Di liste al suo seguito ne aveva tre in meno del suo principale concorrente, Piergiorgio Massidda, ma è riuscito a vincere ugualmente e a riconfermarsi sindaco di Cagliari già al primo turno, sia pure per un soffio. Massimo Zedda ha di che essere contento, visto che a lui è riuscito quello che non è riuscito a nessun altro aspirante sindaco delle grandi città (specialmente a coloro che cercavano la riconferma). Di certo, però, il suo risultato dipende anche dalle liste più piccole che, con il loro apporto, hanno permesso a Zedda di superare il 50% dei voti validi: anche se il suo 50,86% è maggiore del 47,74% della coalizione (e, per evitare il ballottaggio, conta solo il primo dato, che beneficia anche dei voti dati al solo sindaco e del "voto disgiunto"), dev'essere grato a ciascuno degli undici simboli che aveva al suo seguito, anche a chi ha portato lo 0,80% e lo 0,86%.
E' il caso, rispettivamente, di Cittadini per Cagliari (572 voti) e dell'Unione popolare cristiana (610). E se il primo simbolo è noto, se non altro perché è la declinazione cagliaritana dell'ultima evoluzione di Scelta civica, il secondo è certamente meno noto, con le dodici stelle ad arco su una corona blu e un tricolore nel mezzo. Vietato confonderlo con la Federazione dei Cristiano popolari di Baccini (che pure ha ingredienti simili): l'associazione è stata costituita a settembre del 2009, ha come segretario politico proprio un sardo, Antonio Satta (già vicesegretario Udeur, fedele a Prodi all'atto del ritiro della fiducia al governo, nel sito del partito si autodefinisce "autonomista, popolare e federalista convinto"), e si propone di "promuovere la partecipazione dei cittadini alla vita democratica del Paese", con l'aspirazione di favorire di nuovo l'unità di un mondo cattolico affetto da diaspore e scissioni ormai da lungo tempo.
Hanno dato il loro contributo anche il Centro democratico (1,21%, 866 voti), il cui contrassegno è stato personalizzato lo stretto indispensabile (con l'inserimento della parola "Sardegna", nemmeno "Cagliari") e gli unici due simboli della scheda che contenevano la falce e il martello. Da Rifondazione comunista e dal Partito comunista d'Italia - in procinto di ricostituire il Pci - sono arrivati, rispettivamente, 802 (1,12%) e 1158 voti (1,62%): non sono stati sufficienti a eleggere nemmeno un consigliere comunale (che con una lista unitaria sarebbe invece arrivato), ma sono stati determinanti per non far scattare il ballottaggio, dunque Zedda dovrebbe tenerne in qualche modo conto.
Se i due risultati migliori della coalizione sono arrivati dal Pd e da Sel, partito da cui Zedda proviene, le altre forze di maggioranza che riusciranno a entrare in consiglio sono tutte ben radicate in Sardegna (e solo lì), a partire dal Partito sardo d'azione, che con il suo logo tradizionale della croce rossa con i quattro mori ha ottenuto 4 seggi, superando di poco il 7% dei voti di lista. Si tratta ovviamente di un emblema forte di per sé, l'unico - della coalizione, ma anche di tutta la scheda elettorale - a non contenere al suo interno alcun elemento testuale: in fondo non ha bisogno di dichiarare chi sia, essendo sufficiente il simbolo "storico" e ben rodato a ottenere il consenso necessario.
Il tema del moro, peraltro, è da tempo presente in un altro simbolo, quello dei RossoMori, partito nato nel 2009 come scissione dal Psd'az e che si qualifica come "socialmente progressista, di sinistra e nazionalmente sardo", impegnato ad attualizzare "i postulati politici del sardismo, del socialismo e dell'azionismo" nel segno di figure come Emilio Lussu - non a caso RossoMori era l'appellativo dei militanti sardisti che resistettero contro lo squadrismo fascista e la dittatura di Mussolini, difendendo "la libertà e i diritti del popolo sardo e delle masse lavoratrici" - Camillo Bellieni, Antonio Gramsci e Antonio Simon Mossa. Radici ben piantate nel passato, ma con lo sguardo attento (visto che la benda, tra l'altro, non copre l'occhio).
I RossoMori hanno portato a casa il 2,82%, poco meno del 2,87% ottenuto da La Base - Sardegna vera, movimento nato nell'isola per l'opera di "un gruppo di persone che vuole riportare la politica alla portata dei cittadini, dei lavoratori, degli studenti e di tutte quelle categorie che dalla politica della casta non si sentono più rappresentate" e guidato da Efisio Arbau: nello statuto si legge che obiettivo di La Base è "l'autodeterminazione della nazione sarda e la felicità dei sardi" e che il movimento è fondato "sulla persona. Esiste se esistono persone che propongono, criticano e si candidano a portare le idee de La Base nelle istituzioni". L'emblema si era già visto alle politiche del 2013, in modo particolare al Senato, ed è decisamente semplice: sul sito è descritto come "scritta in bianco “La Base, Sardegna” su uno sfondo rosso-verde" (evidentemente in questo caso è stato aggiunto l'aggettivo "vera").
In consiglio comunale ci sarà spazio anche per il Partito dei Sardi, che ha ricevuto il 2,32% dei voti (che si traduce in un seggio, tanto quando hanno avuto La Base e i RossoMori). Segretario della formazione è Franciscu Sedda, presidente è Paolo Maninchedda, entrambi docenti universitari; anche qui alla base c'è il concetto di "Nazione Sarda", che secondo i due dirigenti "è fondata sulla volontà dei sardi di essere liberi, solidali e organizzati in uno Stato giusto". Non a caso, "Facciamo lo Stato" è lo slogan contenuto anche nel simbolo, che oltre al nome ospita la sagoma della Sardegna, al centro delle dodici stelle d'Europa. I cittadini di Cagliari devono avere colto il messaggio, al punto da decidere che anche il Partito dei Sardi li avrebbe dovuti rappresentare in consiglio, a sostegno di Zedda.
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