo per ore sui lenti teni della Roma-Genova e mi accorgevo come la presenza di marocchini, neri, extracomunitari in genere era diventata un fenomeno massiccio e mal tollerato dai cittadini qualunque. I viaggiatori che dovevano stringersi come sardine negli scompartimenti per far posto a decine e decine di immigrati con ingombranti e voluminosi "bagagli", cioè involti, borse e sacchi contenenti le "merci" che cercavano di vendere per le strade e sulle spiagge. Sentivo i discorsi della gente. Ricorreva un preoccupante interrogativo: "Ma questi extracomunitari vivono veramente solo vendendo ninnoli ed accendini o non nascondono dietro ad un commercio legale qualche altra cosa?"  
La risposta la trovai ancora una volta in treno. Stavo scendendo a Torino su un treno locale della Valsusa che raccoglieva a tarda sera pochi viaggiatori e la gran massa di questi "vu cumprà" che avevano trascorso la giornata nei paesi valligiani. Uno di loro, un africano, se ne stava comodo comodo all'inizio del vagone. Io leggevo tranquillamente dalla parte opposta. Ad una fermata intermedia [...] salì un giovane. Guardandomi di sottecchi, con fare sospettoso, si avvicinò all'africano. La loro conversazione fu breve, essenziale. Dopo pochi minuti, l'africano "passò" al giovane un pacchettino ottenendo del denaro. Difficile pensare ad una vendita di accendini o carabattole.  
Ecco, proprio sotto i miei occhi, senza ombra di dubbio, avevo avuta la prova della pericolosità sociale di questa immigrazione incontrollata che cominciava ad affacciarsi in massa nel nostro Paese. La gente comune, insomma, nella sua istintiva diffidenza aveva ben compreso il rischio che queste migliaia di clandestini comportavano. Essi erano la manodopera a basso prezzo per la delinquenza organizzata, l'anello più debole della catena dello spaccio della droga. Immigrati-droga: era l'equazione allarmante da cui volevo partire per aprire un nuovo fronte di azione politica per l'autonomia.
Da StampaSera del 25 agosto 1989
Era questo, dunque, il pensiero di fondo della quarta (o quinta) lista coperta di Roberto Gremmo, meditato da mesi. E il fatto che, a suo dire, "nel Sud la cultura del 'Mamma li turchi' [fosse] radicata nei secoli" avrebbe attirato con maggiore facilità l'interesse delle persone di origine meridionale per queste battaglie. L'annuncio del nuovo fronte d'impegno Gremmo lo diede il 23 agosto dagli schermi di Televox, nel suo spazio settimanale: il varo ufficiale del nuovo progetto, denominato Lega contro la droga e contro l'immigrazione clandestina del Terzo Mondo, sarebbe avvenuto il 2 settembre ad Asti. Il simbolo? "Un teschio nero che addenta una siringa: l'avevo visto - spiega oggi Gremmo - in un giornalino tedesco: era un segno di paura, che metteva in guardia le persone dalle possibili conseguenze della droga, facendo capire dove avrebbe potuto portare. Lo feci riprodurre a un amico grafico ed era pronto per essere utilizzato".
Da La Stampa del 26 agosto 1989
Tempo una manciata di ore e proprio il simbolo apparve sulla Stampa, assieme alla conferma che a presiedere la nuova Lega sarebbe stata Anna Sartoris, moglie di Gremmo, e anche alle critiche anche piuttosto aspre che iniziavano ad arrivare dalle forze politiche esistenti e da parte di esponenti della società civile (tra i primi commenti negativi apparsi, quelli di Ernesto Olivero del Sermig e di don Luigi Ciotti del Gruppo Abele). Nel giro di alcuni giorni, anche altre testate si accorsero dell'iniziativa di Gremmo e le diedero un certo spazio, anche solo per attaccarla assieme al suo proponente, proprio mentre da mesi ormai - dopo il risultato delle elezioni europee - i media avevano aumentato di molto l'attenzione verso la Lega di Bossi (con la Lega Nord che sarebbe ufficialmente nata con atto notarile il 4 dicembre 1989).
Da StampaSera del 30 e 31 agosto 1989
In vista del "battesimo" ad Asti - città scelta perché "gran parte degli immigrati clandestini giungevano in Piemonte da Genova" e proprio ad Asti le tensioni erano più marcate - la protesta di parte dei cittadini e delle forze politiche (soprattutto da parte dei comunisti) crebbe, nel tentativo di non far svolgere l'evento di presentazione. Nei giorni precedenti c'era stato anche un confronto a distanza tra Dacia Valent, eurodeputata Pci che lamentava un "ritorno al Medioevo" e non si capacitava del fatto che a capo dell'iniziativa ci fosse una donna ("non riesco a capire come non comprenda le difficoltà e i disagi degli altri") e la stessa Sartoris: "L'80% del traffico e dello spaccio di stupefacenti è ormai in mano agli stranieri, soprattutto immigrati clandestini del Terzo Mondo. E sono proprio i clandestini ad essere, secondo noi, facile preda di quelle organizzazioni, come la mafia e la camorra, che approfittano della loro debolezza e li ricattano".
Da La Stampa del 3 settembre 1989
L'incontro iniziò con "insulti e lanci di uova", come riportato anche dalla Stampa, e finì con nuove contestazioni e - come racconta Gremmo nel suo libro - persino con un inseguimento da parte dei manifestanti che lui riuscì a evitare infilandosi in una bottega da barbiere ("Mi feci fare tranquillamente la barba mentre gli inseguitori perdevano le mie tracce"). In compenso, Gremmo era convinto che aver tirato fuori quel tema, al di là delle polemiche divampate e delle accuse di razzismo, fosse stata la mossa giusta per portare allo scoperto un problema esistente, avere più attenzione e per catalizzare i consensi di chi, in fondo, era convinto che l'immigrazione fosse davvero eccessiva e, dunque, pericolosa soprattutto per i legami che lui aveva messo in luce con il mercato della droga, in un'Italia che negli anni '70 aveva conosciuto il dilagare dell'eroina e negli anni '80 aveva dovuto sperimentare sempre di più le "quattro letterine magiche" (alla Max Pezzali), vale a dire l'Aids.
Da La Stampa del 27 agosto 1989
Fin dagli ultimi giorni di agosto, peraltro, Gremmo aveva accusato il colpo della dissociazione di Roberto Vaglio (che allora era consigliere comunale a Bussoleno) e di altri membri di un certo rilievo dell'Union Piemonteisa (Dario Bocco, Mauro Pellissero, Vittorio Pallieri e Giovanni Pesando). Già in quell'occasione il gruppo aveva manifestato interesse per il progetto politico di Bossi e, nel giro di alcune settimane, i dissidenti aderirono alla nascente Lega Nord con l'avvicinamento al gruppo di Farassino, tra le anime fondatrici del partito. 
A dispetto di tutte quelle polemiche, però, la lista con il teschio e la siringa sulle schede non ci finì mai. E non perché Gremmo o Sartoris si siano ricreduti sulla sua opportunità o utilità, ma essenzialmente perché entrò in vigore la legge n. 53/1990, approvata in tutta fretta dalle Camere a partire dal disegno di legge presentato dal ministro dell'interno Antonio Gava. Pur essendo tuttora nota come la legge che ha allargato la platea degli autenticatori per le sottoscrizioni, in quell'occasione fu soprattutto la legge che aveva ampliato notevolmente il numero di firme da raccogliere per le elezioni comunali a sostegno delle liste: si vollero espressamente inserire "elementi di deterrenza alla proliferazione delle liste elettorali che si prefiggono azioni di disturbo e talora sono fattori di inquinamento delle stesse operazioni di voto", come disse in aula a Palazzo Madama il relatore, il democristiano Paolo Cabras. Per lui i sempre più numerosi esempi di "proliferazione delle liste (vedi le circa 40 liste presentatesi per le elezioni amministrative al comune di Roma [che però erano 23, ndb]) non sono un omaggio al pluralismo, ma sono molte volte l'ingresso di un 'parco buoi', per cui usufruendo di alcuni vantaggi elettorali i rappresentanti di liste inesistenti vendono i loro servigi per rappresentanza di lista nei casi di collegi senatoriali per aiutare a migliorare le percentuali di un candidato in questo o in quel collegio". 
Al di là dell'esempio, le modifiche riguardarono solo le elezioni comunali, ma furono modifiche tutt'altro che blande: se le firme richieste raddoppiarono nei comuni fino a 2mila abitanti (da 10-15 a 20-30) e nella fascia 2mila-5mila (da 30-45 a 60-90), l'aumento fu di cinque volte nei comuni tra 5mila e 10mila abitanti (da 35-50 a 175-250), nella fascia 10mila-40mila (da 70-100 a 350-500), in quella 40mila-100mila (da 150-220 a 750-1100) e in quella 100mila-500mila (da 200-300 a 1000-1500). La sorte peggiore, tuttavia, toccò ai comuni più grandi: se infatti in quelli tra 500mila abitanti e il milione il numero di firme comunque quintuplicò (da 350-500 a 1750-2500), venne creata un'ulteriore categoria sopra il milione di abitanti, in cui si richiesero tra le 3500 e le 5000 firme, dieci volte di più rispetto alle comunali precedenti. Il tutto mentre venne confermata e ampliata l'esenzione dalla raccolta firme alle stesse elezioni comunali per i partiti rappresentati alle Camere o al Parlamento europeo. 
Per i partiti nuovi o comunque non giunti alla rappresentanza nazionale, dunque, presentare liste nei comuni medio-grandi diventava all'improvviso assai più complicato (a meno di poter contare sulla "pulce", prestata da qualche soggetto compiacente): considerando che la legge era entrata in vigore il 23 marzo e si votava il 6-7 maggio, ma le liste dovevano essere presentate nei primi giorni di aprile, il tempo per raccogliere quell'improvvisa montagna di firme si era ridotto a pochi giorni. Troppo pericoloso, a quel punto, disperdere le forze su più liste: meglio, molto meglio concentrarle su una sola e sperare nel risultato. Che in effetti arrivò e non da una sola parte, ma questo merita di essere raccontato a parte. 

domenica 26 aprile 2020

Addio a Giulietto Chiesa, ecco tutti i suoi simboli


Si è appreso oggi, attraverso l'annuncio fatto da Vauro (Senesi), della morte di Giulietto Chiesa. In molti ne hanno già ricordato la lunga attività giornalistica, in particolare come corrispondente da Mosca, prima per l'Unità e poi per varie altre testate, di carta stampata o televisive; c'è chi ha posto maggiormente l'accento sulla sua vita più recente, legata soprattutto alla sua attività di blogger e di fondatore-coordinatore di Pandora Tv. Non è però il caso di trascurare l'attività politica di Chiesa, né di limitarla alla sua esperienza da parlamentare europeo, anche se - a suo modo - ne ha costituito il punto di svolta.
La militanza più lunga della vita del giornalista, in ogni caso, è probabilmente quella legata al Partito comunista italiano, per cui Giulietto Chiesa era stato dirigente e consigliere comunale (a Genova, dal 1975 al 1979, esercitando il ruolo di capogruppo). La sua militanza in quell'area sarebbe proseguita oltre la svolta di Rimini, con l'adesione o almeno la vicinanza al Partito democratico della sinistra e ai Democratici di sinistra (non se ne sono messi i simboli nella grafica solo perché non c'è certezza di quell'appartenenza); eppure l'esperienza elettiva più importante della sua vita è avvenuta sotto altre insegne, anche piuttosto distanti da quelle d'origine.
Nel 2004, infatti, Chiesa è stato eletto al Parlamento europeo nella circoscrizione Nord-Ovest, in rappresentanza della Lista Di Pietro-Occhetto - Società civile, con 13.664 preferenze: si classificò terzo, ma il seggio toccò a lui perché il più votato, Antonio Di Pietro, aveva optato per l'elezione nella circoscrizione Sud, mentre Achille Occhetto, secondo più votato (circa 200 preferenze in più di Chiesa), aveva preferito rimanere al Senato, dov'era stato eletto sotto il simbolo dell'Ulivo. Tanto Occhetto quanto Chiesa avevano partecipato alla lista Società civile da indipendenti, come rappresentanti dei "Riformatori per l'Ulivo", anzi, "Riformatori per il nuovo Ulivo", gruppo più o meno informale che avrebbe voluto diffondere il verbo e il disegno ulivista anche in liste diverse da Uniti nell'Ulivo (in cui Di Pietro non era stato fatto entrare soprattutto per opposizione dei socialisti dello Sdi). 
Non a caso, nella prima versione del simbolo della lista di Di Pietro e Occhetto era presente il riferimento "Per il nuovo Ulivo", ma dovette sparire quando l'avvocato degli ulivisti, Andrea Zoppini, lamentò l'uso del simbolo senza titolo e autorizzazione (con conseguente scambio di accuse) tra le parti. Una situazione imbarazzante, a poche settimane dal voto, che indusse, tra l'altro, Edmondo Berselli a domandarsi proprio in quei giorni sulla Repubblica: "Ma esiste l'Ulivo, ed esiste davvero un'entità chiamata centrosinistra? Oppure esiste soltanto un congegno politico 'celibe', un'articolazione di ex partiti che in realtà non sanno come rivolgersi all'opinione pubblica?"
A dispetto dell'inizio traballante, arrivò un risultato elettorale almeno decente, quello che portò Chiesa in Parlamento e che, dal 2006 - dopo che Di Pietro optò per il seggio parlamentare in Italia - ripescò proprio Occhetto come secondo eletto, con entrambi che finirono per aderire al gruppo del Partito socialista europeo e non a quello dell'Alde (cui invece si riferiva l'Idv). Entrambi, nel frattempo, avevano dato vita all'associazione Il Cantiere per il bene comune, con un'inedita C geometrica arcobaleno come simbolo (simile a certe geometrie proposte nel corso del tempo da Ettore Vitale): costituita con atto notarile datato 14 gennaio 2005, vide come fondatori anche Antonello Falomi, Diego Novelli, Elio Veltri e Paolo Sylos Labini e operò per un po' di tempo con l'intenzione di svolgere "un servizio democratico che fornisce i terreni di confronto, apre tavoli programmatici, suscita e coordina iniziative" tra classe politica e società civile (così si leggeva nella Carta d'intenti). Accanto a quell'impegno, peraltro, le cronache hanno dato conto di un contenzioso lungo e doloroso (oltre che, a quanto risulta, non ancora del tutto esaurito) dell'associazione Il Cantiere con Di Pietro a proposito dei "rimborsi" elettorali che l'associazione (come soggetto che aveva raccolto l'eredità politica dei Riformatori per il nuovo Ulivo) rivendicava come partner della lista, mentre per l'Italia dei valori nulla spettava perché, tra l'altro, all'atto della candidatura Chiesa e Occhetto avevano riconosciuto alla stessa Idv il diritto a richiedere e impiegare i finanziamenti pubblici.
Finita la legislatura del Parlamento europeo, Chiesa decise di ricandidarsi, ma non in Italia: nel 2009 fu infatti tra i candidati di PCTVL (Par cilvēka tiesībām vienotā Latvijā), formazione lettone legata alla minoranza russa, che come simbolo aveva un'ape con pungiglione. La lista ottenne un'eletta e Chiesa non tornò a Bruxelles; quel precedente, tuttavia, spinse qualcuno a fantasticare sulla possibilità che nel 2014 Silvio Berlusconi si sarebbe potuto candidare in un altro paese europeo, pur di aggirare l'incandidabilità che allora lo colpiva in Italia. 
Tornando a Chiesa, anche dopo la fine della sua esperienza da europarlamentare, continuò a guardare con interesse alla politica. Lo fece, ad esempio, quando all'inizio del 2010 fondò l'associazione politica "Alternativa - Laboratorio Politico-Culturale internazionale", soggetto che - lo si legge sullo statuto - "nasce dalla consapevolezza che l'umanità si trova di fronte a una svolta epocale, determinata dall'impossibilità di proseguire uno sviluppo distruttore delle relazioni umane e delle risorse del pianeta, quale è stato quello degli ultimi tre secoli. Ciò che si annuncia [...] è la fine della società umana come la conosciamo e l'avvio di una transizione verso una società radicalmente diversa, dove tutte le relazioni sociali saranno dettate dalla limitatezza delle risorse disponibili e dalla necessità di un loro uso in termini di sostenibilità, di solidarietà, di giustizia sociale e di democrazia effettiva. Alternativa si pone il compito di diffondere questi concetti e di contribuire a organizzare un movimento consapevole di comunità e popoli, capace di affrontare le difficili tappe di questa transizione inevitabile", imperniate sui concetti di sovranità popolare e di solidarietà umana, "che dovrà sostituire la concorrenza tra individui e popoli". Nessun vero simbolo per l'associazione: solo un logo, con la "A" verde di "Alternativa" abbinata a una stella rossa e a un'esile freccia puntante in alto a destra, su cui la lettera si poggiava.
Giulietto Chiesa sarebbe ricomparso alla fine del 2017, al fianco di Antonio Ingroia, quando insieme lanciarono la Lista del Popolo per la Costituzione in vista delle elezioni politiche del 2018. Nei giorni precedenti era stata annunciata come "la mossa del cavallo" (con gergo degli scacchi e caro ai lettori di Andrea Camilleri), cavallo che poi finì all'interno del simbolo; in compenso, a invocare una "mossa del cavallo capace di scompaginare i vecchi giochi, una mossa che saltando le pedine più vicine vada a coprire una casella vuota dalla quale sia possibile guardare a nuovi orizzonti" era stato Achille Occhetto all'inizio del 2005, in una lettera aperta ad Alberto Asor Rosa. Evidentemente quella suggestione doveva essere rimasta in testa anche a Chiesa, tanti anni dopo l'esperienza del Cantiere occhettiano. La lista arrivò sulle liste - con molta fatica a causa delle firme da raccogliere - e in effetti andò piuttosto male, dovendosi accontentare di poco meno di 10mila voti (0,03%). Quello fu l'ultimo impegno politico certo di Giulietto Chiesa. Non lo si giudica qui, come non se ne giudica nessun altro: si lascia a ogni lettore decidere l'importanza e l'opportunità di ogni pagina. Anche se, nella personalissima idea di chi scrive, difficilmente qualcosa prevale sul ritratto di "un uomo ancora capace di piangere per l'orrore della guerra", come ha scritto oggi Vauro. Anche per questo, sia lieve la terra a Chiesa. Comunque sia, ovunque sia o volesse essere.

sabato 25 aprile 2020

La Liberazione di Filippo Panseca: "Rifondo il Psi su Facebook"

Ma chi l'ha detto che il 25 aprile è una festa per comunisti? Per compagni casomai, quelli con cui - etimologicamente - si condivide il pane, ma anche per chi è e si ritiene socialista dall'inizio alla fine. Deve aver pensato qualcosa di simile Filippo Panseca, che proprio oggi ha lanciato all'improvviso un suo progetto, netto e senza mediazioni, da persona vulcanica quale è da sempre. E il progetto è di quelli ambiziosi, anche se potenzialmente si possono dire in cinque parole: rifondare il Partito socialista italiano. Il suo Psi naturalmente, quello alla cui immagine Panseca ha dato un contributo fondamentale, creando nel 1984 su richiesta diretta di Bettino Craxi il simbolo del garofano craxiano per eccellenza che poi sarebbe stato adottato ufficialmente nel 1987.
Panseca non ha in mente alcun passaggio formale: nessuno statuto, nessun atto costitutivo, nessuna convention fondativa all'orizzonte. Semplicemente, l'idea è stata lanciata su Internet, attraverso Facebook: proprio questa mattina, alle 8 e 30 circa, Panseca ha reso pubblica una pagina denominata "Partito socialista italiano", contrassegnata con il suo garofano e con questo breve testo come descrizione:
Il 14 agosto 1892 nasceva a Genova il Partito Socialista Italiano, che cessava la sua attività nel novembre del 1994 con l’ultimo simbolo da me disegnato per Bettino Craxi nel lontano 1984. Oggi 25 aprile 2020 Festa Nazionale della Liberazione dell’Italia dall’occupazione Nazista e dal Regime Fascista, come inventore ed autore del Simbolo del Partito Socialista Italiano, festeggio questa giornata rifondando in rete il Partito Socialista Italiano dalla mia Caserma Fascista di Pantelleria trasformata da me in un Laboratorio di Arte, Tecnologia, Scienze, Cultura, Politica e Meditazione secondo i dettami della Costituzione Italiana ed in perfetta Armonia, Sintonia e Rispetto degli Umani, Animali, Natura e Ambiente. Socialisti italiani, uniamoci in rete nell'ultimo vero simbolo del vero Partito socialista italiano. Un fraterno saluto a tutti voi da Filippo Panseca.
Aprire una pagina su Facebook è un'operazione semplice, non sono poche le pagine che si rivolgono al "popolo" socialista: ora nostalgiche, ora goliardiche, ora semplicemente socialiste. Qualcuna si chiama anche proprio "Partito socialista italiano" e magari usa il simbolo del garofano; eppure, se a fare tutto questo è un signore che si chiama Filippo Panseca, non si è di fronte a un'iniziativa qualunque. Perché lui non è una persona qualunque: è stato - come è emerso bene nella chiacchierata fatta con lui alcune settimane fa - l'artista che ha allestito tutti i congressi e gli eventi del partito durante la segreteria di Bettino Craxi, E sempre lui, in una chiacchierata con Craxi e altri a metà degli anni Settanta, aveva proposto come nuovo simbolo del partito il garofano, che faceva parte della storia iconografica socialista e già dal 1973 era stato ripreso in un celebre manifesto per il Psi da Ettore Vitale. Lo stesso che aveva disegnato un primo garofano per il congresso di Torino del 1978 (riprodotto da Panseca in formato gigantesco per la scenografia, cosa che fece saltare i nervi a chi era affezionato a falce e martello) e che nel 1979 aveva preparato su richiesta della direzione nazionale Psi il primo simbolo con il fiore e i vecchi emblemi, rimasto in uso fino a quando fu adottato il garofano di Panseca. 



Ecco, appunto, tornando a Panseca, dalle poche righe del suo messaggio appare chiaro il senso dell'iniziativa: richiamare a raccolta tutti coloro che si dichiarano e si sentono socialisti e che magari, dopo lo scioglimento del Psi alla fine del 1994, si sentono orfani del loro partito, non essendosi riconosciuti nelle varie formazioni nate in seguito nel centrosinistra o nel centrodestra (tra cui Socialisti italiani, Partito socialista riformista, Liberal socialisti, Partito socialista, Socialisti democratici italiani, Nuovo Psi, I socialisti, fino al Ps tornato Psi attualmente operante). "Ma non c'è posto solo per loro - chiarisce - voglio che in questo 'luogo' si senta a suo agio anche chi si riconosce nell'armonia, nel rispetto degli umani, degli animali, della natura e dell'ambiente".  
Al di là dell'apertura, è evidente il riferimento politico, a una storia e a un partito che hanno caratterizzato una lunga parte della storia italiana. "Mi scrivono di continuo da ogni parte d'Italia, commentano i miei post - spiega Panseca - pensando al Psi di allora, rimpiangendo quei tempi e sentendo la mancanza di quel partito. Un partito vero, in grado di rivolgersi a tutti coloro che si ritengono socialisti senza dover chiedere ospitalità in questa o in quella casa politica. Loro non vogliono un partito, vogliono il Partito socialista italiano, che era il loro ed era pure il mio".
In effetti nel panorama politico italiano un soggetto politico denominato "Partito socialista italiano" c'è già e da pochi mesi ha ripreso come simbolo proprio un garofano, proprio con l'idea di includere anche chi si sente socialista ma negli ultimi anni non ha partecipato a quel partito. "Ma quello - sottolinea Filippo Panseca con forza - è un'altra cosa, non è il partito che a loro manca e che loro vogliono. Qui nessuno lo fa e io mi sono stancato; qui non si muove niente, anche per colpa del Coronavirus, e io oggi mi muovo a modo mio. Lo faccio nel giorno della Liberazione e lo faccio simbolicamente dalla mia vecchia Caserma del Fascio, cui fin dagli anni Novanta ho dato una nuova via all'insegna del bello". E proprio in quella sua caserma di Pantelleria ora votata all'arte totale e alla meditazione Panseca si è trasferito ormai da due mesi, da quando la pandemia ha sostanzialmente bloccato il paese.
Chi crede di aver trovato un nuovo leader, comunque, dovrà deporre i suoi pensieri: "Non penso affatto di guidare questo progetto politico, non mi interessa chi saranno i dirigenti. A me interessa che le persone che si sentono davvero socialiste e rivogliono il loro Psi possano ritrovarsi insieme e possano farlo con il mio simbolo, l'ultimo vero simbolo del Partito socialista italiano. Io ho lanciato l'iniziativa e la diffonderò, vediamo chi sarà interessato". Chissà se la personale Liberazione di Filippo Panseca (il 25 aprile del ventennale della morte di Craxi, per giunta) sarà quella di molte altre persone, finora silenti o comunque disperse, ma pronte a riunirsi sotto il segno del garofano. Quel garofano, ovviamente.