A volte, per scegliere un simbolo, c’è chi si mette proprio
d’ingegno: per tanti anni il lavoro era appannaggio soprattutto di cervelli
(che sceglievano il tema del disegno) e mani (che, a matita o a china, davano
forma all’idea, spesso con grande attenzione ai dettagli); negli ultimi anni le
mani sono passate dall’impugnare pennini a digitare comandi su una tastiera e
muovere il mouse per spostare un elemento, ingrandirlo o rimpicciolirlo (ma qualche sacca di disegnatori compulsivi rimane, dura a morire). Restano
i cervelli, che in qualche caso esercitano poco la fantasia, in altri la
sollecitano a ritmi di lavoro degni di un direttore creativo d’avanguardia in
ambito pubblicitario.
Eppure trovare il proprio simbolo e dargli una forma non
dovrebbe essere così difficile. Nel 2007, il senatore dei Verdi Natale
Ripamonti (assieme al collega repubblicano Antonio Del Pennino) presentò un emendamento alla Finanziaria per chiedere l’istituzione di
un «Registro speciale per la tutela dei simboli e dei contrassegni di partito»,
così che a nessuno venisse più in mente di scopiazzare i segni già
rappresentati in Parlamento: protestarono un po’ tutti, perché inserire una
norma così all’interno di una Finanziaria sembrava assurdo (d’accordo, per ogni
deposito di simbolo lo Stato incassava 5mila euro, ma per alcuni non bastava), in Senato però i sostenitori del Registro non fecero nulla per nascondersi. Sta di
fatto che Mauro Cutrufo, barbuto esponente della Democrazia cristiana per le
autonomie e non ancora vicesindaco di Roma, prima che il microfono si spegnesse
per sforamento dei tempi, riuscì a sentenziare: «Sono disponibili in tutto il
Paese circa 50 milioni di simboli». Come a dire: con tutti gli emblemi ancora
da sfruttare, vorrete mica clonare proprio i nostri?
Essì, qualcuno che voleva farlo c’era. E lo ha fatto, prima
di quella norma (ci avevano rimesso, guarda caso, i Verdi, ma anche la Lega
Nord, che difatti quel Registro lo voleva eccome) e anche dopo. Già, perché l’emendamento
che istituiva quel Registro, per toglierlo da quella collocazione innaturale,
fu stralciato dalla Finanziaria e divenne un disegno di legge a parte. Che lì
si arenò, affettuosamente abbandonato ai flutti di una legislatura che sarebbe
finita in anticipo e a un inevitabile insabbiamento. Per la gioia, ovvia, dei
guastatori e clonatori di professione.
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