martedì 14 marzo 2023

La legge elettorale in Piemonte: alcune idee per migliorarla

Nel 2024 elettrici ed elettori del Piemonte sar
anno chiamati a rinnovare il consiglio regionale e a eleggere un nuovo Presidente della giunta regionale (potrà essere anche lo stesso attualmente in carica, visto che Alberto Cirio è soltanto al primo mandato). 
Si dovrebbe votare tra poco più di un anno, ma sembra opportuno occuparsene ora perché proprio in queste settimane si sta discutendo in consiglio regionale (in particolare in seno allVII Commissione) di una modificalle norme elettorali ora vigenti e sul punto si sta consumando uno scontro notevole tra le forze politiche piemontesi.

Le norme in vigore

Per iniziare, vale probabilmente la pena ricordare che il Piemonte è la sola regione in cui, se si votasse oggi, si avrebbero quattro quinti dei consiglieri eletti sulla base di liste provinciali concorrenti e il quinto residuo eletto con sistema maggioritario, sulla base di liste regionali concorrenti (il noto "listino"). Dopo aver approvato il proprio statuto, infatti, la Regione Piemonte fino a ora non si è data una propria legge elettorale (cosa che dal 1999 sarebbe stata possibile): dalle elezioni regionali del 2005, dunque, si è continuatad applicare quasi per intero la "legge Tatarella", vale a dire quel meccanismo ibrido di assegnazione dei seggi che univa la ripartizione proporzionale su base provinciale (prevista fin dalla legge del 1968) e il sostanziale "premio di maggioranza" per la lista/coalizione vincente (introdotto appunto nel 1995). Queste regole erano state mantenute dalla legislazione statale: le Regioni e Province autonome avrebbero potuto e possono darsene di proprie (e, appunto, lo hanno fatto ormai tutte tranne il Piemonte), ma se non lo avessero fatto si sarebbero applicate le norme introdotte nel 1995 e precisate dal 1999 con l'introduzione dell'elezione diretta del Presidente.
Se non si concludesse l'approvazione della nuovlegge elettorale regionale, quindi, si continuerebbe a votare con le norme applicate nel 2010, nel 2014 e nel 2019, vale a dire con la normativa "cedevole" stabilita livello nazionale, tranne che per un passaggio molto significativo e delicato, interessante soprattutto per chi frequenta questo sitoLa legge regionale n. 21 del 29 luglio 2009 (approvata in modo fulmineo, con un anticipo di qualche mese rispetto alla fine della consiliatura 2005-2010) prevede infatti "Disposizioni in materia di presentazione delle liste per le elezioni regionali", ma di fatto si può dire che il suo unico articolo regola le ipotesi di esenzione dalla raccolta delle firme per le liste. La norma, proposta da Maurizio Lupi (allora consigliere regionale dei Verdi-Verdi, da lui fondati), Riccardo Nicotra (tra i primi animatori piemontesi del Nuovo Psi, entrato in consiglio per la lista Socialisti e Liberali nel 2006, dopo che il candidato presidente sconfitto Enzo Ghigo era stato eletto in Senato) e Deodato Scanderebech (allora consigliere dell'Udc), ebbe come relatore Michele Giovine (eletto nel 2005 con la Lista Consumatori; Giovine, tuttavia, in plenaria precisò che il relatore sarebbe stato il consigliere Ds Aldo Reschigna). 
Se in origine il testo proposto da Lupi, Nicotra e Scanderebech esonerava dalla raccolta firme le liste di partiti/gruppi che avevano ottenuto almeno un seggio con proprio contrassegno alle ultime elezioni europee, politiche o regionali, nonché le liste espressione di partiti o movimenti rappresentati da gruppi consiliari o da componenti del gruppo misto già presenti in consiglio al momento della convocazione del voto regionale, dopo il passaggio in commissione la norma si arricchì. Rimase l'esenzione per i partiti con un proprio eletto diretto a Strasburgo, alle Camere o in consiglio regionale, si tolse alle componenti del gruppo misto la possibilità di presentare proprie liste senza firme, in compenso si precisò che i gruppi presenti in consiglio alla convocazione delle elezioni (anche quelli formati in corso di consiliatura, slegati dall'esito elettoraleavrebbero potuto presentare senza firme una propria lista distinta "da contrassegno singolo o composito" o, in alternativa, dichiarare il collegamento con una lista che potevavere "denominazione diversa da quella del gruppo consiliare di collegamento" ed esentare proprio quella lista. Il riferimento esplicito all'alternativa tra le due ultime ipotesi senza includere la prima, tra l'altro, faceva sì che un partito presente tanto nel Parlamento (nazionale o europeo) con propri eletti quanto in consiglio regionale con un proprio gruppo potesse presentare la propria lista senza firme (grazie alla sua presenza parlamentare) e contemporaneamente esonerare dalle sottoscrizioni un'altra lista, con nome e simbolo diverso: una possibilità decisamente gradita dalle coalizioni principali e che nel corso del tempo ha prodotto una discreta fioritura di simboli.

La situazione attuale e le proposte in campo

Il quadro normativo appena citato si riproporrebbe se, come si è detto, il consiglio regionale non approvasse alcuna nuova norma in materia elettorale: un esito facilitato dalla previsione dell'art. 17, comma 4 dello statuto del Piemonte, in base al quale "La legge elettorale regionale e le sue modifiche sono approvate con la maggioranza dei tre quinti dei Consiglieri assegnati al Consiglio", dunque con 30 consiglieri su 50 (se però si consideranche il Presidente della giunta regionale, che fa parte del consiglio, per arrotondamento la maggioranza qualificatdovrebbe essere di 31 su 51).
Fin dai primi mesi della consiliatura, però, sono state presentate proposte di legge regionale per dotare anche il Piemonte di proprie norme elettorali, senza dover più applicare - al di là della disciplina speciale sull'esenzione dalla raccolta firme - la normativa statale cedevole. La prima proposta, infatti, risale al 10 settembre 2019, a firma del consigliere Pd Domenico Rossi (superando, tra l'altro, i "listini" e il sistema delle circoscrizioni provinciali: il territorio sarebbe ripartito tra Torino, Asti-Alessandria, Cuneo, Biella-Novara-Vercelli-VCO); un'altra è stata presentata un anno dopo da Pd e Liberi e Uguali (riproducente in sostanza la "legge Tatarella" e le circoscrizioni provinciali, ma con l'inserimento di vari congegni, come lo sbarramento, l'ordine alternato per genere e la doppia preferenza di genere), mentre il centrodestra ha presentato due testi (entrambi a prima firma del leghista Michele Mosca), uno a novembre del 2021 e l'altro alla fine del 2022. Si devono segnalare anche una proposta avanzata all'inizio del 2020 dai comuni di Canosio, Druogno, Ostana, Alpette e Pomaretto (volta a dividere il territorio provinciale in 50 collegi uninominali, onde non favorire "in modo ingiustificato le grandi città, dove ci sono le concentrazioni delle preferenze, a scapito dei territori periferici dove la popolazione essendo più dispersa a parità di elettori e con il doppio (o più) del territorio non è in grado di concentrare le preferenze e rimane pertanto priva di rappresentanza") e una proposta d'iniziativa popolare, presentata con il preciso intento di favorire la democrazia paritaria, introducendo - come richiesto anche dalla "legge cornice" in materia elettorale regionale, attraverso l'art. 117, comma 7 Cost. - l'ordine alternato di genere nelle liste a pena di inammissibilità e la doppia preferenza di genere
Questi testi sono arrivati in discussione nella citata commissione consiliare, insieme a un'altra proposta di legge di Fratelli d'Italia e Lega (primo firmatario Paolo Bongioanni di Fdi), con cui si vuole modificare lo statuto regionale per introdurre la possibilità per il Presidente della regione di nominare fino a quattro sottosegretari - non necessariamente tra i consiglieri - per farsi coadiuvare nello svolgimento dei suoi compiti: secondo l'art 101 dello statuto, tale modifica richiede un'approvazione a maggioranza assoluta dei componenti del consiglio, "con due deliberazioni adottate a intervallo non minore di due mesi".
Si diceva delle proposte del centrodestra, inevitabilmente destinate ad avere più possibilità di trasformarsi in legge regionale. Il testo presentato per ultimo conserva come base la "legge Tatarella", con 40 consiglieri eletti dalle liste provinciali con meccanismo proporzionale e 10 assegnati alla lista regionale del candidato Presidente più votato (manche le coalizioni/liste non vincitrici potrebbero pescare dai rispettivi "listini", se nel complesso l'opposizione dovesse contare dopo la proclamazione su meno di 18 seggi su 50); il primo testo del centrodestra, invece, aveva superato il "listino", come del resto molte norme di altre regioni. La conservazione del meccanismo ibrido inaugurato nel 1995 comporterebbe, tra l'altro, la conferma della presenza sulle schede elettorali tanto dei contrassegni di lista, quanto di quelli dei "listini" (solitamente concepiti con uno stile grafico più anonimo, per evitare che le liste provinciali perdano voti preziosi). La propostconservanche integralmente la norma già vigente sulla raccolta firme (il numero di sottoscrizioni richieste è lo stesso della legge del 1968) e quella regionale sull'esenzione dalla stessa (il primo testo aveva invece escluso dalle ipotesi di esonero i partiti con propri eletti diretti al Parlamento nazionale o europeo o in consiglio regionale): l'articolato si limita precisare che il gruppo misto del consiglio regionale non può presentare liste senza firme o esentare un'altra lista a questo collegata.
Altre innovazioni contenute nel testo più recente del centrodestra, tuttavia, sono decisamente più consistenti e da settimane sono al centro di polemiche. La prima riguarda l'introduzione di un sistema esplicito di soglie di sbarramento, in base al quale i gruppi di liste non coalizzate devono superare il 5% (quota piuttosto elevata) e lo stesso vale per le liste di una coalizione che non abbia superato il 10% (una coalizione di due liste con il 6%, ma con una di esse con un risultato oltre il 5%, otterrebbe comunque un seggio). Pure in una coalizione che superasse il 10%, tuttavia, secondo la proposta sarebbe necessario raggiungere almeno il 4% (nel primo testo la soglia era al 3%) e proprio questo sta creando le maggiori polemiche nel centrosinistra: nel 2019, infatti, tutte le liste diverse dal Pd - incluse Chiamparino per il Piemonte del Sì - lista Monviso, Liberi Uguali Verdi e i Moderati per Chiamparino, che sono riuscite a ottenere seggi) - rimasero sotto quella soglia.
Oltre a introdurre le misure di equilibrio di genere già viste per altri testi (le quote sono indicate con una formula forse meno paritaria, ma nella sostanza in gradi di produrre gli stessi effetti), le proposte del centrodestra contengono un'altra innovazione significativa, anch'essa oggetto di dibattito: essa riguarda il riparto dei seggi residui nella quota proporzionale, cioè quelli non assegnati dopo la prima attribuzione dei seggi ottenuti da ciascuna lista provinciale con i "quozienti interi". L'assegnazione avverrebbe a partire dal gruppo di liste con più voti, ma soprattutto si potrebbe verificare un "effetto flipper" (dunque con lo slittamento di un seggio da una circoscrizione all'altra) qualora in una circoscrizione provinciale fossero già stati assegnati tutti i seggi spettanti a quella singola circoscrizione in base alla sua popolazione (oppure se in quella provincia la singola lista avesse già eletto tutti i suoi candidati). Non mancano i timori di alcune forze politiche che questo meccanismo possa favorire le province diverse dal capoluogo, penalizzando i candidati nel torinese (anche se, come si vedrà, in più di un caso questi sono attualmente favoriti).
Un altro punto "caldo" e dibattuto riguarda l'introduzione dei "consiglieri supplenti". I testi introdurrebbero infatti l'incompatibilità tra la carica di assessore e quella di consigliere regionale, prevedendo allo stesso tempo la sospensione dalle funzioni di consigliere per il tempo di permanenza in giunta e la surroga dei consiglieri-assessori con un "consigliere supplente", primo dei non eletti nella lista provinciale in cui era stato eletto il nuovo assessore (o, in caso di esaurimento di quella lista, della lista provinciale con lo stesso contrassegno e con la percentuale più alta di "voti residui", cioè che non si sono tradotti nell'elezione di un consigliere in quella circoscrizione); nell'ipotesi in cui, invece, il consigliere-assessore sia stato eletto nel listino, occorrerebbe vedere se questo ha dichiarato di appartenere a un gruppo di liste, legandosi a un contrassegno di lista o si è qualificato come indipendente (a surrogarlo sarebbe il primo dei non eletti della lista provinciale con la percentuale più alta di voti residui scelta tra le liste dello stesso gruppo cui appartiene il neoassessore o, se questo si è dichiarato indipendente, tra tutte le liste provinciali collegate al presidente). Questa "supplenza alla francese", come viene chiamata nella relazione al progetto di legge, finirebbe qualora il consigliere-assessore smettesse di far parte della giunta (il giorno dopo le dimissioni o la revoca); se nel frattempo un altro eletto di quella stessa lista provinciale cessasse dalla carica di consigliere, il "consigliere supplente" sarebbe ufficialmente proclamato eletto e la supplenza toccherebbe al nuovo "primo dei non eletti" in quella lista circoscrizionale (se le candidature di quella lista fossero esaurite, si applicherebbe di nuovo il sistema di surroga a livello regionale visto prima). In questo caso le polemiche riguardano soprattutto i costi che produrrebbe l'aumento di figure con indennità, considerando anche la possibile introduzione dei sottosegretari.

Una possibile soluzione (proposta da Bruno Goi)

Non è dato sapere se in aula la maggioranza di centrodestra riuscirà ad avere i numeri necessari, in base allo statuto, per approvare le proposte di riforma presentate (quella statutaria per introdurre i sottosegretari e quella elettorale). C'è chi, in ogni caso, da tempo ha riflettuto su una soluzione buona da adottare in Piemonte per dare alla regione buone norme elettorali.
Bruno Goi
, piemontese, appassionato di dati e statistiche elettorali (nonché da tempo collaboratore del sito I simboli della discordia e della sua pagina Facebook), fin da novembre dello scorso anno - quindi prima che il centrodestra presentasse il suo secondo testo di riforma elettorale - aveva elaborato alcune idee sulla trasformazione dei voti in seggi, ora riunite in una proposta di riforma inviata ai consiglieri regionali del Piemonte. 
Le idee di questa proposta partono dal principio che diede il titolo a un'opera di Roberto Ruffilli (curata assieme al costituzionalista Piero Alberto Capotosti nel 1988), "il cittadino come arbitro": secondo Goi, in particolare, l'applicazione del principio alla materia elettorale comporta che il sistema elettorale migliore sia quello "che fornisce al cittadino la massima possibilità di scelta". Sapendo che le scelte che un elettore può esprimere sono in sostanza due: una "di rappresentanza, che si può esprimere sia a livello di persona (voto di preferenza) sia a livello di partito (in un sistema proporzionale)" e una "di governabilità, distinta dalla precedente, con la quale si sceglie chi avrà la maggioranza, e quindi governerà l’ente per cui si vota".
Sulla base di questi principi, secondo Goi quella applicata in Piemonte (anche se, come si è detto, è il risultato dell'applicazione soprattutto di norme nazionali) "è sicuramente una buona legge: ci sono il voto di preferenza, la scelta del partito preferito e quella del 'governo', legata all’elezione del Presidente". Goi riconosce solo una scelta obbligata che tocca all'elettorato: quella legata al "listino", per cui "votando il presidente, si vota il suo listino in blocco".

L'autore di queste riflessioni, tuttavia, riconosce che le norme in vigore conservano alcuni profili critici che meritano di essere messi in luce: il primo di questi riguarda un problema di rappresentanza territoriale, che emerge soprattutto guardando agli esiti delle passate elezioni ed è frutto di una stratificazione di cause. "Fin dall'inizio - nota Goi - fu stabilito che le circoscrizioni coincidessero con i territori provinciali. Il che significa una disparità di fatto tra le circoscrizioni con maggior numero di elettori (nel caso piemontese Torino) e quelle meno popolose". In una tabella preparata per il suo studio, Goi ha rilevato che "la provincia-città metropolitana di Torino non ha mai perso seggi rispetto ai seggi teoricamente assegnati; spesso, anzi, ne ha guadagnati". 
Una situazione ben diversa riguarda invece le province meno popolose, cioè "Asti e quelle derivate dalla divisione di Novara e Vercelli" (dunque Novara, Verbano-Cusio- Ossola, ritagliata dal novarese, Vercelli e la provincia da questa scorporata, cioè Biella); il problema di sottorappresentazione, tra l'altro, si è aggravato a causa "della diminuzione del numero di consiglieri a partire dal 2014". Guardando ai numeri di Asti  (ma il risultato non è molto diverso negli altri territori nominati), si può notare che la provincia "perde fino ai due terzi della sua rappresentanza; in più, dal 1990 in poi, spesso l'opposizione è rimasta priva di rappresentanza, privando il territorio della normale dialettica democratica" (ciò è accaduto ogni volta che la circoscrizione si è vista assegnare un solo seggio, trasformando il sistema in un maggioritario di fatto in quelle province).
Questo squilibrio nella rappresentanza territoriale troverebbe particolare concretezza in un caso specifico: la percentuale con cui viene assegnato l'ultimo seggio, vale a dire la percentuale più bassa tra le liste che sono riuscite a ottenere almeno un seggio in quella specifica circoscrizione. Questa percentuale, nella circoscrizione provinciale di Torino, è molto più bassa rispetto ai concorrenti: "ciò significa che, per le liste più piccole, i voti del resto della regione serviranno esclusivamente a portare il seggio alla provincia del capoluogo".
Secondo Bruno Goi, la soluzione al problema della rappresentanza territoriale richiederebbe due interventi. Sarebbe innanzitutto indispensabile abolire il "listino", distribuendo dunque quel 20% di consiglieri sulle circoscrizioni territoriali: questo, tra l'altro, consentirebbe un rispetto maggiore delle scelte esplicitamente concesse al corpo elettorale (con le preferenze). Ciò comporterebbe probabilmente il venir meno del contrassegno del candidato presidente (anche se le recenti elezioni regionali in Lazio hanno dimostrato che questo può essere mantenuto); si tratta, in ogni caso, di un sacrificio che i #drogatidipolitica possono senza dubbio trovare ragionevole.
Una volta abolito il listino, per Goi sarebbe comunque utile "una diversa suddivisione territoriale per limitare la sottorappresentazione dei territori con minor numero di abitanti". La ricomposizione del territorio regionale passerebbe per la creazione di tre circoscrizioni extra-capoluogo (riunendo i territori delle vecchie provincie di Novara-VCO e Vercelli-Biella, fondendo in un'unica circoscrizione le province di Asti e Alessandria e lasciando invece intatto il territorio della provincia-circoscrizione di Cuneo) e per lo "spacchettamento" a sua volta in tre circoscrizioni della città metropolitana di Torino: Goi ha individuato, in particolare, Torino città, Torino "cintura" (la sua estensione si può vedere nelle immagini a fianco) e Torino "montana" (comprendente gli altri comuni).
In questo modo si attenuerebbero le disuguaglianze nella rappresentazione dei territori: il divario maggiore passerebbe infatti da 1:12,87 (quello che si riscontra oggi tra le province di Verbano-Cusio-Ossola e di Torino) a 1:2,29 (che si otterrebbe ponendo a confronto la circoscrizione Vercelli-Biella e quella, comunque consistente, di Torino città). 
Potrebbero comunque riscontrarsi ancora discrepanze nella rappresentazione dei territori (in fondo sono inevitabili quanto si disegnano dei collegi), ma queste sarebbero frutto più di elementi casuali che della distribuzione dei residenti (e non ci sarebbe - ci si permette di aggiungere - alcun disegno o ritaglio artificioso dei collegi, tale da far pensare a ipotesi di gerrymandering); in più, il richiesto superamento del "listino" aumenterebbe di per sé la rappresentanza dei territori. 

Le riflessioni di Bruno Goi riguardano anche altri punti cardine della legge elettorale, a partire dal premio di maggioranza. Lui richiama innanzitutto la questione della soglia minima, ricordando i rilievi fatti dalla Corte costituzionale alla "legge Calderoli" nella sentenza n. 1/2014 (e in parte anche all'Italicum nella sentenza n. 35/2017), a proposito dell'assenza di una percentuale minima da raggiungere per far scattare il premio: proprio sulla base di questi ragionamenti, secondo Goi sarebbe opportuno che anche a livello regionale si introducesse quel meccanismo di "cautela". In effetti il giudice costituzionale aveva fatto le proprie osservazioni per evitare eccessive distorsioni nella sede principale della rappresentanza politica (il Parlamento), in modo che una maggioranza molto relativa non potesse trasformarsi in una maggioranza assoluta consistente; analoghe osservazioni non erano state estese ad altre elezioni con un premio consistente (come le elezioni nei comuni inferiori o, appunto, le elezioni regionali). Ciò non toglie, tuttavia, che l'introduzione di una soglia minima per far scattare il premio potrebbe rendere la legge meno "ipermaggioritaria" di quanto potrebbe essere, dunque sarebbe da considerare positivamente (anche se è difficile pensare che le forze politiche accetterebbero una simile innovazione). Proprio per considerare le differenze della scala regionale rispetto allo scenario della rappresentanza nazionale, il parametro secondo Goi potrebbe essere un po' meno severo, fissando ad esempio nel 35% dei voti la soglia minima (che potrebbe condurre, assegnando i seggi-premio, a una maggioranza mai superiore al 60% dei seggi in consiglio); se nessuna coalizione - o lista singola - superasse il 35%, in ogni caso, si applicherebbe una semplice distribuzione proporzionale di tutti i seggi disponibili.
Quanto alla distribuzione dei seggi del premio, Goi propone di assegnare i seggi ai gruppi di liste ovviamente dopo aver individuato circoscrizione per circoscrizione quanti seggi con quoziente intero spettino a ciascuna lista: l'idea, per l'autore della proposta, è attribuire il premio seguendo l’ordine decrescente dei resti (circoscrizione per circoscrizione), rispettando all’interno della coalizione legata al nuovo Presidente la proporzione tra i singoli gruppi di liste. Immaginando che alla compagine uscita vincitrice debba spettare comunque il 60% dei seggi del consiglio (30 scranni dunque), se la quota non fosse raggiunta nemmeno con i seggi del premio si potrebbero attribuire seggi aggiuntivi (anche se, ci si permette di dire, sarebbe uno scenario difficile); se invece l'attribuzione dell'intero premio facesse andare oltre quella quota, i seggi eccedenti dovrebbero essere distribuiti proporzionalmente tra le coalizioni (o liste singole) perdenti, nonché di seguito all'interno delle coalizioni, applicando lo stesso sistema. Goi non manca di considerare l'ipotesi in cui si ritenesse più opportuno avere un numero fisso di consiglieri (dunque evitando eventuali seggi aggiuntivi): in quell'eventualità, la sua proposta suggerisce di applicare il meccanismo che era stato fissato dalla "legge Calderoli", vale a dire la previsione di un quoziente di maggioranza (ottenuto dividendo il totale voti validi della/e lista/e di maggioranza per il numero di seggi attribuiti alla maggioranza) e un diverso quoziente di minoranza (ottenuto, in questo caso, dividendo il totale dei voti validi delle liste di minoranza per i seggi attribuiti alle opposizioni).
La proposta di Goi si completa con le misure di democrazia paritaria (con l'introduzione della doppia preferenza di genere e - anche se si tratta di un congegno potenzialmente problematico, oltre che poco incisivo - la previsione della riserva di almeno metà delle posizioni di capolista in ciascun gruppo di liste a candidature del genere meno rappresentato nel consiglio uscente) e con altre proposte in materia di "uguaglianza delle liste concorrenti". In particolare, Goi propone l'abolizione dell'esonero dalla raccolta firme per la presentazione delle liste, per evitare disuguaglianze all'ingresso (una proposta che chi scrive appoggia senza alcuna riserva) e l'assenza di soglie esplicite di sbarramento per l'ingresso in consiglio regionale, se non altro per evitare all'elettrice o all'elettore la sensazione di esprimere "voti inutili" se indirizzati alle formazioni minori.
"Applicando le modifiche sopra esposte - conclude Goi - si riducono le criticità del sistema attuale; nulla vieta, comunque, di procedere ad eventuali aggiustamenti futuri, una volta che ne sia stata verificata l’applicazione". C'è da sperare che i suoi suggerimenti siano colti, nell'anno rimasto da qui alla fine della consiliatura: ci vorrebbe "solo" la volontà di farlo.

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