Nel paese in cui legioni di leoni-camaleonti da tastiera si trasformano senza problemi da virologi a costituzionalisti e viceversa - passando per i ruoli di economista, sociologo e per quello più classico e rodato di allenatore - non c'è da stupirsi che più di qualcuno possa avere l'idea di reinventarsi (non improvvisarsi eh, giammai!) politico. Costoro potrebbero unirsi a una formazione che già esiste oppure, ritenendo inutili e superate tutte le alternative in campo (e dire che in Italia sono così tante...), potrebbero volerne costruire una nuova, pensandola a loro immagine e somiglianza, ma adattandola cammin facendo per cercare di raccogliere il consenso di chi dovrebbe dare loro il voto.
A uno scenario simile avevano pensato già nel 2012 Antonio Guidetti e Mauro Incerti, brillanti attori e autori di teatro, con i piedi ben piantati nel territorio reggiano. Nelle ultime settimane di quell'anno, mentre erano agli sgoccioli tanto il governo "tecnico" di Mario Monti quanto la XVI legislatura e ci si preparava al voto, i due avevano immaginato e scritto l'avventura di due amici che si trovano al bar delusi dalla vita e dalla politica e, tra una chiacchiera qualunquista e l'altra ("pròm mia 'ndèr avanti acsé però... l'an dura mia, l'an dura" [mica possiamo andare avanti così però, non dura]), arrivano alla conclusione che potrebbero entrare in politica - e tentare, finalmente, di fare i soldi - anche loro due. Messe da parte le battute sull'Alitalia in fallimento e le incomprensioni sugli "esodati" della riforma Fornero, Carlo e Fausto si convincono che per farsi eleggere basti l'1% (e allora, con un po' di fortuna, alla Camera poteva essere vero, a patto di essere in coalizione e di essere la lista migliore della compagine tra quelle rimaste sotto il 2%): fatto qualche conto e immaginando che vadano a votare circa 35 milioni di italiani, si accorgono che l'1% corrisponde a 350mila persone, poco meno degli elettori della provincia di Reggio Emilia, e decidono di buttarsi nell'avventura politica.
Era nata così Anche noi fondiamo un partito... se catòm chi as dà i sold, novanta minuti all'insegna della comicità spruzzata di attualità (con un certo retrogusto amaro, che difficilmente manca): dopo averli messi in scena per la prima volta al Teatro Artigiano di Massenzatico (Re) il 30 dicembre 2012, Guidetti e Incerti li hanno replicati molte volte nel corso del tempo, sempre con un occhio attento alle nuove "perle" che la politica italiana finiva per riservare nei giorni precedenti lo spettacolo. La commedia per due in due atti merita di essere vista, dal vivo o su Dvd, quindi non si vuole togliere il gusto di scoprire come va a finire; qui ci si accontenta di ripercorrere le prime, esilaranti fasi nelle quali si determina l'identità del partito, simbolo incluso.
Carlo e Fausto cercano innanzitutto uno slogan che possa colpire e lo trovano in fretta, puntando tutto sulla schiettezza: "Cosa rischiate a votare per noi? Pes de' csè! [Peggio di così!]". La scelta del nome è più difficile: tira in ballo la collocazione, quasi tutte le combinazioni di parole e le sigle - quando non sono troppo complicate - sembrano essere già state esplorate e, in più, un riferimento a Reggio non può mancare. Nel tentativo di cercare una prima parte efficace, che dia l'idea di un nuovo inizio energico, in una sarabanda di accoppiate improbabili ("Dai Reggio!", "Sa spètet Reggio!", "Spingi Reggio!", "Cócia Reggio!... no, sembra al nòm d'un cesso!", "Dat 'na mósa Reggio!", "Schéla la mèrsa Reggio! [Scala la marcia Reggio!") improvvisamente spunta l'idea vincente: Wrooom Reggio. L'onomatopea del motore, messa per iscritto, può dare l'idea della ripartenza ed è sicuramente un'idea nuova, che tra l'altro può fare breccia in tutta la Motor Valley; in più, wrooom come suono somiglia molto a "vróm", che in dialetto reggiano significa "vogliamo", per cui è possibile una doppia lettura.
Decisa anche la denominazione, resta tutta da giocare la partita del simbolo, non meno difficile rispetto all'altra. Anche qui il rischio di "già visto" è fortissimo, soprattutto pescando dal mondo vegetale, fin troppo sfruttato in precedenza (tra querce, edere, ulivi, rose e margherite): per cercare di essere originali, si rischia di fare proposte decisamente inopportune (come il salice piangente o il cipresso), non riconoscibili (come un marugòun, una robinia) o semplicemente confuse e rischiose ("Mettiamoci una siepe, dietro ci siamo noi di Wrooom Reggio!" "Se siv dré fèr?" "Sòm dré caghèr!"). Meglio, forse, guardare al regno animale, stando attenti anche lì agli scivoloni dietro l'angolo: se una scimmia che salta qua e là "l'è 'n immagine tipo Scilipoti", un cane che lecca "al fa tròp Emilio Fede"; il leone che ruggisce potrebbe anche ricordare l'energia del motore, ma fa subito Metro-Goldwyn-Mayer, mentre una giraffa guarderà pure l'orizzonte, ma con Reggio non c'entra proprio nulla.
Già, perché se il nome sa di motore e di Pianura Padana, il simbolo non può essere da meno. Eppure basta pensarci un attimo e la soluzione è a portata di mano, anzi, di forchetta e coltello: per i due futuri politici, infatti, il vero "re di Reggio" è il maiale, al nimél, che è su tutte le tavole dei reggiani e porta avanti l'economia della zona. Messo subito da parte un fugace dubbio ("Al s' cunfònd cun Berluscòun!" "Basta paragonare il maiale a Berlusconi! Come pensi che si senta il maiale a essere paragonato a lui?? S'al pris parlèr! [Se potesse parlare!]"), la scelta del maiale sembra in fondo una buona soluzione, ma - ragiona Carlo - si rischia di fare un torto alle altre eccellenze del territorio reggiano: che dire del Lambrusco, del Parmigiano Reggiano e dell'erbazzone? Fausto non si perde d'animo e ha già la soluzione: disegnare il maiale in piedi e fargli tenere con una zampa una bottiglia di vino, con un'altra una punta di formaggio e con una delle due su cui si regge un pezzo di erbazzone.
In teoria questo potrebbe bastare, anche perché resta una sola zampa libera (e dovrebbe servire al maiale per reggersi), ma Carlo non demorde e piazza una domanda insidiosa: "E i cutrèis?" Già, i cutresi, molti dei quali dagli anni '60 si sono trasferiti a Reggio per lavoro, vi si sono stabiliti (al punto tale che una delle strade che portano verso il centro si chiama "via Città di Cutro") e hanno contribuito sensibilmente a costruire le case dei reggiani: è importante poter conquistare anche il loro voto. Anche qui, però, la soluzione si trova facilmente: l'ultima zampa, in un modo o nell'altro, può tenere una cazzuola. Certo, a quel punto non si sa bene come farà il maiale a reggersi in piedi, ma c'è un problema più grave da da affrontare: come ci si può dimenticare di un altro elemento fondamentale nato a Reggio, il tricolore? Ci vuole una soluzione, anzi, un colpo di genio: "Se l'Agip ha fatto un cane a sei zampe, nuèter fòm un nimèl a sinc gambi!"
Il frutto del "cantiere" per il simbolo (scena tratta dal dvd) |
Il simbolo sarebbe pronto, ma a entrambi gli amici appare troppo vuoto, troppo spoglio. Anche qui, però, la soluzione è bell'e pronta: piazzare il maiale e le altre eccellenze reggiane su uno dei più recenti luoghi emblematici di Reggio: i ponti di Calatrava, anzi, quello centrale, con la "vela" più larga. Si tratta dell'ultimo tocco che mancava, al quale si potrebbe giusto aggiungere - per i reggiani impenitenti - un fumetto per far vedere che il maiale, anche grazie al Lambusco, sa cantare: Fausto propone addirittura La Gigiasa in tal canèl, classico tradizionale della canzone popolare reggiana, nato come sfottò verso Maria Luigia, duchessa di Parma - ah, la mitica rivalità tra bagoloni e "teste quadre"! - e arrivato un po' dappertutto, dagli spogliatoi degli stadi ai concerti di Gaudio Catellani (che nel 2012 c'era ancora e - sia detto per inciso, ma neanche troppo - a chi scrive manca da morire...). Un simbolo più pigliatutto di così - ma quale catch-all, sempre questo inglese, al massimo ciàpa tót! - è impossibile immaginarlo.
Una personale rielaborazione, ovviamente non autorizzata |
Si ringraziano Antonio Guidetti, Mauro Incerti e Michele Casolaro per avere fornito il materiale legato allo spettacolo (senza ovviamente che la pubblicazione qui pregiudichi in nulla gli aventi diritto), nonché Donato Natuzzi per avere suggerito l'idea, più di tre anni fa.
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