lunedì 23 agosto 2021

1994: la Lega immigrazione no di Gremmo mancò l'approdo in Liguria

Il 1994 si prospettava come un anno davvero difficile per Roberto Gremmo, soprattutto dopo le novità assai poco gradevoli che gli aveva riservato l'anno precedente. La mancata rielezione in consiglio regionale in Valle d'Aosta era stata un brutto colpo per lui, così come l'abolizione dell'esonero dalla raccolta firme alle elezioni amministrative e regionali per i partiti che erano rappresentati in Parlamento lo era stato per il suo progetto politico autonomista. Per essere presenti alle elezioni comunali e provinciali - per le quali si sarebbe continuato ad applicare il sistema a elezione diretta del sindaco e del presidente della provincia - occorreva infatti di nuovo andare territorio per territorio in cerca di sottoscrizioni o avere referenti locali in grado di fare lo stesso. Una cosa relativamente facile per un partito strutturato a livello nazionale o almeno regionale (ugualmente tenuto a raccogliere le firme), ma ben più onerosa per un gruppo che disponeva di minor forza e, pur essendo riuscito con abilità e un po' di fortuna ad approdare in Parlamento con un rappresentante, avrebbe dovuto faticare molto di più per farsi conoscere comune per comune.
La situazione per Gremmo non era semplice neanche nel suo Piemonte. Da una parte, la Lega Nord era cresciuta moltissimo, arrivando al 23,35% alle comunali di Torino, risultando il primo partito (ma Domenico Comino era rimasto fuori dal ballottaggio per aver avuto meno voti personali di Valentino Castellani, che poi al secondo turno aveva battuto lo sfidante Diego Novelli); dall'altra si profilava una concorrenza insidiosa. 
Da La Stampa del 10 febbraio 1993, pag. 35
Alle stesse elezioni del 1993, infatti, si era proposto come sindaco anche 
Claudio Pioli, eletto nel 1992 deputato con la Lega Nord, ma iscritto al gruppo misto dal 23 febbraio 1992, giusto un paio di settimane dopo la chiusura del congresso piemontese leghista che aveva confermato segretario Gipo Farassino (di stretta osservanza "bossiana"), alla fine non sostenuto da Pioli. Proprio Pioli era stato indicato come possibile candidato alla segreteria da Renzo Rabellino, eletto nel 1990 consigliere regionale con la Lega Nord Piemont nella circoscrizione di Torino (dietro a Farassino, nel 1992 divenuto deputato). Rabellino, espulso dalla Lega e passato anch'egli al gruppo misto, all'indomani dell'espulsione aveva annunciato una rifondazione della Lega nel segno del federalismo, del liberismo economico e dell'attenzione alle minoranze. 
Il progetto sarebbe diventato più concreto in seguito (come Lega per il Piemonte), ma già alle elezioni comunali del 1993 c'era stato il tempo per mettere in piedi una lista a sostegno di Pioli, denominata Lega per Torino e contrassegnata da una stilizzazione della Mole Antonelliana blu (come il profilo del centro cittadino) su fondo giallo. La Lega Nord aveva protestato contro l'ammissione di quel simbolo (e anche di quello della Lega vento del Nord, a sostegno del candidato dei Verdi-Verdi Maurizio Lupi e con all'interno la "pulce" della Lega alpina lumbarda di Gremmo e De Paoli), ma l'emblema era rimasto al suo posto. Alla fine Pioli aveva ottenuto l'1,73%, ma la Lega per Torino aveva raccolto il 2,12%: se quei voti fossero andati a Comino, al ballottaggio ci sarebbe andato certamente lui e la sfida con Novelli sarebbe stata di sicuro interesse. A Gattinara, addirittura, dove la Lega Nord non era riuscita a presentare la propria lista, la Lega per Gattinara (sempre del gruppo Pioli-Rabellino) era arrivata al 31,18%, poco più di quattro punti sotto la lista vincitrice. Farsi strada in Piemonte, dunque, era sempre più difficile, anche per chi - come Gremmo - per anni era riuscito a emergere in varie situazioni, a dispetto delle tante batoste ricevute.
Nel 1994 erano previste le elezioni europee, ma finita l'esperienza del governo guidato da Carlo Azeglio Ciampi erano sempre più vicine anche le elezioni politiche. Le norme con cui si sarebbe votato erano note da mesi, cioè fin dall'entrata in vigore delle leggi nn. 276 e 277 del 1993, nate sulla spinta del referendum elettorale di quell'anno (che aveva cancellato la distribuzione proporzionale dei seggi al Senato): proprio quelle ribattezzate da Giovanni Sartori - sul Corriere della Sera nell'editoriale del 19 giugno 1993 - Mattarellum, visto che relatore di quelle disposizioni alla Camera era stato Sergio Mattarella (e il nomignolo affibbiato al deputato Dc, attuale Presidente della Repubblica, non era proprio un complimento).
Non solo le leggi elettorali erano note per tempo; dalla fine del 1993 erano ufficialmente noti anche i collegi uninominali che l'apposita commissione - guidata dal presidente dell'Istat, Alberto Zuliani e composta da vari docenti ed esperti, incluso Antonio Agosta, viceprefetto e capo dell'ufficio legislativo del ministro per le riforme elettorali ed istituzionali, Leopoldo Elia - aveva individuato per la Camera e per il Senato (i collegi plurinominali - circoscrizioni della Camera, invece, si trovavano già come allegato alla legge n. 277/1993, mentre al Senato la distribuzione dei seggi non assegnati nei collegi uninominali sarebbe avvenuta su base regionale, accogliendo l'indicazione dell'art. 57 della Costituzione). C'erano dunque tutti gli strumenti per poter riflettere a dovere sulle candidature, cercando di prevedere il funzionamento della nuova legge elettorale.
Anche Gremmo, dunque, rifletteva sugli spazi che avrebbe potuto trovare con la nuova legge, anche fuori dal Piemonte. "La distribuzione dei seggi al Senato, in effetti, era molto interessante per noi - spiega Gremmo oggi - proprio perché prevedeva la ripartizione proporzionale su base regionale dei seggi che non venivano assegnati nei collegi uninominali". Il meccanismo, un po' complesso, merita di essere ripercorso in breve. Per Palazzo Madama non erano previste due schede come per Montecitorio (una per il rispettivo collegio uninominale, una per il relativo collegio-circoscrizione plurinominale): ce n'era una sola, di colore giallo, sulla quale erano stampati i nomi delle persone candidate nel rispettivo collegio uninominale; a ciascun nome era affiancato un solo contrassegno (alla Camera i simboli a fianco della persona candidata potevano essere fino a cinque). 
Circa i tre quarti dei seggi assegnati (su base demografica) a ogni regione erano attribuiti nei collegi uninominali al candidato più votato; il restante 25% dei seggi era invece distribuito tra i gruppi di candidati contrassegnati dallo stesso simbolo in ragione proporzionale. Il modo in cui ciò avveniva però era interessante per le forze minori: per non favorire troppo i partiti e i "cartelli" tra forze politiche che avevano già vinto nei collegi uninominali, il numero di voti di ciascun gruppo di candidati distinto dallo stesso simbolo si calcolava sommando solo i voti ottenuti dai candidati non eletti nei collegi uninominali. In questo modo, anche qualche forza politiche che avesse ottenuto con i suoi candidati buone percentuali (pur non vincendo nemmeno un collegio) avrebbe potuto sperare di ricevere un seggio in seconda battuta. Ovviamente, però, i posti da distribuire non erano infiniti, trattandosi del 25% dei posti disponibili in ogni Regione: si andava dall'unico seggio non uninominale del Trentino-Alto Adige ai 12 della Lombardia. Più basso era il numero dei seggi da distribuire con il "recupero" proporzionale, meno c'era spazio per forze diverse da quelle che avevano vinto almeno un collegio uninominale in regione (anche se i simboli più vittoriosi erano altri); al contrario, con l'incremento dei seggi della quota proporzionale aumentavano anche le possibilità di ottenere eletti per i contrassegni che si erano distinti pur senza vincere nemmeno un seggio e non arrivando nemmeno secondi o terzi a livello regionale.
Si trattava di puntare di nuovo sul Senato per cercare di ottenere un seggio
, come aveva fatto nel 1992 la Lega Alpina Lumbarda, ma stavolta le possibilità erano meno e i calcoli erano più difficili. Come detto, poi, si trattava di capire dove e come presentarsi per sperare di avere qualche possibilità. Si è già accennato alle difficoltà per Gremmo in Piemonte: al di là dell'exploit del Carroccio del 1993 (che avrebbe senz'altro giovato alle candidature comuni con Forza Italia che i leghisti si apprestavano a presentare), si stavano già muovendo Renzo Rabellino e Claudio Pioli con la loro Lega per il Piemonte, il cui simbolo - con il classico drapeau piemontese accostato al giallo e al blu, presi direttamente dalla cromia torinese - aveva già iniziato a circolare da qualche mese, per cui era difficile pensare che ci fosse altro spazio (Gremmo ricordava bene gli effetti deleteri della corsa separata dei piemontesisti alle politiche del 1987, in più il nuovo sistema elettorale avrebbe reso la corsa ancora più difficile). Anche la Lombardia era già al completo: fuori dai due schieramenti principali che si stavano formando, c'era appunto la Lega alpina lumbarda del senatore uscente 
Elidio De Paoli, in cerca di riconferma, ma era probabile che pensasse a candidature autonome anche il gruppo legato a Pierangelo Brivio e alla moglie Angela Bossi, sorella di Umberto, da tempo in rotta con il Senatùr ma anche non in ottimi rapporti con De Paoli.
Dove altro, dunque, si poteva tentare la presentazione? L'ideale sarebbe stato scegliere una regione non troppo lontana, così da poterla raggiungere senza troppi problemi, in cui si poteva contare già su qualcuno in loco e nella speranza che non ci fossero troppe liste a contendersi i seggi del "recupero proporzionale". A conti fatti, l'unica regione che rispondeva almeno ai primi due requisiti era la Liguria: lì infatti c'era Aldo Coppola, con cui nella seconda metà degli anni '80 Gremmo aveva fondato la Lega ligure, presentandosi anche ad alcune elezioni amministrative e cercando di unire le forze nella circoscrizione Nord-Ovest in vista della presentazione della lista dell'Union Piemonteisa (Piemont - Lombardia autonomista), poi sfumata a causa della mancanza di un pugno di certificati elettorali.
Di certo però in quell'occasione non si sarebbe potuta rispolverare la Lega ligure, come non avrebbe avuto senso schierare un movimento dichiaratamente piemontesista nel nome; quanto alla Lega alpina, non doveva essere parsa una proposta appetibile in Liguria. Occorreva qualcosa di diverso, che andasse oltre lo "steccato" autonomista e che fosse in grado di fare breccia tra le persone. Gremmo a quel punto ripensò al progetto di lista contro la droga e l'immigrazione clandestina, concepito e lanciato con grande clamore nel 1989 in vista delle comunali torinesi dell'anno dopo, ma mai finito sulle schede perché nel 1990 poco prima delle elezioni il Parlamento aveva sensibilmente aumentato le firme necessarie per sostenere le liste. Quel progetto poteva tornare buono una manciata di anni dopo, un po' rivisitato: Gremmo ritenne opportuno lasciare da parte il tema della droga (e il simbolo del teschio con la siringa, d'impatto ma decisamente macabro) per concentrarsi sull'immigrazione clandestina, avvertita come un problema da varie persone in molte regioni del Nord, Liguria inclusa.
Trovata l'idea, la prima cosa da fare era concepire il contrassegno. Si optò per una grafica in bianco e nero, per renderla comunque efficace e diretta. Dagli ultimi progetti politici di Gremmo il simbolo riprese la parola "Lega", scritta in carattere bastoni con la "A" a forma di triangolo rettangolo; la difficoltà di visualizzare in modo immediato e non troppo attaccabile il contrasto all'immigrazione portò a scrivere semplicemente "immigrazione no", ponendo la parola "immigrazione" su una fascia nera (non a caso...) che veniva tagliata e squarciata da una spada impugnata. 
"Devo anche dire - ricorda Gremmo - che, al di là del tema scottante dell'immigrazione, non potevano escludere che qualche elettore, vedendo sulla scheda un simbolo con la scritta 'Lega no' e una spada impugnata, senza pensarci troppo avrebbe potuto dare il voto a noi invece che allo spadone di Alberto da Giussano". Non era certo automatico che le cose potessero andare così, ma non era nemmeno un'idea del tutto campata in aria: a quelle elezioni, infatti, le schede del Senato non avrebbero contenuto candidature legate al 
simbolo del Carroccio puro e semplice, bensì a quello del Polo delle libertà, con la statua del guerriero di Legnano sopra la bandierina di Forza Italia alla prima uscita. Con quella nuova grafica, dunque, poteva essere meno immediato riconoscere il simbolo della Lega Nord e gli elettori avrebbero potuto votare con qualche esitazione in più. 
Fatto preparare il simbolo, occorreva depositarlo al Ministero dell'interno
, tra l'11 e il 13 febbraio 1994. Ci andò Anna Sartoris, la moglie di Gremmo, con una certa calma, come dimostra il numero d'ordine piuttosto alto (219) con cui figura tra i contrassegni ammessi: collocato subito dopo gli emblemi del Polo delle libertà, del Ppi e della Lega alpina lumbarda, quello della Lega immigrazione no si sarebbe potuto presentare soltanto in Piemonte e in Liguria (alla Camera e al Senato). In quell'anno da record per i simboli depositati (ne risultarono ammessi addirittura 304, rispetto ai 320 depositati, entrambi numeri da primato assoluto), peraltro, tra i primi spiccava il contrassegno della Lega per l'autonomia del Nord, presentato da Pierangelo Brivio e Angela Bossi per il deposito delle liste in varie regioni settentrionali. 
Quanto al gruppo di Rabellino, depositò la Lega per il Piemonte, insieme ad altri emblemi che sarebbero tornati utili alla Camera: oltre al Piemont Liber già visto nel 1992 (ecco svelato, probabilmente, chi lo aveva concepito...), furono depositati Unione per il federalismo, Ivrea provincia, Gruppo autonomia ossolana e Alba provincia. Questi, in particolare, sarebbero serviti come simboli di appoggio ai candidati della Lega per il Piemonte, messi accanto all'emblema di quest'ultimo sulla scheda rosa dei collegi uninominali della Camera interessati: Sergio Sbaffo a Verbania fu appoggiato da Lega per il Piemonte, Unione per il federalismo e Ossola libera; quest'ultimo venne sostituito da Alba provincia per la candidatura dello stesso Rabellino nel collegio di Alba e così via. Quei simboli sarebbero stati anche un test: in base ai voti presi qua e là, si sarebbe forse capito quali simboli sarebbero tornati utili anche in futuro, per nuovi appuntamenti elettorali.
L'esame del Viminale non riservò sorprese a Gremmo e a Rabellino, i cui emblemi furono tutti ammessi. Ebbe disco rosso, invece, il simbolo della Lega per l'autonomia del Nord, perché la combinazione di parole "Lega" e "Nord" in evidenza fu ritenuta confondibile con il simbolo della Lega Nord. Brivio e sua moglie Angela Bossi dovettero correre in fretta ai ripari: conservarono la rosa camuna presente sul fondo azzurro (che nessuno aveva contestato) e modificarono la dicitura presente sul contrassegno in "La Lega di Angela Bossi". Il simbolo in quel caso fu ammesso: probabilmente Umberto, fratello di Angela, non era contento, ma allora la Lega Nord non aveva inserito il cognome del suo leader nel simbolo e in ogni caso l'inserimento del prenome (peraltro con la stessa grandezza del cognome e non furbescamente più piccolo, come in seguito spesso sarebbe avvenuto) aveva scongiurato ogni ulteriore confondibilità. 
Nessun problema invece per un altro emblema depositato dal gruppo di Brivio, cioè Alleanza lombarda, per esteso Lega per l'autonomia - Alleanza lombarda, evoluzione del soggetto che nel 1990 aveva portato lo stesso Brivio in consiglio regionale in Lombardia e che nel 1993 era apparso sulle schede elettorali delle comunali a Milano, a sostegno appunto della candidatura di Angela Bossi. Questa volta era sparita la rosa camuna (anche perché era stata già usata nel contrassegno depositato poco prima) e il fondo era stato colora di blu, con un cerchio azzurro al centro (in stile 45 giri, ma un po' eccentrico) recante l'ulteriore riferimento alla Lombardia. Difficile pensare che i depositanti pensassero davvero di usare l'emblema, tanto più che come circoscrizioni erano state indicate Toscana e Lazio: una destinazione oggettivamente improbabile.
Il simbolo di Roberto Gremmo e Anna Sartoris, dunque, aveva superato l'esame del Viminale (e in fondo non era scontato: è vero che anche in seguito contrassegni contrari all'immigrazione, anche più irritanti sul piano grafico, sarebbero ugualmente stati ammessi, ma oggi forse un emblema simile avrebbe qualche difficoltà in più). Il vero ostacolo da superare, tuttavia, era ancora una volta costituito dalla raccolta delle firme: per la nuova legge ne servivano tra 500 e 1000 per ogni collegio uninominale alla Camera (e un numero variabile di firme, a seconda della popolazione, per presentare liste nelle circoscrizioni per la quota proporzionale) e tra 1000 e 1500 per ogni collegio uninominale al Senato. Oggettivamente non erano poche, ma agli occhi di Gremmo valeva comunque la pena tentare quella "operazione Liguria", cercando di coprire almeno i tre collegi di Genova, cioè i più popolosi e dunque più appetibili per la ricerca dei voti; del resto, secondo l'ideatore del progetto proprio nel capoluogo era più forte la tensione legata all'immigrazione, quindi sarebbe stato più semplice trovare persone disposte a firmare e magari anche a votare per il simbolo della Lega immigrazione no.
"Decisi di investire un po' di soldi in quell'impresa - racconta ancora Gremmo - e andai più volte a Genova con mio figlio Gabriele per raccogliere le firme: là ci davano una mano Coppola e un paio di altre persone che pagavamo per il supporto. Il ritmo della raccolta era buono, nonostante il freddo: una volta addirittura nevicò e, per proteggerci durante i banchetti, ricordo che comprai un passamontagna per me e mio figlio". Il tempo a disposizione non era molto; in ogni caso, le firme arrivavano e Gremmo iniziava a pensare che l'obiettivo fosse a portata di mano.
Dopo circa una settimana dall'inizio della raccolta, però, arrivò una telefonata da Coppola: "Gremmo, è il caso che vieni qui: abbiamo un problema". Lui per l'ennesima volta partì e chiese a Coppola cosa fosse successo: "Mi disse - continua il suo ricordo - che la persona che avevamo chiamato per autenticare le firme, in qualità di giudice conciliatore, di fatto non aveva più quell'incarico e dunque non aveva più titolo nemmeno per autenticare le firme; i fogli con le sottoscrizioni, però, li aveva tenuti lui e si rifiutava di consegnarceli. Io mi arrabbiai molto, anche perché per quelle autenticazioni era già stato profumatamente pagato, quindi chiesi a Coppola quali alternative avessimo: lui mi disse che avremmo potuto denunciarlo, ma non lo avrei mai fatto anche perché non saremmo comunque riusciti a riottenere quei moduli pieni di firme in tempo. Non c'era nemmeno il tempo di ripartire daccapo con la raccolta firme cercando un altro autenticatore: non potemmo far altro che rinunciare". 
La sortita elettorale ligure di Gremmo con il nuovo simbolo, dunque, non ci fu: lui, certamente deluso per la nuova battuta di arresto, dovette accontentarsi di inserire la moglie Anna Sartoris come candidata della Lega alpina lumbarda nel collegio senatoriale di Vigevano (dove comunque avrebbe ottenuto il 4,35%). Alla fine le persone candidate con quel simbolo - incluso il già citato Attilio Daniele Capra de Carré e vari altri membri di quella famiglia - il 27 e 28 marzo 1994 ottennero a livello regionale il 4,31% al Senato: meno di Alleanza nazionale al suo esordio (6,66%) ma più della Lista Pannella - Riformatori (3,82%). Queste tre formazioni, grazie anche all'alto numero di seggi distribuiti con il "recupero proporzionale", elessero un rappresentante a testa a Palazzo Madama: l'eletto per la Lega alpina lumbarda fu di nuovo Elidio De Paoli, confermato stavolta nel collegio di Albino. 
La partita in Liguria sarebbe stata comunque difficile: i Progressisti vinsero 4 collegi uninominali su 6, il Polo delle libertà si aggiudicò gli altri 2 e si vide assegnare altri 2 seggi nella quota proporzionale; l'ultimo rimasto toccò al Patto per l'Italia, che a livello regionale aveva ottenuto il 14,84% (sarebbe stato davvero arduo raggiungere quel livello per un progetto nuovo, non nazionale e non nato in Liguria, peraltro con una presenza nei soli collegi di Genova). Quanto al Piemonte, si divisero i seggi il Polo delle libertà, i Progressisti, il Patto per l'Italia e Alleanza nazionale (8,66%), mentre la Lista Pannella - Riformatori con il 4,4% rimase fuori: per la Lega per il Piemonte, che si fermò all'1,83%, non ci fu nulla da fare, ma anche per Gremmo ottenere un seggio sarebbe stato quasi impossibile.
Alle europee tenutesi il 12 giugno 1994 Pierangelo Brivio riprovò a presentare il simbolo originario della Lega per l'autonomia del Nord, ma fu bocciato di nuovo; questa volta si oppose alla sostituzione, ma la sua opposizione fu rigettata dall'Ufficio elettorale nazionale per il Parlamento europeo per la mancata notifica di quella stessa opposizione alla Lega Nord, evidente controinteressata. Tornò invece in bacheca e sulle schede il simbolo della Lega alpina lumbarda, agevolato dall'esenzione dalla raccolta firme, vista la presenza in Parlamento di De Paoli; questa volta, però, al posto dell'alpino e del profilo montuoso, furono inseriti i riferimenti agli stemmi di Piemonte (lambello), Lombardia (croce di San Giorgio) e Veneto (leone di San Marco), tutti interpretati in bianco, azzurro e blu. E proprio perché non c'era bisogno di firme, le liste furono presentate in tutte e cinque le circoscrizioni, anche dunque al Centro, al Sud e nell'Italia insulare: in tutte le liste era presente Anna Sartoris, ma c'erano altri nomi riconducibili a Gremmo, come Alberto Seghesio e Gianpiero Carlo Riva Vercellotti. A livello nazionale, tuttavia, la lista si fermò allo 0,34% e nella circoscrizione Nord-Ovest non andò oltre lo 0,67%, superata anche dalla Lega di azione meridionale di Giancarlo Cito (0,72%) anche grazie all'adesione di Maurizio Lupi dei Verdi-Verdi. Lui aveva preso 757 preferenze, Anna Sartoris 743: si era battuta bene, ma non era bastato.
Oggettivamente il 1994 non era stato facile per i progetti di Gremmo. Da lì in avanti lui sarebbe tornato essenzialmente al suo lavoro di maestro e avrebbe intensificato la sua attività di studioso (producendo numerose pubblicazioni proprio dal 1994); sarebbe venuto il tempo di altre battaglie, ma conviene parlarne in un'altra occasione.

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