sabato 31 ottobre 2020

Idee, persone e simboli della "Padania separatista" in un nuovo libro

Gli studiosi di diritto costituzionale negli ultimi anni si sono occupati dell'autonomia differenziata, chiesta a norma dell'articolo 116, comma 3 
da alcune Regioni, in particolare da Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna (se n'è appena occupata, tra l'altro, Claudia Ceffa in un suo contributo per il LabRiforme). Ciò non può far dimenticare che in quelle regioni, come negli altri territori del Nord - che oggi siano o meno Regioni a statuto speciale - ci sia stata una lunga tradizione di movimenti autonomisti o indipendentisti, che precede di molto la nascita delle "leghe"; quei movimenti a volte si sono tradotti in partiti o in formazioni elettorali (con tanto di simboli), che hanno avuto la possibilità di rivolgersi ad elettrici ed elettori per sottoporre loro istanze e programmi. Un importante contributo per divulgare la storia e la memoria di quei movimenti arriva ora dal volume Padania separatista. In lotta contro Roma, proposto dall'Associazione Gilberto Oneto ed edito da Leonardo Facco Editore (25 euro).   
Nell'introduzione del volume - firmata da Marco Peruzzi, della stessa associazione intitolata alla memoria dell'architetto, studioso delle identità culturali e dei popoli padani, sempre molto vicino a Gianfranco Miglio - si precisa subito che il volume rappresenta l'ideale continuazione di Im Kampf gegen Rom. Bürger, Minderheiten und Autonomien in Italien, volume po(n)deroso dello storico Claus Gatterer, pubblicato nel 1968 in tedesco e tradotto solo nel 1994 in italiano con il titolo In lotta contro Roma. Cittadini, minoranze e autonomie in Italia (pubblicato dalla casa editrice bolzanina Praxis 3): un'opera monumentale sui monumenti autonomisti e separatisti (già sotto il dominio asburgico), che però si fermava ovviamente alla metà degli anni '60 e considerava essenzialmente il Sud-Tirolo, i territori dell'arco alpino e le altre regioni a statuto speciale, trascurando gli altri territori. La lacuna è colmata dai contributi ospitati nel volume, firmati in ordine alfabetico da Ettore Beggiato (Veneto), Elena Bianchini Braglia (Emilia-Romagna), Roberto Gremmo (non Piemonte, come ci si potrebbe immaginare, ma Valle d'Aosta, Liguria, Trentino, Friuli e Territorio Libero di Trieste), Giovanni Polli (Piemonte), Gianfrancesco Ruggeri (Lombardia) e Annalise Vian (Ladinia).

Lombardia, dal viceré Eugenio a Miglio e oltre

Il primo territorio di cui il volume si occupa (e cui è dedicato lo spazio maggiore) è la Lombardia, ma sarebbe meglio parlare di "Lombardi", per non chiamare in causa il concetto di Regione. Per Gianfrancesco Ruggeri (agronomo, autonomista e vicepresidente dell'Associazione Oneto) le Regioni infatti sono "le gabbiette nelle quali lo stato italiano ci richiude a suo uso e consumo, per dividere i fratelli padani secondo il ben noto e collaudato sistema del divide et impera e per poter così continuare la decennale opera di colonizzazione di cui siamo vittime": ripercorrendo l'origine delle Regioni come le conosciamo ora e con vari esempi (sull'alessandrino, sulla nascita dell'Emilia e sullo smembramento della Romagna, sulla "Ladinia" di cui si dirà), l'autore nota come queste siano "solo un'accozzaglia di province e il confine tra due regioni non rappresenta per nulla uno stacco netto tra due diverse identità distinte, ma al massimo individua una zona di transizione più o meno ampia che permette alle due identità [...] di trapassare una nell'altra senza soluzione di continuità". Un giudizio molto severo riguarda proprio la Lombardia, definita "un rifiuto speciale", poiché "è quanto rimane della vera Lombardia o 'Longobardia', la cosiddetta Lombardia storica, una volta che le sono state sottratte le altre regioni padane" (oggi parte del Veneto, del Piemonte, della Liguria e dell'Emilia-Romagna) e ciò che resta "non si presenta neppure come un'entità monolitica".
Ruggeri va alla ricerca delle radici dell'autonomismo e dell'indipendentismo in Lombardia e (al di là della "Lega lombarda storica") le trova nel 1814, quando Eugenio di Beauharnais, già viceré a capo del Regno d'Italia sotto Napoleone, tentò di mantenere il controllo su parte di quel territorio per non farlo finire agli austriaci com'era previsto, ma senza riuscirci: un breve periodo d'indipendenza si sarebbe comunque registrato, con un governo provvisorio dal 20 aprile al 25 maggio del 1814, pur nella confusione di idee sul regno che si voleva creare (e sulla sua estensione territoriale). La storia delle lotte prosegue col cospiratore carbonaro Federico Confalonieri (tra i protagonisti del tentativo del 1814, poi a capo degli insorti lombardi che con quelli piemontesi cercavano di ottenere una monarchia costituzionale), col pensiero federalista e poi autonomista di Carlo Cattaneo (che nel 1848 non avrebbe voluto unire i destini lombardi a quelli del Piemonte, tenendo alla libertà più che all'indipendenza, e in seguito si sarebbe battuto contro il livellamento centralista e burocratico dei territori del Regno d'Italia), ma anche con il ruolo di Ferdinando Massimiliano d'Asburgo (che tra il 1857 e il 1859 suggerì al fratello Francesco Giuseppe di creare un regno semiautonomo nell'Alta Italia), con le vicende dello "Stato di Milano" del 1898 (con gli scioperi stroncati dai cannoni di Bava Beccaris) e gli scioperi indipendentisti del 1913 (così documentati essenzialmente dalla stampa estera). Di spinte autonomiste e indipendentiste si riprende a parlare con la fine del fascismo e (senza dimenticare i sentimenti autonomisti e federalisti presenti pure tra i partigiani) poi con la fine della seconda guerra mondiale: nel 1945 nasce il movimento Milan ai milanes (di cui ha scritto pure Roberto Gremmo) e il cattolico Tommaso Zerbi fonda il settimanale Il Cisalpino, testata ispirata a Cattaneo (ma di fatto affossata in pochi mesi dalla Dc), con un giovane Gianfranco Miglio tra i collaboratori e l'idea di trasformare l'Italia in uno stato federale, con un "cantone Cisalpino" che avrebbe una sua ragione di esistere.
Immagine tratta dal libro
Una parte assai rilevante del capitolo sui lombardi è dedicata al Movimento autonomisti bergamaschi (Mab, a volte citato come Movimento autonomista bergamasco), nato nel 1947 come Movimento bergamasco per le autonomie locali. Ispirato dal senatore Giulio Bergmann e nato come soggetto apartitico, autonomista ma non secessionista, ebbe tra i suoi primi esponenti di spicco - prima ancora della sua fondazione - Guido Calderoli, nonno del leghista Roberto. Se già nel 1949 il futuro Mab incrociò sulla sua strada Gianfranco Miglio, esso incontra tanto i consensi quanto le difficoltà a tenere insieme le altre forze del mondo variegato dell'autonomismo. Nel 1956, visto che l'attuazione delle regioni continuava a non arrivare, il Mab decide di partecipare alle elezioni amministrative col suo nuovo simbolo, "l'uomo che spezza le catene della schiavitù", accompagnato alla parola "Autonomisti", anche per dare più visibilità all'impegno per l'autonomia (il volume analizza nel dettaglio il programma, attraverso gli scritti di Calderoli): pur in una campagna elettorale con molte accuse di mero antimeridionalismo, le liste eleggono un consigliere provinciale (Ugo Gavazzeni) e un consigliere comunale a Bergamo (lo stesso Guido Calderoli), sfiorando qui il 2%.
L'esperienza del Mab è poi alla base del Movimento autonomista regionale lombardo (Marl) e soprattutto del Movimento autonomista regionale padano, il Marp, il cui nucleo principale si trova in Piemonte (dove era già diffuso il movimento con la stessa sigla, ma con "piemontese" come ultima parola): non a caso, il simbolo presentato alle elezioni politiche del 1958 ha ancora al centro il drapò piemontese con lambello e stella, mentre la dicitura "Autonomia regionale" si rivolge a tutti i territori padani. A dispetto di una buona copertura territoriale, il Marp alla Camera ottiene 
70589 voti, pari allo 0,24%, poco più della metà della Svp: di fatto è la prima lista a non avere eletti, considerando pure che l'Union Valdôtaine ebbe solo 30596 voti, ma tutti concentrati nel collegio uninominale della Valle d'Aosta, quindi riuscì a ottenere un deputato; al Senato la percentuale fu di poco inferiore. 
A dispetto dei propositi di ripresentarsi alle elezioni del 1960, il simbolo del Marp non tornerà sulle schede lombarde: alcuni suoi aderenti si avvicinano alla Democrazia cristiana, altri - guidati da Ugo Gavazzeni - danno luogo all'Unione autonomisti d'Italia, il cui simbolo in base allo statuto (il cui testo è riportato da Roberto Gremmo nel n. 25 del periodico Storia ribelle, da lui diretto e compilato) è una "stella alpina bianca su sfondo nero di un cerchio, al bordo interno della circonferenza venti piccole stelle bianche, significanti le venti regioni d'Italia; al bordo interno delle stelle la scritta per disteso 'Unione Autonomisti d'Italia'". L'idea è di presentarsi alle elezioni del 1968 sotto le insegne della 
Südtiroler Volkspartei (quindi della stella alpina), in un rassemblement che però non comprende forze di un certo rilievo come Slovenska Skupnost, Partito sardo d'azione e la stessa Uv. 
In effetti la Svp presenta sue liste anche nelle circoscrizioni di Bergamo-Brescia (con tanto di polverone giudiziario sulla raccolta firme) e Trieste, ma la raccolta firme non riesce nelle altre aree del nord e l'apporto dei nuovi territori in termini di voti è scarsissimo. Di fatto l'ultima presentazione elettorale di rilievo dell'Uai è anche quella più significativa: essa avviene alle regionali del 1970 (le prime) e il contrassegno, oltre al nome dell'Unione autonomisti d'Italia, reca la dicitura "Libera Padania" (prima apparizione di quest'ultima parola, come si sottolinea nel libro) all'interno del profilo geografico della Padania stessa: la scarsa presenza elettorale porta solo lo 0,06% in Lombardia, ma non va perduta l'esperienza di coloro che fino a quel momento hanno portato avanti l'ideale autonomista. Il capitolo si conclude con il ritorno sulla scena di Miglio, che approfitta nel 1975 di un insperato assist del comunista Guido Fanti, allora presidente della Regione Emilia-Romagna, che aveva chiesto di creare una "Lega del Po" tra Regioni e di chiamarla Padania: quale occasione migliore per dare visibilità alla riforma cantonale studiata per anni?

Fare "da noi" in Piemonte

La storia del Marp viene ripresa nella trattazione legata al Piemonte, affidata al giornalista radiotelevisivo Giovanni Polli (ha curato per anni Lingue e dialetti per Radio Padania Libera). In effetti prima ancora, secondo quanto riportato dall'autore, si dovrebbe considerare il "localismo ruralista" del Partito dei contadini d'Italia: a questa formazione - cui Gremmo nel 2018 ha dedicato il volume 
La rivolta politica delle campagne. Il "Partito dei Contadini" e l'autonomia del mondo rurale (1919-1968), stampato per i propri tipi di Storia Ribelle - si deve ricondurre l'espressione "Da noi!" (inteso come "Facciamo da soli"), al posto del fascista "A noi!". Il partito, tuttavia, vedrà scemare il suo consenso con l'andare degli anni.
Dal n. 32 dei Quaderni Padani 
Il cammino del Movimento autonomia regionale piemontese inizia nel 1955, grazie soprattutto all'impegno di Enrico Villarboito (già artefice nel 1953 della lista Partito volontà nazionale, esperienza subito conclusa per lo scarsissimo successo elettorale ottenuto alle politiche di quell'anno), che intende far leva soprattutto sul "disconoscimento formale delle Autonomie regionali seppur previste dalla Costituzione italiana". Alle elezioni comunali del 1956 una lista del Marp si presenta a Torino e, grazie al 5,79% dei voti, ottiene ben quattro consiglieri e riesce a entrare anche in consiglio provinciale: il simbolo è lo stesso che vedrà a livello nazionale più avanti, ma l'autonomia non è indicata come "regionale", bensì come "piemontese". Quei risultati fanno ben sperare per il futuro, anche su una scala territoriale più vasta.
Quando arrivano le elezioni politiche del 1958, però, il segretario del Marp non è più Villarboito, ma Germano Benzi: è lui a stabilire il collegamento con gli autonomisti delle altre regioni e a concordare la presentazione della lista. In Piemonte, tuttavia, un inatteso concorrente è rappresentato dallo stesso Villarboito, che arriva a presentare una propria lista che, accanto al nome Autonomia piemontese, accosta il suo cognome e il suo ritratto, ma anche l'acronimo Scopa, che è raffigurato proprio da una scopa posata sulla sagoma dell'Italia, ma in effetti sta per Servire coscienziosamente ogni pubblica amministrazione. Il nome è certamente altisonante e aulico, perfettamente in linea con l'altro personaggio legato alla lista, Gianluigi Marianini, già campione di Lascia o raddoppia? e ormai trasformato in icona del "buon vivere". La lista sfiora i 7mila voti, mentre il Marp, con i suoi quasi 54677 voti in Piemonte, non riesce comunque a ottenere un eletto e anche in seguito otterrà piuttosto poco.
Il volume, nel contributo di Polli, dà giustamente conto delle esperienze successive del Movimento autonomista occitano, fondato nel 1968 da Antonio Bodrero (Barba Toni) e François Fontan (il simbolo è rappresentato dalla croce di Tolosa e dalla stella, bianche su campo scuro, perché sulla bandiera sarebbero gialle su fondo rosso ma in quella fase la stampa a colori di manifesti e schede è ancora lontana), della Lega delle Alpi Occidentali (nata nel 1975), ma soprattutto dell'Unione ossolana per l'autonomia, fondata ufficialmente nel 1978 e il cui principale artefice è stato Alvaro Corradini. Su questo sito si è già parlato a suo tempo dell'Uopa e del valore che questa ha avuto nella storia dell'autonomismo, e certo non soltanto in Val d'Ossola; per approfondire ulteriormente il tema, nonché il significato del simbolo del camoscio sui confini della Repubblica partigiana dell'Ossola, si rimanda ai due libri Uopa, la storia di un sognoAlvaro Corradini. Profeta del Federalismo, entrambi scritti da Uberto Gandolfi (figlio di Sergio, uno dei fondatori dell'Uopa), nonché alla parte di Non fate i polli! Una vita da "peones" (scritto appunto da Mauro Polli), di cui ci si è occupati due anni e mezzo fa parlando dell'Uopa e della battaglia per l'autonomia della Val d'Ossola.
La storia prosegue con l'impegno continuo e quasi inesauribile di Roberto Gremmo, già comparso nel 1973 come membro dell'Associassion Liber Piemont e poi animatore - con la moglie Anna Sartoris - della Rinascita Piemontese. Il suo ruolo emerge con forza a partire dal 1979, nel progetto della lista unitaria Europa Federalismo Autonomie, promossa dall'Union Valdôtaine di Bruno Salvadori alle prime elezioni europee. Tanto l'impegno di Gremmo nei progetti politici ed elettorali a favore dell'autonomia quanto le difficoltà incontrate nel corso del tempo, peraltro, sono temi ben noti a coloro che frequentano abitualmente questo sito: si rimanda dunque ai molti articoli dedicati all'argomento, con la promessa che altri ne seguiranno in futuro.
L'intervento di Polli - in particolare, quello proposto al convegno "In guerra contro Roma. Oltre Gatterer", svoltosi a Spirano (Bb) il 9 giugno 2019 e alla base del libro di cui si parla - si chiude citando, tra l'altro, vari movimenti piemontesisti e post-leghisti. Tra questi c'è anche Piemonte Stato, che all'ennesima versione (ormai a colori) del drapò piemontese unisce un profilo montuoso e il nome scritto in caratteri aguzzi. La formazione politica era nata nel 2014, con l'idea di "assicurare un futuro prospero al Piemonte e ai Piemontesi, dopo la sciagurata e fallimentare parentesi italiana dell’ultimo secolo e mezzo", attraverso il "raggiungimento dell'indipendenza del Piemonte con metodi democratici e pacifici", sulla base del principio di autodeterminazione dei popoli. Anche di quella formazione, tuttavia, le tracce ormai sono ridotte a una pagina Facebook da tempo non aggiornata. Eppure nelle loro proposte di fatto riecheggiano ancora i contenuti della Carta di Chivasso, firmata il 19 dicembre 1943 dai rappresentanti delle valli alpine: per reagire alla percepita "rovina" politica, economica e culturale derivante dal controllo centralista romano, costoro auspicarono un assetto federale (simil-cantonale) del nuovo stato italiano, con le funzioni amministrative esercitate da personale del luogo, il diritto di usare le lingue locali (anche nei nomi) e di insegnarle a scuola, il controllo dell'amministrazione locale su opere e servizi pubblici, una tassazione che riportasse parte del gettito sui territori e una diversa concezione del mondo produttivo.

Valle d'Aosta, dal separatismo all'autonomia

Essendo valdostano il principale artefice della Carta di Chivasso, Émile Chanoux, riesce più facile - pure per vicinanza al Piemonte - il collegamento con la Valle d'Aosta, la cui trattazione (anch'essa piuttosto ampia) è affidata a Roberto Gremmo. Fin dall'inizio emerge la delicatezza della fase immediatamente successiva alla fine della Seconda guerra mondiale, caratterizzata da un non trascurabile sentimento filofrancese (cavalcato dallo stato Oltralpe) che vedrebbe di buon occhio l'annessione della Valle d'Aosta alla Francia. Il 26 marzo 1946 si chiede a gran voce un referendum sulla questione, con contorno di varie violenze (di cui rimane vittima anche il presidente della Regione, lo storico Federico Chabod); tempo qualche mese e - mentre la Francia ha già deciso di non sostenere le agitazioni in Valle d'Aosta - si innesca quella che Gremmo chiama "la tragedia del separatismo valdostano", legata all'arresto e alla vicenda processuale (cui nel libro è dato molto spazio, con tanto di documenti) di Vincenzo Trevès, giovane ex partigiano, con idee separatiste.
Si deve collocare nel periodo dell'arresto l'inizio del progetto della Federazione delle genti alpine, promossa dall'Union Valdôtaine e costituita a Desenzano il 7 aprile 1947 con la partecipazione di vari movimenti autonomisti (Unione federalista Intemelia, Lega dei comuni valtellinesi, Movimento autonomistico democratico regionale trentino, Movimento popolare friulano). Il disegno guarda certamente più all'autonomia che al separatismo e culmina con l'approvazione dello statuto speciale valdostano nei primi mesi del 1948; la scelta autonomista viene confermata con la decisione di allearsi con la Democrazia cristiana tanto alle politiche di quel 1948, quanto alle regionali dell'anno successivo. Nel frattempo, il processo a Trevès e agli altri separatisti si conclude con una sentenza di non doversi procedere grazie alla clausola del trattato di pace con gli Alleati che non consentiva di perseguire qualcuno per la sola simpatia espressa a favore di uno Stato alleato; Trevès, in compenso, nel 1954 finirà di nuovo nella tempesta per aver minacciato di impugnare le armi contro Roma e far piazzare "i cannoni a Pont St. Martin", subirà un nuovo processo e stavolta finirà condannato per istigazione armata contro i poteri dello Stato, apologia di questo reato e propaganda antinazionale. Di separatismo, in Valle d'Aosta, in pratica non si parlerà più e anche l'autonomismo - come sostenuto da Gremmo in Contro Roma, il cui titolo a questo punto (dopo il riferimento a Gatterer) suona ancor più familiare - viene ormai letto e praticato in versione più debole rispetto alle origini.
 

Veneto, una questione antica (e mai chiusa)

Un altra sezione consistente nel libro è dedicata al Veneto: a curarla è Ettore Beggiato, storico, venetista, eletto nel 1985 consigliere regionale per la Liga Veneta a Vicenza e fondatore, due anni più tardi, dell'Union del Popolo Vèneto. Nel suo capitolo, Beggiato ritrova le origini venete dell'autonomia fin da quando, nel 1797, tramonta la Serenissima Repubblica Veneta: nel 1809 a Venezia e in varie parti del Veneto la gente insorge contro il dominio napoleonico, nel 1848 Daniele Manin guida la rinascita della Repubblica Veneta (che dura poco più di un anno). Quando nel 1866 il Veneto viene ceduto dall'Austria al Regno d'Italia attraverso la Francia, formalmente si svolge un plebiscito, ma Beggiato sottolinea che "i Veneti andarono a votare quando i giochi erano già stati fatti", visto che i francesi avevano già consegnato la Venetia agli italiani.
Negli ultimi anni dell'Ottocento operano in Veneto figure rilevanti come Ferruccio Macola (autore di un progetto di federazione politica regionale), Illuminato Cecchini e Stefano Massarioto, che predicavano e divulgavano discorsi e pensieri a favore dell'identità veneta e della gente (per evitare che, come avevano fatto in molte e molti, emigrasse); nei decenni seguenti altri soggetti portano avanti l'autonomismo, come coloro che nel 1945 costituiscono l'associazione San Marco par forza - Unione autonomista delle Tre Venezie. Proprio un simbolo autonomista come il leone marciano nel 1970, all'indomani delle prime elezioni regionali, viene scelto quale bandiera della neonata Regione Veneto. Poco spazio è (volutamente) dedicato all'esperienza della Liga Veneta, fondata il 16 gennaio 1980, approdata tra la sorpresa di molti in Parlamento nel 1983 ma di fatto scomparsa dalla politica che conta a partire dal 1987 (a tutto vantaggio della Lega Lombarda, poi divenuta capofila della Lega Nord, altro partito di cui deliberatamente nel libro non si parla quasi mai).
C'è spazio anche per accenni a episodi e movimenti più recenti: dal carro armato dei Serenissimi in Piazza San Marco preceduto dalle interferenze durante il Tg1 (1997) alla nascita della Liga Veneta Repubblica (1998) di Fabrizio Comencini; c'è poi la figura di Giorgio Panto, con il suo Progetto Nordest forte nel 2005, la nascita di varie forze indipendentiste (a partire da I Veneti di Patrik Riondato); c'è il primo referendum "digitale" sull'autonomia veneta (2014), una riedizione dei "Serenissimi" nello stesso anno e il secondo referendum (cartaceo) sull'autonomia del 2017. Una storia che, a suo modo, non si è ancora compiuta: anche le ultime elezioni regionali hanno dimostrato che il fronte venetista è tutt'altro che esaurito (e tutt'altro che unito). 

Liguri, Emiliani, Romagnoli, Trentini, Ladini, Friulani e Triestini

Rispetto alle "genti padane" già viste, le altre occupano nel libro uno spazio assai minore, ma ci sono e meritano di essere considerate, sia pure in breve. Poche pagine (vergate dalla storica Elena Bianchini Braglia) sono dedicate all'Emilia-Romagna, anche perché la vera "battaglia contro Roma" si è svolta fino agli anni Dieci del Novecento, in particolare tra Modena e Bologna, soprattutto grazie alla cattolica "Opera dei Congressi"; si riprende poi la già citata idea di Lega del Po proposta da Guido Fanti, dopo i primi cinque anni di presidenza della Regione (eppure quell'idea fu assai poco compresa all'interno e all'esterno del Pci e di fatto lasciata cadere, al punto da sembrare oggi un'occasione persa per un regionalismo diverso).
C'è poi una riflessione sulla Ladinia e sulla sua comunità (finita divisa tra le province di Bolzano, Trento e Belluno), affidata ad Annelise Vian: lì si vede il percorso intrapreso già subito dopo la Seconda guerra mondiale per tentare la via dell'autodeterminazione e della riunificazione dei ladini, passato anche per la nascita di soggetti associativi e movimenti politici. Dall'Union di Ladins de Fascia (1955) all'Union Autonomista Ladina (1983), i ladini dispongono di un interlocutore politico che ormai da anni trova spazio anche all'interno del Parlamento nazionale (allora con Giuseppe Detomas) e si fa garante della tutela accordata a più riprese e con vari strumenti alla Val di Fassa.
Immagine elaborata dal libro
Toccano poi di nuovo a Roberto Gremmo le trattazioni legate alle terre non ancora passate in rassegna. In Liguria, per esempio, nel 1946 sorge l'Unione democratica federalista Intemelia, fondata a Ventimiglia da Emilio Azzaretti con l'idea di costituire una zona franca italofrancese per la valle della Roja; non è poi accolta la richiesta (con tanto di spostamento manuale di confine) dei comuni dell'Alto Novese di lasciare la provincia di Alessandria e il Piemonte per unirsi alla Liguria, così come non funzionano altri tentativi, come la creazione di una regione Emiliano-Appenninica. E se nel 1971 un nuovo progetto nasce attorno alla pubblicazione Alpazur (al fine di costruire una Regione frontaliera franco-italiana), nel 1986 è proprio Gremmo a far nascere - soprattutto grazie ad Aldo Coppola - la Lega ligure, proprio per puntare all'autonomia (innanzitutto legislativa) della regione; a condurla verso l'irrilevanza è però la nascita nel 1989 dell'Uniun Ligure, poi destinata a concorrere alla nascita dell'Alleanza Nord (alle europee) e poi della Lega Nord. 
Quanto al Trentino, è almeno il caso di ricordare il ruolo fondamentale giocato  nel corso degli anni dall'Associazione studi per l'autonomia regionale (nota anche con la sigla Asar), nata nel 1945 e con l'autonomia per il Trentino (anzi, per una "Regione Tridentina") come propria ragione costitutiva. Distinta con una fiaccola e due stelle alpine su triangolo nero, l'Asar partecipa anche alla Federazione delle genti alpine come Movimento autonomistico democratico regionale trentino; dopo liste comuni con la Svp non particolarmente fortunate nel 1948, l'associazione si scioglie e ne raccoglie l'eredità il Partito del popolo trentino tirolese, cioè il Pptt (che peraltro varia solo leggermente il tema grafico).
I simboli del Movimento popolare friulano e del Movimento
autonomistico friulano (da Lingua etnografia autonomia)
Le ultime pagine di Padania separatista (sempre curate da Gremmo), infine, sono dedicate al Friuli e al Territorio libero di Trieste. Per il primo, se la "friulanità" come identità è già attestata almeno dal 1944, quando nasce La Voce di Furlanìa (ma già nel 1936 era stata creata la Società filologica friulana, proprio allo scopo di salvaguardare la lingua e la cultura locali), il primo gruppo politico è il Movimento popolare friulano (1947), dal quale peraltro nel 1953 si distaccano vari aderenti, creando il Movimento autonomistico friulano; se il primo come simbolo ha un alare con il fuoco acceso, il secondo sceglie soltanto un alare, senza alcuna altra indicazione. 
Tanto per cambiare la questione "alare contro alare" rischia di finire in carta bollata, ma poi - a dimostrazione del fatto che forse è poco più che una boutade - non se ne sa più nulla. Per un partito propriamente detto occorre aspettare il 1966, con la fondazione del Movimento Friuli, soggetto politico di fatto tuttora esistente (come dimostra il deposito del contrassegno - ormai da anni ridisegnato a colori, con il fondo giallo e blu - in vista delle elezioni politiche del 2018) anche se da tempo è assente dalle assemblee nazionali o regionali; va ricordato che anch'esso partecipa, nel 1979, alla lista Europa Federalismo Autonomie promossa dall'Union Valdôtaine proprio alle europee di quell'anno.
Quanto al Territorio di Trieste, già tra il 1946 e il 1947 si creano i primi soggetti politici indipendentisti, che poi alle elezioni comunali del 1949 ottengono un importante successo, proseguito anche in seguito almeno fino alla crisi iniziata nel 1953 e destinata a durare. Nel 1958, infatti, le formazioni indipendentiste friulane sono addirittura due: il Fronte dell'indipendenza (il cui simbolo è una cartina dell'intero Territorio libero di Trieste, comprensivo di zona A e zona B) e l'Unione triestina (legata a Carlo Tolloy, con l'alabarda e il motto "Trieste ai triestini"), che si dividono poco più del 5% e di fatto si condannano alla scarsa incidenza.
In seguito la causa dell'indipendenza (e la necessità di farla valere anche in sede internazionale, contro le velleità annessionistiche di Italia e Jugoslavia) viene portata avanti dal Movimento per l'indipendenza del Territorio libero di Trieste, fondato tra il 1958 e il 1959 da Giovanni Marchesich e assistito dal giornale L'Indipendenza - Fronte Indipendenza. Gremmo nel libro lo definisce "modesto ma battagliero" e questi ne appare chiaramente colpito (come sembra dimostrare l'uso della stessa statua nel 1992-1993 per la Lega Padana Nord - Lega vento del Nord alle amministrative di Mantova e Torino). Va ricordato che il Movimento di Marchesich è tra i partecipanti, nel 1968, alla lista autonomista promossa sotto le insegne della Svp: il triestino è una delle poche zone in cui la lista (grazie agli indipendentisti) riesce a raccogliere le firme. La rappresentanza, tuttavia, non va oltre le assemblee comunali e provinciali, mentre nel 1976 era nata la Lista per Trieste (nota come "lista del melone") che nel 1979 riesce addirittura a eleggere alla Camera Aurelia Gruber Benco. Quella presenza parlamentare diventa il mezzo attraverso il quale Roberto Gremmo e altri autonomisti riescono - grazie all'espediente della "pulce" - a presentare liste alle elezioni amministrative senza raccogliere le firme. Ma questa è un'altra storia, che si è già raccontata altrove.

C'è tutto questo nel volume Padania separatista, nonché tutto quello che, per motivi di spazio, qui non si è potuto indicare. Si tratta di una storia reale, che ha coinvolto non poche persone e che non si è tradotta in risultati concreti, ma meritava di essere raccontata. Il fatto che dalle ricostruzioni siano state escluse le Leghe più famose (Liga Veneta e Lega Lombarda poi Lega Nord) non deve apparire come una mancanza grave: la loro storia, fatta di evoluzioni e involuzioni, si può trovare ripercorsa già altrove. In queste 380 pagine era giusto che l'attenzione si dirigesse a vicende spesso dimenticate o trattate in fretta, destinando a queste la cura e la passione della ricerca storica (e, a volte, la posizione di "testimone privilegiato"). Anche solo per questo, lo sforzo profuso nella realizzazione del libro (e nel portare avanti il progetto di Gilberto Oneto, se ne condividessero o meno le posizioni) è da apprezzare.

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