venerdì 13 novembre 2015

Dario e Franca: i "misteri buffi simbolici" della coppia Fo-Rame

Era l'anno del Signore 2006. Si votava per rinnovare il Parlamento, ma anche le amministrazioni di varie città grandi, tra le quali Milano. I due contendenti principali, lo si è già ricordato, erano Letizia Brichetto Arnaboldi in Moratti per il centrodestra e Bruno Ferrante per il centrosinistra. Tra le liste a suo sostegno, anche quella di chi, poche settimane prima, era stato un suo sfidante (avversario sembra francamente una parola troppo forte): Dario Fo. Il nome del candidato dell'Unione, in effetti, era uscito dalle primarie e l'ex prefetto era riuscito a prevalere con una certa nettezza; a contendergli quel ruolo, tra gli altri, anche l'attore, che cinque anni prima aveva invece rinunciato alla corsa.
Quella volta, al contrario, si mise d'animo e si misurò con gli elettori di centrosinistra, portando a casa comunque il 23.1% dei voti. Fo, che aveva indubbiamente perso le primarie, evitò però di tendere tranelli a Ferrante e all'interno della coalizione di centrosinistra schierò una propria lista, Uniti con Dario Fo per Milano. Non stupisce che il nome fosse stato indicato in rosso, per dare un buon risalto rispetto alle altre scritte nere; la parte più interessante, tuttavia, riguardava la grafica scelta. 
Se salta all'occhio come le figure centrali siano reinterpretate in una logica "arcobaleno", una banda dopo l'altra, ancora più curioso è il monumento centrale del contrassegno. A meno di errori clamorosi, infatti, il palazzo di forma tondeggiante è esattamente quello della Città ideale, il quadro di autore ignoto che disegna il centro storico ideale e viene ripreso spesso come modello, perfezione ed equilibrio. Non sarebbe chiaro il motivo che ha portato Dario Fo - poi eletto consigliere - ad adottare quel tema, al di là dell'intenzione di rendere Milano una nuova "città ideale", all'insegna della pace e del pluralismo.
Nello stesso anno, 2006, Franca Rame era stata candidata dall'Italia dei valori ed eletta al Senato; pochi ricordano tuttavia che cinque anni prima era già scesa in campo, sempre nell'ambito del centrosinistra. Tra le liste a sostegno di Sandro Antoniazzi, sfidante perdente di Gabriele Albertini (che a Palazzo Marino era dunque stato confermato), spuntò anche un cielo stellato blu, con un nome insolito per le liste, ma decisamente evocativo, "Miracolo a Milano". 
Il film scritto da Zavattini, chiaramente, era poco più che una scusa per instillare l'idea del rinnovamento possibile e necessario in terra meneghina. Come se, in fondo, piazzare un pezzo di cielo stellato su un contrassegno (immaginato generosamente anche sopra il lettore) servisse a invitare il lettore al rispetto e all'ascolto della loro "legge morale". Sarebbe davvero stato un miracolo, di quelli potenti e difficili da cancellare.

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