giovedì 19 agosto 2021

Toscana Futura alle regionali 2005: un "buco bianco" della democrazia?

Fu un anno rilevante il 2005 nella storia delle elezioni regionali
. Per la seconda volta, in seguito alla riforma costituzionale del 1999, il corpo elettorale poteva scegliere direttamente la persona che avrebbe presieduto la giunta regionale (anche se già nel 1995, alla prima applicazione della "legge Tatarella", si sapeva che il capolista del "listino" maggioritario di coalizione sarebbe stato indicato come futuro presidente). Soprattutto, però, nel 2004 si era dato avvio al "federalismo elettorale", consentendo a ciascuna Regione - una volta rivisto il proprio statuto - di dotarsi di proprie norme per regolare l'elezione del presidente e del consiglio regionale. 
La prima Regione a provvedere era stata la Toscana (con la legge regionale n. 25/2004), la stessa che in quell'occasione - con la l.r. n. 70/2004 - aveva introdotto un sistema di "primarie pubbliche" per la scelta delle candidature nelle circoscrizioni provinciali o per la presidenza della giunta. Proprio in Toscana, peraltro, elettrici ed elettori trovarono sulla scheda uno strano simbolo "vuoto", giustificabile solo in parte con l'immagine anonima che spesso caratterizza i contrassegni pensati per i "listini" o le candidature presidenziali (per evitare che elettrici ed elettori segnino quell'emblema, invece che uno dei contrassegni di lista, unico voto in grado di concorrere davvero alla ripartizione dei seggi). Quello legato al candidato presidente Renzo Macelloni, in effetti, più che un simbolo "vuoto" era un simbolo "svuotato", privo di ogni grafica riconoscibile e persino del nome originario del progetto, Toscana Futura, che pure doveva stare sulla fascetta bianca rimasta visibile sul cerchio in primo piano. Dietro a quell'emblema "svuotato" c'era una storia complessa, fatta di accordi, progetti mutati in corsa, primarie "ritirate" ma ugualmente svolte (perché le norme non consentivano altre soluzioni), simboli recuperati e ricorsi per impedirne l'uso. Si tratta di una vicenda poco nota, che merita di essere ricostruita e ripercorsa, carte alla mano.

I primi passi di Toscana Futura

La storia che si racconta iniziò ufficialmente l'8 novembre 2004
, quando i media diedero notizia di una riunione, tenutasi il giorno prima all'hotel San Gallo Palace di Firenze, che aveva posto le prime concrete basi di un possibile "terzo polo", come ormai c'era l'abitudine di chiamare quasi ogni proposta alternativa alle coalizioni di centrosinistra e di centrodestra. Il lavoro, tuttavia, era iniziato varie settimane prima, essenzialmente su impulso di due soggetti politici. 
Il primo era il Gruppo I Centouno, fondato e guidato da Nicola Cariglia (a lungo giornalista e dirigente Rai, vicesindaco di Firenze negli anni '80 e tuttora presidente della Fondazione Filippo Turati, fondata dal fratello Antonio Cariglia, già segretario del Psdi). Si trattava di un soggetto laico e votato alla libertà di pensiero (come testimoniava anche il sito a questo collegato, www.pensalibero.it, ancora attivo), attivo soprattutto nel fiorentino, cui facevano riferimento persone di area socialista, socialdemocratica, liberale e repubblicana (aderenti o meno a un partito): si trattava di un'aggregazione nata dal "profondo disagio [...] di chi si rende conto che tutta un'area liberale e laica, legata ai valori che sottendono la civiltà liberal-democratica e a quelli altrettanto importanti di equità sociale ('meriti e bisogni'), non trova più una efficace rappresentazione nei due 'poli' né sulle questioni interne, né sulle questioni internazionali" e con l'intenzione di cogliere le opportunità offerte da varie lacerazioni politiche a livello nazionale e da un numero consistente di elezioni in pochi anni. L'emblema, a suo modo, stilizzava la corolla di una rosa o di un garofano; quanto al numero - ancora non legato ai franchi tiratori che avrebbero impallinato Prodi nel 2013 nei voti per il Quirinale - questo era apparso sulla scheda elettorale delle amministrative a Firenze in quello stesso 2004, all'interno della lista Liberali Saldarelli Sgarbi, nella quale Cariglia era risultato il più votato dei candidati dopo il critico d'arte (la lista ottenne l'1,06%, con una propaganda elettorale e una "pubblicità" ridotta al minimo).
Il secondo soggetto politico promotore del "terzo polo" era rappresentato dalla Federazione dei Liberali, vale a dire la formazione che rappresentava la maggiore continuità politica (e in un certo senso giuridica) con il Partito liberale italiano, visto che si costituì il 6 febbraio 1994, al "congressificio" dell'hotel Ergife di Roma, da quasi tutte le stesse persone che poche ore prima - nello stesso albergo - avevano deciso lo scioglimento del Pli. Quella prima assemblea, che aveva indicato come presidente Alfredo Biondi, aveva eletto due vicepresidenti, uno dei quali era Raffaello Morelli (nato a Pisa ma da anni attivo a Livorno). Questi (già vicepresidente del Pli) sarebbe diventato in seguito coordinatore della Fdl (di cui era stata confermata l'iscrizione all'Internazionale liberale e all'Eldr), poi - dal secondo congresso del 1995 - segretario e più in là di nuovo presidente. Da alcuni anni l'attività della Federazione dei Liberali è decisamente ridotta, ma nel nel 1996 e nel 2001 il partito aveva sostenuto l'Ulivo (pur rimarcando l'idea che dovesse restare una coalizione senza mai diventare un partito unico, entrando dunque in frizione con chi sosteneva questa tesi), mentre proprio nel 2004 aveva stretto un accordo con il Patto Segno-Scognamiglio, in base al quali lo stesso Carlo Scognamiglio Pasini si sarebbe dovuto iscrivere al gruppo Eldr se fosse stato eletto (cosa che non avvenne).
Entrambi i gruppi, dunque, erano animati dall'idea di proporre un progetto convincente per l'area laica, ma soprattutto realmente alternativo sia al centrosinistra che aveva governato la regione, sia al centrodestra che - tra l'altro - aveva concorso all'approvazione della nuova legge elettorale con cui si erano abolite le preferenze, in favore delle liste "bloccate". I primi accordi tra Cariglia e Morelli avevano già prodotto, negli ultimi giorni di ottobre del 2004, un appello formalmente lanciato dal Gruppo I Centouno (il soggetto più radicato dei due nella società civile) per preparare "un incontro tra i partiti e le organizzazioni di ispirazione laica, liberale e socialista, allargato anche ai radicali e alle decine di liste civiche presentatesi un po’ dovunque, in Toscana, alle recenti elezioni amministrative", volto a concordare un programma competitivo per le regionali del 2005.
Oltre ai Centouno e alla Federazione dei Liberali, al primo incontro del 7 novembre 2004 parteciparono esponenti di varie forze politiche, interessate a vario titolo a rendere concreto quel progetto elettorale nei mesi che restavano prima dell'appuntamento con le urne. La più rilevante di tutte, anche per notorietà a livello nazionale e per organizzazione a livello regionale, era il Partito socialista - 
Nuovo Psi, che da pochi mesi esprimeva il sindaco di Villafranca in Lunigiana: non si trattava certo di un soggetto qualunque, rispondendo al nome di Lucio Barani, già sindaco di Aulla (dal 1990 al 2004), futuro segretario del partito e parlamentare ultracraxiano e a dir poco vulcanico nelle sue iniziative.
Oltre al Nuovo Psi, al "tavolo" c'erano anche il Partito liberale di Stefano De Luca (che nel giro di un mese avrebbe ripreso il nome originario del Pli), il Partito repubblicano italiano, il Psdi, nonché rappresentanti dell'area e delle associazioni radicali, delle altre forze socialiste che avevano partecipato alla lista dei Socialisti uniti per l'Europa pochi mesi prima alle europee (coloro, in particolare, che facevano riferimento a Claudio Signorile e Lino Formica) nonché di varie liste civiche operanti sul territorio regionale (quelle interessate erano, secondo i giornali, una sessantina); la stampa aveva segnalato anche la presenza di Pierluigi Piccini, già sindaco di Siena, dirigente di Mps in Francia ed espulso dai Democratici di sinistra.
Alle riunioni successive - senza i radicali - la costruzione del progetto continuò, anche se soprattutto il Nuovo Psi (cui faceva riferimento anche l'ex deputato Psi Ottaviano Colzi) cercava di prendere tempo, adducendo tra l'altro la necessità di aspettare il proprio congresso regionale - programmato per l'inizio di gennaio del 2005 - per decidere se partecipare o meno al "terzo polo". Le altre forze interessate, invece, premevano per accelerare i tempi, anche per avere la possibilità di partecipare alle primarie per la scelta del candidato alla Presidenza della giunta: la legge regionale che le prevedeva stava per concludere il suo iter (e tutte le norme elettorali regionali sarebbero state applicabili senza problemi, visto che la Corte costituzionale avrebbe respinto le censure mosse dal Governo al nuovo testo dello statuto regionale e la legge elettorale approvata pochi mesi prima sarebbe così stata pienamente valida) e cogliere l'opportunità di informare il corpo elettorale e coinvolgerlo avrebbe permesso al "terzo polo" di guadagnare in visibilità prima della vera campagna elettorale. Già a novembre, in ogni caso, circolava con sempre maggiore insistenza il nome per il progetto, cioè Toscana Futura: la denominazione - di cui Morelli rivendica la paternità - guardava espressamente ad alcune esperienze civiche fino ad allora soddisfacenti, a partire da Peccioli Futura, lista che aveva portato sulla poltrona del sindaco Renzo Macelloni. E proprio Macelloni - che, dopo essere stato sindaco del comune pisano dal 1988 al 2004, era diventato consigliere provinciale con la lista Pisa futura e, in ogni caso, nel 2014 e nel 2019 sarebbe stato eletto di nuovo sindaco dello stesso comune, sempre con Peccioli futura - era parso fin dall'inizio uno dei possibili candidati alla presidenza della Regione, dunque uno dei probabili concorrenti alle primarie cui c'era appunto l'idea di partecipare.

Verso le primarie, con nome e simbolo (e le prime difficoltà)

Quando si parla di primarie, qui, ci si riferisce ovviamente a quelle per scegliere il candidato presidente, sicuramente in grado di dare più visibilità al "terzo polo" rispetto a quelle per individuare i candidati delle liste (ugualmente previste dalla legge regionale in approvazione), magari meno conosciuti. La questione delle primarie, in ogni caso, per la nascente Toscana Futura era piuttosto delicata, per almeno due ragioni. Innanzitutto, gli esponenti del Nuovo Psi si erano dimostrati poco propensi a svolgere le primarie (che, del resto, non piacevano all'intera coalizione di centrodestra cui il partito si era legato da tempo a livello nazionale, pur con più di un malumore in varie occasioni), anche per le difficoltà legate alla tempestiva raccolta di firme prescritta dalla legge regionale. Secondariamente, l'eventuale scelta di svolgere le primarie per le candidature di lista (anzi, dei gruppi di liste) sarebbe stata strettamente legata alla decisione sul numero di liste da mettere in campo, a dicembre tutt'altro che definita.
Buona parte dei promotori del progetto politico, infatti, ragionava su uno schieramento "a tre punte", che sarebbero potute diventare quattro se Radicali italiani avesse scelto di presentare una propria lista (cosa che in quella fase sembrava già piuttosto improbabile, anche se ancora a gennaio si sarebbe demandata la scelta a decisioni del livello nazionale): un primo gruppo di liste avrebbe riunito le forze laiche (in particolare la Federazione dei Liberali, il Pli di De Luca, il Psdi, il Pri e parte del gruppo I Centouno), un altro sarebbe stato interamente socialista (guidato dal Nuovo Psi, ma comprendente anche le altre compagini di quell'area) e un terzo sarebbe stato espressione delle varie liste civiche coinvolte in Toscana Futura. Questa era, appunto, la posizione di Centouno, liberali, repubblicani e liste civiche; in casa socialista, invece, le posizioni erano più disomogenee. Se i sostenitori di Signorile e Formica erano incerti sulle primarie, ma concordavano con l'idea di organizzare tre liste distinte, il Nuovo Psi continuava ad avversare le primarie e - il 5 gennaio 2005, in un incontro pubblico tenuto a Firenze, a Villa Arrivabene (sede di una delle circoscrizioni) - disse esplicitamente di preferire la presentazione di una sola lista, chiaramente riconducibile al Nuovo Psi, pur aperta all'apporto di altre forze laiche e civiche; in questa opzione, anche il candidato alla presidenza della Regione sarebbe stato socialista, ma - come ricorda Morelli in un lungo post sul suo blog, dal quale qui si attinge in un buona parte per ricostruire la vicenda - il Nuovo Psi sarebbe stato disponibile a discutere con le altre forze della coalizione per individuare il nome più adatto.
Il fac simile della scheda pubblicato sul BURT
La scelta tra le due opzioni non era solo influenzata da ragioni e visioni politiche, ma era legata anche a valutazioni tecnico-tattiche sugli effetti della nuova legge elettorale: per approfondire il funzionamento ci si permette di rinviare a un contributo scritto nel 2017 con Antonio Folchetti per la rivista giuridica Diritti regionali, ma qui basterà richiamare alcuni dettagli importanti. 
La nuova legge elettorale prevedeva che si affrontassero candidati alla presidenza della giunta regionale, ciascuno dei quali poteva essere sostenuto da un unico gruppo di liste provinciali (distinte ovviamente dallo stesso contrassegno) oppure da una coalizione di gruppi di liste provinciali (ognuno dei quali distinto da un emblema diverso); lo stesso candidato alla presidenza era dotato di un proprio contrassegno (che, qualora fosse stato legato a un solo gruppo di liste provinciali, poteva anche essere uguale al simbolo di quella lista, ma non era certo un obbligo). Per partecipare alla distribuzione dei 63 seggi disponibili (prima della revisione dello Statuto erano 50; due, in ogni caso, erano riservati al Presidente e al suo miglior sfidante) era previsto un singolare sistema di soglie di sbarramento, diverso da quello stabilito dalla normativa nazionale "cedevole": se la persona candidata alla presidenza della giunta aveva raggiunto il 5%, le liste potevano accedere alla ripartizione dei seggi raggiungendo anche solo l'1,5% a livello regionale; in caso contrario, il gruppo di lista doveva aver raggiunto autonomamente il 4% per ottenere almeno un rappresentante in consiglio. 
La lista delle europee 2004
Traducendo in concreto questo meccanismo e seguendo la ricostruzione della vicenda proposta da Raffaello Morelli, gli esponenti del Nuovo Psi "puntavano al 4% con il loro solo simbolo ed erano sicuri di raggiungerlo se nella loro lista fossero entrate anche le altre componenti", senza dunque fare affidamento sul risultato del candidato alla presidenza (o su eventuali voti disgiunti che gli avrebbero potuto consegnare un risultato migliore rispetto a quello del gruppo di liste collegato); i socialisti vicini a Signorile e Formica, peraltro, si erano detti disponibili a entrare non in una lista del Nuovo Psi, ma solo in un'aggregazione simile a quella cui avevano partecipato alle elezioni europee del 2004. 
Le altre forze laiche e civiche, invece, insistettero sulla "scarsa possibilità di aggregare l'elettorato socialista con quello proveniente dalle civiche (quasi tutte di provenienza Ds e sinistra) e anche dai laici" (è sempre Morelli a ricordare) e sottolinearono che forse sarebbe stato più facile far arrivare al 5% il candidato presidente schierando tre liste (immaginando che quella laica potesse arrivare all'1%, mentre tanto quella socialista quanto quella civica avrebbero potuto aspirare almeno al 2%).
Nel frattempo, a quella stessa assemblea del 5 gennaio 2005 in cui erano comunque emerse due posizioni diverse quanto al modo di procedere, si era formalizzato il nome "Toscana Futura" per la coalizione, mentre si stava lavorando anche al simbolo: ricorda Morelli che "sulla parete, durante il dibattito, venivano di continuo proiettati [...] i vari loghi della coalizione tra i quali scegliere". Nei giorni successivi di gennaio si arrivò alla scelta definitiva del contrassegno della coalizione, di cui si fissò pure la descrizione, sempre riportata da Morelli: "corona circolare  color petrolio  con all'interno dita stilizzate intrecciate e multicromatiche di due mani, sullo sfondo di paesaggio collinare a colori e con una banda orizzontale nella parte inferiore riportante la scritta Toscana Futura in nero".

Primarie a tutti i costi, nonostante il ritiro

La scelta del simbolo era un tassello importante, anche perché il tempo stringeva: il 30 dicembre 2004, infatti, il presidente della giunta regionale toscana Claudio Martini aveva indetto le primarie "pubbliche", fissando come data il 20 febbraio 2005 e prevedendo la fine di gennaio come termine per la raccolta delle firme per presentare le candidature (in quella prima applicazione della legge servivano tra 2500 e 3500 sottoscrizioni per ogni coalizione interessata a partecipare alle primarie). Occorreva dunque sbrigarsi e non sembrava opportuno aspettare che il Nuovo Psi celebrasse il suo congresso alla metà di gennaio per decidere cosa fare: chi credeva nelle primarie doveva iniziare a raccogliere le firme subito.
Si mossero dunque il gruppo I Centouno, la FdL, il Pli, il Pri e le liste civiche, decidendo insieme di presentare un solo gruppo di liste: questo - è di nuovo Morelli a ricordare - si sarebbe chiamato Laici e Liste civiche "per avere tranquillità sulle firme e perché, stante la legge elettorale, se la coalizione avesse ottenuto il 5%, questo gruppo di liste avrebbe preso almeno due consiglieri regionali" (e altrettanti sarebbero andati all'eventuale altra lista socialista, con un risultato superiore al 2%) e avrebbe ripreso il simbolo della coalizione Toscana Futura, inserendo nel contrassegno il nome scelto per il gruppo di liste. Come anticipato, i candidati naturali alle primarie sarebbero stati due, cioè Nicola Cariglia per l'area laica e Renzo Macelloni per quella civica: in base a una regola interna, ricordata da Morelli, il secondo arrivato sarebbe stato comunque stato "recuperato" come "candidato regionale" alle elezioni, così da essere certamente eletto se Toscana Futura avesse ottenuto almeno un seggio.
Restava la possibilità di un terzo aspirante candidato alla presidenza, indicato dal Nuovo Psi (che peraltro insisteva, ritenendosi evidentemente più forte e strutturato, per evitare le primarie e far convergere tutti i voti del "terzo polo" su un proprio candidato e su un'unica lista con il garofano); il partito, nelle intenzioni di laici e civici, avrebbe comunque potuto presentare senza problemi una propria lista, fondamentale per il successo della coalizione. Morelli ricorda anche che si stava immaginando pure una terza lista, questa volta legata al Codacons, che pochi mesi prima alle europee aveva ottenuto lo 0,7% con la Lista Consumatori in Toscana, quindi poteva fare comodo perché la coalizione arrivasse al 5%: la trattativa fu portata avanti dallo stesso Morelli e da altri esponenti della FdL insieme ai rappresentanti regionali della Lista Consumatori (che aveva chiesto essenzialmente di essere aiutata a raccogliere le firme richieste dalla legge regionale in alcune province). Ovviamente, l'eventuale partecipazione anche dei radicali alla coalizione (insieme a socialisti e consumatori) per i promotori del gruppo di liste Laici e Liste civiche avrebbe facilitato di molto la corsa elettorale: lo misero nero su bianco, nell'accordo sottoscritto per far nascere la coalizione e il movimento che avrebbe presentato la lista.
Alla fine la richiesta per la partecipazione alle primarie fu presentata il 31 gennaio (da Morelli), con le firme raccolte solo per Cariglia e Macelloni; il giorno dopo, peraltro, Morelli e i due candidati alle primarie scrissero al presidente della Regione Claudio Martini e al presidente del consiglio regionale Riccardo Nencini, chiedendo di intervenire rapidamente per ridurre una tantum il numero delle firme necessarie per la prima applicazione della legge elettorale toscana (si era lamentato come chi avesse chiesto e ottenuto le primarie, potendo raccogliere le firme per le candidature solo dopo l'esito delle primarie stesse, avrebbe avuto meno di dieci giorni a disposizione per raccogliere le sottoscrizioni). Nencini investì della questione i capigruppo; se ne occuparono le commissioni competenti e poi il consiglio, ma non se ne fece nulla: pesarono, a quanto si sapeva, i veti di alcune forze politiche che non volevano in alcun modo favorire possibili concorrenti (in particolare è noto il veto di Alleanza nazionale, volto a non spianare la strada ad Alternativa sociale con Alessandra Mussolini: quel partito riuscì a presentare liste soprattutto grazie a molte firme autenticate da assessori provinciali dei Ds o della Margherita, con prevedibile corredo di polemiche).
Il Nuovo Psi, nel frattempo, aveva celebrato il famoso congresso regionale (eleggendo alla segreteria Ottaviano Colzi e alla presidenza Barani), aveva ribadito la propria intenzione di muoversi in alternativa ai due poli di centrodestra e centrosinistra, ma al tavolo del "terzo polo" - secondo quanto racconta ancora Morelli - aveva confermato tutte le sue richieste: il ritiro dalle primarie, la presentazione di un candidato Presidente del Nuovo Psi, la costruzione di una lista unica. Se sulle primarie e sulla candidatura a Presidente altre forze erano decisamente contrarie, qualche margine in più poteva esserci sulla questione della lista unica, ma con molti dubbi politici e tecnici, per i quali conviene lasciare la parola a Morelli (le considerazioni che seguono sono relative a un incontro dei laici con Macelloni del 9 febbraio 2005):
Quanto alla terza richiesta, eravamo tutti d’accordo che non poteva essere una lista del Nuovo Psi perché questo avrebbe avuto gravi controindicazioni politiche ed elettorali, tanto che non vi sarebbe stata neppure la disponibilità degli altri gruppi socialisti; si poteva se mai esaminare una possibilità di lista unica con il logo Toscana Futura sotto il quale inserire tre cerchietti uguali con simboli generici, bandiera, edera, garofano, per indicare le aree e non partiti precisi. 
Comunque io continuavo a ripetere quanto dicevamo da giorni come FdL e cioè che la lista unica aveva due gravi difetti. Primo, se anche si fosse riusciti ad avere un simbolo accettabile, sarebbe stato arduo escludere la sua successiva trasformazione in una lista Nuovo PSI di centrodestra, e ciò per la superiore forza mediatica nazionale di De Michelis. Secondo, una sola lista era un suicidio tecnico, perché se la lista unica fa il 4,01%  allora le due liste separate Laici-Civiche e Nuovo PSI farebbero almeno il 4,7/4,8 e dunque con i consumatori (i quali avevano nel frattempo dato l'assenso di massima) sarebbe stato agevole raggiungere il 5,0%; se la lista unica non fa il 4,00%, è impossibile sperare che il Codacons faccia più dell'1%. 
Nel giro di pochi giorni, tuttavia, la situazione mutò profondamente. Il 13 febbraio, in base al resoconto di Morelli, il Nuovo Psi si mostrò disponibile ad appoggiare Macelloni come candidato presidente (senza primarie), ma pretendeva di esprimere l'unico candidato regionale (Giuliano Sottani al posto di Cariglia) e manteneva ferma la richiesta di lista unica, il cui simbolo sarebbe stato da concordare (evidentemente con un certo rilievo per l'emblema del Nuovo Psi, che avrebbe avuto più peso anche nelle candidature); Cariglia, per parte sua, si sarebbe detto disposto a rinunciare alla posizione di candidato regionale (che, come detto, avrebbe dato maggiori garanzie di elezione, a patto ovviamente che si fossero superati gli sbarramenti previsti), ma non avrebbe mai accettato di "trasformarsi in Nuovo Psi". Morelli era invece convinto che, per rimarcare l'alterità dal centrodestra come dal centrosinistra, non si sarebbero potuti toccare né il contrassegno su cui si era raggiunto l'accordo e che aveva comunicato una certa immagine di novità (posto che la scelta della lista unica per lui restava profondamente sbagliata), né il candidato regionale (anche indicarne due, come pure la legge regionale permetteva di fare, per Morelli sarebbe stato un atto degno di "un altro disegno politico").
La scheda delle primarie di Toscana Futura
Il 14 febbraio iniziarono a circolare le prime voci di un ritiro di Toscana Futura dalle primarie
 (evidentemente per cogliere in concreto la disponibilità del Nuovo Psi ad accettare una candidatura espressa da altri), un'ipotesi fermamente respinta dalla Federazione dei Liberali, visto che tra l'altro al voto mancava meno di una settimana e la Regione aveva già fatto partire la campagna informativa, indicando espressamente i partecipanti. Dopo vari tentennamenti, il 17 febbraio Cariglia accettò di ritirarsi dalle primarie insieme a Macelloni, formalizzando il ritiro con una richiesta alla Regione perché le schede delle "loro" primarie non fossero consegnate ai seggi, adducendo anche ragioni legate a una scarsa informazione "personale" del corpo elettorale e a possibili violazioni della privacy nelle primarie così organizzate; Morelli, per parte sua, ritenendo che quel gesto togliesse molta credibilità al percorso di Toscana Futura, ribadì la propria contrarietà a quella decisione.
Sempre il 18 febbraio, tuttavia, il presidente Claudio Martini ritenne irricevibile la richiesta di ritiro di Cariglia e Macelloni: questa era stata presentata solo tre giorni prima dell'apertura dei seggi, quando "i termini di un procedimento elettorale hanno un carattere perentorio e quindi non possono essere prese in considerazione dichiarazioni di accettazione o di rinuncia di candidature presentate oltre i termini scaduti il 31 gennaio"; per il presidente della Regione l'obbligo informativo era stato ampiamente assolto e non c'erano i problemi di privacy lamentati da Cariglia e Macelloni (in effetti il Garante per la protezione dei dati personali aveva mosso alcuni rilievi informali, sia pure di altro tipo, su cui il consiglio regionale e il presidente della giunta erano però rapidamente intervenuti). 
Morale, alla fine le primarie si tennero ugualmente, tra le critiche dei due ex aspiranti candidati presidenti (che puntavano il dito contro i presidenti di seggio che ad elettrici ed elettori chiedevano se avessero voluto la scheda delle primarie dei Democratici di sinistra o quella di Toscana Futura, violando la riservatezza). Nonostante il ritiro "ufficioso", alle primarie di Toscana Futura votarono 35478 persone; le schede bianche furono un numero spaventoso (16041, pari al 45,2% delle schede votate), quelle nulle 2244, ma tra quelle valide prevalse nettamente Renzo Macelloni (9623 voti) rispetto a Nicola Cariglia (7570 voti). 

La guerra sui simboli, anche in tribunale

La situazione, peraltro, era già del tutto sfuggita di mano da alcuni giorni. Il pomeriggio del 16 febbraio, infatti, a Morelli era stato annunciato un accordo per modificare il simbolo di Toscana Futura, "con scritta socialisti e Macelloni, previa aggiunta [...] dei tre simboletti generici" (cioè un garofano, un'edera e una bandiera tricolore) e per indicare due candidati regionali, entrambi del Nuovo Psi (in seguito ridotti al solo Sottani); già questo per Morelli era inaccettabile ("una follia") e chiese un incontro immediato per ristabilire i termini degli accordi precedenti (un incontro che non si tenne mai). 
Il tavolo saltò però del tutto quando, il 18 febbraio, in una conferenza stampa venne presentata la coalizione Toscana Futura - Laici, Civiche e Nuovo PSI con Macelloni Presidente: il simbolo del gruppo di liste provinciali portava la scritta Socialisti e laici - Liste civiche; graficamente si presentava come una variante del simbolo del Nuovo Psi e sotto al garofano conteneva le miniature dei simboli di Pri e Pli. Non c'era praticamente alcun rilievo grafico per le formazioni civiche locali, visto che il simbolo era frutto di un accordo nazionale tra Gianni De Michelis (Nuovo Psi), Francesco Nucara (Pri) e Stefano De Luca (Pli): non a caso, il contrassegno era quasi identico a quello che sarebbe stato presentato pochi giorni dopo in Abruzzo e comunque simile a quello di "Socialisti e liberali" che sarebbe finito sulle schede di Piemonte e Abruzzo. 
Per contraddistinguere la propria candidatura a presidente, invece, Renzo Macelloni avrebbe voluto usare il simbolo di Toscana Futura, sia pure leggermente rielaborato: nella corona color petrolio, in particolare, avrebbe inserito le stesse diciture - "Socialisti e laici" e "Liste civiche" - presenti nel contrassegno di lista, ma eliminando i riferimenti grafici ai partiti (che naturalmente restavano però nell'altro emblema). 
A quel punto la Federazione dei Liberali, attraverso un comunicato di Fabrizio Prosperi (tra i fondatori di Toscana Futura), lanciò un segnale netto, che suonava come un avviso di guerra: diffidò Macelloni affinché non usasse il simbolo di Toscana Futura "per operazioni politiche difformi da quanto pattuito nell'atto costitutivo", che prevedeva l'impegno a presentare alle regionali "una lista comune con proprio simbolo per avviare il cambiamento superando i compromessi deteriori tra centrosinistra e centrodestra" (e non certo una lista legata a un accordo tra forze collocate nella Casa delle Libertà); mise poi in luce di nuovo l'errore di una "farsesca rinuncia" alle primarie e all'apertura ai cittadini "essenzialmente per compiacere il Nuovo Psi" e rilevò che anche varie liste civiche erano decisamente contrarie al nuovo corso del progetto politico di Toscana Futura. Se la diffida fosse caduta nel vuoto, la Federazione dei Liberali si sarebbe riservata di agire a tutela degli accordi precedenti.
Tempo qualche giorno e sfumò anche la possibilità di una seconda lista curata dal Codacons: secondo il racconto di Morelli, gli organizzatori non erano più disposti, vista la presenza di un'unica altra lista, ad assumersi lo sforzo di partecipare alla campagna elettorale - che verosimilmente non avrebbe dato risultati - senza contare su un rimborso spese (che però dal candidato di Toscana Futura, a quanto si apprende, non c'era disponibilità a riconoscere). Con il passare del tempo, infine, parte delle liste civiche e delle forze politiche (incluse alcune articolazioni del Pri) finivano per allontanarsi dal progetto di Toscana Futura, per il suo progressivo snaturamento e il concreto avvicinamento al centrodestra. 
il 1° marzo Raffaello Morelli - in qualità di legale rappresentante della Federazione dei Liberali, ma di fatto anche quale rappresentante di Toscana Futura, avendo lui provveduto a depositare la richiesta di elezioni primarie - presentò al tribunale civile di Firenze un ricorso ex art. 700 del codice di procedura civile. Al suo interno si rilevava, tra l'altro, che nell'accordo del 31 gennaio 2005 che aveva costituito Toscana Futura (e che anche Cariglia e Macelloni avevano sottoscritto) si subordinava l'ampliamento della coalizione all'accordo unanime dei contraenti, senza prevedere l'allargamento del gruppo di liste; la scelta di presentare il gruppo di liste Socialisti e laici - Liste civiche aveva invece violato i patti e l'accostamento a quel contrassegno di lista del simbolo di Toscana Futura - tra l'altro depositato presso la Regione Toscana, per le primarie, proprio da Morelli - era considerato un'ulteriore, indebita violazione. Considerando che le candidature si sarebbero dovute presentare tra il 4 e il 5 marzo, in sede cautelare il ricorrente aveva chiesto di inibire immediatamente a Macelloni l'uso del nome e del simbolo alle elezioni e in tutto il procedimento preparatorio, onde evitare danni all'immagine del ricorrente (per l'accostamento al simbolo del Nuovo Psi) e non far credere ad elettrici ed elettori che Macelloni fosse sostenuto da tutti coloro che avevano preso parte a Toscana Futura.
Il giorno dopo un decreto della seconda sezione civile del tribunale di Firenze inibì inaudita altera parte a Macelloni l'uso del nome "Toscana Futura" e del simbolo (o di un emblema con esso confondibile), fissando l'udienza di comparizione per il 22 marzo (cioè poco più di dieci giorni prima delle elezioni, con il quadro delle candidature ovviamente già cristallizzato); Morelli, per parte sua, nello stesso giorno si rivolse insieme a Prosperi all'Ufficio centrale regionale presso la Corte di Appello di Firenze (che avrebbe dovuto esaminare i documenti legati alle candidature), ricordando la partecipazione di Toscana Futura alle primarie e ritenendo inammissibile un uso del simbolo impiegato in quell'occasione (o di un emblema con questo confondibile) "per operazioni politiche difformi" dagli accordi che avevano portato a partecipare a quelle primarie. 
A quel punto mancavano solo poche manciate di ore alla presentazione delle candidature. Il 4 marzo, alle 10 e 40, Ottaviano Colzi - che, come gli altri esponenti della lista Socialisti e laici - Liste civiche, nulla sapeva del provvedimento del giudice fiorentino - depositò i documenti relativi alla candidatura di Macelloni, contrassegno incluso; nello stesso giorno Morelli fece depositare in Corte d'appello il decreto di inibizione emesso dal tribunale di Firenze. Proprio sulla base di questo, il contrassegno legato a Macelloni fu ritenuto inammissibile nel pomeriggio del 5 marzo. Si può immaginare la sorpresa con cui Macelloni, Colzi e altri accolsero la notizia della ricusazione, non avendo avuto notizia dell'inibizione pronunciata inaudita altera parte
Colzi ovviamente presentò ricorso contro quell'esclusione, rivendicando innanzitutto di essere presentatore della candidatura per conto dello stesso gruppo politico che aveva partecipato alle primarie con il simbolo ritenuto non ammissibile: quell'emblema avrebbe dovuto essere usato anche alle elezioni proprio per rispettare l'esito delle primarie e tutelare l'affidamento del corpo elettorale. Colzi negò poi che il decreto del giudice civile potesse avere effetto nei confronti di Macelloni, al quale non era stato notificato e che dunque riteneva di poter legittimamente usare quel contrassegno (tanto più che l'Ufficio centrale regionale non era parte di quel giudizio), o che potesse comunque interferire con il procedimento elettorale regionale, regolato da norme speciali e "imperative di diritto pubblico" improntate al favor voti e sottoposto alla giurisdizione amministrativa; rivendicava poi come Morelli e la Federazione dei Liberali non avessero mai impiegato il simbolo, non potendosi parlare di un preuso da tutelare (quello sarebbe anzi il primo impiego elettorale, al di là delle primarie).
Come extrema ratio (forse sperando che non ce ne fosse bisogno o magari temendo che fosse l'unica possibilità concretamente praticabile), Colzi chiese di poter essere ricevuto dall'Ucr e di poter ritoccare il contrassegno, togliendo ogni riferimento al nome e alla grafica di Toscana Futura, allegando già le copie dell'emblema sostitutivo. Si trattava di una vera e propria operazione chirurgica, come se qualcuno con un cutter avesse tagliato via il nome "Toscana Futura" dalla fascetta bianca e la grafica a colori del vecchio simbolo dal cerchio centrale. Il 6 marzo, riunitosi di nuovo, l'Ucr ritenne ammissibile il nuovo simbolo (precisando che quello precedente avrebbe avuto bisogno di una "sostanziale modifica") e quindi Macelloni rientrò regolarmente in corsa per le regionali.

Altre carte bollate

Quella sostituzione, tuttavia, non fu affatto indolore: "Toscana Futura - iniziava così una nota diffusa il 7 marzo - è stata espropriata del suo simbolo attraverso una serie di provvedimenti adottati senza che sia stato consentito ad alcuno dei suoi esponenti di esprimere le proprie ragioni". L'aver tolto il riferimento al simbolo che aveva corso alle primarie (le stesse primarie da cui Macelloni si era peraltro ritirato) era, secondo i presentatori delle liste Socialisti e laici - Liste civiche collegate a Macelloni, un modo per "subire, senza condividere l'oscumento" di quell'emblema causato da quei provvedimenti. Si denunciava l'esistenza in Toscana di "zone grigie che rendono difficoltoso, talvolta, l'esercizio dei più elementari diritti di democrazia" e della volontà di togliere di mezzo "la vera ed unica novità" di quelle elezioni regionali, intenzionata a rompere un "equilibrio di interessi" in essere da tempo. "Il simbolo del candidato presidente Renzo Macelloni - concludeva la nota - sarà una corona circolare con [...] l’interno completamente bianco, a sottolineare non solo lo scippo del logo e della scritta di Toscana Futura; lo spazio vuoto intende anche significare la volontà ferma di riappropriarci rapidamente di quanto ci appartiene, in ragione del fatto che lo abbiamo creato e utilizzato ormai da molti mesi [...]. Tale riappropriazione avverrà quando, finalmente, ci saranno forniti un modo ed una sede per esprimere le nostre ragioni". 
Rincarò la dose Marco Cecchi, di Radicali italiani - LiberaPisa: "L'amara constatazione dei radicali circa l'impraticabilità democratica per chi si trova collocato al di fuori dei Poli della partitocrazia italiana si è dimostrata in Toscana quanto mai azzeccata". Nel passare in rassegna varie storture ricondotte alla nuova legge elettorale e alla sua applicazione pratica, Cecchi definì un episodio "ancora più surreale" quello relativo al contrassegno di Macelloni: "Accogliendo il ricorso di due esponenti di una fantomatica Federazione dei Liberali il Tribunale di Firenze, a liste ormai depositate e senza ascoltare i diretti interessati dal provvedimento, ha inibito l'uso del nome (Toscana Futura) e del simbolo del Terzo Polo toscano. Cosicché i cittadini toscani che andranno a votare il 3 e 4 aprile si troveranno sulla scheda elettorale, accanto al nome del candidato presidente, un simbolo fantasma: alcune parole in cerchio [...] attorno ad un vuoto bianco [...]. Emblematica rappresentazione di quella Toscana che da oggi sarà più corretto definire 'buco bianco' della democrazia". 
Buco bianco o no, la strada della carta bollata non era ancora esaurita. Innanzitutto Macelloni e Colzi si rivolsero al Tar della Toscana, per chiedere l'annullamento della decisione dell'Ufficio centrale regionale che non aveva ammesso il simbolo del candidato presidente, ma anche di quella successiva che aveva ammesso il contrassegno sostitutivo dopo una "sostanziale modifica". Ribadendo che il decreto regionale che aveva approvato l'esito delle primarie di Toscana Futura faceva identificare senza dubbi agli occhi del corpo elettorale l'emblema con Renzo Macelloni, Colzi lamentava come l'Ucr non avesse in alcun modo esaminato i motivi di diritto del suo ricorso, dunque ribadì le medesime censure fatte valere davanti ai magistrati della Corte d'appello, chiedendo di consentire a Macelloni di partecipare alle elezioni con il simbolo originario (che aveva corso alle primarie), sospendendo in via cautelare le due decisioni dell'Ucr fondate sul provvedimento del tribunale fiorentino (di cui, peraltro, i ricorrenti non erano ancora riusciti ad avere copia). Morelli, per parte sua, ribadì come il simbolo di Toscana Futura potesse essere usato solo con il consenso unanime di tutti coloro che avevano costituito il soggetto politico-giuridico, aggiungendo comunque che fino a che fosse stato efficace il decreto emesso inaudita altera parte dal tribunale di Firenze, Macelloni non avrebbe potuto usare nome e simbolo di Toscana Futura, mentre era stato salvaguardato il suo diritto di partecipare alle elezioni con l'emblema sostitutivo (ma proprio per questo non ci sarebbe stato motivo di sospendere entrambe le decisioni dell'Ucr). 
Il 17 marzo la terza sezione del Tar respinse la domanda cautelare, ritenendo che le decisioni dell'Ufficio centrale regionale non avessero impedito a Macelloni di partecipare alle elezioni e che fosse solo ipotetico il calo di voti che il candidato avrebbe potuto accusare per il mancato impiego del simbolo usato per la prima volta alle primarie. I giudici amministrativi negarono poi che si potesse escludere "la rilevanza del collegamento funzionale, sul proposto thema decidendum, tra la vicenda contenziosa in esame ed il provvedimento cautelare ante causam adottato dal tribunale di Firenze, in base al quale, allo stato, il ricorrente non è legittimato ad utilizzare il simbolo contestato". La sentenza di primo grado arrivò solo alla fine di maggio (a voto passato da quasi due mesi), limitandosi a dire che il ricorso era improcedibile, visto che i ricorrenti non avevano più interesse a coltivarlo.
L'11 aprile, invece, si era già espresso il tribunale civile di Firenze (sia pure solo con ordinanza), accogliendo il ricorso di Raffaello Morelli e confermando il decreto emesso inaudita altera parte all'inizio di marzo. In particolare, l'ordinanza precisò che non si era di fronte a una lite elettorale (dunque iniziata davanti al giudice sbagliato), ma a una controversia di diritto privato, "antecedente e soltanto eventualmente prodromica ad ogni successiva operazione elettorale" (e per dimostrare che di controversia giusprivatistica si trattava, tra soggetti collettivi comunque dotati di diritto al nome ex art. 7 c.c., il giudice citava anche l'ordinanza del tribunale di Roma relativa al contenzioso tra la futura Rifondazione comunista e il Pds - ex Pci). Per l'ordinanza, poi, l'accordo stipulato ufficialmente il 31 gennaio in forma di scrittura privata per creare il gruppo di liste Laici e Lite civiche (sottoscritto da Centouno, Federazione dei Liberali, liste civiche toscane rappresentate da Macelloni, Pli e Pri), con cui si era deciso che il simbolo avrebbe rappresentato la coalizione Toscana Futura, prevaleva su ogni uso o accordo precedente. Del simbolo era titolare l'associazione Toscana Futura: se era venuto meno il comune intento di presentare liste col nome di Toscana Futura nel modo che si era concordato, nessuna parte di quell'accordo poteva usare unilateralmente quel nome e quel simbolo e ciascun'altra parte contraente poteva reagire contro quell'uso indebito.

Le battute finali

La scheda elettorale della circoscrizione di Firenze
Quella decisione, in ogni caso, era arrivata una settimana dopo l'esito delle elezioni regionali. Il 3 e il 4 aprile 2005, dunque, Renzo Macelloni e il suo simbolo "svuotato" finirono sulla scheda elettorale: questi ottennero 30062 voti (l'1,5%), mentre la lista Socialisti e laici - Liste civiche dovette accontentarsi di qualcosa di meno (23379, l'1.3%); a tenere basso il risultato del gruppo di liste contribuì il non essere riusciti a presentare la lista nella provincia di Grosseto, a causa di contrasti tra il Nuovo Psi e l'articolazione locale del Pri (dal Tirreno si apprende che i rappresentanti dei due partiti di fatto avevano raccolto le firme su due liste diverse - i primi su candidati solo socialisti, come si era deciso in un primo tempo, i secondi su due candidati socialisti e due repubblicani, come si era deciso in seguito - e le firme raccolte sulle due liste non potevano certo sommarsi. 
I numeri forse non erano del tutto insoddisfacenti: gli oltre 30000 voti ottenuti da Macelloni erano sicuramente meno rispetto alle oltre 35000 schede ritirate alle primarie di febbraio (che nelle intenzioni dei due sfidanti nemmeno si sarebbero dovute tenere), ma erano comunque ben di più degli oltre 17000 voti validi e degli oltre 9600 andati allo stesso Macelloni ed erano arrivati nonostante il "simbolo svuotato". Di certo però l'1,5% dei consensi raccolto dal candidato presidente era lontanissimo dal 5% che avrebbe garantito l'accesso alla ripartizione dei seggi; allo stesso modo il risultato delle liste provinciali trainate dal Nuovo Psi era lontano dalla soglia del 4%, ma anche dal 2,44% ottenuto un anno prima dalla lista Socialisti uniti per l'Europa (in cui il Nuovo Psi aveva certo parte rilevante, ma c'erano anche i gruppi di Signorile e Formica), nonostante la lista delle regionali potesse contare anche sull'apporto di Pli, Pri e civiche.
Difficile dire se e quanto lo "svuotamento" del simbolo di Macelloni abbia influito sul risultato finale del voto; di certo non ha aiutato, in generale, a stabilire o mantenere un clima di serenità che avrebbe potuto portare più voti alle candidature in campo. La situazione oggettivamente era complessa e delicata: è vero che Macelloni era stato votato alle primarie sotto al simbolo di Toscana Futura, che dunque dagli elettori poteva essere ricondotto a lui; è altrettanto vero però che quelle primarie di fatto erano state "disconosciute" dai candidati con la loro scelta di ritirarsi (e di questo, nei vari ricorsi di Macelloni e Colzi, curiosamente non c'era traccia). Allo stesso modo, era difficile negare che il simbolo di Toscana Futura fosse nato come emblema comune di varie componenti politiche (di cui il Nuovo Psi non faceva parte) e in seguito l'uso era stato rivendicato sì dal vincitore delle primarie, ma per associarlo a un emblema elettorale profondamente diverso nella forma e nella sostanza. 
Finivano per confliggere due concezioni diverse: quella consensuale che aveva mosso la nascita del progetto di Toscana Futura (e che non poteva tollerare, secondo l'idea portata avanti da Raffaello Morelli, che l'emblema fosse usato in modo diverso rispetto a quanto concordato in precedenza) e quella leaderistica-monocratica, assai più vicina al vigente assetto statutario-elettorale delle Regioni, per cui il leader che si era già in qualche modo legato a un emblema aveva diritto di continuare a usarlo per distinguersi, anche nel rispetto degli elettori che con quell'emblema l'avevano conosciuto (magari senza sapere che il progetto politico nel frattempo si era trasformato). I giudici diedero maggior peso alla tesi consensuale, certamente aiutati dal fatto che esisteva un accordo scritto tra varie parti (incluso il futuro candidato presidente) e che questo sembrava non essere stato pienamente rispettato da uno dei sottoscrittori. Certamente nulla sarebbe accaduto se nessuno si fosse opposto all'uso dell'emblema in questione: proprio perché Macelloni aveva partecipato (suo malgrato) alle primarie sotto quel simbolo, l'Ucr avrebbe ritenuto verosimilmente legittimo che il candidato presidente continuasse a fregiarsene alle regionali, senza (poter) valutare il grado di rispetto dei patti precedenti. Qualcuno, invece, proprio in virtù di quei patti cui aveva partecipato, ha ritenuto di potersi opporre all'uso indebito del simbolo e le cose sono andate diversamente.
Ogni tentativo di sminuire la legittimazione della Federazione dei Liberali, ritenendola un soggetto marginale o "fantomatico", appare infondato, vista la storia che quel gruppo aveva avuto (e solo un paio di anni dopo avrebbe cercato di impedire a Silvio Berlusconi di usare per il suo nuovo soggetto politico l'espressione "Partito della libertà"); resta però, certamente, l'anomalia del decreto inaudita altera parte, della cui esistenza Macelloni apprese solo in sede di bocciatura del proprio contrassegno e di cui non ebbe contezza nemmeno all'atto del ricorso al Tar. Infine, è vero che le norme sui diritti delle associazioni e quelle elettorali sono diverse e tendenzialmente le prime non dovrebbero influire sulle seconde; è però altrettanto vero che sarebbe difficile non tenere conto in sede elettorale di alcune decisioni valide in ambito civile, specie quando si tratta di decisioni inibitorie (certo, possibilmente seguenti a un accertamento meno sommario di quello che precede un provvedimento reso inaudita altera parte).
Sembra difficile, dunque, avallare in pieno l'immagine di "buco bianco della democrazia" coniata nel 2005 per questo caso e per l'intera vicenda elettorale toscana: alla base c'era, senza dubbio, un accordo in parte sconfessato e in parte snaturato e non può stupire che qualcuno abbia preteso che chi non aveva rispettato i patti non avesse vantaggi indebiti. Questo non significa che tutti i passaggi siano stati gestiti nel modo migliore o più condivisibile: il buco (bianco) forse non c'era, qualche ombra obiettivamente sì. Oltre, come al solito, a tanta confusione, ma chi appartiene alla schiera dei #drogatidipolitica ci ha fatto l'abitudine. E, in fondo, mentre tenta di farsi largo in quel caos si diverte pure.

Per le indicazioni e il materiale che hanno consentito la stesura di questo articolo ringrazio soprattutto Antonio Floridia e Lucia Bora (Regione Toscana); ringrazio pure di cuore l'ottimo Antonio Folchetti, con il quale nel 2017 ho approfondito le evoluzioni e le applicazioni delle norme elettorali toscane, tra una disquisizione su come spiegare correttamente il funzionamento del "metodo Adams" (ammesso che in Toscana si fosse applicato proprio quello per distribuire i seggi), un video del miglior Fiorello che imitava Mike e una puntata da Frontoni per rifornirci di pizza al sesamo.

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