Qual è stato il primo partito legato ai pensionati ad avere avuto una rappresentanza almeno in un consiglio regionale? No, se qualcuno ha risposto il Partito pensionati, quello che dal 1987 si identifica essenzialmente con la figura di Carlo Fatuzzo, ha commesso un errore: la prima rappresentanza regionale dei pensionati risale infatti al 1985, due anni prima che il Partito pensionati venisse ufficialmente fondato.
La storia la racconta il suo protagonista, Filippo De Jorio, avvocato di origine napoletana ma da molti anni attivo a Roma. Il primo partito di De Jorio, in realtà, era la Democrazia cristiana e lo è stato decisamente a lungo: "si figuri che la mia prima tessera la presi a 17 anni, ora ne ho 87...", racconta, aggiungendo che nel partito dello scudo crociato lui è rimasto dal 1950 al 1984, sempre su posizioni chiaramente di destra o almeno di centrodestra, senza mai nascondere le sue nette simpatie monarchiche. All'inizio fu vicino a Giuseppe Pella e Ignazio Ughi, poi collaborò con Ferdinando Tambroni e Mariano Rumor, fino a entrare tra i collaboratori di Giulio Andreotti quando era Presidente del Consiglio nel 1973. Nel 1970 era diventato per la prima volta consigliere regionale in Lazio per la Dc, eletto nella circoscrizione di Roma mentre era assai apprezzato come avvocato amministrativista e tributarista. Lo divenne di nuovo nel 1980, agguantando l'ultimo seggio disponibile nella stessa circoscrizione, dopo aver passato tre anni difficilissimi "in autoesilio" (tra Svizzera, Francia e Principato di Monaco) tra il 1975 e il 1978, accusato di aver avuto un ruolo nel "golpe Borghese", fino al ritorno in Italia dopo l'assoluzione intervenuta proprio nel 1978.
Il 1984, nei progetti, doveva essere l'anno del balzo in avanti, con la candidatura alle elezioni europee. "Ero appoggiato da tutte le segreterie Dc delle regioni che facevano parte della circoscrizione centro - ricorda De Jorio - ed era un sostegno importante, come professionista affermato ero simpatico a tutti e non creavo problemi politici a nessuno. La mia candidatura doveva comunque passare dalla direzione nazionale, che si riunì di domenica. Quel giorno, in effetti, delle persone che mi sostenevano era presente solo Gianni Prandini, perché Franco Malfatti aveva avuto un attacco di febbre, mentre Arnaldo Forlani, per pigrizia, non si era nemmeno presentato, convinto com'era che quel passaggio fosse soltanto formale. E invece, nel vagliare le candidature da mettere in lista, arrivato alla mia il segretario Ciriaco De Mita disse 'Questo nome non mi piace'. Fu appunto Prandini a riferirmi questo e mi disse anche che, alle sue proteste e alla richiesta di spiegazioni, De Mita rispose soltanto 'Passiamo avanti', senza che si potesse aprire un dibattito sul mio nome".
De Jorio si è convinto del fatto che, con De Mita, il patronimico avesse giocato a suo sfavore: "Evidentemente il cognome, il mio, di una famiglia di antichi feudatari della sua provincia, Avellino - ha raccontato anche di recente nel libro ... E le mele continuano a marcire, pubblicato nel 2018 tra "i libri del Borghese" - non era di gradimento del segretario politico che voleva dimostrare a tutti di essere onnipotente". L'avvocato, in ogni caso, non accettò quel trattamento e lascià direttamente il partito: "Se questa Dc ormai è cosa tua, non è più casa mia", scrisse De Jorio in un telegramma indirizzato allo stesso De Mita.
La storia la racconta il suo protagonista, Filippo De Jorio, avvocato di origine napoletana ma da molti anni attivo a Roma. Il primo partito di De Jorio, in realtà, era la Democrazia cristiana e lo è stato decisamente a lungo: "si figuri che la mia prima tessera la presi a 17 anni, ora ne ho 87...", racconta, aggiungendo che nel partito dello scudo crociato lui è rimasto dal 1950 al 1984, sempre su posizioni chiaramente di destra o almeno di centrodestra, senza mai nascondere le sue nette simpatie monarchiche. All'inizio fu vicino a Giuseppe Pella e Ignazio Ughi, poi collaborò con Ferdinando Tambroni e Mariano Rumor, fino a entrare tra i collaboratori di Giulio Andreotti quando era Presidente del Consiglio nel 1973. Nel 1970 era diventato per la prima volta consigliere regionale in Lazio per la Dc, eletto nella circoscrizione di Roma mentre era assai apprezzato come avvocato amministrativista e tributarista. Lo divenne di nuovo nel 1980, agguantando l'ultimo seggio disponibile nella stessa circoscrizione, dopo aver passato tre anni difficilissimi "in autoesilio" (tra Svizzera, Francia e Principato di Monaco) tra il 1975 e il 1978, accusato di aver avuto un ruolo nel "golpe Borghese", fino al ritorno in Italia dopo l'assoluzione intervenuta proprio nel 1978.
Il 1984, nei progetti, doveva essere l'anno del balzo in avanti, con la candidatura alle elezioni europee. "Ero appoggiato da tutte le segreterie Dc delle regioni che facevano parte della circoscrizione centro - ricorda De Jorio - ed era un sostegno importante, come professionista affermato ero simpatico a tutti e non creavo problemi politici a nessuno. La mia candidatura doveva comunque passare dalla direzione nazionale, che si riunì di domenica. Quel giorno, in effetti, delle persone che mi sostenevano era presente solo Gianni Prandini, perché Franco Malfatti aveva avuto un attacco di febbre, mentre Arnaldo Forlani, per pigrizia, non si era nemmeno presentato, convinto com'era che quel passaggio fosse soltanto formale. E invece, nel vagliare le candidature da mettere in lista, arrivato alla mia il segretario Ciriaco De Mita disse 'Questo nome non mi piace'. Fu appunto Prandini a riferirmi questo e mi disse anche che, alle sue proteste e alla richiesta di spiegazioni, De Mita rispose soltanto 'Passiamo avanti', senza che si potesse aprire un dibattito sul mio nome".
De Jorio si è convinto del fatto che, con De Mita, il patronimico avesse giocato a suo sfavore: "Evidentemente il cognome, il mio, di una famiglia di antichi feudatari della sua provincia, Avellino - ha raccontato anche di recente nel libro ... E le mele continuano a marcire, pubblicato nel 2018 tra "i libri del Borghese" - non era di gradimento del segretario politico che voleva dimostrare a tutti di essere onnipotente". L'avvocato, in ogni caso, non accettò quel trattamento e lascià direttamente il partito: "Se questa Dc ormai è cosa tua, non è più casa mia", scrisse De Jorio in un telegramma indirizzato allo stesso De Mita.
D'accordo, ma i pensionati? Arrivarono quasi a sorpresa, visto che dopo l'addio alla Dc De Jorio aveva pensato di concentrarsi sulla sua attività forense. Sempre nel 1984, però, poco dopo quelle dimissioni, De Jorio ricevette una visita inattesa: "Venne da me Giulio Cesare Graziani, cugino di Rodolfo maresciallo d'Italia, già generale dell'aeronautica, in passato tra i fonatori di Democrazia nazionale e amico da sempre. Lui mi propose di capeggiare una lista in difesa dei pensionati che lui aveva in animo di presentare alle regionali l'anno successivo. Ci pensai un po' e dissi: perché no? Fui accolto con simpatia in quella che si chiamava, appunto, Alleanza pensionati".
In effetti, in quell'occasione, il simbolo utilizzato fu quello dell'Alleanza italiana pensionati, con una curiosa costruzione letteral-geometrica, in cui una P nera prevaleva su quella che probabilmente era una A; il simbolo, peraltro, sembrava evoluzione di quello già apparso nel 1983 come Unione difesa pensionati. Per evitare di raccogliere le firme, tra l'altro, il contrassegno conteneva giusto al centro dell'emblema (e nel foro della P) la "pulce" della Liga Veneta, presente dal 1983 in Parlamento (lo stesso accordo ha portato, per esempio, il simbolo a correre pure in Emilia-Romagna). "Graziani fu un signore e mi cedette il posto di capolista - ricorda De Jorio - ma non mi andava di portarglielo via. Facemmo un accordo tra gentiluomini: se io fossi stato eletto, a metà mandato gli avrei lasciato il posto. Così facemmo: io riuscii a ottenere un posto, poi nel 1987 mi dimisi e lui subentrò a me in consiglio regionale".
Nel 1990 De Jorio e Graziani ci riprovarono, con la lista Alleanza pensionati: il loro successo personale aumentò (De Jorio passò da 2230 a 3929 preferenze; Graziani da 818 a 1180 preferenze), ma la lista crollò da oltre 30mila voti a poco più di 19mila voti, quasi tutti concentrati in provincia di Roma, anche perché riuscì a essere presente anche nella sola provincia di Frosinone, non nelle altre tre (probabilmente per la difficoltà di dover raccogliere le firme anche altrove). In più, in quell'anno ben 27mila voti andarono alla lista del Partito pensionati, nato come si diceva nel 1987 e con la parola "Pensionati" ben visibile nel simbolo, nonostante nel frattempo anche il gruppo di De Jorio e Graziani si fosse dotato di un altro simbolo, più leggibile rispetto a quello del 1985.
A dire il vero, e piuttosto inspiegabilmente, il simbolo appariva più povero e meno curato rispetto a quello che lo stesso movimento, sempre con il nome Alleanza pensionati, aveva presentato alle politiche del 1987, prendendo 21.300 voti nella sola circoscrizione Roma-Viterbo-Latina-Frosinone. Accanto al simbolo, con la sigla AP in primo piano e un sapiente gioco di rilievi e trafori che dava l'idea della tridimensionalità in schede rigorosamente in bianco e nero, 3024 elettori scrissero il nome di Filippo De Jorio, un consenso dunque in aumento rispetto al 1985, ma non sufficiente a ottenere un seggio per la scarsa presenza territoriale.
Ci volle altro, naturalmente, per scoraggiare De Jorio dal partecipare alla vita politica: sul piano elettorale si registrarono altre presenze significative, ma meritano di essere analizzate in un secondo momento.
In effetti, in quell'occasione, il simbolo utilizzato fu quello dell'Alleanza italiana pensionati, con una curiosa costruzione letteral-geometrica, in cui una P nera prevaleva su quella che probabilmente era una A; il simbolo, peraltro, sembrava evoluzione di quello già apparso nel 1983 come Unione difesa pensionati. Per evitare di raccogliere le firme, tra l'altro, il contrassegno conteneva giusto al centro dell'emblema (e nel foro della P) la "pulce" della Liga Veneta, presente dal 1983 in Parlamento (lo stesso accordo ha portato, per esempio, il simbolo a correre pure in Emilia-Romagna). "Graziani fu un signore e mi cedette il posto di capolista - ricorda De Jorio - ma non mi andava di portarglielo via. Facemmo un accordo tra gentiluomini: se io fossi stato eletto, a metà mandato gli avrei lasciato il posto. Così facemmo: io riuscii a ottenere un posto, poi nel 1987 mi dimisi e lui subentrò a me in consiglio regionale".
Nel 1990 De Jorio e Graziani ci riprovarono, con la lista Alleanza pensionati: il loro successo personale aumentò (De Jorio passò da 2230 a 3929 preferenze; Graziani da 818 a 1180 preferenze), ma la lista crollò da oltre 30mila voti a poco più di 19mila voti, quasi tutti concentrati in provincia di Roma, anche perché riuscì a essere presente anche nella sola provincia di Frosinone, non nelle altre tre (probabilmente per la difficoltà di dover raccogliere le firme anche altrove). In più, in quell'anno ben 27mila voti andarono alla lista del Partito pensionati, nato come si diceva nel 1987 e con la parola "Pensionati" ben visibile nel simbolo, nonostante nel frattempo anche il gruppo di De Jorio e Graziani si fosse dotato di un altro simbolo, più leggibile rispetto a quello del 1985.
A dire il vero, e piuttosto inspiegabilmente, il simbolo appariva più povero e meno curato rispetto a quello che lo stesso movimento, sempre con il nome Alleanza pensionati, aveva presentato alle politiche del 1987, prendendo 21.300 voti nella sola circoscrizione Roma-Viterbo-Latina-Frosinone. Accanto al simbolo, con la sigla AP in primo piano e un sapiente gioco di rilievi e trafori che dava l'idea della tridimensionalità in schede rigorosamente in bianco e nero, 3024 elettori scrissero il nome di Filippo De Jorio, un consenso dunque in aumento rispetto al 1985, ma non sufficiente a ottenere un seggio per la scarsa presenza territoriale.
Ci volle altro, naturalmente, per scoraggiare De Jorio dal partecipare alla vita politica: sul piano elettorale si registrarono altre presenze significative, ma meritano di essere analizzate in un secondo momento.
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