sabato 22 gennaio 2022

Coraggio Sant'Onofrio, tra simboli, ricorsi, elezioni salvate e riflessioni

Dare uno sguardo alle decisioni dei giudici amministrativi in materia elettorale è interessante per gli studiosi di diritto e pratica elettorale non solo quando precedono il voto, ma anche ex post: in questo modo, infatti, si contribuisce a chiarire ulteriormente il quadro anche in materia di presentazione delle candidature, fase che - almeno alle elezioni amministrative - include anche la scelta e l'indicazione dei simboli. Spesso le "grandi piazze elettorali" offrono casi interessanti, ma spunti utili emergono anche da realtà decisamente più piccole. L'ultimo, giusto in ordine di tempo, è spuntato pochi giorni fa, dopo che il Tar di Catanzaro ha emesso una sentenza generata da un ricorso relativo alle ultime elezioni comunali a Sant'Onofrio, località di circa tremila abitanti in provincia di Vibo Valentia. 
Sulla scheda distribuita a elettrici ed elettori il 3 e il 4 ottobre dello scorso anno, le candidature alla guida del comune erano due: quella del sindaco uscente Onofrio Maragò, sostenuto dalla lista Tre Spighe (la stessa presentata nel 2016), e quella di Antonino Pezzo, appoggiato dalla lista Coraggio Sant'Onofrio. Proprio quest'ultima formazione è risultata vincitrice, prevalendo sull'altra con 920 voti su 802 (con 87 schede non valide). All'indomani della conclusione dello spoglio, si è registrata una dichiarazione di Francesco Bevilacqua, già parlamentare di An e Pdl (e poi di Fratelli d'Italia), dall'inizio del 2021 aderente a Cambiamo! e, dopo l'avvicinamento di Toti e Brugnaro, ora legato a Coraggio Italia: sui media ha espresso la sua soddisfazione per i risultati delle liste Coraggio Filadelfia e, appunto, Coraggio Sant'Onofrio ("I sindaci eletti, rispettivamente Anna Bartucca e Antonino Pezzo, sapranno certamente fornire risposte adeguate alle esigenze delle comunità di Filadelfia e di Sant'Onofrio e di proiettarle in una ulteriore dimensione di modernità e sviluppo"), aggiungendo che "nel Vibonese e dal Vibonese Coraggio Italia ha lanciato un messaggio di impegno forte che predilige le soluzioni delle criticità, purtroppo, ancora emergenti in Calabria".
Eppure, proprio quel collegamento ha rischiato di mettere in dubbio la validità delle elezioni. Maragò, infatti, quale aspirante sindaco sconfitto (ma eletto come consigliere comunale di minoranza) aveva impugnato gli atti di ammissione della lista Coraggio Sant'Onofrio e messo in dubbio, di conseguenza, la validità del risultato elettorale. Il problema era proprio il simbolo utilizzato: per Maragò la lista era stata presentata in nome e per conto del partito Coraggio Italia, dovendosi considerare "espressione, 
anche per facta concludentia, di tale partito", ma mancava la "dichiarazione sottoscritta e autenticata dal presidente o dal segretario del partito o del gruppo politico" o dal rispettivo presidente o segretario provinciale per attestare che tale lista era presentata, appunto, in nome e per conto del partito. In più, sempre secondo Maragò, anche a non voler considerare la lista come presentata in nome e per conto di Coraggio Italia (cosa che non avrebbe resto necessaria la citata dichiarazione), si sarebbe allora dovuto ritenere illegittimo il contrassegno, perché avrebbe indebitamente riprodotto "elementi caratterizzanti ed individualizzanti" l'emblema di Coraggio Italia, risultando confondibile con questo e rendendo, dunque, inammissibile la lista in quella forma (per aver indotto in errore il corpo elettorale). Altri vizi, infine, avrebbero riguardato alcune autenticazioni delle firme dei sottoscrittori di lista o delle accettazioni di candidatura (nonché lo squilibrio di genere nella composizione della lista, benché non sanzionato dalla legge per i comuni sotto i 5000 abitanti: il ricorrente chiedeva infatti che fosse sollevata una questione di costituzionalità in proposito, richiamandosi alla questione tuttora pendente davanti alla Corte costituzionale).
La prima sezione del Tar Catanzaro, nella sentenza n. 51/2022 (del 19 gennaio, pubblicata il giorno dopo), ha ritenuto di doversi occupare delle lamentele del ricorrente (negando in particolare che questi, non avendo impugnato a suo tempo l'ammissione della lista poi risultata vincente, avesse perso il diritto di contestare la partecipazione di quella lista e, con questa, il risultato - quell'ammissione, in fondo, non poteva considerarsi direttamente lesiva del diritto del ricorrente a partecipare alle elezioni), ma le ha respinte. I due motivi di ricorso relativi alla lista presentata "in nome e per conto" di Coraggio Italia e al contrassegno della lista stessa, in particolare, sono stati ritenuti infondati: la decisione su questi punti merita uno sguardo più attento.
I giudici hanno richiamato le disposizioni relative alle elezioni amministrative nei comuni inferiori che censurano l'uso di "contrassegni di lista che siano identici o che si possano facilmente confondere con quelli presentati in precedenza o con quelli notoriamente usati da altri partiti o raggruppamenti politici, ovvero riproducenti simboli o elementi caratterizzanti di simboli che, per essere usati tradizionalmente da partiti presenti in Parlamento, possono trarre in errore l'elettore" (d.P.R. n. 570/1960, art. 30) e che richiedono, per la presentazione di una lista con il nome e il simbolo di un partito che abbia eletto rappresentanti in una Camera o conti su almeno un gruppo parlamentare, la menzionata "dichiarazione sottoscritta dal presidente o dal segretario del partito o gruppo politico o dai presidenti o segretari regionali o provinciali di essi, che tali risultino per attestazione dei rispettivi presidenti o segretari nazionali ovvero da rappresentanti all'uopo da loro incaricati con mandato autenticato da notaio, attestante che le liste o le candidature sono presentate in nome e per conto del partito o gruppo politico stesso" (d.P.R. n. 132/1993, art. 2). Il collegio ha poi citato una sentenza del 2004 del Tar Genova in base alla quale, tenendo insieme le due regole, per presentare una lista alle elezioni amministrative legata a un partito presente in Parlamento con il simbolo di quest'ultimo occorre anche "apposita attestazione che le liste stesse vengono presentate in nome e per conto del partito o gruppo"; se questa manca, "è necessario utilizzare un simbolo [...] che non sia identico o facilmente confondibile con quelli presentati in precedenza o con quelli notoriamente usati da altri partiti o raggruppamenti politici, ovvero riproducente simboli o elementi caratterizzanti di simboli [...] usati tradizionalmente da partiti presenti in Parlamento".
Dopo aver esaminato la documentazione presentata, tuttavia, per i giudici non risultava "che la lista Coraggio Sant'Onofrio [avesse] utilizzato il simbolo del partito politico Coraggio Italia né [...] il nome del suddetto partito politico": basta questo, secondo loro, perché la norma che esige la dichiarazione di presentazione della lista "in nome e per conto" non debba applicarsi. Il Tar ha mostrato di conoscere le dichiarazioni dei dirigenti locali alla stampa che rivendicavano il collegamento tra partito e liste (anche perché certamente sono state inserite nel ricorso), ma ha precisato in motivazione che quelle dichiarazioni e altre informazioni affini risultano "priv[e] di pregnanza" e comunque "non possono surrogare la mancata utilizzazione di simbolo e nome del suddetto partito politico". Per i giudici che si sono espressi in questo caso, la norma aggiunta nel 1993 serve a "evitare che una lista possa 'collegarsi' ad un partito o gruppo politico presente in Parlamento nazionale o al Parlamento europeo, utilizzandone il simbolo, qualora non abbia avuto l'avallo del segretario politico di quest'ultimo": su questa base, "gli elementi indiziari offerti da parte ricorrente", più che far emergere una mancanza di chi ha presentato la lista (da sanzionare con l'esclusione), confermerebbe l'esistenza dell'avallo che la legge richiede, dunque non potrebbero avere conseguenze negative per la lista.
Posto che la dichiarazione di presentazione della lista Coraggio Sant'Onofrio in nome e per conto di Coraggio Italia non c'era (e, secondo i giudici, di fatto non era essenziale), poteva forse porsi qualche problema di confondibilità per il contrassegno usato? No, almeno per il Tar. Da una parte, secondo il collegio, nel giudizio di confondibilità si doveva tenere conto "del più elevato livello di maturità e di conoscenze acquisite dall'elettorato rispetto alla situazione apprezzata dal legislatore del 1960", nel senso che occorre riferirsi "alla normale diligenza dell'elettore medio di oggi, notoriamente munito di un bagaglio di conoscenze e di una capacità di discernimento ben superiori a quelli d'un tempo": non ci sarebbe pericolo di confondere due simboli qualora esistessero "elementi di differenziazione presenti prevalenti sugli elementi accomunanti i due contrassegni" (così la sentenza n. 1439/2020 del Tar Catanzaro, sez. I). Dall'altro lato, non coincidevano né i nomi dei due soggetti politici ("Coraggio Italia" e "Coraggio Sant'Onofrio", di cui si è notata la differenza anche delle "relative dimension[i] tipografiche"), né la struttura del simbolo: poiché "il cerchio esterno del simbolo Coraggio Sant'Onofrio presenta un unico colore blu" mentre quello di Coraggio Italia "reca per l’intera metà superiore il tricolore italiano" (dunque sarebbe stato, "all'evidenza, ben più elaborato e composto di quattro colori nettamente distinti tra loro e ben distinguibili"), per i giudici gli elementi distintivi erano "ragionevolmente maggiori" di quelli comuni (e il fatto che alcuni elettori abbiano indicato le preferenze di alcuni candidati al consiglio comunale sulla scheda delle contemporanee elezioni regionali, ovviamente accanto al simbolo di Coraggio Italia, sarebbe comunque poco consistente, visto che ciò si sarebbe verificato al massino in otto casi, un numero ininfluente rispetto al totale degli elettori.
La sentenza emessa dal Tar Catanzaro presenta alcuni profili condivisibili, mentre altri meriterebbero qualche riflessione in più. Da un parte si può concordare con i giudici sulla ratio della norma che chiede di dimostrare che esiste l'avallo da parte del partito rappresentato in Parlamento in modo qualificato (Coraggio Italia non ha eletto nessuno, essendo nato a legislatura in corso, ma ha formato un proprio gruppo alla Camera), essendo importante soprattutto evitare che una lista usi un segno grafico legato a un partito senza il consenso del partito stesso. Allo stesso modo, bisogna ricordare che la legge elettorale amministrativa censura, oltre che i contrassegni identici, quelli "facilmente confondibili" e non quelli solo "confondibili": si tratta dunque di un metro meno rigido e severo rispetto a quello valido per le elezioni politiche ed europee, che lascia spazio a simboli che "occhieggiano" a quelli dei partiti di riferimento pur senza citarli espressamente. Ciò, tra l'altro, vale perché formalmente alle elezioni amministrative non sono i partiti o gruppi politici che presentano le candidature, ma i sottoscrittori delle liste: non si tratta di una differenza di poco conto e questa, a sua volta, produce degli effetti tangibili.
Detto questo, fa una certa impressione leggere che la lista Coraggio Sant'Onofrio non avrebbe utilizzato né il nome né il simbolo di Coraggio Italia, così come si dubita che il diverso rilievo tipografico dei due nomi nel contrassegno possa avere qualche peso per diminuire la confondibilità (in fondo la dimensione diversa è necessitata dalla maggiore lunghezza del nome). Sarebbe stato più corretto dire che si sono apportate modifiche al simbolo e al nome; entrambi, tuttavia, restano oggettivamente riconoscibili e ricollegabili. Probabilmente questo non sarebbe stato sufficiente a far considerare illegittima la lista (in effetti la sanzione sarebbe parsa e parrebbe eccessiva); occorre però domandarsi cosa sarebbe accaduto se l'oggetto della somiglianza non avesse riguardato semplici campiture cromatiche, ma un elemento figurativo ben preciso o comunque identificabile e ricollegabile. In passato, infatti, è capitato che in mancanza di espressa dichiarazione dei dirigenti partitici competenti non fossero ammessi contrassegni contenenti, pur in un contesto più ampio e variegato, elementi caratterizzanti simboli rappresentati in Parlamento, anche in legislature precedenti (un garofano, una fiamma, il gabbiano arcobaleno dell'Idv): questi sono stati tolti, salvo quando è stata prodotta la dichiarazione del partito dimenticata in un primo tempo, per cui quegli emblemi sono stati riammessi. Sembra di poter dire, dunque, che la progressiva trasformazione di molti simboli di partito in loghi (o simil-marchi) abbia avuto anche quest'effetto: un maggior agio per chi vuole presentare candidature legate al partito, modificando il minimo indispensabile il simbolo per evitare aggravi di documentazione. Chi scrive non è convinto che sia una buona notizia; l'importante, comunque, è saperlo... 

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