giovedì 16 giugno 2016

Comunisti unitari, quando le bandiere si fecero curve

Di falci e martelli, negli anni, se ne sono visti tanti: qualcuno più duraturo, qualcuno più evanescente, quasi meteorico nel firmamento dei simboli. A volte, per dire, quando alla nascita fragorosa di un gruppo ne segue un'altra - quasi altrettanto drammatica - a distanza di pochi anni, tutto ciò che accade nel mezzo rischia seriamente di non farsi ricordare, di lasciare tracce destinate a sparire in fretta. Qualcosa di simile sembra accaduto al Movimento dei comunisti unitari, durato poco meno di tre anni ma quasi finito nel dimenticatoio, oggetto di studio per gli storici, i politologi e i drogati di politica.
Il partito nacque nel 1995, ma per inquadrare bene la storia si deve tornare alle ultime settimane dell'anno di scarsa grazia 1994. Dopo la frattura dolorosa dell'inizio del decennio, il Partito democratico della Sinistra e Rifondazione comunista avevano cercato, per lo meno, di lavorare insieme per un risultato comune: erano stati loro il perno del "cartello" dei Progressisti, ma la loro "gioiosa macchina da guerra" a trazione Occhetto non riuscì a vincere (in effetti non aveva nemmeno perso del tutto, visto che al Senato il centrodestra all'inizio non aveva la maggioranza). Fu così che la sinistra, dai banchi dell'opposizione, assistette all'ascesa al governo di Silvio Berlusconi (la prima volta di un rito che si sarebbe ripetuto in seguito) e al suo percorso accidentato, sino alle dimissioni dell'esecutivo a fine dicembre, soprattutto grazie allo sfilarsi della Lega Nord dalla coalizione di governo. 
Pds e Rifondazione - di cui era diventato da poco segretario Fausto Bertinotti - in qualche modo festeggiarono, ma non c'era tempo da perdere: occorreva decidere cosa fare, se tornare al voto o tentare di formare un altro governo. Berlusconi esigeva le elezioni anticipate, il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro non volle assolutamente sciogliere le Camere, convinto che ci fossero le condizioni perché da lì uscisse una nuova maggioranza. In effetti uscì, con il sostegno al ministro del tesoro uscente, Lamberto Dini: lui formò un esecutivo dal profilo "tecnico", contando sull'appoggio di Pds, Ppi, Patto Segni, varie forze laiche e di chi era rimasto nella Lega (Forza Italia, An e altri partiti di centrodestra, che quel nuovo esecutivo lo tolleravano senza entusiasmo, si erano astenuti). 
Dini entrò dunque nella pienezza dei poteri all'inizio di febbraio del 1995, ma tra i commentatori qualcuno puntò gli occhi su cosa stava accadendo tra le file di Rifondazione comunista: al Senato Umberto Carpi votò la fiducia (e fu sanzionato), alla Camera un bel gruppo di rifondatori, pur respingendo la mozione per disciplina di partito, sottoscrisse un documento contrario alla linea ufficiale. Era il primo segno, inequivocabile, di una frattura nel partito: tempo qualche settimana e, nel voto su una questione di fiducia, il governo resse solo grazie all'appoggio di alcuni parlamentari del Prc. La scissione era servita: a giugno lasciarono il partito il capogruppo alla Camera Famiano Crucianelli, figure importanti come Lucio Magri e Luciana Castellina e una ventina di dirigenti presero una strada diversa. Si era appena consumata una spaccatura, ma vollero chiamarsi comunque Comunisti unitari.
Simbolicamente, Crucianelli - che del movimento divenne coordinatore nazionale - e gli altri non vollero rinunciare alla bandiera rossa con falce, martello e stella e nemmeno all'accoppiata con il tricolore; vollero richiamare il vecchio Pci mettendo le aste a entrambi i vessilli, ma cercarono di modernizzare il tutto dando alle bandiere una forma concava e - onde evitare scocciature sulla confondibilità dei segni - tinsero di blu il fondo. Nel 1996, nonostante la loro scelta, l'esistenza del governo Dini si concluse e si tornò al voto: i comunisti unitari portarono a casa otto seggi, sia pure schierando i propri candidati nelle liste del Pds. 
Quando, due anni dopo, il partito della quercia pensò di evolversi, per costituire un soggetto nuovo che riaggregasse quell'area politica, c'erano anche i Comunisti unitari tra i fondatori dei Democratici di sinistra (con Pds, Cristiano sociali, Riformatori per l'Europa, Sinistra repubblicana, Federazione laburista e Agire Solidale). Si chiuse così la parabola di un partito che un minimo di strada l'aveva fatto (alcuni degli eletti avrebbero continuato, nei rispettivi gruppi/partiti di appartenenza); le bandiere concave, tuttavia, non sono state dimenticate da chi la politica la segue davvero

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