domenica 8 aprile 2018

Il vero nome del Partito delle donne

In questa legislatura figura come uno dei vicepresidenti del gruppo di Forza Italia alla Camera, lo stesso gruppo in cui aveva militato nella scorsa legislatura; chi aspira a fregiarsi della denominazione di drogato di politica, tuttavia, è moralmente obbligato a sapere che Gianfranco Rotondi, pur candidato in Fi, era presente all'interno del partito di Berlusconi come rappresentante di Rivoluzione cristiana. Fin qui, in realtà, tutto bene e tutto abbastanza semplice; non tutti però, forse, sanno che lo stesso deputato da sempre orgogliosamente democristiano è artefice di un simbolo di un partito che non c'è. O meglio, c'è, ma di emblemi ufficiali ne ha già uno, diverso.
Il fregio di cui si sta parlando caratterizzerebbe il Partito delle donne, davvero inconfondibile a suo modo: fondo lilla chiaro, testo bastoni e lilla scuro (tranne la parola "delle", in font manuale nero), il tutto racchiuso in un cuore stilizzato dal contorno bianco. Proprio quel cuore, tuttavia, rimanda immediatamente al simbolo di Rivoluzione cristiana (che a sua volta l'aveva mutuato dall'emblema del gruppo del Ppe al Parlamento europeo) e mette subito in chiaro una cosa: chi pensava, in ossequio al nome del Pdd, di trovarsi di fronte a un vero partito, indipendente da ogni altra formazione, si è sbagliato. Se sperava di vedere quell'emblema molto glam sulle schede, dovrà mettersi l'anima in pace.
In effetti esiste il sito www.partitodelledonne.it, così come esiste una (assai poco seguita) pagina Facebook del Partito delle donne; se però si scorrono le varie pagine presenti all'interno del sito, si scopre in fretta che tutti i contenuti sono relativi esclusivamente a Rivoluzione cristiana, per cui viene davvero spontaneo dire che quello del Partito delle donne è il simbolo - esclusivamente di natura propagandistica - di un partito che non c'è. 
Anzi, più esattamente, il partito c'è, ma è proprio Rivoluzione cristiana, non un altro. E che di Rc si tratti non sembrano esserci dubbi, scorrendo alcune delle dichiarazioni dello stesso Rotondi relative alle settimane precedenti le elezioni, in cui sottolineava che il suo partito avrebbe proposto a Fi di candidare solo donne (a parte lui, unico eletto). Già a luglio, anzi, Rotondi dichiarava così: "Ho incaricato il coordinatore nazionale, Giampiero Catone, di predisporre una proposta di assetto del partito interamente 'al femminile'. Non è per assecondare una tendenza, ma per richiamare le radici della Repubblica: furono le donne cattoliche nel '48 a salvare la democrazia. La nuova Rivoluzione Cristiana al femminile (venti Segretarie Regionali, cento Segretarie provinciali e cento Segretarie cittadine) sarà presto ricevuta dal Presidente Berlusconi che la presenterà alla stampa".
Lo stesso statuto di Rivoluzione cristiana, peraltro, è stato scritto tenendo presente le indicazioni di Rotondi: ai vertici regionali, provinciali e cittadini, infatti, può essere eletta "esclusivamente una donna"; per quanto riguarda la segreteria nazionale, si precisa all'ultimo comma dell'art. 14 che - posta l'incandidabilità a segretario di chi, come Rotondi, ha già ricoperto quella carica - "A decorrere dal secondo Congresso Nazionale la carica di Segretario Nazionale sarà di esclusiva competenza femminile" (sul presupposto, ovviamente, che per allora il partito sia ancora attivo e non scelga di confluire in un altro soggetto politico).
Si tratta, oggettivamente, di disposizioni statutarie del tutto innovative, mai viste in precedenza in nessun altro documento fondativo politico. "Non devono sorgere divisioni tra gli uomini - aveva dichiarato sempre a luglio Rotondi - perché il loro ruolo sarà di altrettanta evidenza, anche se per la prima volta si dovrà parlare di quote azzurre invece di quote rosa". Quest'ultima frase, in realtà, è detta in senso atecnico: non c'è in tutto lo statuto, infatti, nessuna vera quota di genere, al di là del generico riferimento alla garanzia del "rispetto del principio di pari opportunità fissato dall'Art. 51 della Costituzione della Repubblica" (e al di là di quanto si dirà più avanti come conseguenza dell'avere previsto vertici solo al femminile).
Benché il partito sia stato varato nel 2015, negli ultimi tre anni il suo statuto non è mai risultato approvato dalla competente Commissione (la stessa che ha l'incarico di controllare i rendiconti dei partiti iscritti nell'apposito registro): il livello di segretezza del procedimento - e, in particolare, di conoscibilità delle informazioni relative alle procedure intraprese - non consente di sapere se quello statuto non sia mai stato presentato per la verifica, se ciò sia accaduto solo di recente e l'iter sia ancora in corso o se la domanda di iscrizione al registro dei partiti sia stata respinta. In ogni caso, un esame da parte della Commissione sarebbe interessante proprio con riguardo alle previsioni statutarie che sono state messe in evidenza prima, per valutarne la compatibilità con la legge.
Il decreto-legge n. 149/2013 (convertito dalla legge n. 13/2014), nel dettare i contenuti essenziali dello statuto dei partiti che chiedono la registrazione - così da essere ammessi a godere delle provvidenze pubbliche - chiede che il documento fondativo indichi, tra l'altro, "le modalità per promuovere, attraverso azioni positive, l'obiettivo della parità tra i sessi negli organismi collegiali e per le cariche elettive, in attuazione dell'articolo 51 della Costituzione"; le Linee guida per la redazione degli statuti recentemente pubblicate dalla Commissione precisano che "l'obiettivo della parità, quale previsione di programma, va perseguito con riguardo alla composizione di tutti gli organi collegiali e per ogni carica cui si acceda per elezione da parte degli iscritti, a mezzo di specifiche misure fra cui una riserva percentuale di posti per ciascun genere".
Sulla base di quanto detto fin qui, occorre fare alcune osservazioni. Da una parte, il fatto che alle segreterie cittadine, provinciali e regionali (e, in seguito, nazionale) possano accedere solo donne rappresenta, in concreto, una sorta di quota di riserva di posti all'interno degli organi collegiali di cui dette segretarie devono fare parte; allo stesso modo, nessuna delle segreterie viene eletta direttamente dagli iscritti, dunque sfuggirebbe (anche per il suo carattere individuale e non collegiale) dalle norme sopra ricordate. D'altro canto, tuttavia, non è sbagliato - e non dev'essere impopolare - chiedersi se proprio la decisione di affidare per statuto i vertici dei singoli livelli territoriali risponda a canoni di legittimità: è pur vero che quella scelta potrebbe essere considerata un'azione positiva (volta a colmare lo storico deficit di presenza femminile tra gli organi apicali dei partiti), ma è altrettanto vero che escludere a priori un genere da una determinata carica non sembra pienamente rispettoso del principio di uguaglianza (le stesse Linee guida citano giustamente anche l'art. 3 della Costituzione, con riferimento all'uguaglianza senza distinzione di sesso) e pari opportunità. 
Un conto, insomma, è non prevedere misure di riequilibrio relativamente a una carica individuale (per cui certo nessuno pretende di inventare quote di genere quando il posto in ballo è uno solo), tutt'altro è riservare dichiaratamente a un genere la posizione più importante a ogni livello territoriale di un partito. Per questo, sarebbe interessante che Rivoluzione cristiana, se non lo ha già fatto, sottoponesse il proprio statuto all'esame della Commissione, per vedere se il suo modo di essere "Partito delle donne" (con o senza simbolo ad hoc, che comunque non dovrebbe essere inserito nello statuto, onde evitare ambiguità) sia da considerare legittimo oppure risulti interessante, ma un po' troppo sopra le righe.

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