domenica 27 settembre 2020

Simboli sotto i mille (2020): Carbone, estraneo che vince... si dimette (di Massimo Bosso)

Poteva forse mancare quest'anno l'aggiornamento sulle elezioni nei comuni sotto i mille abitanti, con le liste presentate senza bisogno di raccogliere le firme? Ovviamente no: quel mondo è cambiato, si è ridimensionato negli ultimi anni (anche per l'uscita di scena di vari personaggi che si erano particolarmente espressi nella presentazione di liste, soprattutto in Piemonte), ma merita ancora di essere raccontato. Sia perché qualcuno ci crede ancora, perfino su scala nazionale, sia perché qualche caso è davvero clamoroso. E visto che uno di questi è balzato all'attenzione dei media, dobbiamo stravolgere la geografia e partire non dal Nord del sempreverde Piemonte e nemmeno dal Centro del Molise (per anni vera "terra di meraviglie" per gli osservatori compulsivi delle elezioni "sotto i mille"), bensì dal Sud. 

La prima tappa del nostro viaggio non può che essere Carbone, piccolo comune in provincia di Potenza, 1033 elettori, ma con una popolazione di 705 abitanti in base al censimento del 2011 (quello che tuttora fa fede per decidere quali regole si applicano per le elezioni comunali); la differenza, incidentalmente, è anche dovuta all'elevato numero di iscritti all'Aire, l'Anagrafe degli italiani residenti all'estero (al Centro-Sud accade spesso). Nel 2015 aveva votato solo il 33,52% degli aventi diritto, ma la presenza di due liste locali non aveva creato alcun problema di quorum. Il sindaco uscente, Mario Chiorazzo, aveva però appena concluso il terzo mandato e non si sarebbe potuto ricandidare; si era reso così necessario trovare un'altra persona disponibile. Questa era stata individuata in Nicola Consiglio, che tra l'altro era stato sindaco nel 2000; la lista Uniti per Carbone - che come simbolo aveva una foto del paese ritagliata sul profilo tridimensionale della Basilicata, per ricordare che anche i piccoli comuni, sempre più svuotati dall'immigrazione e sempre più poveri, avevano bisogno di attenzione - era stata formata, ma essendo stata consegnata con un quarto d'ora di ritardo rispetto all'orario limite per la presentazione, dunque è stata esclusa. 
Il fatto era che, nelle ore precedenti, erano state presentate altre due liste che, invece, non presentavano alcun vizio formale nei pochi documenti necessari per concorrere. Non si dispone del manifesto delle candidature, ma gli articoli di cronaca che si sono già occupati del caso hanno parlato di persone che non solo non risiedono a Carbone, ma a quanto pare nemmeno sul territorio regionale (si sono indicate, in particolare, Calabria, Sicilia e Puglia come regioni di provenienza). La lista n. 2 era L'Altra Italia: la sua presenza non stupisce più di tanto, abituati come si è a vederla in molti comuni, soprattutto "sotto i mille" (se ne avrà la prova durante tutto il viaggio), così come non turba il vedere - come in passato - che ogni volta viene presentato lo stesso programma, prestampato, con lo spazio per indicare volta per volta il comune in cui ci si presenta. 
La lista n. 1, invece, era Onesti e liberi. Il nome formalmente è nuovo, non essendo stato incontrato fin qui; in ogni caso il simbolo dà l'impressione del "già visto", un po' perché la scritta nera in Arial Black su fondo giallo sembra davvero molto semplice e anonimo, un po' perché effettivamente la font e il colore ricordano assai da vicino la lista Obiettivo comune vista nel 2017 nel piccolo comune di Teana, sempre nel potentino (anzi, per l'esattezza Teana confina con Carbone). Allora quella lista non aveva raccolto nemmeno un voto (i consensi se li erano quasi equamente divisi le altre due formazioni in campo, chiaramente autoctone), questa volta invece le cose sono andate diversamente.
Posto che, come ormai ben sappiamo, quando le liste sono soltanto due le elezioni sono comunque valide, purché ci sia almeno un voto valido (è più facile che accada che una delle due liste non riceva voti, per cui resta senza seggi). Alla fine hanno votato in 175 aventi diritto (il 16,94%, mentre per il contemporaneo referendum si sono espressi in 217 su 517, con numeri diversi dovuti al voto per corrispondenza degli iscritti Aire): di quelle 175 persone, 59 hanno lasciato bianca la scheda, 24 l'hanno annullata, 78 hanno segnato il simbolo di Onesti e liberi (un numero enorme, a pensarci bene, per un candidato sindaco proveniente da Messina, che nessuno in paese conosce) e gli altri 14 hanno scelto L'Altra Italia. 
Per i #drogatidipolitica sarebbe fin troppo facile pensare a un bis del "caso Sambuco" del 2007, con la differenza che il sindaco eletto qui non era stato eletto con quattro voti validi su cinque, ma da 78 su 92 voti validi. In realtà uno scenario "simil-Sambuco" - con un sindaco "alieno" ben deciso a restare al suo posto anche a dispetto della volontà dei cittadini - non si verificherà: tempo un paio di giorni dalla proclamazione, infatti, e il sindaco neoeletto Vincenzo Scavello - che probabilmente non avrebbe voluto tutta questa pubblicità - ha prontamente presentato le dimissioni, alla pari dei consiglieri, provocando l'immediato commissariamento del comune e facendo decadere anche i consiglieri appena eletti da L'Altra Italia. 
Carbone, a questo punto, tornerà al voto in primavera e, nell'attesa, sorgono spontanee alcune domande: cosa avrà spinto 78 carbonesi a votare un perfetto sconosciuto? Perché hanno preferito lui al candidato dell'Altra Italia? (Forse, sapendo di dover scegliere tra due forestieri, elettrici ed elettori hanno scelto un simbolo non connotato politicamente e che lasciava ben sperare quanto a valori comunicati). Sopratutto, che senso ha candidarsi a una carica comunque importante (quella di sindaco) per poi rinunciare poche ore dopo un successo insperato? Certo l'episodio precedente del 2017 nella vicinissima Teana fa pensare a un disegno strutturato o comunque ben pensato. Viene facile pensare all'art. 81, comma 3 della legge n. 121/1981 (Nuovo ordinamento dell'Amministrazione della pubblica sicurezza), in base al quale "Gli appartenenti alle forze di polizia candidati ad elezioni politiche o amministrative sono posti in aspettativa speciale con assegni dal momento della accettazione della candidatura per la durata della campagna elettorale e possono svolgere attività politica e di propaganda, al di fuori dell'ambito dei rispettivi uffici e in abito civile"; garanzie assai più ridotte sono previste per i dipendenti pubblici. Non è dato sapere cosa abbia spinto alla candidatura Scavello e i candidati consiglieri della sua lista, né se qualcuno di loro appartenga alle forze di polizia. C'è solo la dichiarazione di Damiano Cosimo (Mino) Cartelli, fondatore e leader dell'Altra Italia, rilasciata a Gazzettadellavaldagri.it: "Fin dall'inizio abbiamo scelto di candidarci in tutta Italia. Mandiamo uomini di provata fede e legalità. I piccoli paesi hanno, in generale, tutti gli stessi problemi, quindi il nostro programma elettorale è il medesimo, perché tutte queste realtà in cui siamo presenti hanno problemi simili. Nella nostra lista non ci sono carabinieri o altri appartenenti alle forze dell’ordine che potrebbero fruire di aspettative pagate dallo Stato". Di queste parole si prende atto, intanto il mistero di Carbone continua.

Postilla di Gabriele Maestri: Già prima che si celebrassero le elezioni, il sindaco uscente Mario Chiorazzo - parlando con il sito LaSiritide - si era dichiarato perplesso di fronte a una norma che "dà la possibilità di poter presentare delle liste composte, come nel caso di Carbone, da persone che nulla hanno a che fare con la nostra comunità, alla comunità completamente sconosciute, che mai sono state nel nostro territorio, che ne ignorano la storia, la cultura, le tradizioni. [...] Tutto questo è legittimo, per carità. Una cosa, però, che la normativa non contempla ma che dovrebbe essere il suo complemento nella sua applicazione è un valore, questo valore si chiama 'etica'. Questo dovrebbe essere alla base sia se si tratta di uomini dello Stato e sia se si tratta di persone che presumono con superficialità di poter amministrare il Comune di Carbone da circa 400 chilometri di distanza, convinti che l’azione amministrativa di una comunità si possa fare in smart working". A spoglio completato e a dimissioni consumate, Chiorazzo ha dichiarato ad AdnKronos: "E' legittimo presentarsi, pure se non si è residenti, ma basta una piccola modifica [delle disposizioni, ndb]. Siccome per i Comuni sotto i mille abitanti non serve il numero di sottoscrittori della lista, basterebbe prevedere anche un minino di firmatari, 20 ad esempio. In questo modo si evita che persone di altre regioni, non interessate ad amministrare, vengano qui a presentare le loro candidature''.
In effetti, prima che venisse approvata la legge n. 81/1993 - quella che ha introdotto, tra l'altro, l'elezione diretta del sindaco - nei comuni sotto i duemila abitanti occorreva raccogliere dieci firme. Quando però la riforma delle norme elettorali di comuni e province arrivò in aula alla Camera per la prima volta, nel testo era già presente la disposizione oggi in vigore, in base alla quale "Nessuna sottoscrizione è richiesta per la dichiarazione di presentazione di liste nei comuni con popolazione inferiore a 1.000 abitanti" (art. 3, comma 2 della legge n. 81/1993). Quel testo non era spuntato a caso: era presente - salvo errore - in una sola delle proposte di legge che la commissione Affari costituzionali di Montecitorio dovette esaminare in materia di elezioni amministrative, cioè quella - la n. 1251 - che aveva come primo firmatario Adriano Ciaffi, assieme ad altri deputati della Democrazia cristiana. Lo stesso Ciaffi, peraltro, era presidente della citata commissione e, nel redigere il testo base, inevitabilmente considerò anche la sua proposta e la inserì.
Curiosamente, quella disposizione non venne motivata né nella relazione della proposta Ciaffi, né in quella di maggioranza che lo stesso Ciaffi presentò alla Camera; non se ne occuparono nemmeno le relazioni di minoranza (affidate a Mario Brunetti del Prc e a Domenico Nania del Msi). A dire il vero, non si trattò di una norma particolarmente avversata: se il primo comma dell'art. 3, che aveva previsto un numero di firme da raccogliere assai più elevato che in passato (al dichiarato scopo di ridurre la proliferazione di liste alle elezioni), era stato oggetto di oltre sei pagine di emendamenti, con riferimento al secondo comma erano state presentate solo due proposte emendative (quella della Lega Nord, a prima firma di Roberto Maroni, puntava a parificare i comuni "sotto i mille" agli altri, obbligando alla raccolta di firme; quella del deputato democristiano Raffaele Tiscar proponeva di esentare dall'obbligo di sottoscrivere la lista solo i comuni con meno di cento abitanti). Entrambi gli emendamenti furono bocciati il 12 gennaio 1993, ma anche in quel caso nessuno si premurò di spiegare in aula il senso della norma contestata o della modifica proposta.
In effetti, durante il dibattito in commissione Affari costituzionali, il deputato Diego Novelli (La Rete) notò l'inutilità della raccolta firme nei comuni più piccoli, "in cui tutti si conoscono". Le ragioni, tuttavia, erano probabilmente anche altre e chi vive o magari opera in paesi così piccoli le conosce o le comprende. Presentare liste nei "comunelli" è semplicissimo sulla carta, ma può comportare qualche problema: candidarsi per sfidare il sindaco uscente o con l'idea di prenderne il posto dopo il secondo mandato può far nascere o esacerbare tensioni in una microcomunità in cui tutti si conoscono. Anche il semplice gesto di sottoscrivere una lista, consentendole di presentarsi, può esporre chi firma ai giudizi delle persone, in particolare di chi lavora in comune o di chi lo amministra: il cittadino o la cittadina potrebbe non voler far sapere al sindaco uscente che sosterrà un suo avversario o che appoggerà una persona a questi non gradita (col rischio magari di compromettere sue successive richieste o anche solo i normali rapporti sociali di un minigruppo di persone); la questione sarebbe aggravata dal fatto che, in luoghi così piccoli, ad autenticare le firme davanti a chi sottoscrive dovrebbero essere per necessità funzionari comunali o gli stessi amministratori in carica. Queste ragioni concrete, unite al numero oggettivamente basso di sottoscrizioni da raccogliere, devono aver guidato il legislatore nell'approvare questa disposizione fin dal primo passaggio parlamentare, semplificando così il procedimento. Certo, né Adriano Ciaffi né tutti coloro che hanno accolto l'esonero dalla raccolta firme nei comuni "sotto i mille" avevano pensato che un giorno gruppi di persone provenienti da altre regioni si sarebbero candidati alla guida di un comune lontanissimo da loro, salvo poi dimettersi di corsa non appena vinta inaspettatamente la sfida. Si tratta di una situazione nuova, da valutare con attenzione: si può lasciare tutto così o si possono reintrodurre le firme da raccogliere, sapendo che una novità simile non piacerà nemmeno agli autoctoni.

Grazie a Nicola Consiglio per avere fornito il simbolo di Uniti per Carbone.

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