In principio fu soprattutto il
simbolo. Nel senso che – lo si è già detto – gli emblemi sulle schede la legge
li ha sempre chiamati «contrassegni», ma in fondo era sempre l’aspetto
identitario-simbolico a prevalere. Non a caso, che fossero stampati in un
austero e spartano bianco e nero (sulle schede elettorali e su manifesti e
volantini economici) oppure in un avveniristico colore (sulle grafiche
elettorali più ardite e curate), attorno all’immagine scelta per identificare
il partito c’erano solo poche scritte e tanto, tanto bianco, racchiuso dal
tondo che delimitava il contrassegno.
Doveva leggersi bene quel
disegno, farsi riconoscere da qualunque occhio e richiamare i sentimenti e i
valori che s: in una frazione di secondo il compagno comunista doveva trovare
la falce e il martello sulla doppia bandiera in alto a sinistra (almeno finché
non arrivarono Pannella e gli altri radicali a fare a cazzotti per avere il
primo posto e per chiedere il sorteggio dell’ordine dei simboli), mentre il pio
democristiano non doveva avere dubbi e mettere la croce sullo scudo già
crociato, magari in fondo a destra; i socialdemocratici cercavano il sole,
proprio come i cugini socialisti, ma con il mare alla base e senza arnesi troppo
impegnativi; fiamme, edere e bandiere (in teoria colorate, ma ci si
accontentava) avevano i loro cercatori affezionati e, di tanto in tanto, alcuni
amanti occasionali.
Poi venne il colore e ci fu la
rivoluzione, sia pure per gradi. Innanzitutto scoppiò una strana voglia di
depositare simboli a tutti i costi, visto che nel 1992 tra accettati e ricusati
di contrassegni se ne contarono 242 e nel 1994 già solo gli ammessi furono 312. A poco a poco, però,
quei cerchi sulle schede e sui manifesti cominciarono a colorarsi sempre di
più, anche intorno ai simboli, come se il bianco, tutto d’un colpo, facesse
paura o desse fastidio. E i colori che si riversavano in quei tondi, guarda
caso, erano quelli della bandiera italiana (così il bianco andava bene, purché
fosse delimitato dal verde e dal rosso) cui si aggiungeva l’azzurro, passato
dai Savoia alle maglie della Nazionale.
Gli elettori quasi non se n’erano
accorti, ma i simboli erano diventati sempre più rari, fino a sparire quasi del
tutto negli ultimi partiti nati: ormai gli emblemi erano diventati contrassegni
a tutti gli effetti, né più ne meno come i marchi che affollano gli scaffali
dei supermercati. E non a caso li progettano le agenzie pubblicitarie. E
pazienza se, a colpo d’occhio, è sempre più difficile riconoscere i principi e
i programmi che si nascondono dietro un emblema: viva l’Italia, vota italiano,
verrebbe da dire guardando i colori usati in abbondanza, ma in fondo è un po’
poco.
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