In pieno silenzio elettorale non voglio parlare di cose che, in un modo o nell'altro, possono avere influenza sulle sfide amministrative che si decideranno domani con il ballottaggio. L'occasione, dunque, può essere buona per guardarsi intorno e trovare altri spunti interessanti. Scartabellando qua e là, scopro che da poche settimane è resuscitato il simbolo della Lista Referendum, costituita ad hoc per le elezioni politiche del 1992. Se ne fregia Giovanni Negri, segretario del Partito radicale dal 1984 al 1988 (l'ultimo prima della trasformazione in Partito radicale transnazionale), europarlamentare tra il 1988 e il 1989 e, appunto, tra i promotori della Lista Referendum voluta da Massimo Severo Giannini.
Da anni Negri era impegnato essenzialmente a produrre vino e a scrivere libri, ma ora ha scelto di combattere di nuovo, anche per dare continuità a quella battaglia condotta all'inizio degli anni '90 (e, volendo, anche prima). Sulla pagina Facebook Radicali per il Sì - Sì per i Radicali rivendica innanzitutto di aver promosso "i referendum Segni, i referendum Giannini, i referendum Tortora" per "dare al Paese una democrazia moderna e bipartitica, mandare a casa la partitocrazia spartitoria il cui debito pubblico ci incatena ancora oggi", per avere "più Stato ma meno Partito" e arrivare allo Stato di Diritto, all'equilibrio dei poteri.
Negri, mettendo in guarda da "tutte le ombre lunghe, i mandarini, gli immobilisti, le voglie di rese dei conti, i gattopardi, gli interessi di chi vuole inchiodare la Repubblica a questo malinconico Macondo" che si starebbero affollando intorno al referendum costituzionale, ha scelto di schierarsi dalla parte del "sì". Perché "la nuova legge elettorale non trasformerà il rospo in principe, né la riforma costituzionale muterà i topolini nei destrieri di Cenerentola. Però ci sono", non sono perfette ma danno effetti desiderabili, come liberare il sistema politico "dal proporzionale spartitorio e dalle porcellate" e indurlo al bipartitismo, ridando poi allo Stato "poteri troppo superficialmente delegati a Regioni spesso deresponsabilizzate".
Il sostegno alla riforma è espresso "da Radicale e spero con tanti altri radicali, perché io non so definirmi in altro modo"; Negri punta a "fare uscire dalla marginalità, da un cono d’ombra, dalla malinconia [...] soprattutto una storia politica e una vicenda umana - quella radicale, appunto [ndb] - che può guardare diritto negli occhi ciascun italiano". Lo scopo non è candidarsi o essere eletto di nuovo da qualche parte, precisa, né puntare a controllare "le radio, le frequenze ed antenne, le sedi e gli immobili" (della galassia radicale) che sono – letteralmente – affari altrui. Semplicemente, rivendica la propria storia e le sue convinzioni: "siamo radicali dalla Marianna alla Rosa nel Pugno - spiega - siamo radicali perché questo è anche un modo di vivere e di essere, orgogliosi di quella che fu una forza povera e nobile ma umili quanto basta per ascoltare, capire anche chi è più diverso e lontano da noi". Non a caso, dopo avere ricordato l'epopea delle cataste di firme raccolte con poche forze, delle veglie, dei digiuni e dei sit-in, Giovanni Negri conclude convinto: "Coraggio. Vedrete come faremo in fretta a ritrovarci, a consegnare la parola Radicali non al passato ma al futuro. Un futuro del quale non abbiamo paura".
Per fare tutto questo, dev'essere risultato praticamente ovvio a Negri ritirare fuori l'emblema dell'ultima grande battaglia politico-referendaria condotta: quella, appunto, della Lista Referendum del 1992. Tutto bene e tutto tranquillo? Insomma, perché quello non era il simbolo di quel gruppo - emblema che tra l'altro nel 1992 irritò alcuni dei referendari di allora, Mario Segni compreso: sentendosi defraudati dell'iniziativa, tentarono inutilmente di mettersi di traverso - ma la sua versione elettorale. Questa, oltre al "Si" gigantesco bianco su fondo arancione, con la scritta "Referendum" sovrimpressa, conteneva anche la corolla della rosa radicale (senza pugno e senza foglie), concessa dal Partito radicale transnazionale (lontano dalle elezioni, ma ancora presente in Parlamento dopo il voto del 1987) in extremis, mentre non era ancora scaduto il termine per depositare i contrassegni al Viminale, al solo scopo di evitare la raccolta delle firme.
La prima versione del simbolo |
Non stupisce che Negri abbia voluto usare proprio quel disegno con la rosa (e non la prima versione che ne era prima ed era stata già depositata al ministero), visto il suo esplicito riferimento alla propria storia radicale; tanto però è bastato perché in rete una parte dei radicali protestasse in modo vibrato, lamentando un'usurpazione del segno storico di quell'area, che il Partito radicale aveva mutuato - con varie traversie che ho raccontato altrove - dal Psf di Mitterand negli anni '70 e aveva utilizzato per anni.
Ora, è vero che qui non c'è nessuna competizione elettorale di mezzo (se non il referendum, che però non prevede l'uso di simboli), dunque non valgono le regole dettate per i contrassegni; è altrettanto rispettabile l'intento di Negri di rifarsi alla sua storia radicale. E' altrettanto certo, tuttavia, che l'uso di quella rosa non pare del tutto opportuno: un comunicato radicale, tuttora leggibile sul vecchio sito dell'area, ricorda come, nell'impossibilità di raccogliere in pochissimi giorni le firme richieste ai nuovi soggetti politici e per la necessità di tenere aperti il più a lungo possibile gli elenchi di candidati, la Lista Referendum avesse "chiesto al Partito Radicale, che come noto non si presenta alle elezioni, di consentirci l'esenzione dalla raccolta di firme suddette - come la legge gli consente di fare con la conseguente aggiunta (che la legge prescrive) - nel contrassegno della lista referendaria di una parte del simbolo del P.R., la rosa" e che "il Partito Radicale, in armonia con tutta la sua lunga storia di servizio e di battaglie democratiche [...], ha deciso di acconsentire alla richiesta della Lista Referendum di Massimo Severo Giannini".
Appare chiaro, dunque, come la concessione di parte del simbolo del Pr sia stata fatta - oltre che per la presenza in lista di radicali come Negri - all'esclusivo scopo "tecnico" di evitare la raccolta delle sottoscrizioni (lo stesso avvenne per la Lista Pannella, che si esentò dalle firme inserendo l'intera "pulce" degli Antiproibizionisti sulla droga, rappresentati a Strasburgo): la rosa, insomma, sarebbe stata concessa una tantum, in modo precario e al più per la durata di quella legislatura, ma non era certo diventata parte stabile del simbolo della Lista Referendum (che, peraltro, nemmeno riuscì ad approdare in Parlamento). Tutto, naturalmente, sarebbe giuridicamente ineccepibile se l'uso della rosa fosse stato richiesto a monte all'attuale titolare del segno, ossia la Lista Pannella - che, nel frattempo, ha come nuovo presidente Maurizio Turco - e questa avesse dato l'assenso: ciò potrebbe anche essere accaduto, ma non c'è modo di verificarlo. Per evitare grane di qualunque tipo, tra l'altro, sarebbe bastato anche solo far ridisegnare quella corolla di fiore con una foggia diversa: il riferimento radicale sarebbe stato colto comunque, ma nessuno se ne sarebbe potuto lamentare.
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