Sono passati sedici anni abbondanti, a pensarci bene, ma c'è chi non ha dimenticato una domenica di metà giugno del 2004, passata per qualche manciata di minuti in uno dei tanti seggi elettorali allestiti in provincia di Torino. Si entrava in cabina con tre schede in mano - oppure due, se si votava in uno dei pochi comuni non chiamati a rinnovare la propria amministrazione in quell'anno. In effetti votare quella volta richiedeva un'attenzione maggiore rispetto al solito, per non lasciarsi confondere dal notevole affollamento sulle schede: i simboli in corsa per le europee nella circoscrizione Nord-Ovest erano 24, quelli che si contendevano i consensi per la provincia erano addirittura 32. Su quest'ultima scheda di colore giallo, tuttavia, tra le molte proposte in campo ne spiccava una decisamente singolare: votare nel rispetto di una delle due fedi calcistiche del capoluogo piemontese - quella del Toro - ma anche della storia dell'intera città. Questa è la storia del Movimento Filadelfia e del suo candidato-animatore, Manlio Maria Collino.
L'ultimo pezzo di frase, in realtà, è inesatto e anche piuttosto ingeneroso, a voler pretendere di costringere la biografia di Collino in quell'esperienza elettorale, che fu anche l'unica della sua vita: "Non ero e non sono un politico", tiene a sottolineare ancora oggi, mentre in quel 2004 nella sua biografia annotava di non aver mai avuto alcuna tessera di partito. Classe '46, Collino si è laureato a 45 anni in lettere con Giorgio Barberi Squarotti discutendo una tesi sulla goliardia, un mondo a lui ben noto: dal 1968 al 1971 è stato Pontefice Massimo della Goliardia Torinese e quasi certamente gli spetta tuttora il titolo di Profeta del Supremus Ordo Taurini Cornus. Al di là dell'impegno nell'attività imprenditoriale familiare, ha dedicato buona parte della sua vita ai granata e al giornalismo: prima ha collaborato a Tuttosport e ad Alè Toro (per l'appunto...), poi è passato al settimanale Calciofilm, arrivando fino alla direzione. L'attività giornalistica prosegue tuttora, come commentatore di CronacaQui, ma l'esperienza più rilevante e indimenticata a Torino si è svolta dal 1991 al 2005 e va sotto il nome di Fegato Granata.
La testata fondata e diretta da Collino, Fegato Granata |
Proprio da quel punto di osservazione, Collino aveva iniziato a dare conto già dal 1991 dello stato di abbandono e del progressivo degrado dello stadio Filadelfia, che aveva ospitato per decenni le partite del Grande Torino di Valentino Mazzola (lì erano stati vinti quasi tutti i suoi scudetti), ma già dal 1963 non era più stato teatro di incontri ufficiali e stava per essere definitivamente abbandonato dalla prima squadra anche come spazio per gli allenamenti. Alcuni progetti di recupero dell'impianto si erano già dissolti, altri non erano partiti sotto i migliori auspici e in ogni caso non avrebbero portato ad alcun risultato, altri ancora sarebbero puntualmente falliti e, a partire dal 1997, avrebbero portato alla demolizione di gran parte dello stadio.
La Stampa, 21 gennaio 2003: nella foto c'è anche Fegato Granata |
Più in generale, a Torino il problema degli impianti era vissuto in modo pesante soprattutto dai sostenitori del Torino. Così Collino l'avrebbe spiegato nel 2004 (subito dopo le elezioni, sul sito della lista che aveva guidato):
Anche chi non segue il calcio sa che a Torino c'era una 'questione stadi'. Il Delle Alpi (nuovo, attivo, valore di perizia 160 miliardi) da assegnare ad una delle due squadre cittadine, e il Comunale (vecchio, inattivo, cadente, vincolato dalle Belle Arti, valore zero) da assegnare all'altra come contropartita. Indovinate a chi è toccato il primo e a chi il secondo. E non basta. Alla gobba è stato 'regalato' l'intero comprensorio della Continassa, di cui lo stadio (nuovo e funzionante) rappresenta solo un quarto della superficie, con relativi permessi di edificazione commerciale per 25000 mq. Valore del regalo (stadio + urbanizzazioni + terreni limitrofi + permessi edilizi) 300 miliardi, a star cauti. Contropartita: la Juve dovrà pagare 46 miliardi in dieci anni. Al Toro invece è stato dato il Comunale coi suoi cortili, un'area che è un quinto di quella data alla gobba. Sono state date anche delle edificabilità commerciali per 5000 mq. (anche qui, un quinto rispetto a quelli dati alla gobba). La contropartita richiesta al Toro (7 miliardi da pagare entro il 2006) sembrerebbe proporzionata. Peccato che il costo dei lavori per rendere agibile lo stadio ammontino a quaranta miliardi, anch'essi da pagare subito se si vuole giocare lì. La Juve, invece, se non volesse per suo capriccio ristrutturare il Delle Alpi e farsi la 'bomboniera', potrebbe giocare subito. Anzi, ci gioca, e becca anche 3 miliardi all’anno di affitto dal Toro.
Lo spostamento delle cerimonie di apertura e chiusura delle olimpiadi invernali 2006 dal Delle Alpi al Comunale - con l'impossibilità di fatto per il Toro di utilizzarlo a lungo e la necessità immediata di lavori di adeguamento molto costosi - avevano decisamente peggiorato la situazione.
Fu in quel contesto che maturò per Collino l'idea di un'azione singolare, per vedere nemmeno troppo di nascosto l'effetto che faceva: immaginare una candidatura in nome del Filadelfia alla prima occasione possibile. Per le comunali si era votato nel 2001, peraltro in modo piuttosto rocambolesco (prima per la scomparsa del candidato designato dal centrosinistra Domenico Carpanini, poi per la vittoria inattesa di Chiamparino al ballottaggio sullo sfidante del centrodestra Roberto Rosso, con contorno di polemiche per gli effetti della lista Rosso sindaco sul primo turno elettorale), quindi a meno di sorprese bisognava attendere il 2006; in compenso nel 2004 si sarebbe rinnovata l'amministrazione provinciale di Torino, nello stesso giorno previsto per le elezioni europee e per le amministrative dei comuni interessati. Così ha ricordato sempre Collino nel 2004:
Dopo aver tentato in tutti i modi (marce, fiaccolate, scioperi della fame, incatenamenti, striscioni, articoli, libri…) di fermare lo scempio, i tifosi erano costernati. A quel punto mi sono reso conto che l’unico argomento cui i politici potevano essere sensibili era la sottrazione di voti. Nel corso d’una riunione al Toro Club Borgo Vittoria [...] l'ho detto chiaramente: 'Scendete in politica, chiarendo però bene che si tratta di un’iniziativa apartitica e trasversale. Trovatevi una faccia credibile come capolista, e partite. Non la mia, supposto che la riteniate credibile, perché ho poco tempo, ho una fama di anticomunista che vi farebbe perdere voti a sinistra, e in più ho un editore che potrebbe storcere il naso di fronte a questa militanza elettorale'. Passati alcuni mesi, e in piena caduta libera del Toro con relativa contestazione dura a Cimminelli, alcuni tifosi (gli Angeli del Filadelfia, guidati da Bellino) sono venuti nella mia tana. Mancavano dieci giorni al termine ultimo per la raccolta delle firme. Mi hanno chiesto di ripensarci, e di accettare di capeggiare una lista rigorosamente apartitica sul tema. Ho finito per cedere, un po' perché ho il DNA granata (che significa incapacità fisiologica di arrendersi) e un po' perché, se il Fila finisse davvero male, i miei pronipoti devono almeno sapere che il bisnonno le aveva provate tutte, ma proprio tutte.A quel punto la scelta era fatta: non c'era che da raccogliere le firme in fretta e prepararsi: quella poteva essere l'ultima vera occasione, anche grazie alla visibilità elettorale, per far capire a chi - a livello imprenditoriale, ma anche politico - era interessato a quel progetto urbanistico che quell'idea doveva essere abbandonata perché i veri torinesi (e torinisti) non l'avrebbero mai accettata. "Il nostro budget - scriveva ancora Collino nel 2004 - era francescano: ci siamo 'tassati' di 100 euro a testa, per non mettere in imbarazzo i meno abbienti in lista fra noi. In tutto 1800 euro, quando solo un riquadro formato cartolina su To/Cronaca ne costava 1000! Tutti gli altri candidati ne hanno comprati a paginate intere, su tutti i giornali, oltre a fare spot sulle Tv. Noi invece siamo a malapena riusciti a far stampare 800 volantini e 50 manifesti a cranio. In pratica sapevamo già, partendo, che avremmo potuto contare solo sul passaparola dei giusti e sulla catena e-mail".
La lista, in ogni caso, fu presentata: la corsa di Collino alla presidenza della provincia venne sostenuta dal Movimento Filadelfia, il cui simbolo ospitava su fondo blu il toro - ovviamente granata - che riprendeva in gran parte il logo della squadra degli anni '80 e una stilizzazione dello stadio stesso, giusto per far arrivare il messaggio a chiunque. "Fai rinascere un sogno" era lo slogan scelto per i volantini e i pieghevoli, sui quali era riportato per intero il programma della lista, centrato sul rispetto e sulla valorizzazione della pagina di storia rappresentata dal Toro, ma con l'idea di tenere in generale un atteggiamento improntato al buonsenso e alla rettitudine, "trasversalmente a tutte quelle logiche di appartenenza partitica e di schieramento" consuete in politica, nonché alla "determinazione nell’opporsi agli interessi costituiti e ai poteri forti quando questi, in nome di alleanze, compensazioni e strategie estranee ai casi specifici, danneggiano le buone ragioni dei cittadini".
Si era individuata una ventina di punti, molto netti: si prevedeva innanzitutto la rinuncia alla costruzione di qualunque edificio sull'area dell'ex campo ragazzi, tra Via Tunisi e il cortile, nonché a qualunque intervento anche parziale che alteri il cortile o l'ingresso storico di via Filadelfia; la destinazione esclusiva del campetto alle esigenze sportive delle squadre giovanili e della prima squadra del Torino (prevedendo gli spazi necessari per consentire gli allenamenti); la conservazione e restauro di tutti gli elementi architettonici rimasti dopo la demolizione del Filadelfia (anche se non espressamente tutelati dalla Soprintendenza) e il recupero di ogni altro elemento storico comunque conservato altrove - inclusi i palloni di cemento e le ringhiere - per riportarlo nel perimetro del Filadelfia; si pensava anche a mantenere le "stesse righe di gesso che pestò Mazzola" (costruendo il nuovo campo esattamente sul perimetro del precedente) e di un manto erboso naturale (evitando l'erba sintetica). Si voleva realizzare una tribuna che rimandasse a quella originale in legno e ghisa e garantire all'impianto la maggior capienza possibile, nonché affidare all'Associazione memoria storica granata il museo e il circolo soci da collocare sotto le gradinate. Si pensava poi di creare la "Casa Granata" (per rappresentare la storia del Torino) nell’area dietro la basilica di Superga, realizzando pure un monumento alla squadra nel piazzale davanti alla basilica, restaurando le tombe dei caduti al cimitero monumentale e progettando una "segnaletica granata" per quei luoghi; intitolazione al Grande Torino dello stadio Comunale (dal quale doveva sparire la pista di atletica) e di Corso Sebastopoli (togliendolo il nome della via alla Continassa nella zona dello stadio Delle Alpi, "diventata zona bianconera"). Tra le altre iniziative previste, non mancavano la realizzazione (presso il campo Nebiolo o nel Parco Ruffini) di un centro di cultura e scuola calcistica, gestita dalle due società principali di Torino, e la "diffusione tra i giovani delle scuole, attraverso conferenze, corsi, seminari, proiezioni, visite al museo, dei valori di sportività, semplicità, correttezza, tenacia e stile di vita che caratterizzarono l’epopea del Grande Torino".
Alla fine arrivò il 12 giugno, giorno indicato per le elezioni europee, comunali e provinciali. La scheda per queste ultime, come anticipato, era affollatissima e il rispettivo manifesto era enorme: 19 aspiranti presidenti e 32 liste, 9 delle quali per il centrosinistra, quattro per il centrodestra, inclusa l'Unione pensionati di Onorato Passarelli. I seniores, in ogni caso, avevano l'imbarazzo della scelta, visto che sulle schede c'erano anche i Pensionati per l'Europa (a sostegno di Liliana Cavallo) e - alla prima uscita di rilievo - i Pensionati e invalidi che candidavano la loro fondatrice, Luigina Staunovo Polacco. Non possono poi lasciare indifferenti chiunque appartenga alla categoria dei #drogatidipolitica le candidature alla presidenza di Valerio Cignetti per la Fiamma tricolore (allora molto attivo in loco), di Antonio Piarulli con il Ppa - Movimento Politico Pensiero e Azione, di Denis Martucci per la lista Da sempre Ci siamo (nome assunto dalla Democrazia cristiana guidata da Giuseppe Pizza dopo la bocciatura del simbolo con lo scudo crociato) nonché di Maurizio Lupi (stavolta senza Verdi-Verdi, ma con le liste No inceneritore e Pace) e di Renzo Rabellino (sostenuto da No Euro e Noi automobilisti); da segnalare anche la probabile prima presenza della lista No Tav, in appoggio alla candidatura di Ivana Galliano.
Vinse già al primo turno il candidato del centrosinistra Antonio Saitta, seguito da Franco Maria Botta (centrodestra) e Arturo Calligaro (Lega Nord). Quanto a Manlio Collino, riuscì a raccogliere 8.346 voti (0,68%), mentre il Movimento Filadelfia ne ottenne giusto un po' meno, 7.526 (0,69%). I numeri a uno sguardo distratto possono sembrare poca cosa, ma non fu affatto così, se si ricorda che la lista non aveva mezzi finanziari a disposizione per una vera campagna e nonostante ciò il candidato presidente fece meglio di altri sette concorrenti e ottenne solo un migliaio di voti in meno rispetto a Cignetti, figura di riferimento per la Fiamma in Piemonte. Anche nel collegio di Torino-Pozzo Strada, l'unico in cui non era presente il simbolo del Movimento Filadelfia per la mancanza di un aspirante consigliere locale, Collino ricevette comunque 188 voti, pari allo 0,67%, in linea con la percentuale ottenuta a livello provinciale; soprattutto, nel collegio Torino-Lingotto, quello che comprendeva già allora il borgo Filadelfia, il candidato alla presidenza ottenne 314 voti (1,17%) e il simbolo della lista arrivò all'1,27% (299 voti). In più, Collino considerava un successo avere ben più che doppiato le 2.715 preferenze raccolte in provincia di Torino, nello stesso giorno, da Diego Novelli (già sindaco di Torino e considerato responsabile - in qualità di presidente della fondazione che avrebbe dovuto puntare al recupero del Filadelfia, insieme ad altri personaggi politici - del degrado devastante dello storico impianto.
Quel dato era rilevante non solo di per sé, ma soprattutto in proiezione futura: "Nel 2004 non fui eletto - ricorda Collino - ma il nostro 'velato ricatto' funzionò. Capirono che c'era davvero il popolo granata dietro di me, e che se avessero fatto quella 'bastardata' [con riferimento al progetto di snaturare del tutto l'area del Filadelfia, ndb] mi sarei candidato alle comunali". Certamente presentando lo stesso programma ai soli cittadini di Torino in una consultazione elettorale centrata su quel comune, magari riuscendo nel frattempo a raccogliere più risorse per la campagna elettorale, il numero di consensi sarebbe aumentato e l'obiettivo dell'elezione non sarebbe stato affatto lontano: nel 2001 nella coalizione di maggioranza i Verdi erano entrati in consiglio con poco più di 6mila voti, la Lega Nord nel centrodestra ce l'aveva fatta con poco più di 11mila voti; per chi si fosse presentato fuori dai poli la corsa sarebbe stata un po' più difficile (sarebbe servito qualche migliaio di voti in più), ma l'impresa non si presentava impossibile. Era invece possibilissimo che a più di qualche "politico di professione" quel risultato fosse andato di traverso, magari temendo ostacoli in più verso le nuove elezioni comunali.
Il Movimento Filadelfia, in ogni caso, non arrivò sulle schede elettorali torinesi del 2006: da una parte, il progetto di speculazione edilizia in quell'area - tanto combattuto dai tifosi - sembrava tramontato, dall'altra nel 2005 il Torino fallì e dovette ripartire con una nuova proprietà; in più, in quello stesso anno, un grave lutto (la scomparsa della figlia in un incidente) cambiò decisamente la vita di Collino, portando anche alla chiusura di Fegato Granata. Quell'avventura elettorale dunque non si ripeté, ma le tracce lasciate sono assai rilevanti: "Ho la soddisfazione di poter constatare - spiega ancora l'ex demiurgo di Movimento Filadelfia - che la mia lotta ha sensibilizzato molte persone, soprattutto giovani, che l'hanno continuata in piazza, nelle tv e anche su Facebook e sui social, fino a ottenere che il Fila fosse ricostruito. Magari non come lo speravamo in tanti, ma sempre meglio che un giardino pubblico con una targa ricordo del Grande Torino, come volevano fare...".
Che quella battaglia per il vecchio stadio potesse risultare elettoralmente interessante, peraltro, lo avevano capito anche altre persone. Sulla scheda elettorale delle comunali del 2006, infatti, non finì il Movimento Filadelfia, ma si videro lo stesso il colore granata e il Filadelfia, addirittura in due liste schierate in due schieramenti diversi. Quella che nel nome sembrava riprendere maggiormente l'esperienza di due anni prima era la Lista Granata per il Filadelfia, inclusa nella coalizione a sostegno di Alessandro Lupi (fratello di Maurizio): otto liste in tutto, inclusi i Veri Ambientalisti (mutazione dei Verdi-Verdi, ma con l'orsetto sorridente al suo posto), la Lista del Sindaco Torino 2006 (con il numero scritto alla maniera olimpica), Uniti per il centrosinistra (che in un primo tempo era Uniti e Prodi per il centrosinistra, ma la commissione elettorale si era opposta), Noi Meridionali (da cui era stata tolta la croce prestampata) e l'imperdibile Sì ad un futuro senza caccia, con Daffy Duck che spaccava un fucile.
Manco a dirlo, quella lista con il Movimento Filadelfia non aveva nessun legame, così come non lo aveva Forza Toro, schierata invece tra le sei liste che appoggiavano Denis Stefano Martucci: sì, lo stesso di Da sempre Ci siamo di due anni prima, stavolta senza ri-democristiani ma con il sostegno della Fiamma tricolore, dei Pensionati e invalidi, della rabelliniana No Euro, di Immigrati Basta (passati da Rabellino a Max Loda), dell'imperdibile lista Franco Buttiglione (cugino del più famoso Rocco, candidato sindaco del centrodestra, un'operazione che tanto ricordava Rosso Sindaco...) e, appunto, di Forza Toro. Qui il fondo era bianco, mentre era granata il nome e il toro rampante (verosimilmente quello dello stemma del comune di Torino, ma tinto tutto del colore della squadra); in seguito il simbolo sarebbe tornato sulle schede sempre per iniziativa del gruppo di Renzo Rabellino, ma a colori invertiti, con il vecchio logo della squadra e con la parola "Toro" in grande evidenza.
Appare quasi inutile dire che quelle liste non raccolsero affatto l'eredità del Movimento Filadelfia: Forza Toro ottenne 960 voti (0,25%) e la Lista Granata 876 (0,23%), risultati la cui somma stava ben al di sotto degli oltre 3500 voti ottenuti due anni prima da Collino nei collegi riferibili al capoluogo. Era il segno che elettrici ed elettori torinesi avevano ben compreso il diverso significato di quelle due operazioni elettorali rispetto al progetto del 2004. Qualcosa di quel disegno si è attuato: il Toro oggi gioca ancora all'ex Comunale - che ora si chiama, oltre che "Olimpico" anche "Grande Torino", come voleva Collino - e si allena al nuovo centro sportivo realizzato da circa tre anni nell'area dell'impianto precedente. Del vecchio Fila resta oggettivamente poco, ma la soluzione raggiunta rispetta molto di più la storia granata, quella dell'intero calcio torinese e italiano. E, a suo modo, dà ulteriore senso a quell'avventura elettorale di oltre quindici anni fa, una scorribanda concepita in fretta e attuata con pochissimi mezzi, ma che si è fatta riconoscere e, soprattutto, ricordare.
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