giovedì 24 maggio 2018

M5S, i giudici: "Consegnate all'associazione del 2009 i dati degli iscritti"

Non si è esaurita la querelle nata dal ricorso di alcuni iscritti al MoVimento 5 Stelle originario (la "non associazione" fondata di fatto nel 2009) volta a vedersi riconoscere l'uso esclusivo del nome e del simbolo, per inibirlo soprattutto all'associazione omonima fondata nel 2017 e di cui è legale rappresentante Luigi Di Maio. La XI sezione civile del Tribunale di Genova, dopo essersi occupata una prima volta del caso a marzo, oggi ha emesso una nuova ordinanza (di reclamo, in sede cautelare), con la quale ha parzialmente accolto le richieste di chi si riconosce soltanto nel MoVimento originario: pur non avendo ravvisato gli estremi per riconoscere loro l'esclusiva dei segni distintivi, i giudici hanno comunque ritenuto necessario che Beppe Grillo, come responsabile del trattamento dei dati personali del M5S, consegnasse al nuovo legale rappresentante della "non associazione" i dati degli iscritti di quest'ultima, per consentirle nuovamente di operare. Un risultato non secondario, che merita di essere analizzato meglio, all'interno di una decisione più complessa.

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Presupposto della vicenda processuale era stata la nomina da parte del presidente del Tribunale di Genova, il 12 gennaio, di un curatore speciale per il MoVimento 5 Stelle fondato nel 2009 (d'ora in avanti M5S-1), sulla base di un ritenuto conflitto di interessi di Beppe Grillo per il ruolo rivestito nei tre MoVimenti. 
Quello stesso curatore, l'avvocato Luigi Cocchi, si era poco dopo rivolto al medesimo tribunale, chiedendo che tanto a Grillo, quanto alle altre due associazioni denominate MoVimento 5 Stelle (fondate nel 2012 e nel 2017, rispettivamente M5S-2 e M5S-3) per tutelare il diritto al nome e al simbolo del M5S-1, fosse inibito l'uso del nome e del simbolo, cui lui riteneva avesse diritto la "non associazione" del 2009 (anche per proteggere l'identità personale di quest'ultima, oltre che la sua possibilità concreta di agire). In più, il curatore aveva anche chiesto che Grillo fosse obbligato a consegnare al M5S-1 le banche dati degli iscritti alla "non associazione" del 2009, perché i nuovi rappresentanti di questa potessero ricostituire i rapporti di comunicazione e informazione con i loro iscritti.
In sede cautelare (dunque in quel procedimento che precede il giudizio di merito e viene instaurato quando si teme che da una situazione - in questo caso, la confondibilità delle tre associazioni tutte chiamate M5S - possa sorgere un pregiudizio grave e irreparabile), il Tribunale di Genova si era già pronunciato il 27 marzo, rigettando nel merito tutte le domande dei ricorrenti. In particolare il giudice monocratico, da una parte, aveva ritenuto che ci fosse una differenza tra la "non associazione" del 2009 ("destrutturata") e quelle nate successivamente, qualificabili come partiti e come tali "con una indubbia evidenza di rilievo pubblico"; dall'altra, aveva sostenuto che il M5S-1 non avesse provato di essere titolare del nome e del simbolo o anche solo del diritto a usarli (in base al "non statuto" il titolare dei diritti d'utilizzo era Grillo, mentre in seguito lo sarebbe diventato il M5S-2). Quanto alla consegna dei dati degli iscritti, per il giudice la richiesta era parsa "sproporzionata e sbilanciata, in rapporto alle esigenze di tutela della privacy [...] per essere supportata da una quarantina di iscritti all'associazione, a fronte di circa 150mila".
L'ordinanza appena ricordata non poteva certo soddisfare i ricorrenti, che hanno proposto reclamo a tempo debito: la nuova ordinanza del Tribunale di Genova, stavolta emessa da un collegio, accoglie in parte le richieste del curatore del M5S-1, confermando per il resto la decisione di prime cure, nel senso che si vedrà subito. Dopo aver precisato, tra l'altro, che pur essendo trascorse le elezioni politiche non sarebbero venuti meno i pregiudizi legati all'eventuale lesione del diritto al nome, al simbolo e all'identità personale della "non associazione" del 2009 (dunque non c'era alcun motivo di considerare inammissibile il reclamo del M5S-1) e avendo ribadito l'esistenza di un conflitto di interessi per Beppe Grillo secondo quanto già rilevato dal presidente del tribunale, il collegio ha esaminato il merito della questione, partendo dalla disputa sull'uso dei segni identitari e distintivi del MoVimento 5 Stelle, vero cuore del contenzioso.  

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Nel reclamo, il curatore speciale della "non associazione" aveva sottolineato che non aveva senso riconoscere che il M5S-1 si chiama MoVimento 5 Stelle, se poi non la si riconosceva titolare di un indisponibile diritto al nome e all'identità personale a questo legata; aveva precisato che il "non statuto" aveva attribuito a Grillo (e in seguito, eventualmente, al M5S-2) solo l'uso del contrassegno, ma non anche la titolarità il nome (primo e principale segno di identificazione di un soggetto collettivo) e, di fatto, non era possibile che la titolarità del contrassegno trascinasse automaticamente con sé anche quella del nome (casomai il contrario). Il fatto poi che Beppe Grillo risultasse "unico titolare dei diritti d’uso” del contrassegno (posizione poi assunta dall'associazione del 2012), essendo questa scelta funzionale all'azione politica della "non associazione" (anche per evitare che ogni attiVista potesse usare discrezionalmente nome ed emblema), doveva far concludere che quella titolarità esclusiva dell'uso del simbolo fosse "in senso fiduciario", nell'interesse dell'associazione e dello stesso Grillo (che dunque non avrebbe potuto vantare alcun diritto al nome).  
Su tutto ciò il collegio ha precisato che si tratta di argomentazioni "senza dubbio degne di considerazione e – se del caso – potranno essere sviluppate nel corso del procedimento di merito" (il che potrebbe anche consentire un esito diverso della valutazione in quella sede), ma per i giudici questo non permetteva di sostenere che il M5S-1 potesse vantare - al di là del diritto al nome - una titolarità esclusiva del nome e del simbolo, tale per cui le due associazioni nate successivamente li avrebbero usurpati.
Per i giudici, in particolare, non ci sarebbero indizi a suffragio della titolarità esclusiva del nome e del simbolo in capo alla "non associazione" dl 2009: il fatto che il M5S-2 abbia assunto dall'inizio gli stessi segni del M5S-1, senza che questo contestasse nulla (visto che il soggetto più recente doveva essere di semplice supporto al primo nato) dota entrambi del diritto al nome, senza che se ne possa contestare alcuno dei due. Il collegio ha negato anche che il M5S-1 sia contrario al fatto che il M5S-3, a partire dal 2017, ne abbia assunto nome e simbolo: 45 persone su 150mila iscritti sarebbero poche per considerare generale il loro intendimento (né il curatore speciale avrebbe interpellato "un numero significativo di soci per sondarne la volontà, prima di instaurare il presente giudizio": avrebbe dunque dovuto, secondo i giudici, limitarsi in un primo tempo a chiedere i dati degli iscritti per interpellarli, per poi decidere solo in seguito se agire per la tutela dei segni identificativi), mentre 80 iscritti al M5S-1, dunque un numero maggiore, erano di fatto intervenuti in giudizio per sostenere le ragioni del M5S-3 (secondo il quale "la stragrande maggioranza degli iscritti alla c.d. 'non associazione' ritengono che l’associazione del 2017 rappresenti gli stessi valori ed incarni i medesimi principi di quella del 2009"). Basterebbe questo, per il collegio, a far ritenere che l'associazione del 2017 abbia legittimamente adottato il proprio nome e, dunque, ne abbia diritto e che non si sia di fronte, comunque, a un uso fatto contro la sua volontà.
E' questa, in realtà, la parte dell'ordinanza che risulta in assoluto meno convincente, ossia il fatto di dare al contrasto una lettura puramente numerica, per giunta parziale: 80 persone sono più di 45, ma sono sempre assai poche rispetto ai 150mila. E' vero che, a maggior ragione in sede cautelare, l'onere della prova spetta a chi fa valere una ragione (quindi certamente sarebbe stato utile per il curatore speciale avere a disposizione gli elenchi degli iscritti per interpellarli), ma sembra poco efficace l'uso di un argomento puramente quantitativo, raffrontando il numero di coloro che aderiscono a un orientamento semplicemente al totale degli aderenti; è opportuno considerare, tra l'altro, che l'eventuale contrarietà manifesta di un soggetto - debitamente informato e interpellato - all'uso di nome e simbolo da parte del M5S-3 potrebbe non essere privo di conseguenze (potrebbe cioè portare il gestore del sito a iniziare un procedimento disciplinare), dunque l'argomento numerico, se utilizzato per valutare la posizione di chi contesta l'uso di nome e simbolo da parte dell'associazione del 2017, finisce per non tenere conto di un importante fattore di dissuasione.
Se è giusto ricordare che non spetta ai giudici formulare giudizi politici sulla continuità o discontinuità ideologica tra due associazioni (lo ha detto anche il tribunale nella prima ordinanza), è altrettanto vero che non si può non rilevare - e in sede di merito sarà opportuno considerare questo aspetto - che un contrasto ideologico tra il M5S-1 e il M5S-3 in realtà esiste e, senza voler ragionare in termini di continuità, si pone oggettivamente un problema di identità personale da tutelare, in particolare per quanto riguarda il soggetto dalla storia più risalente. Qui, infatti, esistono comunque due soggetti giuridici con lo stesso nome e che operano nello stesso ambito; il fatto che, nelle intenzioni di chi ha costituito l'associazione del 2017, la quasi totalità degli aderenti alla "non associazione" sarebbe confluita nel M5S-3 non fa venire meno l'esistenza giuridica del M5S-1 (almeno fino al suo scioglimento secondo l'art. 21, comma 3 del codice civile), dunque un problema di confondibilità e di corretta attribuzione del pensiero e dell'operato (in termini, dunque, di identità personale) continua a porsi. 
Incidentalmente, tra l'altro, i giudici hanno anche ritenuto che non avesse alcun rilievo il fatto che nello statuto dell'associazione del 2012 la parola "Movimento" fosse riportata con la lettera "v" minuscola, ritenendo che ciò fosse frutto di un refuso e non invece della volontà di distinguere il nome del M5S-2 dal M5S-1. Qui ci si deve limitare a dire che il controllo del testo dei giudici è stato fatto sulla seconda versione dello statuto, che aveva ritoccato quasi dappertutto il nome dell'associazione utilizzando la "V" maiuscola, mentre così non era nel testo originario dello statuto del 2012. Lascia un po' perplessi, poi, il ragionamento del tribunale in base al quale, quando lo statuto sostiene che "l’Associazione [...] condivide e fa propri gli obiettivi politici dei Programmi degli iscritti al MoVimento 5 Stelle formati e pubblicati nel sito www.movimento5stelle.it", opererebbe una distinzione tra "l’Associazione" e il MoVimento che ha lo stesso nome, istituito nel 2009, per cui "nella mente dei costituenti l’associazione 2012, questa doveva essere una 'vera' associazione, mentre quanto creato nel 2009 non aveva tali caratteristiche": il tribunale di Roma e quello di Napoli, infatti, avevano già chiarito che sempre di associazione si tratta, dal punto di vista giuridico, anche con un "non" davanti (e, con tutto il rispetto, leggere in una decisione di un giudice "una 'vera' associazione" è quanto di meno giuridico esista).

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Trattata la questione dei segni identificativi e distintivi, il collegio si è concentrato sulla richiesta del M5S-1 di riottenere l'accesso esclusivo al dominio www.movimento5stelle.it (propria sede virtuale), inibendolo al M5S-3: senza il proprio sito, infatti, la "non associazione" del 2009 non sarebbe stata - secondo il curatore speciale - nemmeno in grado di operare. Se per il giudice di prime cure non c'era alcun indizio di titolarità del sito in capo al M5S-1, perché titolare esclusivo ne sarebbe stato il M5S-2, per il curatore speciale si sarebbe dovuto tenere conto di altri documenti (come il contratto del 2016, successivo all'attacco hacker subito dal sito del MoVimento, nel quale l'associazione Rousseau sarebbe stata indicata Responsabile del trattamento dei dati personali da Grillo, in qualità di "legale rappresentante dell'Associazione MoVimento 5 Stelle, titolare [...] del sito", da intendersi come M5S-1, visto che si parlava di iscritti che il M5S-2 non aveva).
I giudici hanno ammesso che "la questione è complessa", per l'oscurità di vari riferimenti, ma hanno ritenuto di "non dover prendere posizione in questa sede su tale delicata questione" (lasciando che se ne occupi, anche qui, il giudice di merito), semplicemente perché a loro dire, anche se effettivamente ora la "non associazione" di fatto non può operare in mancanza della propria sede, "l’associazione reclamante potrebbe proseguire la sua attività registrando un altro dominio, all'interno del quale ricreare un sito con caratteristiche analoghe e modalità di funzionamento identiche a quello di cui è stata privata", dunque non c'è il rischio di un pregiudizio grave e irreparabile. 
L'affermazione risulta accettabile, tuttavia, solo se si prosegue nella lettura dell'ordinanza, che si occupa della prima richiesta avanzata dal curatore speciale, ossia la consegna a questi dei dati degli iscritti al M5S-1, poiché quel nuovo sito con relativo nuovo dominio potrebbe essere aperto solo avendo a disposizione i dati degli aderenti alla "non associazione", così da poter mantenere il contatto con loro e proseguire l'attività. La richiesta di consegna dei dati per l'ordinanza di prime cure era parsa sproporzionata (visto l'esiguo numero dei richiedenti), benché la difesa di Grillo (titolare del trattamento dei dati) nella propria comparsa di risposta non avesse detto praticamente nulla su quella domanda; il collegio, invece, è stato di diverso avviso. 
Per i nuovi giudici, infatti, "la consegna dei dati è conforme alle previsioni del d.lgs. 196/2003", perché a chiedere i dati in questione non erano stati i ricorrenti, ma il M5S-1 attraverso il suo curatore speciale, per cui quei dati "non verrebbero [...] forniti agli associati, né tanto meno dovrebbero circolare all'esterno dell’associazione"; il fatto che sia stato nominato un curatore per ovviare al ricordato conflitto di interessi non comporta "un ulteriore trattamento" dati in questione, ma solo l'obbligo per il curatore di acquisirli e trattarli in conformità al Codice. 
Per questo, i dati essenziali degli iscritti (nome, cognome, indirizzo email, eventuale numero di telefono ed indirizzo cartaceo se forniti) dovranno essere estratti "dalla banca dati dell’associazione in formato elettronico aperto, leggibile con i principali programmi open source disponibili su internet" (e con l'obbligo di concedere l'accesso alla banca dati per l'estrazione e la consultazione del contenuto, se il database fosse realizzato con software proprietario), entro 30 giorni dalla notifica dell'ordinanza; i giudici, peraltro, hanno anche ritenuto equo fissare, come richiesto dalla parte, una "penale" (astreinte, in termine tecnico) per ogni giorno di ritardo - rispetto, ovviamente, all'indicato termine di 30 giorni - nell'esecuzione del provvedimento, probabilmente anche considerando che la "non associazione" del 2009 è stata in questi mesi nell'impossibilità di operare.
In sostanza, dunque, i giudici hanno riconosciuto - sia pure in sede cautelare, dunque non a cognizione piena - che nella convivenza per sovrapposizione (o superfetazione) di associazioni omonime, anche volendo riconoscere a ciascuna di esse il diritto a mantenere il proprio nome, ciascuna per operare ha diritto di identificare i propri aderenti e di tenersi in contatto con loro (anche a costo di doversi dare una nuova "sede", sia pure solo virtuale). Si tratta di una novità importante - certamente legata a una situazione singolare come questa - e sarà molto interessante vedere come il M5S-1 sceglierà di muoversi nei prossimi mesi. In attesa, ovviamente, del giudizio di merito.

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