Alla fine la giustizia amministrativa ha deciso una volta per tutte: nel comune di Sermide e Felonica si deve rivotare, perché le elezioni del 2017 sono state viziate dall'indebita ammissione della lista Fasci italiani del lavoro, che ha partecipato alla consultazione e ha ottenuto una consigliera pur sfoggiando un simbolo che richiamava l'esperienza del partito fascista.
A stabilirlo è una sentenza - pubblicata ieri - dalla terza sezione del Consiglio di Stato (precisamente la n. 3208/2018), con cui è stato respinto il ricorso della candidata sindaca e consigliera eletta Fiamma Negrini contro la sentenza n. 105/2018 del Tar Lombardia (sezione staccata di Brescia) con cui era stato accolto il ricorso di un gruppo di cittadini elettori che chiedevano la ripetizione delle elezioni. In quella decisione, peraltro, il giudice amministrativo di prime cure si era limitato a disporre la correzione del risultato elettorale (escludendo la lista dei Fasci italiani del lavoro e facendo sostituire la sua unica consigliera con il primo dei non eletti), ritenendo che i voti ottenuti da quella lista non fossero in quantità tale da alterare in modo decisivo il risultato del voto: per questo, i ricorrenti originali avevano chiesto di nuovo al Consiglio di Stato di annullare le elezioni del 2017.
La ricorrente, in particolare, negava che la lista si fosse mai proposta o avesse avuto come finalità "il sovvertimento dell’ordine democratico, la soppressione delle libertà costituzionali, l’utilizzo della violenza come metodo di lotta politica, la propaganda del razzismo, il dileggio dei valori fondanti della Costituzione e della Resistenza", così come il programma della lista stessa era riferito a questioni locali e di certo non legate a una "possibile ricostituzione del partito fascista". Per i giudici di Palazzo Spada, tuttavia, questo non ha rilievo, poiché la lista Fasci italiani del lavoro, "fin dal nome prescelto e dal simbolo usato, si richiama in modo esplicito all'ideologia fascista" e "non è concepibile che un raggruppamento politico partecipi alla competizione elettorale sotto un contrassegno che si richiama esplicitamente al partito fascista bandito irrevocabilmente dalla Costituzione, con norma tanto più grave e severa, in quanto eccezionalmente derogatoria al principio supremo della pluralità, libertà e parità delle tendenze politiche" (citando le parole di vari precedenti, anche se non sempre del tutto a proposito).
Il problema, dunque, sarebbe stato creato dall'uso della parola "Fasci" e del "fascio repubblicano" (così era descritto anche nei documenti di presentazione della lista, con evidente riferimento alla Repubblica romana di Mazzini), nonché dal "richiamo ad evidenti contenuti dell’ideologia fascista nello Statuto del movimento, a cominciare dalla c.d. democrazia corporativa per finire con il «progetto di Rivoluzione Sociale e riforma dello Stato avviato dal fascismo» di cui pure si legge nello Statuto". Si tratterebbe, per il Consiglio di Stato, di "elementi che impongono l’incondizionata, legittima, e incontestabile esclusione dalla competizione elettorale del movimento, che in modo evidente, inequivocabile, si è richiamato e ispirato a principî del disciolto partito fascista, incorrendo nel divieto di riorganizzare, sotto qualsiasi forma, tale partito, di cui alla XII disposizione transitoria e finale della Costituzione e di cui all’art. 1 della l. n. 654 del 1952".
La mancanza di riferimenti concreti ed espliciti a un programma e a un'azione fascista, per i magistrati, non ha rilievo perché "un movimento politico che si ispiri ai principî del disciolto partito fascista deve essere incondizionatamente bandito dalla competizione elettorale, secondo quanto impone la XII disposizione transitoria e finale della Costituzione, il cui precetto, sul piano letterale e teleologico, non può essere applicato solo alla repressione di condotte finalizzate alla ricostituzione di una associazione vietata [...], ma deve essere esteso ad ogni atto o fatto che possa favorire la riorganizzazione del partito fascista, per sua essenza stessa antidemocratico, e quindi anche al riferimento inequivoco ai suoi principî fondanti, ai sensi dell’art. 1 della l. n. 645 del 1952". I riferimenti al miglioramento della vita della comunità locale non possono "certo oscurare, o far trascurare, la cornice ideologica entro il quale si iscrive, nel caso di specie, come si è detto, ostentatamente fascista, in violazione del precetto costituzionale".
I giudici amministrativi di secondo grado, in compenso, hanno ritenuto che il Tar avesse sbagliato a limitarsi a correggere il risultato elettorale, mentre avrebbe dovuto annullare la consultazione. I 334 voti dei Fasci italiani del lavoro erano infatti "oltre il 10% dei voti validi espressi" e, in ogni caso, tra la lista vincitrice e la seconda più votata la differenza era di soli 286 voti: in questo senso, secondo i giudici di Palazzo Spada, "un effetto integralmente invalidante deve essere riconosciuto, in concreto, quando i suffragi raccolti dalla lista indebitamente ammessa [...] superino largamente questo scarto differenziale, come qui è avvenuto, così da presentarsi come suscettibili di alterare in maniera significativa il risultato complessivo della consultazione" e il "largo" superamento va rapportato "al numero complessivo dei votanti [...] delle singole realtà elettorali, su base locale". La presenza di quella terza lista messa in dubbio, con i voti che effettivamente ha ottenuto, renderebbe dunque "impossibile determinare con attendibilità, in seguito ad una ipotetica eliminazione dei voti dati alla lista illegittimamente esclusa, a quali forze politiche essi sarebbero stati attribuiti dall'elettorato" (mentre ritenere, come ha fatto il Tar, che non per forza tutti gli elettori della lista da escludere avrebbero votato per la seconda lista più votata avrebbe "un effetto inammissibilmente sostitutivo della volontà popolare", non potendosi nemmeno escludere che effettivamente gran parte degli elettori dei Fasci avrebbero votato l'altra lista non vincitrice).
Se il cittadino antifascista potrebbe ritenersi soddisfatto (è importante evitare anche solo il rischio che qualcosa di simile a ciò che è accaduto in Italia nella prima metà del '900), il giurista attento qualche perplessità tuttavia la mantiene ed è giusto che distingua con nettezza i piani della questione. L'antifascista non può che essere contento di sapere che alle elezioni democratiche non è consentito partecipare chi si ispira al "disciolto partito fascista", magari anche senza volerlo riorganizzare; non può però dimenticare che le disposizioni scritte non sono un'opinione e che la loro interpretazione (sempre necessaria) non può sganciarsi dal testo scritto.
Così, ripetendo in buona sostanza quanto già si era detto in occasione della sentenza di primo grado, bisogna ricordare che la XII disposizione finale della Costituzione - come del resto ho già avuto modo di ricordare parlando del partito Nsab, ripercorrendo nei dettagli la genesi di quel testo - è espressamente e tassativamente rivolta alla sola riorganizzazione del "disciolto partito fascista": proprio perché, come detto dai giudici amministrativi, la disposizione in questione è "tanto più grave e severa, in quanto eccezionalmente derogatoria al principio supremo della pluralità, libertà e parità delle tendenze politiche", non è corretto interpretare in modo estensivo la deroga alla libertà di associazione in partiti e alla loro eguale possibilità di concorrere alle elezioni, mentre non è proprio possibile applicare la norma a casi analoghi.
La sentenza, sul punto, appare francamente sbrigativa, quasi apodittica: non c'è una sola parola, per esempio, sul fatto che nelle tre elezioni precedenti quel simbolo sia stato ammesso pacificamente. Il Tar aveva detto che questo non poteva essere "un vincolo per il collegio giudicante" (anche solo per il fatto che, non avendo mai la lista ottenuto consiglieri, nessuno aveva mai sentito bisogno di presentare ricorsi che, peraltro, non sarebbero stati accolti); quella circostanza, tuttavia, pur non costituendo un vincolo insuperabile, doveva almeno essere motivo di un serio aggravio di motivazione e non pare, in tutta onestà, che dal Consiglio di Stato (e, in realtà, nemmeno dal Tar) siano arrivate spiegazioni particolarmente convincenti sul cambio di punto di vista da avere sulla questione del fascio (che alle commissioni elettorali composte dalla Prefettura di Mantova era ben nota da oltre dieci anni). L'unica citazione del parere n. 173/94 del Consiglio di Stato sull'uso del fascio romano, tra l'altro, è stata fatta per negare la partecipazione elettorale a liste con contrassegni di stampo fascista, senza rendersi conto che qui si va a pescare anche il contenuto dello statuto, con un giudizio ideologico che sembra del tutto precluso in sede elettorale e anche di contenzioso relativo alle elezioni.
Resta il fatto che ora la sentenza c'è, è definitiva e non riguarda solo il caso noto di Fascismo e libertà, ma anche questo diverso emblema. Avere deciso di ripetere le elezioni porterà il comune di Sermide e Felonica a votare - dopo un periodo di gestione commissariale - l'anno prossimo, all'interno del turno più nutrito di elezioni amministrative. Dovendosi votare di nuovo, potranno presentarsi le stesse liste che avevano concorso o, ovviamente, anche formazioni nuove. E, altrettanto ovviamente, potrà ripresentarsi anche Fiamma Negrini, così come il padre Claudio Negrini, già candidato sindaco dei Fasci italiani del lavoro nelle tre consultazioni precedenti di Sermide. Unico punto fermo: visto il contenuto della sentenza, criticabile da più punti di vista ma a questo punto ormai cristallizzato, una loro eventuale lista dovrà necessariamente evitare simboli di stampo fascista o autoritario. Ogni altro simbolo (purché non confondibile con gli altri) potrà andare bene, anche quello sostitutivo che i Fasci italiani del lavoro avevano preparato in vista delle amministrative del 2017 e che era rimasto inutilizzato, visto che nessuno aveva bocciato quello che, invece, per i giudici amministrativi non potrà più apparire sulle schede.
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Se il cittadino antifascista potrebbe ritenersi soddisfatto (è importante evitare anche solo il rischio che qualcosa di simile a ciò che è accaduto in Italia nella prima metà del '900), il giurista attento qualche perplessità tuttavia la mantiene ed è giusto che distingua con nettezza i piani della questione. L'antifascista non può che essere contento di sapere che alle elezioni democratiche non è consentito partecipare chi si ispira al "disciolto partito fascista", magari anche senza volerlo riorganizzare; non può però dimenticare che le disposizioni scritte non sono un'opinione e che la loro interpretazione (sempre necessaria) non può sganciarsi dal testo scritto.
Così, ripetendo in buona sostanza quanto già si era detto in occasione della sentenza di primo grado, bisogna ricordare che la XII disposizione finale della Costituzione - come del resto ho già avuto modo di ricordare parlando del partito Nsab, ripercorrendo nei dettagli la genesi di quel testo - è espressamente e tassativamente rivolta alla sola riorganizzazione del "disciolto partito fascista": proprio perché, come detto dai giudici amministrativi, la disposizione in questione è "tanto più grave e severa, in quanto eccezionalmente derogatoria al principio supremo della pluralità, libertà e parità delle tendenze politiche", non è corretto interpretare in modo estensivo la deroga alla libertà di associazione in partiti e alla loro eguale possibilità di concorrere alle elezioni, mentre non è proprio possibile applicare la norma a casi analoghi.
La sentenza, sul punto, appare francamente sbrigativa, quasi apodittica: non c'è una sola parola, per esempio, sul fatto che nelle tre elezioni precedenti quel simbolo sia stato ammesso pacificamente. Il Tar aveva detto che questo non poteva essere "un vincolo per il collegio giudicante" (anche solo per il fatto che, non avendo mai la lista ottenuto consiglieri, nessuno aveva mai sentito bisogno di presentare ricorsi che, peraltro, non sarebbero stati accolti); quella circostanza, tuttavia, pur non costituendo un vincolo insuperabile, doveva almeno essere motivo di un serio aggravio di motivazione e non pare, in tutta onestà, che dal Consiglio di Stato (e, in realtà, nemmeno dal Tar) siano arrivate spiegazioni particolarmente convincenti sul cambio di punto di vista da avere sulla questione del fascio (che alle commissioni elettorali composte dalla Prefettura di Mantova era ben nota da oltre dieci anni). L'unica citazione del parere n. 173/94 del Consiglio di Stato sull'uso del fascio romano, tra l'altro, è stata fatta per negare la partecipazione elettorale a liste con contrassegni di stampo fascista, senza rendersi conto che qui si va a pescare anche il contenuto dello statuto, con un giudizio ideologico che sembra del tutto precluso in sede elettorale e anche di contenzioso relativo alle elezioni.
Il simbolo sostitutivo per le elezioni del 2017 |
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