Che succederebbe se, alle
prossime elezioni, la Ferrari scendesse in campo? Nessuno riferimento – per
carità – a un eventuale impegno diretto in politica di Luca Cordero di
Montezemolo, anche se nel 2006 (lo avevamo già scritto) il Partito di Centro di
Ugo Sarao l’aveva indicato come capo della forza politica a sua insaputa, ed
erano intervenuti prima il Viminale, poi l’Ufficio elettorale presso la
cassazione a bocciare il simbolo proprio per risolvere questo “piccolo”
problema. La domanda di prima, invece, sarebbe del tutto appropriata se, sulle
bacheche del Ministero dell’interno (ma anche, per dire, negli incartamenti da
presentare l’anno prossimo per le elezioni comunali a Maranello), dovesse
apparire il marchio della casa automobilistica o, magari, anche solo l’elemento
figurativo principale, ossia il cavallino rampante, ugualmente registrato come
segno distintivo.
L’eventualità è molto meno remota
di quanto si può pensare. Anzi, a dire il vero si è già verificata: nel 1992,
infatti, al Senato fu presentato un simbolo di un soggetto politico denominato
«Partito degli automobilisti - Partito automobilisti» che, oltre alla parola
«Automobilisti», riportava con chiarezza solo il cavallino Ferrari. Il mistero
è acuito dal fatto che, alle europee di tre anni prima, lo stesso contrassegno
– peraltro in versione 0.0, visto che sembrava fosse stato ritagliato da un
giornale o, peggio, fotocopiato da una sorta di placchetta – era stato
ricusato. Dunque il problema resta: se un marchio commerciale fosse inserito in
un emblema elettorale, lo si ammette o no?
Norme specifiche in materia non
ce ne sono (forse perché per lungo tempo nessuno aveva mai pensato di fare
nulla di simile), ma qualcosa si può comunque dire. Innanzitutto, a livello
generale, è difficile che ogni commissione elettorale possa verificare, in caso
di sospetto, se un particolare emblema corrisponda o somigli a un marchio
registrato: spesso mancano i tempi tecnici per questi controlli (non ci sarebbe
certamente spazio alle amministrative, visto che lo stesso organo in una
manciata di ore deve occuparsi di una marea di operazioni), il segno distintivo
dovrebbe essere per lo meno noto ai funzionari e, in ogni caso, non è detto che
ci sia modo di verificare alla Camera di commercio l’esistenza di un marchio
uguale o simile.
Nel caso della Ferrari,
indubbiamente, la cosa dovrebbe essere più semplice, perché della natura di
marchio del cavallino rampante nessuno dubita. In casi come questo, la
commissione dovrebbe intervenire prontamente per bocciare il simbolo, per tutelare
i diritti di chi è titolare del marchio (e che potrebbe lamentarsi se qualcuno
usasse il suo segno senza autorizzazione) ma anche l’affidamento degli
elettori, che diversamente potrebbero pensare che il simbolo sia direttamente collegato
al titolare del marchio. Questo fa dire che, in linea teorica, a chi detiene i
diritti su un segno e dimostri di esserne titolare non si potrebbe impedire di usarlo
nel proprio contrassegno elettorale: ciò non è mai accaduto e si potrebbe discutere
sull’opportunità di un’operazione simile, ma nel caso toccherebbe solo all’imprenditore
fare le valutazioni del caso.
Certo, la creazione del data base dell’Ufficio italiano brevetti
e marchi su internet (www.uibm.gov.it/uibm/dati/default.aspx)
semplifica il compito delle commissioni, ma questo non ha impedito – come
ricordato qualche mese fa – che nel 2006 alle elezioni comunali di Torino fosse
ammessa la lista «Sì ad un futuro senza caccia», il cui elemento grafico era decisamente
simile a Daffy Duck, regolarmente registrato dalla Warner Bros.
Non l’aveva scampata invece dieci
anni prima alle elezioni politiche il Partito consumatori italiani che, nel suo
emblema, aveva inserito tre bandiere con i marchi ben riconoscibili di Italgas,
Telecom Italia ed Enel: il Ministero non ammise quel contrassegno perché l’uso
dei segni non era stato autorizzato, mentre accettò tranquillamente le fiammelle
del gas accoppiate a un rubinetto, la cornetta telefonica e la spina accanto a
una presa per indicare i servizi di consumo.
Più enigmatico un caso avvenuto nel
2001, anno in cui viene presentata la lista «Vola Molise», guidata da Aida
Romagnuolo: la farfalla stilizzata banca su fondo blu somiglia decisamente al
logo che ha contraddistinto Raiuno dal 2000 al 2010. Non risulta alcuna
ricusazione al Ministero, ma la versione depositata al Viminale differisce un
po’ rispetto all’emblema “ufficiale” della lista (i bordi delle ali della
farfalla sono rifilati diversamente e viene aggiunto il corpo con antenne): qualcuno
dal Palazzo ha dato indicazioni e suggerito di evitare guai o è stata la stessa
signora Romagnuolo ad “autocensurarsi”, per far ammettere il suo contrassegno
con tranquillità?
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