Ogni vicenda politica, statuaria ed elettorale che possa riguardare il MoVimento 5 Stelle è guardata con particolare attenzione in questo periodo. Dopo l'ordinanza del tribunale di Napoli che ha sospeso le delibere di approvazione del nuovo statuto e con cui si è eletto Giuseppe Conte alla presidenza del soggetto politico, ogni piccolo evento è fonte di curiosità, riflessioni, speculazioni (e anche fraintendimenti: cercare di far capire a chi non pratica i documenti giuridici che i giudici non hanno censurato vizi del nuovo statuto e nemmeno di quello vecchio, ma il fatto che - a quanto risulta per ora - non siano state seguite in toto le procedure previste dallo statuto vigente a febbraio è una sfida quasi persa in partenza).
In tutto ciò, il 13 marzo è previsto che si vada a votare per rinnovare - tra l'altro - il consiglio della Città metropolitana di Napoli: voteranno, come avviene per le elezioni provinciali, soltanto i sindaci e i consiglieri dei comuni ricompresi nel territorio della città metropolitana (già provincia). Entro le ore 12 del 21 febbraio dovranno essere presentate le liste (nelle quali potranno candidarsi, di nuovo, solo sindaci e consiglieri comunali in carica nello stesso territorio), sostenute ciascuna da almeno 78 firme raccolte nella stessa platea di aventi diritto. In questo sito ci si è sempre occupati poco delle elezioni provinciali, specialmente da quando sono state trasformate in elezioni di secondo grado; raramente i simboli impiegati fanno notizia, soprattutto perché sono noti solo ai consiglieri e ai sindaci interessati a partecipare al voto, tranne i casi in cui c'è qualche elemento strano che colpisce chi vede i simboli e fa parlare anche al di fuori della cerchia degli eletti (come la gaffe della Lega alle provinciali di Rieti del 2019, che aveva messo sulla scheda la silhouette dell'Umbria). In questo caso le elezioni metropolitane di Napoli fanno notizia perché un articolo di Valerio Valentini, pubblicato oggi sul sito del Foglio, parla di un nuovo possibile simbolo legato al M5S, da sperimentare a livello locale:
C'è il profilo stilizzato di un arco, un sole che sorge, tre foglie verdi a indicare lo zelo ambientalista, e le cinque stelle di prammatica: tutto racchiuso dal solito cerchio rosso, e in alto la scritta: "Territori in Movimento". Eccolo, il nuovo simbolo del M5S, che debutterà alle elezioni provinciali di Napoli. "So che non è un capolavoro, ma ho dovuto realizzarlo in tutta fretta", dice Antonio Caso, consigliere comunale a Pozzuoli. E del resto alla decisione ci si è arrivati in preda all'ansia di chi teme di mancare la scadenza. Ordini da Roma: arrivati direttamente dal sancta sanctorum grillino. Perché Giuseppe Conte, nel pantano della baruffa giudiziaria che lo ha investito, ora si muove sulle uova: "Meglio evitare ulteriori grane. Usiamo un altro simbolo".
Prima di ogni altra cosa, è opportuno tranquillizzare Antonio Caso (che nel 2017 era il candidato sindaco del M5S a Pozzuoli ed è stato eletto consigliere in quell'occasione, ottenendo la sua lista il 7,78%): per conto di chiunque sia stato presentato, il simbolo è decoroso e fa una figura migliore rispetto a vari contrassegni elettorali presentati altrettanto in fretta e furia da amministratori che mettono insieme liste destinate a essere viste e votate da alcune centinaia di persone (gli aventi diritto al voto nella città metropolitana di Napoli sono 1543) e dimenticate piuttosto in fretta. In ogni caso, considerando che le 78 firme devono essere raccolte e consegnate entro le ore 12 del 21 febbraio, il tempo per ottenerle non è moltissimo.
In qualche modo la scelta di non presentare il simbolo del M5S ricorda i tempi passati, nei quali il MoVimento sceglieva di non partecipare alle elezioni provinciali, ritenendo che quell'ente non avesse ragione di esistere; da tempo il M5S partecipa comunque . L'effettiva ragione alla base di una diversa scelta grafica (pur se riconoscibile) starebbe invece, secondo l'articolo, nella delicata situazione associativa e statutaria del momento: la presentazione di un simbolo diverso da quello ufficiale (o comunque di una delle varianti che si sono impiegate nel corso del tempo) sarebbe stata concordata da Paola Taverna (che, in base all'organigramma di ottobre, sarebbe vicepresidente vicaria del M5S) e da Roberta Lombardi (responsabile del comitato Enti locali). In particolare, posto che l'impiego dell'emblema ufficiale del MoVimento sarebbe stato rischioso (qualcuno avrebbe potuto contestare il titolo della lista a fregiarsi di quel simbolo), sarebbe stato più sicuro schierare un contrassegno nuovo; questo avrebbe potuto comunque contenere alcuni elementi che permettessero ad elettrici ed elettori di questo voto di secondo grado di riconoscere la provenienza della lista.
Oggettivamente sarebbe stato difficile immaginare in concreto qualche ricorso consistente in quest'occasione: i semplici iscritti non avrebbero avuto titolo di contestare l'ammissione di una lista o di un contrassegno, così come chi scrive avrebbe ritenuto improbabile qualche azione legale in sede amministrativa da parte di consiglieri del M5S (in qualità di elettori). Certo però la prudenza non è stata eccessiva, considerando che la lista avrebbe dovuto produrre l'autorizzazione, con tanto di firma autenticata, all'uso del simbolo del MoVimento (quale partito rappresentato in Parlamento) da parte della figura di vertice del soggetto politico, che a livello nazionale al momento non esiste (non è mai stato eletto il comitato direttivo e nemmeno il soggetto chiamato a fare da rappresentante legale al suo interno); la presentazione di un simbolo diverso da quello di partito, invece, non richiede particolari formalità (la lista è presentata dai suoi candidati e sottoscrittori, non da un partito), così Antonio Caso si è messo al lavoro (anche perché, come racconta lui stesso, bisognava raccogliere di nuovo le firme su moduli con il simbolo nuovo, quindi il tempo era davvero poco). Certamente qui non si rischia che qualche soggetto apicale del M5S (secondo il nuovo statuto, sospeso, o secondo quello precedente) si lamenti dell'uso delle 5 stelle nel simbolo, compresenti con la parola "Movimento" (scritta in modo diverso e accompagnata ad altri elementi), né ci saranno problemi di ammissione dell'emblema.
Più delicato è il futuro, con riguardo alle elezioni amministrative: a livello comunale, infatti, è molto più facile attendersi ricorsi (anche per chi avesse interesse per altri motivi a far invalidare il risultato elettorale: potenzialmente basta essere cittadini elettori per lamentare come l'ammissione indebita di una lista abbia falsato l'esito del voto). Per qualcuno il simbolo M5S può essere meno forte di un tempo, dunque il cambio di simbolo non sarebbe traumatico; per altre persone invece il fregio nazionale resta un elemento di riconoscibilità, che sul territorio è in grado di ottenere voti - non sempre nella stessa misura - a prescindere dalle persone che lo impiegano, per cui cambiare emblema potrebbe essere un autogol (perfino più concreto del rischio di ricorsi).
Nel frattempo, non è passata sotto silenzio la decisione con cui il Consiglio di garanzia - cioè l'organo giurisdizionale interno del Senato - ha dichiarato nulle le espulsioni di sei tra senatrici e senatori (Barbara Lezzi, Elio Lannutti, Rosa Silvana Abate, Luisa Angrisani, Margherita Corrado e Fabio Di Micco) dal gruppo del MoVimento 5 Stelle a Palazzo Madama. Non si tratta, in effetti, di una notizia del tutto nuova: già il 22 dicembre scorso l'organo di autodichia si era pronunciato, ribaltando la decisione che la Commissione contenziosa aveva preso il 26 maggio 2021, quando non aveva accolto il ricorso che quegli stessi membri del Senato avevano presentato contro il provvedimento della Presidente del Senato con cui il 24 febbraio 2021 erano stati iscritti d'ufficio al gruppo misto e, a monte, contro le espulsioni dal gruppo senatoriale del M5S (dopo il mancato sostegno al governo Draghi). Di fatto, però, solo il 9 febbraio si è conosciuto il contenuto della decisione con cui il collegio di cinque senatori si è espresso in secondo grado sul ricorso: un provvedimento davvero importante e interessante per i giuristi, anche perché in primo grado la Commissione contenziosa aveva dichiarato inammissibile il ricorso, ritenendo - tra l'altro - di avere seri dubbi sulla propria giurisdizione (non riguardando il ricorso alcun atto dell'amministrazione parlamentare) e comunque di non poter giudicare né l'annuncio dell'iscrizione al gruppo misto dei parlamentari espulsi, né gli atti interni ai gruppi parlamentari, qualificati come "soggetti interni alle Camere che svolgono funzioni parlamentari, meramente politiche, e non anche amministrative" (in altre vicende, peraltro, i giudici ordinari avevano escluso che toccasse a loro occuparsi delle espulsioni dai gruppi delle Camere: si veda in particolare l'ordinanza n. 6458/2020 delle sezione unite civili della Cassazione, pronunciata su ricorso del senatore Gregorio De Falco e ben commentata da Daniele Coduti).
Per prima cosa il Consiglio di garanzia ha richiamato le varie tesi delle studiose e degli studiosi sulla natura dei gruppi parlamentari: parlando per sommi capi, c'è chi li ritiene istituzioni dell'ordinamento parlamentare (dunque "strumenti" delle Camere, chi li vede come associazioni di diritto privato (proprio come i partiti), chi ancora individua una natura intermedia e ibrida, per cui i gruppi sarebbero "associazioni di natura privatistica quanto alla loro struttura di base ed alle tipologie di rapporti che possono intrattenere nei confronti dei terzi, ma sarebbero al contempo soggetti a vincoli giuridici di natura pubblicistica" per i compiti svolti nelle Camere, essendo anche soggetti collettivi costituzionalmente necessari. Sarebbe questa, per il collegio di giustizia interna, la tesi da preferire: il ruolo essenziale svolto nella vita parlamentare basterebbe per escludere la giurisdizione del giudice ordinario; la necessità di non lasciare senza tutela (cioè "senza giudice" e senza contraddittorio) i ricorsi dei parlamentari contro gli atti del proprio gruppo da questi ritenuti lesivi ha fatto decidere al Consiglio di garanzia di avere titolo di esprimersi sul ricorso (cosa di cui era convinta, peraltro, anche la difesa del M5S nella "causa De Falco" e che avrebbe evitato pericolose intromissioni dei giudici ordinari nella vita parlamentare interna).
Sul piano del merito, il Consiglio di garanzia ha sostanzialmente confermato di non poter decidere sull'annuncio della presidenza del Senato circa l'iscrizione al gruppo misto delle senatrici e dei senatori espulsi dal gruppo M5S: si sarebbe trattato appunto di un annuncio, frutto automatico dell'applicazione delle norme del regolamento di Palazzo Madama (per cui, in base all'art. 14, tutti i senatori debbono appartenere a un gruppo parlamentare e chi non ha fatto alcuna dichiarazione di appartenenza viene iscritto ipso facto al gruppo misto) e senza alcuna valutazione sindacabile. Diverso è stato il discorso per i provvedimenti di espulsione dal gruppo del MoVimento 5 Stelle: a detta del collegio, le disposizioni del regolamento del gruppo del M5S Senato "evidenziano [...] un penetrante potere decisionale degli organi del movimento sul gruppo e l'assenza di garanzie per i membri del gruppo che siano sanzionati", facendo sorgere dubbi di compatibilità con i regolamenti parlamentari e le norme costituzionali; è vero che non sono previsti meccanismi di controllo del Senato sui regolamenti dei gruppi, ma per il Consiglio di garanzia "sarebbe necessario che i regolamenti dei gruppi parlamentari delineassero un iter per l'adozione delle sanzioni che sia effettivamente interno al gruppo e non il mero riflesso della decisione di soggetti ad esso esterni", garantendo anche il diritto di difesa del parlamentare sanzionando e assicurando il coinvolgimento "dell'assemblea degli iscritti al gruppo come forma di appello avverso le sanzioni comminate".
A nulla importa, insomma, che l'eventuale espulsione avvenga conformemente alle regole del gruppo (prese dunque sul serio): il problema è che quelle regole, secondo il giudice d'appello interno di Palazzo Madama, non vanno bene, perché non tutelano in modo adeguato il parlamentare sottoposto a iter sanzionatorio, siccome "manifestano una connessione tra il gruppo ed il movimento talmente stretta da causare una prevalenza dei vertici del secondo sul primo". Non potendo dunque invalidare (anche solo in parte) il regolamento del gruppo, il collegio di senatori ha colpito i provvedimenti di espulsione, ritenendo violati l'art. 15 del regolamento senatoriale (sulla convocazione, costituzione e regolazione dei gruppi, anche se non si chiarisce quale comma sia violato esattamente: forse quelli che riguardano le variazioni nella composizione dei gruppi e l'adozione del regolamento di gruppo, senza che peraltro quei commi parlino di procedimenti sanzionatori) e gli articoli 49 e 67 della Costituzione (in materia di democrazia dei e nei partiti e di divieto di mandato imperativo). Non per questo, ovviamente, l'espulsione smette di essere un atto politico (il che, inevitabilmente, rende molto delicata la soluzione individuata dal collegio); di fatto è un atto politico con conseguenze giuridiche, che vengono rimosse non perché difformi rispetto alle regole da applicare, ma perché conformi a regole ritenute sbagliate (ma che al momento non possono essere demolite). Si tratta di una costruzione argomentativa un po' complessa e, forse, non pienamente lineare, anche se era importante tutelare i principi di democrazia interna (che dovrebbe valere nelle articolazioni delle assemblee democratiche, ma anche nei partiti) e di libertà dal vincolo di mandato.
In effetti la decisione fa un po' di confusione, parlando di annullamento delle espulsioni nella motivazione e di nullità nel dispositivo (i giuristi conoscono la differenza), ma in concreto questo ha avuto come conseguenza la "immediata reintegrazione nel gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle" degli appellanti. Bisogna dire che le senatrici e i senatori che avevano presentato il ricorso in realtà sono tuttora parte del gruppo misto al Senato e, di fatto, non lo hanno mai lasciato dalla fine di settembre. In effetti l'affermazione non è esatta, perché non tiene conto del fatto che il 27 gennaio 2022 tutte/i coloro che in base alla decisione del Consiglio di garanzia dovevano essere reinseriti nel gruppo del MoVimento 5 Stelle avevano concorso, insieme ad altre quattro persone, alla formazione del gruppo CAL (Costituzione, Ambiente, Lavoro) - Idv, (auto)scioltosi peraltro nel giro di una manciata di ore. In ogni caso, a distanza di quasi due mesi dalla comunicazione del dispositivo, la decisione è rimasta inattuata (e può essere che le stesse persone che avevano fatto ricorso non abbiano insistito per rientrare nel gruppo): tra le varie vicende giuridiche delicate, ancora da risolvere nell'ambito del MoVimento 5 Stelle c'è anche questa.
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