Nel 1997 erano già note e quasi rodate. Le avevano chiamate "elezioni suppletive" perché servivano a eleggere un nuovo deputato o senatore di un collegio uninominale, quando il titolare originario del seggio si dimetteva (magari per passaggio ad altro incarico) o - Dio avendolo in gloria - passava a miglior vita.
Nella lunga stagione precedente delle preferenze (e in quella successiva - e ingloriosa - delle liste bloccate) non c'era bisogno di quell'istituto: bastava pescare il primo o la prima dei non eletti nella lista; vigente il Mattarellum, invece, non c'erano liste da far scorrere, bisognava per forza rivotare solo in quel collegio.
Nell'anno di grazia 1997 c'era appunto bisogno di richiamare alle urne gli elettori del Mugello, dopo che il pidiessino Pino Arlacchi aveva lasciato il seggio del Senato per diventare vicesegretario generale dell'Onu. Verrebbe fin troppo facile ricordare che il 9 novembre 1997 si consumò l'epico scontro tra Antonio Di Pietro, candidato dall'Ulivo e uscito vincitore dalle urne, e la coppia molto giornalistica di avversari Sandro Curzi e Giuliano Ferrara, che quasi aveva oscurato il quarto candidato, il leghista Franco Checcacci (peraltro l'unico toscano della banda).
I riflettori erano puntati su di loro, ma simbolicamente c'era poco di rilevante, visto che Di Pietro, Ferrara e Ceccacci erano candidati con i loghi ben noti dell'Ulivo, del Polo per le libertà e della Lega Nord; più interessante, allora, il contrassegno di Curzi, con l'Unità a sinistra simboleggiata da falce e martello rossi sotto un arcobaleno leggermente asimmetrico. Gli elementi più stimolanti, in realtà, sono comparsi essenzialmente tra simboli che poi non sono finiti sulla scheda, per le vicende più diverse.
E se le candidature di Di Pietro, Curzi e Ferrara venivano da lontano (l'ultima, quella del direttore del Foglio - e dimissionario da Panorama - era stata resa nota il 15 settembre 1997), nessuno dei tre protagonisti poteva immaginare che sarebbe spuntato un altro concorrente davvero ingombrante: ignoravano del tutto che il 18 settembre sarebbe nato nientemeno che il Partito del Gabibbo. Proprio lui, il pupazzone di Striscia la Notizia, che il 27 settembre se ne sarebbe uscito con un claim irridente, non a caso firmato da mastro Antonio Ricci: "Più populista di Di Pietro, più Calvo di Curzi e certamente più rosso di Ferrara: se proprio dovete votare un gabibbo, votate quello vero!"
Non sapevano, i tre protagonisti (e il leghista Checcacci), che in quel giorno di metà settembre inoltrata si erano trovati in un luogo imprecisato dodici curiosi figuri, a partire da mastro Ricci (il primo che risulta dall'atto costitutivo): al suo fianco, tra gli altri, il disegnatore livornese David Lubrano, l'autore Max Greggio, Dario Ballantini (impagabile clonatore di Valentino e, in seguito, di Gianni Morandi), il comico Gianni Fantoni, la voce del Gabibbo Lorenzo Beccati (non a caso eletto portavoce del partito) e, naturalmente Gero Caldarelli.
Da lui non si poteva né voleva prescindere, trattandosi della persona che dall'inizio veste letteralmente i panni del Gabibbo: non potendo certo essere candidato un pupazzo, il nome del candidato sarebbe stato il suo (anzi, quello originale secondo anagrafe, cioè Giorgio). Il primo compito del partito? "Promuovere e sviluppare attività politiche finalizzate alla propagazione dei principi libertari, contro ogni forma di autoritarismo e di inquinamento ideologico ed ecologico, in difesa dei ceti sociali più deboli, delle minoranze e in affermazione della fratellanza tra i popoli".
Fu così che, per rappresentare il partito e per tentare di raccogliere le mille firme necessarie per giocare seriamente la partita, Caldarelli il 28 dicembre apparve a Scarperia indossando il suo inconfondibile costume, probabilmente non accennando l'ormai vecchietta Fu Fu Dance (pietra miliare firmata nel 1995 dalla banda di Striscia, tormentone nato dal gesto più parodiato di Massimo D'Alema), ma senza lasciare a bocca asciutta i presenti. Accompagnato dalle Veline, raccolse solo 39 firme, ma concesse centinaia di autografi, soprattutto a chi era troppo piccolo per poterlo sostenere e votare.
Era meno entusiasta (con ragione) Gian Franco Schietroma, segretario del Psdi, perché l'emblema del partito del Gabibbo era assai debitore del sole nascente socialdemocratico: "I tentativi di scippo ai danni dei socialdemocratici ormai sono di moda - si affrettò a dichiarare - Dopo il Pds che cerca di soffiarci l'idea, ora ci si mette pure il Gabibbo Passi per D'Alema, perché saremo davvero lieti se diventasse sul serio socialdemocratico, ma del Gabibbo sinceramente preferiamo le sue divertenti sortite a Striscia la notizia".
Aveva reagito decisamente peggio Franco Corbelli, leader del Movimento diritti civili e candidato dall'appena ricostituito Partito liberale di Stefano De Luca. Quella battuta del pupazzone ("se proprio dovete votare un gabibbo, votate quello vero!) lo aveva irritato al punto da presentare una querela: "Mi ritengo offeso dalla volgare battuta di Ricci. Gabibbo vuol dire sciocco, ma sciocco sarà lui e chi lo circonda, lo blandisce e lo venera come una divinità, non certo il sottoscritto", prima di sciorinare il suo curriculum di battaglie per i diritti civili.
Si incaricò il porta-voce del Gabibbo, cioè Beccati in persona, di spiegare la vera origine del nome del pupazzo, come storpiatura dei nomi dei portuali arabi che arrivarono a Genova tra '400 e '500 ("Sciocco in genovese si dice besugo, non Gabibbo"); Corbelli rilanciò, rivolgendosi al Garante per l'editoria e addirittura a Silvio Berlusconi, per ottenere che il pupazzo interpretato dal suo concorrente sparisse dal video ("Striscia sta ridicolizzando con la trovata del 'candidato-pupazzo', tutti gli altri candidati e la stessa consultazione elettorale. Visto che la sua non è una provocazione ma una candidatura seria, il Gabibbo deve sottostare alle regole del Garante: non può usufruire di una ribalta televisiva nazionale per autopromuovere la sua campagna elettorale e la raccolta delle firme'").
Quella volta la tv non fece miracoli: Caldarelli non completò la raccolta firme e non partecipò alle elezioni (ci provarono, ma furono esclusi dall'inizio per carenza di sottoscrittori, Giangualberto Pepi della Fiamma tricolore, Loris Reggioli di Pensioni e Lavoro e Gregorio Rispoli del Partito dei Liberali democratici); nemmeno Corbelli in compenso finì sulla scheda, preferendo dedicarsi all'incarico di assessore esterno all'antimafia nel comune di Stefanaconi, in Calabria. Se la dovettero vedere tra loro i quattro superstiti, per una storia il cui finale era già stato scritto in partenza (i primi conti spannometrici avevano dato a Di Pietro circa il 70% dei voti e superò il 67%); ma, signori... che scena sarebbe stata veder entrare il Gabibbo a palazzo Madama, con Caldarelli che difficilmente col costume sarebbe entrato in aula (pur avendo un regolare papillon), ma - una volta al microfono - avrebbe potuto chiudere i suoi interventi con un sonoro e genovesissimo "Ti spaaacco la facciaaa!!!", ovviamente registrato...
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