martedì 1 dicembre 2020

Diaconale, tanti simboli per l'area laica e liberale

La scomparsa di Arturo Diaconale ha fatto parlare molti media essenzialmente di lui per l'ultimo ruolo ricoperto a livello nazionale, ossia quello di 
responsabile della comunicazione della Società Sportiva Lazio e, in particolare, di portavoce del presidente Claudio Lotito; altri hanno ricordato la sua lunghissima direzione della storica testata liberale L'Opinione (durava dal 1992: proprio Diaconale aveva portato la periodicità da settimanale a quotidiana, modificando la testata in L'Opinione delle libertà) o la sua partecipazione al consiglio di amministrazione della Rai (dal 2015 al 2018); c'è anche chi non ha dimenticato la sua presidenza del parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga
Eppure, chi si fregia dell'appartenenza alla categoria dei #drogatidipolitica non può trascurare la partecipazione politica dello stesso Diaconale, che - proveniente dal Partito liberale italiano, divenendo appunto direttore dell'Opinione allora organo del Pli - fu candidato per la prima volta dal centrodestra nel 1996, rappresentando il Polo per le libertà nel collegio senatoriale di Rieti (venendo peraltro sconfitto da Gavino Angius). Mancava in quel periodo un soggetto dichiaratamente liberale e laico, ma in quell'occasione lo schieramento costituito da Forza Italia, Alleanza Nazionale e Ccd-Cdu (cui si era aggiunta in parte la lista Pannella-Sgarbi, che però a Rieti e in alcuni altri collegi aveva espresso una propria candidatura) era parso idoneo a ospitare candidati di area laica e liberale non organici ai singoli partiti.
Nel 2000, tuttavia, si avvicinavano nuove elezioni politiche e l'area laica, soprattutto quella legata al centrodestra, sentiva di aver bisogno di pesare di più, specie dopo l'adesione di Forza Italia al Ppe: nacque per questo Pololaico, prima come sito (Pololaico.it, diretto da Roberta Tatafiore), poi come associazione-partito che avrebbe dovuto presentare liste alle elezioni politiche del 2001. Vittorio Sgarbi ne era il presidente d'onore, due ex radicali ed ex forzisti come Marco Taradash e Giuseppe Calderisi erano rispettivamente presidente e responsabile delle liste; come portavoce c'era un altro ex radicale, Giovanni Negri, mentre Giuseppe Benedetto - in seguito presidente della Fondazione Luigi Einaudi - era il responsabile politico e organizzativo. Tra i fondatori di quell'esperimento c'erano anche Nichi Grauso (fino a pochi mesi prima editore dell'Unione Sarda e di Videolina) e, appunto, Arturo Diaconale, già impegnato in varie battaglie liberali con L'Opinione delle libertà. Il simbolo di Pololaico - la freccetta di un mouse - tuttavia non finì mai sulle schede e l'esperimento via via si spense. 
L'impegno per una forza laica di centrodestra di Diaconale, tuttavia, non si esaurì. Fu tra coloro, per esempio, che nel 2005 appoggiarono la nascita di un soggetto liberal-radicale nello schieramento opposto all'Unione di centrosinistra, quando si capì che la Lista Pannella stava guardando da quella parte e lì sarebbe approdata: non stupisce dunque che Diaconale figurasse tra i sostenitori dei Riformatori liberali guidati da Benedetto Della Vedova, peraltro in compagnia dei già pololaicisti Calderisi e Taradash. Va peraltro detto che, già dal 2004, il direttore dell'Opinione aveva auspicato un progetto più ampio, una "casa laica" che avrebbe dovuto unire più forze, sempre per dare maggior peso a quelle posizioni nel centrodestra.
In quella veste, anche Diaconale aveva finito per guardare con favore alla scelta di Stefano De Luca di far evolvere il "suo" Partito liberale, rifondato nel 1997, con un "ritorno all'antico" che si tradusse nella riadozione dello storico nome Partito liberale italiano al congresso "costituente" del dicembre 2004. Anche il progetto della Casa laica non si concretizzò mai, sebbene proprio il rinnovato Pli avesse cercato di raccoglierne l'eredità alle elezioni politiche del 2006, inserendo l'espressione "Casa dei Laici" nelle poche occasioni in cui riuscì a raccogliere le firme per presentare il suo simbolo. Era lo stesso partito che lui si sarebbe proposto di guidare al congresso del 2009, proponendosi in ticket con l'amico Taradash per la presidenza, senza tuttavia riuscire a impedire la riconferma di De Luca.
L'ultima candidatura di Diaconale risale al 2018, quando Forza Italia lo candidò nel collegio plurinominale Lazio - 02 del Senato, senza che scattasse l'elezione. In compenso, nel 2015, Diaconale era entrato virtualmente in Parlamento, perché vi era comparsa la sua ultima creatura politica, il movimento Vittime della giustizia e del fisco. L'aveva promossa proprio il direttore dell'Opinione (anche con l'appoggio di Davide Giacalone, già a lui vicino fin dall'esperienza di Pololaico), convinto che "il malfunzionamento della giustizia e un fisco oppressivo e inefficiente" frenassero lo sviluppo e che "la stragrande maggioranza degli italiani" fosse  "insoddisfatta di una giustizia che non funziona e di un fisco rapace". Il soggetto politico aveva trovato rappresentanza al Senato grazie a Giovanni Mauro, che al nome integrale già lunghissimo del gruppo Grandi autonomie e libertà (Gal) aveva aggiunto anche quello del nuovo movimento. Soprattutto, l'apporto di Mauro consentì alla lista di presentarsi alle regionali del 2015 in Campania senza raccogliere le firme, ampliando la compagine del presidente uscente Stefano Caldoro (poi sconfitto da Vincenzo De Luca). Il simbolo, integralmente letterale con l'accento sulla qualità di vittime - categoria già guardata con attenzione da Diaconale fin dalla fondazione del Tribunale Dreyfus - non apparve in altre occasioni elettorali e sparì presto anche dal Senato: lo si vide solo dal 21 aprile al 5 agosto 2015. 
Molto più recente è la partecipazione di Diaconale alla 
rentrée della Destra liberale italiana, come segretario dell'associazione nata nel 2019 che ha come presidente d'onore Giuseppe Basini, a sua volta fondatore della Destra liberale italiana come partito politico nel 2001 insieme a Gabriele Pagliuzzi. A dispetto della varietà di simboli in qualche modo legati all'ex direttore dell'Opinione, gli si può riconoscere che tutti erano in fondo legati alla stessa idea e alla stessa area, senza avere mai perso la speranza che nel centrodestra i liberali laici potessero contare di più, senza rischiare l'irrilevanza rispetto ad altre posizioni che nel corso del tempo avevano avuto più fortuna. Una battaglia che, la si condividesse o meno, meritava e merita rispetto.

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