Nei giorni 25 e 26 giugno 2023 sono previste le elezioni regionali in Molise, le ultime previste quest'anno. Ci sarà tempo per analizzare i simboli destinati a finire sulla scheda elettorale; nel frattempo è il caso di occuparsi, almeno per un attimo, di una lista che risulta esclusa da questa competizione. Ci si riferisce alla Democrazia cristiana, che aveva scelto di sostenere l'ex ministra della difesa Elisabetta Trenta come candidata alla presidenza della giunta regionale: si tratta - giusto per non fare confusione circa i vari soggetti politici che operano in campo con lo stesso nome - della Dc che riconosce come proprio segretario Antonio Cirillo e che ha come portavoce e coordinatore politico nazionale l'ex consigliere regionale Fabio Desideri. Ieri il Tribunale amministrativo regionale del Molise ha respinto il ricorso con cui si era chiesta la riammissione della lista; potenzialmente è ancora possibile che il Consiglio di Stato - qualora sia impugnata questa sentenza nelle prossime ore - riammetta la formazione, riportando a 15 il numero delle liste in campo (era stata presentata ed esclusa - per numero insufficiente di candidati - anche quella di Forza Nuova: non risultano ricorsi), ma è assai probabile che il quadro non muti ulteriormente.
Occorre precisare subito che, come correttamente riportato dai media, l'esclusione della lista della Dc non è stata legata all'uso dello scudo crociato. E questo nonostante tra le liste ammesse a partecipare alle prossime elezioni regionali ci sia anche quella guidata dall'Unione di centro (Udc): questa, oltre a schierare lo scudo in primo piano (e ingrandito rispetto al solito), contiene nel contrassegno anche i riferimenti a Noi Di Centro (la formazione guidata da Clemente Mastella) e soprattutto alla Democrazia cristiana, denominazione apportata da Gianfranco Rotondi, secondo quanto gli era stato concesso nel 2004 dai legali rappresentanti del Ppi - ex Dc. Il problema dell'eventuale confondibilità - peraltro acuito dalla compresenza di denominazione e scudo in due emblemi diversi: non è stato diffuso il simbolo esatto della Dc-Cirillo, ma la descrizione del contrassegno fa pensare che sia stato lo stesso ricusato dal Viminale prima delle ultime elezioni politiche - non si è proprio posto, visto che gli uffici elettorali hanno escluso la lista per invalidità formali che non hanno nemmeno portato i collegi a esaminare l'ammissibilità delle candidature e del rispettivo contrassegno.
Fin dall'inizio i media hanno parlato del ritardo con cui i documenti legati alla presentazione della lista e della candidatura di Trenta sarebbero stati consegnati: si era parlato di pochi minuti rispetto al termine delle ore 12 fissato per il 27 maggio scorso, ma il verbale di deposito in effetti indicava le ore 15 e 16. Dal ricorso si apprende che Sabatino Esposito, delegato della lista Democrazia cristiana (nonché indicato dal sito del partito quale segretario amministrativo e, da statuto, legale rappresentante), si era recato presso il tribunale di Campobasso, dove aveva sede l'Ufficio unico circoscrizionale, insieme ad Antonio Cirillo (segretario del partito) e Antonio Cardone (uno dei candidati). Esposito sarebbe arrivato alle ore 11 e 55, "attendendo pazientemente, all'interno della sede della Commissione elettorale e precisamente (aula di udienza adibita ad anticamera) che il predetto Ufficio terminasse le operazioni inerenti le altre liste di candidati". I tre soggetti sarebbero "[e]ntrati (in orario) all’interno del locale adibito alla presentazione delle liste, e nelle more dell’attesa del loro turno, venivano avvisati da un addetto presso il Tribunale che era necessario andare a prendere un 'numero elimina code' ovvero un 'tagliando' [...] presso un locale dislocato differente da quello presso cui si consegnava la documentazione": la scelta di richiedere il ritiro del tagliando per accedere alla sala del deposito sarebbe stata adottata, secondo l'ufficio elettorale, "ai fini della necessaria numerazione provvisoria dell’ordine delle liste, specie quelle non infrequentemente presentate proprio a ridosso del temine finale". Si sarebbe temporaneamente allontanato dal locale per la consegna delle liste - allontanamento ritenuto "meramente funzionale ad adeguarsi alle regole autostabilite dall'Ufficio Unico Circoscrizionale", cioè al procurarsi il tagliando - proprio il delegato di lista (Esposito), mentre sarebbero rimasti lì gli altri due membri della delegazione, con tanto di documenti da consegnare.
Nel frattempo, però, si era fatto mezzogiorno: le porte del luogo di consegna delle liste sono state chiuse (con le due persone della Dc, non delegate, all'interno) e a Esposito, giunto nel luogo di consegna dei tagliandi inevitabilmente dopo le 12, non è stato consegnato il famoso tagliando: "solo all'esito di alcune rimostranze gli veniva consentito l'ingresso" nella stanza di presentazione delle liste per raggiungere le due persone rimaste lì dentro. La consegna, dopo un'anticamera di oltre tre ore, sarebbe poi effettivamente avvenuta alle 15 e 16, come riportato sul verbale: il delegato di lista non avrebbe contestato quell'orario (senza impugnare il verbale per querela di falso, ma - a quanto pare - senza nemmeno far annotare proprie osservazioni alla cancelliera redigente) sia perché effettivamente si riferiva al momento della consegna, sia perché l'ampio ritardo era dovuto alle precedenti operazioni di deposito che si erano protratte.
Oltre al problema dell'orario, però, sarebbero emerse altre criticità: in particolare, alla dichiarazione di collegamento della lista della Dc di Esposito alla candidatura di Elisabetta Trenta non corrispondeva "analoga e convergente dichiarazione" resa da Trenta; in più, risultava presentata l'accettazione della candidatura da parte di Elisabetta Trenta, ma non la dichiarazione di presentazione della candidatura stessa, con le relative firme richieste. Tali mancanze, per gli uffici elettorali, sarebbero state così gravi da far cadere candidatura e lista. Per i presentatori della lista, invece, quei documenti c'erano e sarebbero stati consegnati alla cancelliera in sede di deposito, con relativa verbalizzazione della consegna: anzi, proprio la procedura di consegna (a seguito delle singole richieste della cancelliera ricevente) e il verbale, secondo Esposito, avrebbero generato in lui "la certezza nell’affidamento circa il suo buon operato, avendo egli consegnato tutto quanto richiesto dall’addetta dell’Ufficio". Come dire: se sono stati consegnati i documenti espressamente richiesti e, si suppone, la persona che ha redatto il verbale ha controllato che fossero effettivamente quelli prescritti, la consegna era regolare e completa, per cui eventuali mancanze non si potevano addebitare ai presentatori. Quanto alla presentazione della candidatura a presidente, secondo gli esponenti della Dc questa poteva essere fatta con lo stesso modulo di presentazione della lista, dunque anche con le medesime firme a sostegno (visto che la lista sosteneva esplicitamente Trenta).
Nessuno di questi argomenti, tuttavia, è stato considerato valido dal Tar Molise. Sulla questione più dibattuta, vale a dire quella dell'orario di consegna, per i giudici è "astrattamente condivisibile l’affermazione del ricorso che 'ciò che rileva, ai fini della tempestività del deposito del materiale, non è l’orario di consegna dello stesso, ma l’orario di arrivo dei delegati presso l’ufficio stesso muniti della necessaria documentazione' (in quanto le lungaggini delle operazioni di consegna delle liste giunte sul posto prima di quella ricorrente non potrebbero essere addebitate al delegato di quest’ultima)", ma per loro "proprio la tempestività dell’arrivo del sig. Esposito presso l’Ufficio è rimasta sfornita di qualsivoglia serio conforto probatorio". Quando sono state chiuse le porte della stanza del deposito delle liste, lì c'erano due persone la cui presenza per il Tar era "irrilevante" (pur essendo candidate o figure apicali della Dc), mentre il delegato di lista era altrove e per il collegio rileva soprattutto la "circostanza - con ogni probabilità non casuale - che l’interessato non ha mai potuto conseguire [il] “tagliando” dal personale della cancelleria", dunque non ci sarebbero prove della presenza del depositante effettivo nei locali dell'ufficio elettorale prima della scadenza dei termini (e, in più, non ci sarebbe stato nemmeno un ritardo "lieve", non rilevando a quanto pare l'argomento dell'anticamera dovuta alle molte liste depositate prima).
Sulla questione della mancanza di un espresso atto di presentazione della candidatura di Elisabetta Trenta, con sottoscrizioni espressamente rivolte a questo, il Tar appare piuttosto netto. Per i giudici amministrativi, le norme in vigore (l'art. 6 della legge regionale n. 20/2017, cioè la legge elettorale) parlano espressamente della presentazione della candidatura a presidente della giunta regionale (e di dichiarazione di collegamento con una o più liste), sottoscritta da almeno 300 elettori del Molise: quelle firme, per il collegio, sono "un elemento strutturale prescritto a pena di invalidità" della candidatura. Interessa soprattutto la contestazione della tesi dei presentatori, secondo i quali la legge non richiede che la candidatura alla presidenza e le relative firme a sostegno risultino da "moduli differenti da quelli previsti per la presentazione della lista dei candidati consiglieri". Non solo le istruzioni per la presentazione delle candidature fornivano in allegato due moduli diversi per presentare una lista o una candidatura alla presidenza, ma le sottoscrizioni hanno "un oggetto differenziato" e diversi "presupposti e contenuti" per le due fattispecie (e, del resto, i presentatori della lista non hanno contestato che la mancanza della presentazione della candidatura potesse far venir meno anche la lista e che in effetti un atto espressamente configurabile come presentazione della candidatura mancasse). Queste osservazioni hanno reso inutile la valutazione dell'altra mancanza rilevata dagli uffici elettorali, quella della dichiarazione di collegamento di Trenta con la lista della Dc.
Come si diceva, è ancora possibile che la Dc ricorra al Consiglio di Stato, mentre non risulta che abbia fatto ricorso al giudice amministrativo Elisabetta Trenta (non si sa se abbia provato almeno a impugnare gli atti davanti all'ufficio elettorale regionale). In ogni caso, da quanto deciso dai giudici di prime cure su questo caso si possono trarre alcuni insegnamenti pratici per il futuro.
Primo insegnamento: occorre prestare la massima attenzione alle previsioni della singola legge elettorale regionale. Dal ricorso e dalla sentenza questo non emerge, ma si può supporre che la mancata raccolta firme a sostegno della candidatura di Trenta alla presidenza (oltre che della lista della Dc) sia dipesa anche dal fatto che la legge elettorale molisana prevede espressamente la raccolta firme anche per la presentazione delle candidature alla presidenza, mentre altre leggi elettorali regionali la escludono (a partire da quelle di Lombardia e Lazio) o comunque non la prevedono (Friuli - Venezia Giulia); la previsione esplicita della richiesta di sottoscrizione anche della candidatura alla presidenza (che vale pure qualora l'unica lista a sostegno sia esonerata dalla raccolta firme, come pure qualora vi siano più liste, esonerate o no) è rafforzata dalla previsione del divieto per il membro del corpo elettorale di firmare per più liste, mentre chi firma per una lista può firmare anche per un candidato alla presidenza. Quanto è accaduto in quest'occasione, oltre a costituire un secondo episodio sfortunato nel rapporto tra Elisabetta Trenta e chi dovrebbe preoccuparsi della regolarità della sua candidatura (si ricordi la mancata presentazione alle suppletive di Roma-Primavalle nel 2021, quando non tutte le firme raccolte sarebbero state di elettori residenti nel collegio interessato dal voto), suggerisce davvero di porre tutta l'attenzione possibile alle norme elettorali in vigore, senza cadere nella tentazione di scegliere le interpretazioni più "leggere" o meno impegnative.
Il Tar, peraltro, ha ritenuto di poter compensare le spese tra le parti, a dispetto della complessiva infondatezza del ricorso: ciò fa pensare che qualche "attenuante" sulla questione della (mancata) presentazione della candidatura presidenziale di Trenta sia stata riconosciuta, magari proprio per il fatto che le firme sono richieste in Molise e non altrove (una situazione che, oggettivamente, non appare troppo ragionevole e forse meriterebbe di essere rivista, in nome di una soluzione comune). Se si legge solo la motivazione sul primo motivo di ricorso, quello relativo al ritardo nella consegna della lista e nella mancata prova della presenza del delegato nel luogo di consegna della lista prima della scadenza dei termini, è facile riscontrare ben altro tono, più compatibile con una decisione di soccombenza che con una compensazione delle spese. Tra l'altro, la mancanza di un esplicito atto di presentazione della candidatura alla presidenza debitamente sottoscritto avrebbe fatto venir meno comunque la lista della Dc, quindi per economia processuale i giudici avrebbero potuto trattare anche solo quel punto, ottenendo lo stesso risultato: il collegio, invece, ha voluto trattare anche la questione del ritardo. Sulla base di quanto accaduto a Campobasso, quindi, chiunque in futuro voglia presentare candidature farà bene a preoccuparsi - tra l'altro - di due cose: 1) di preparare e controllare per tempo tutti i documenti, presentandosi in comune o negli uffici giudiziari con un opportuno anticipo, senza voler emulare a tutti i costi la Dc di un tempo che si metteva in fila per ultima mirando all'ultimo posto sulla scheda (quando l'ordine di presentazione determinava anche l'ordine di stampa, prima dell'avvento del sorteggio); 2) di indicare due delegati alla presentazione della lista, in modo che uno vada a prendere l'eventuale numero/tagliando necessario o comunque "tenga il posto" in fila, mentre l'altro presidia la documentazione, eventualmente insieme ad altre persone a supporto.
Si tratta, sotto questo profilo come a proposito delle firme, di prendere su serio le norme che regolano le elezioni, vale a dire uno dei riti fondamentali della democrazia. Certamente occorre tutelare il favor participationis senza scoraggiare la partecipazione di chi intende ricevere i voti, così come eccedere in "rigorosissime formule sacramentali" (come le definisce il ricorso della Dc) non è salutare; allo stesso tempo, però, le regole finché ci sono vanno rispettate e occorre fare il possibile per compiere tutti gli atti richiesti. Si possono leggere le disposizioni in modo da dimezzare gli sforzi richiesti (raccogliendo firme solo per la lista, pensando che valgano certamente anche per la candidatura a presidente), così come ci si può attardare fino agli ultimi minuti del tempo concesso per il deposito dei documenti (anche solo perché magari non si è riusciti a sistemare tutto prima), ma in quel modo si accetta il rischio che qualcosa vada storto, anche in modo irreparabile. Una cosa è certa: stavolta nessuno potrà imputare a una delle varie Dc la mancata partecipazione al voto a causa dello scudo crociato; se però tutte le carte - della lista e della candidatura a presidente - fossero state in regola, il problema quasi certamente sarebbe sorto e il simbolo sarebbe finito una volta di più davanti ai giudici.
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