Un sano ripescaggio degli episodi simbolici del passato può aiutare gli osservatori, i curiosi e gli interessati (perché stanno per presentare liste o perché studiano il fenomeno) a capire meglio le regole vigenti in materia di contrassegni elettorali e, soprattutto, il modo in cui vengono applicate. Si prendano, ad esempio, le elezioni comunali del 2006 a Milano, una consultazione che meriterà di essere frequentata più volte anche nei prossimi giorni.
Di candidati alla poltrona di sindaco, quella volta, se ne contarono ben dieci, i simboli a loro sostegno furono addirittura 34 e la loro disposizione obbligò le tipografie a conformare una scheda lunghissima, non proprio facile da piegare. Se però tutti gli occhi erano puntati sulla sfida tra Bruno Ferrante, già prefetto della Madonnina e candidato dal centrosinistra, e Letizia Brichetto Arnaboldi, coniugata Moratti, proposta dal centrodestra e vittoriosa al ballottaggio, qui vale la pena dare uno sguardo a uno dei candidati meno nominati, Ambrogio Crespi, colui che il sorteggio aveva destinato ad aprire la maxischeda elettorale.
Più che di Crespi (fratello del più noto Luigi, già patron di Datamedia), in realtà, vale la pena parlare dei due simboli che lo sostenevano. Uno era la crasi grafica dei Socialisti di Bobo Craxi (con la sola corolla del garofano su fondo rosso, visto che il Viminale pochi giorni prima aveva ritenuto che il gambo fosse un elemento di confondibilità) e della Federazione dei Liberaldemocratici di Marco Marsili, con il suo bird of liberty utilizzato anche dai Libdem britannici (e non solo). L'altra lista, invece, sembrava simboleggiata da un vero segnale di divieto. Era impossibile pensare ad altro, con quel cerchio bianco a pesante bordo rosso, che conteneva la dicitura "NO ICI" in un Helvetica Inserat decisamente schiacciato.
Quella fu la campagna elettorale che Berlusconi chiuse, nel secondo dibattito con Prodi, promettendo di abolire l'Ici, ma già prima da più parti si era chiesto di eliminare il balzello sugli immobili, piuttosto antipatico per molti. Fu lo stesso Marsili a cogliere questo sentimento e a decidere di trasportarlo in un emblema, con la speranza che gli elettori si riconoscessero in quella battaglia e ci mettessero una croce sopra. Le cose non andarono esattamente così: se il cartello I Socialisti - Liberaldemocratici prese 558 voti, No Ici si fermò a 353, sfiorando in entrambi i casi lo 0,1%.
Al di là del risultato di certo non soddisfacente, l'esperienza poteva comunque servire da lezione per chi, volendo protestare contro gli eccessi del prelievo tributario, sceglieva di tradurre la protesta in simbolo elettorale. Nessuno, infatti, bocciò l'emblema di Marsili, così come nessuno ha contestato negli anni il Basta tasse di Luciano Garatti: è nel diritto dei cittadini, infatti, non condividere il sistema di tassazione (chiedendo che sia reso meno duro e iniquo) o lamentarsi di singoli tributi, come appunto l'ex Ici. Diverso era invece citare un marchio registrato come Equitalia, cosa che ha fatto bocciare nel 2013 il contrassegno di Liberi da Equitalia, oppure dare l'impressione di difendere o incitare all'evasione fiscale: sempre Liberi da Equitalia era stato cassato anche per questo, assieme a Forza Evasori di Leonardo Facco e Giorgio Fidenato. Dare l'impressione di voler boicottare la riscossione dei tributi, dunque, non si può fare; criticare la macchina delle tasse o un suo specifico ingranaggio, al contrario, si può. A patto di pagare, ovviamente.
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