Dopo il 2000 e le elezioni regionali in Lazio (più qualche elezione amministrativa sparsa in quello stesso anno), Filippo De Jorio sembrava intenzionato a lasciare da parte per un po' l'impegno politico: né il simbolo della Fipu - Federazione italiana pensionati uniti, né altri emblemi riconducibili all'ex consigliere regionale del Lazio si videro né sulle schede delle elezioni politiche del 2001, né nelle consultazioni rilevanti tenutesi durante la XIV legislatura (non è dato sapere se in qualche elezione amministrativa non di primo piano il simbolo sia stato utilizzato). Evidentemente la professione di avvocato e l'impegno nella Consulta dei pensionati monopolizzavano il tempo di De Jorio e gli davano più soddisfazione, rispetto all'impegno politico che negli ultimi anni gli aveva riservato varie delusioni, soprattutto per impegni non onorati.
Arrivò però il 2006 e, con questo, la fine della XIV legislatura, quella dei due governi guidati da Silvio Berlusconi; la legge elettorale nel frattempo era cambiata, prevedendo ufficialmente la presentazione di coalizioni di liste per entrambe le Camere, senza più collegi uninominali in cui sfidarsi (tranne ovviamente quello della Valle D'Aosta e, al Senato, quelli del Trentino - Alto Adige). Come principale avversario, Berlusconi avrebbe avuto di nuovo Romano Prodi, che già dieci anni prima l'aveva sconfitto alle elezioni politiche e il 16 ottobre 2005 aveva vinto nettamente le primarie per la guida della coalizione di centrosinistra ("capo della forza politica" e "capo della coalizione" erano le figure elettorali di vertice introdotte dalla "legge Calderoli" nel tentativo di indicare la figura del candidato a Palazzo Chigi, senza intaccare la prerogativa di nomina del Presidente del Consiglio, attribuita dalla Costituzione al Presidente della Repubblica).
La nuova formula elettorale - con competizione tra liste e coalizioni concorrenti, con premio di maggioranza alla lista o coalizione più votata - avrebbe fatto pesare tantissimo ogni singolo voto: per ciascuna coalizione ogni adesione era rilevante e sarebbe potuta risultare determinante. Non stupisce, dunque, che anche De Jorio e il gruppo di persone vicino a lui avesse riconsiderato l'idea di partecipare in qualche modo alle elezioni, ovviamente sostenendo il centrodestra come in passato. Probabilmente furono esponenti di quella coalizione a chiedere l'appoggio, ma è altrettanto probabile che il leader dei Pensionati uniti volesse comunque dare una mano a Berlusconi, se non altro per evitare che prevalesse il centrosinistra.
Di certo, però, De Jorio aveva escluso di presentare liste della Fipu, visto che il partito non aveva né l'organizzazione per essere presente in tutta l'Italia, né soprattutto le risorse per sostenere una campagna elettorale. L'unico modo possibile era presentare proprie candidature all'interno di altre liste e contribuire in quel modo al risultato elettorale. Diede la propria disponibilità Forza Italia: era il partito più forte della coalizione, in più era la forza politica cui aderiva Alfredo Biondi, allora vicepresidente della Camera e amico di De Jorio fin dai tempi in cui De Jorio era candidato nella Lega Casalinghe-Pensionati e Biondi era parlamentare del Pli. Lo stesso De Jorio, nel suo libro ... e le mele continuano a marcire, ricorda di aver incontrato alla fine di gennaio del 2006 Silvio Berlusconi e Sandro Bondi, quale emissario di Forza Italia, proprio nell'ufficio di Biondi a Montecitorio, concordando in quell'occasione presenze di autorevoli esponenti dei Pensionati uniti in tutte le liste presentate da Fi nelle varie circoscrizioni regionali o subregionali.
Nel giro di qualche giorno, tuttavia, i piani sarebbero stati rivoluzionati. Il 6 febbraio, alla Fabbrica del programma dell'Unione (centrosinistra), c'era anche Carlo Fatuzzo, segretario del Partito pensionati. Fino ad allora a livello nazionale aveva presentato candidature quasi sempre in proprio (centrando l'elezione di Fatuzzo al Parlamento europeo nel 1999 e nel 2004), mantenendo posizioni moderate e sostenendo solitamente il centrodestra (a livello locale, ma anche a livello nazionale); nel 2005, però, le alleanze si erano fatte variabili (in Piemonte, in Lazio e in Campania con il centrodestra; in Lombardia, in Liguria e in Puglia con il centrosinistra). In quelle nuove elezioni politiche, invece, in cui scegliere una parte o l'altra era fondamentale, la scelta era stata netta: "Il Partito dei pensionati - batté l'Adnkronos in quel 6 febbraio - per sua natura non è né di destra, né di sinistra, né di centro ma offre programmi concreti e si allea qui con il centrosinistra. Siamo stati alleati del centrodestra negli ultimi dieci anni. Abbiamo osservato con attenzione il comportamento del governo Berlusconi nel campo delle pensioni e purtroppo abbiamo visto che Berlusconi ha fatto una promessa di miglioramento ma non l’ha mantenuta". Il riferimento era soprattutto alla promessa, contenuta nel famoso "Contratto con gli Italiani", di elevare a un milione le pensioni minime: "Otto milioni di pensionati - aveva continuato Fatuzzo - hanno creduto che questo sarebbe avvenuto. Il gennaio successivo [all'elezione di Berlusconi, ndb] è stata approvata la legge per portare, appunto, la pensione a un milione. In realtà, nessuno ha avuto l’aumento. [...] Il Partito dei Pensionati ha perso la pazienza e ha deciso di dare fiducia al centrosinistra per i prossimi cinque anni. Credo che le speranze dei pensionati siano perdute se vince il centrodestra. Lo batteremo e riusciremo a migliorare le condizioni di vita e di salute dei pensionati nei limiti delle possibilità economiche del governo".
Le parole di Fatuzzo probabilmente erano risultate subito indigeribili per Silvio Berlusconi, ma al di là dello smacco personale in quel momento era parso grave e urgente soprattutto un problema di numeri: nel 2001 il Partito pensionati aveva raccolto lo 0,18%, ma alle europee del 1999 era arrivato allo 0,75% e a quelle del 2004, ben più vicine, aveva toccato l'1,15% (poco meno di Alternativa sociale, più della Fiamma tricolore, del "Partito della bellezza" di Sgarbi e La Malfa e del Patto Segni-Scognamiglio). Poteva permettersi il centrodestra di perdere circa l'1% del totale dei voti, lasciando per giunta che solo il centrosinistra si rivolgesse ai pensionati con un simbolo che parlava di loro? Certamente no. A quel punto, il primo accordo stipulato con De Jorio non andava più bene: una lista dei Pensionati uniti, da contrapporre in tutta Italia a quelle del Partito pensionati, ci voleva eccome.
Non c'era tempo da perdere: in quello stesso 6 febbraio, infatti, toccò ad Alfredo Biondi cercare l'amico e collega avvocato De Jorio per chiedergli di dichiarare immediatamente il suo sostegno a Berlusconi e alla Casa delle libertà. De Jorio, tuttavia, era a Parigi per svolgere alcune consulenze professionali e non poteva rientrare subito; Biondi lo invitò a tornare appena gli fosse stato possibile, per discutere dei dettagli organizzativi, ma insistette per ottenere subito una dichiarazione. De Jorio lo accontentò: promise che sarebbe rientrato nel giro di tre giorni e dettò al capo ufficio stampa di Biondi, Giuseppe Cipolla, il comunicato, riportato dalle agenzie in quello stesso giorno a firma di De Jorio e dello stesso Biondi: "Da tempo la Consulta nazionale dei pensionati, che riunisce 105 associazioni di pensionati, ha stabilito un'azione politica comune con Forza Italia e la sua partecipazione elettorale al suo fianco proprio per sostenere l'effettiva realizzazione di ciò che l'ondivago Partito dei pensionati del signor Fatuzzo afferma di aver proposto a Prodi. Non è vero che il governo non abbia mantenuto le promesse per migliorare le pensioni minime, innalzate a 500 euro, anzi il presidente Berlusconi ha solennemente promesso che aumenterà tutte le pensioni. L'esecutivo ha operato compatibilmente con le esigenze della situazione economica italiana ed europea privilegiando proprio le categorie più sacrificate per il minore potere d'acquisto determinato dall’introduzione dell'euro". Il comunicato si chiudeva annunciando per il 23 febbraio a Roma "una grande manifestazione nazionale della Consulta dei Pensionati alla quale interverrà il presidente Berlusconi. I pensionati italiani aderenti alla Consulta sono molti di più di quelli che hanno destinato in passato i loro voti alla lista del signor Fatuzzo e lo dimostreranno concretamente il 9 aprile".
Come promesso, il 9 febbraio De Jorio tornò a Roma, dove lo attendeva per un incontro Carlo Vizzini, ex ministro Psdi, in quel momento aderente a Forza Italia e incaricato da Berlusconi di condurre le trattative per avere i Pensionati uniti nella coalizione del centrodestra con proprie liste. Il fatto era che De Jorio non era del tutto convinto: finché si trattava di sostenere Berlusconi con proprie iniziative e singole candidature in Forza Italia poteva andare bene, ma partecipare con proprie liste voleva dire raccogliere le firme e investire molte risorse (di cui il partito, come detto, non disponeva). De Jorio espresse i suoi dubbi a Vizzini, il quale però insistette: assicurò al suo interlocutore che alla raccolta firme avrebbe provveduto Forza Italia e gli fece balenare la possibilità di candidature sicure nelle liste (bloccate) di Forza Italia, onde assicurare alla Fipu rappresentanza parlamentare (e, se le cose fossero andate bene, si sarebbe potuto profilare anche un posto da ministro o da viceministro).
De Jorio finì per convincersi e accettò, tanto l'idea della lista quanto un paio di incontri con Berlusconi, che aveva chiesto di vederlo. Al Presidente del Consiglio uscente - racconta sempre De Jorio nel suo libro - chiese rassicurazioni sulla raccolta firme per le liste ("le raccoglierà Forza Italia in un solo giorno") e sulle risorse necessarie per la campagna; ottenne risposte più evasive sulle possibilità concrete di presenza in Parlamento o nel Governo ("Ci devo pensare, sai che se ti do la parola poi la voglio mantenere") e si sentì ribadire la necessità di organizzare la manifestazione del 23 febbraio, annunciata nella prima dichiarazione. De Jorio avrebbe voluto organizzarla all'Hotel Nazionale (quello di piazza Montecitorio), Berlusconi rilanciò con una sede ancora più prestigiosa, come il salone "Renato Angiolillo" di Palazzo Wedekind, situato nella vicina piazza Colonna e sede del Tempo (sì, il quotidiano che dal 1973 al 1987 era stato diretto da Gianni Letta, chiamato al Tempo proprio da Angiolillo e ormai storico sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei governi Berlusconi).
La manifestazione in effetti si svolse il 23 febbraio: "C'erano 1600 persone provenienti da tutta l'Italia" ricorda Fatuzzo. Berlusconi in effetti intervenne (dopo aver presenziato alla conferenza di presentazione del libro Maledetto ingegnere di Roberto Castelli, allora ministro della giustizia): Radio Radicale era presente quel giorno e ci consente di sapere che parlò per quasi 40 minuti, ma purtroppo non è stata digitalizzata la registrazione. Un vero peccato, considerando quello che scrive De Jorio di quell'intervento:
Quel giorno Berlusconi fece lo showman a suo modo; mi ripeté per ben tre volte, davanti alla platea: "Il tuo posto [si riferiva al seggio in Parlamento, ndb] è sicuro". Io gli avevo fatto recapitare una "scaletta" degli argomenti da trattare, secondo i patti stabiliti. Scaletta che avevo realizzato e fatto giungere a lui per ben tre volte. [...] Ma lui, quella mattina, al palazzo de Il Tempo, continuava con le barzellette e le battute alle belle donne. Come fa sempre. Come un uomo di avanspettacolo. Del piano per i pensionati non parlava mai. Per questo, lo interruppi. "Presidente, parlaci delle pensioni", dissi. Altri pensionati fecero coro nella sala. Berlusconi fu costretto a parlare dei progetti per le pensioni.
In mancanza della registrazione non è possibile sentire dalla viva voce dei protagonisti come andarono le cose, ma alla fine dei pensionati effettivamente Berlusconi parlò: sempre le agenzie ricordano che promise di non far pagare più il canone Rai al compimento dei 70 anni e, tra le altre proposte, di far approvare la riforma - presentata in parlamento da Biondi e altri - che avrebbe legato l'entità delle pensioni all'inflazione. Questi e altri progetti sarebbero finiti al punto n. 9 del programma della Casa delle libertà (denominato "Società solidale"), anche se è lo stesso De Jorio a raccontare che in un primo tempo quel punto era stato "dimenticato" e lui stesso aveva provveduto a far notare la mancanza e a scrivere quella parte, consegnandola a Paolo Bonaiuti.
Il simbolo depositato nel 2001 |
In più, quel simbolo avrebbe dovuto ospitare anche il riferimento a un'altra formazione politica di pensionati. Il 6 febbraio, infatti, oltre alla dichiarazione di Bondi e De Jorio, spulciando i lanci politici di Adnkronos si ritrova anche un breve testo a firma di Roberto Olivato, leader del Movimento pensionati: "Sollecitato dai propri iscritti a prendere le distanze dalla dichiarazione di Carlo Fatuzzo, Olivato, ribadisce la propria fiducia e quella del 'Movimento pensionati dal 1991' alla Casa delle libertà, continuando a battersi per accrescere la propria presenza nella stessa Casa delle libertà". In effetti Olivato dal 2002 al 2005 era stato segretario regionale del Partito pensionati in Toscana, poi nell'agosto 2005 lo aveva abbandonato insieme ad altre persone ed era diventato segretario nazionale di un nuovo soggetto politico - che aveva tenuto il suo evento fondativo a Massa il 18 settembre - denominato appunto "Movimento pensionati dal 1991", presieduto da Pietro Spinelli (che aveva fondato il Movimento pensionati a Piacenza appunto nel 1991). Di certo due liste di pensionati non si sarebbero potute avere nello stesso schieramento: meglio unire le forze e cercare di concorrere al meglio, per lasciare a Fatuzzo e alla sinistra il minor numero di voti possibili.
L'unione si sarebbe dovuta concretizzare anche attraverso il simbolo, quindi occorreva fondere in qualche modo i due emblemi. Visto che il Movimento pensionati aveva al centro una sagoma dell'Italia con le regioni, si sarebbe potuto inserire almeno la silhouette del Paese nel simbolo di De Jorio (che, essendo stato fondato prima, era comunque l'emblema più noto, dunque adatto a fungere da contenitore), cercando di armonizzare almeno i colori. In effetti, il 14 febbraio l'atto costitutivo dei Pensionati uniti fu modificato una prima volta con il deposito di un diverso simbolo, che su un fondo giallino (più chiaro che in passato) collocava la sagoma dell'Italia color ocra - senza regioni, per evitare che si leggessero male - e ancora sopra proponeva in blu la scritta "Pensionati uniti"; in alto era rimasta la sigla puntata della Fipu, mentre in basso - al posto di "Rinascita dei valori" era stato inserito il riferimento al Movimento pensionati di Olivato.
Quel simbolo, tuttavia, per qualcuno non doveva risultare abbastanza efficace (forse fu lo stesso Berlusconi o qualcuno del suo staff a chiedere un restyling). Fatto sta che solo tre giorni dopo fu cambiato di nuovo, sempre con atto notarile: il fondo da giallino divenne più carico, l'Italia ocra divenne un po' più arancione, la sigla della Fipu e il nome dei Pensionati uniti divenne più evidente e si tinse di nero, mentre ebbe un po' più di visibilità il Movimento pensionati (il testo divenne bianco, inserito però in un archetto nero spesso, in modo da farlo risaltare).
Fu questo il simbolo depositato effettivamente al Viminale, pronto a finire sulle schede elettorali. Quel passaggio, però, fu piuttosto doloroso: in molte regioni la lista Fipu - Pensionati uniti - Movimento pensionati non si riuscì a presentare; addirittura, in Lombardia corse al Senato, ma non apparve in alcuna delle tre circoscrizioni lombarde per la Camera. Questa presenza "a macchia di leopardo" non aiutò certo a ottenere un risultato soddisfacente: al Senato la lista ottenne lo 0,41% (a fronte dell'1,62% del Partito pensionati), mentre alla Camera arrivò solo lo 0,07%.
Quel risultato amareggiò profondamente De Jorio, soprattutto per l'episodio della Lombardia. Nel libro ... e le mele continuano a marcire, infatti, parla di un accordo per la raccolta firme in quella regione: per il Senato se ne sarebbe occupata la Lega Nord, per la Camera ci avrebbe dovuto pensare Forza Italia. A suo dire, però, Forza Italia non sarebbe stata leale: avrebbe raccolto sì le firme, ma a favore della lista comune di Democrazia cristiana (per le autonomie) e Nuovo Psi (effettivamente presente in tutte le circoscrizioni lombarde della Camera). Chi scrive, naturalmente, non ha elementi per dimostrare che le cose siano andate in questo modo, così come lascia alla responsabilità di De Jorio affermare che la mancata presentazione delle liste della Fipu in Lombardia sarebbe stata frutto di una precisa scelta di Silvio Berlusconi: alla base ci sarebbero stati alcuni sondaggi pubblicati nei giorni precedenti il deposito delle liste, secondo i quali la lista Pensionati uniti sarebbe risultata nel centrodestra la più votata tra quelle sotto la soglia del 2%, dunque alla Camera avrebbe avuto diritto ad accedere alla distribuzione dei seggi come "ripescata", a danno proprio del tandem Dca - Nuovo Psi. Se sia andata così, dunque, non lo si può certo sapere; ci si limita a notare che alla Camera in effetti la miglior lista della coalizione berlusconiana è stata proprio quella che univa Dca e Nuovo Psi (0,75%), mentre non ebbero seggi Alternativa sociale (0,67%) e la Fiamma tricolore (0,6%).
Qualunque osservatore esterno farebbe bene a non sbilanciarsi su quanti voti in più (assoluti e in percentuale) avrebbe potuto prendere la Fipu se si fosse presentata in tutta la Lombardia e se sarebbero stati sufficienti per aspirare al "ripescaggio". Un altro dato però è facile da riscontrare: il centrosinistra alla Camera ottenne 24755 voti in più del centrodestra e in virtù di questo ebbe il premio di maggioranza, al Senato la lista Fipu - Pensionati uniti - Movimento pensionati ottenne 24081 voti solo in Lombardia. Se le liste dei Pensionati uniti fossero state presenti in tutte le circoscrizioni camerali lombarde e avessero preso gli stessi voti dati al Senato, il divario tra le due coalizioni si sarebbe quasi azzerato e il risultato sarebbe stato contestato dal centrodestra con ancora maggiore convinzione; con 700 voti in più l'esito si sarebbe ribaltato, con il premio a favore del centrodestra. Per questo De Jorio è convinto che il centrodestra abbia perso le elezioni del 2006 proprio per la mancata presentazione delle liste Fipu in Lombardia (oltre che, ovviamente, per la presenza nel centrosinistra del Partito pensionati e della Lega per l'autonomia - Alleanza lombarda di Elidio De Paoli).
Quel turno elettorale fu doppiamente amaro per Filippo De Jorio: in base agli accordi con Berlusconi, infatti, fu candidato da Forza Italia per "diritto di tribuna" nella circoscrizione Lazio 2 (che comprendeva il territorio regionale senza la provincia di Roma) e fu inserito al sesto posto. La sua elezione era stata data per certa: anche nel caso in cui il centrodestra non avesse vinto il premio di maggioranza, era previsto che Forza Italia eleggesse quattro deputati; considerando che il capolista era Berlusconi (candidato in tutte le circoscrizioni) e che il secondo il lista era Rocco Crimi, candidato anche nella circoscrizione Sicilia 2 (quella della "sua" Galati Mamertino), con le opzioni e i subentri sarebbe rientrato anche lui. Il centrodestra, come detto, perse le elezioni e non ebbe il premio di maggioranza, Forza Italia nella circoscrizione Lazio 2 ottenne effettivamente quattro eletti e Berlusconi optò per la circoscrizione Campania 1. Crimi, tuttavia, invece che in Sicilia volle essere eletto in Lazio: entrò dunque il quinto della lista, Antonello Iannarilli, ma il sesto - De Jorio - rimase fuori e non risulta che chi lo aveva preceduto in lista (Gianfranco Conte, Domenico Di Virgilio e il citato Iannarilli) si sia dimesso nel corso della breve XV legislatura.
L'amarezza non impedì qualche ultimo tentativo a De Jorio, per rimediare allo smacco di quelle elezioni: fece presentare prima all'Ufficio elettorale centrale nazionale, poi ai giudici amministrativi e ancora alla Giunta per le elezioni della Camera vari ricorsi, lamentando l'illegittima esclusione delle proprie liste in più circoscrizioni (legata anche all'incompletezza dei documenti presentati, per difetti legati all'autenticazione e ai certificati di iscrizione alle liste depositati), chiedendo la ripetizione del voto in quei territori comprendendo anche le candidature della Fipu. Nessuno di quei ricorsi fu accolto; anzi, tanto i giudici quanto gli organi della Camera si rifiutarono di valutarli, ritenendo - ciascuno per sé - di non avere titolo a pronunciarsi su vicende legate al procedimento elettorale preparatorio (vicende di cui ora, dopo la sentenza n. 48/2021 della Corte costituzionale, è chiamato a occuparsi il giudice civile). Non andò meglio una causa con cui il leader dei Pensionati uniti cercò di farsi risarcire per gli accordi politici a suo dire non rispettati da Berlusconi e Forza Italia.
Quello fu proprio l'ultimo atto politico-elettorale di De Jorio, che in seguito non si sarebbe più ricandidato. Si sarebbe però tolto la soddisfazione di un ultimo gesto politico: la registrazione del simbolo della Democrazia cristiana come marchio europeo. La domanda risulta presentata e accolta nel 2013 e lui stesso, di fronte a un'espressa richiesta, conferma di avere provveduto alla registrazione: "L'ho fatto perché gli attuali detentori non meritano alcuna stima in Italia". Non vuole aggiungere altro in proposito: non entra dunque nella disputa sui titolari civili ed elettorali dello scudo crociato, né precisa se la sua scelta sia stata fatta per reagire a un partito in particolare (come l'Udc o uno qualunque dei tentativi di rimettere in piedi la Dc) o indiscriminatamente a tutti gli usi fatti dagli altri. Sta di fatto che la sua domanda è stata accolta e per De Jorio è un po' un ritorno alle origini, a quel partito che per due volte lui aveva rappresentato nel consiglio regionale del Lazio.
Nessun commento:
Posta un commento