domenica 29 agosto 2021

Letta alle suppletive, il simbolo del Pd (che non c'è) e le norme elettorali

Si sta tenendo in queste ore (per l'esattezza si chiuderà alle ore 20 di domani, lunedì 30 agosto) il deposito delle candidature per le elezioni suppletive che interesseranno due collegi uninominali della Camera dei deputati. I documenti - a partire dalle sottoscrizioni necessarie, almeno 300 e non oltre 600 - devono essere consegnati presso la Corte d'appello del rispettivo Ufficio centrale circoscrizionale: a Firenze per il collegio Toscana-12 (Siena e parte della provincia di Arezzo), a Roma per il collegio Lazio 1-11 (Primavalle e altri territori).
Nei giorni scorsi ha ottenuto più attenzione il collegio di Roma, se non altro perché le candidature di Luca Palamara ed Elisabetta Trenta hanno svelato due tra i concorrenti più noti (nell'attesa che si scopra chi altro è stato in grado di raccogliere le firme necessarie, accanto a chi - come il segretario del Pd Roma Andrea Casu, candidato da Pd e "centrosinistra" - non ha bisogno di alcuna sottoscrizione perché il suo contrassegno gode dell'esonero in base alla presenza parlamentare); oggi invece è tornata sotto i riflettori il collegio toscano, nel quale era nota da tempo la candidatura di Enrico Letta.
Ironia della sorte, a far parlare della corsa elettorale del segretario Pd è stato proprio il simbolo da lui scelto e pubblicato sui suoi profili social: su fondo rosso leggermente sfumato, si trova soltanto la dicitura bianca, "con enrico LETTA", con il cognome chiaramente in evidenza (e scritto "tutto in un blocco") e un tocco di sobria leggerezza dato dal "con" proposto in una font manoscritta, meno severa del carattere "bastoni" usato per le altre parole. Il colore dello sfondo ricorda in parte i simboli già visti per le candidature alle suppletive di Sandro Ruotolo e Roberto Gualtieri e Sandro Ruotolo, ma non è certo di questo che si discute nelle ultime ore: si (stra)parla, più che di quel che c'è nel contrassegno elettorale, di quello che manca. 
 
 
Oggetto dei commenti, infatti, è soprattutto l'assenza del simbolo del Partito democratico all'interno del fregio elettorale. Tra le dichiarazioni più rilanciate, riprese o citate c'è quella di Matteo Salvini, per il quale a Sena "la sinistra [...] candida il segretario del partito che ha distrutto storia e patrimonio del Mps e, per la vergogna, si presenta senza il simbolo del Pd". Non è certo la prima volta che, da una parte o dall'altra, si chiama in causa la vergogna come movente della sparizione dei simboli di partito, dalle schede elettorali (nel contesto di una diffusa corsa al civismo, che fa il paio con una tendenza dei partiti a giocare a nascondino, in tempi in cui "partito" sembra una parolaccia e non la vuole usare nessuno, quindi meglio non averne nemmeno le sembianze) o più semplicemente dai manifesti (per i quali è più facile, oggettivamente, pensare che siano centrati sulla persona che si candida, piuttosto che sulle forze che la sostengono). Chi studia avvenimenti e dinamiche della politica si limita a registrare la nuova polemica; chi conosce a fondo norme e prassi elettorali - appartenendo quasi sempre alla schiera dei #drogati di politica - non riesce invece a capire critiche e attacchi di questo tipo e suggerisce a chiunque un rapido ripasso delle citate norme e prassi.
La disciplina in vigore per le elezioni politiche, così come modificata - da ultimo - dalla legge n. 165/2017 ("legge Rosato-bis"), ha reintrodotto in Italia le elezioni suppletive, che si tengono quando in corso di legislatura si liberi alla Camera o al Senato - per decesso, incompatibilità, dimissioni o altre cause - un seggio attribuito in un collegio uninominale, nel quale dunque si affrontano singole persone e non liste. Quelle elezioni erano previste anche dal sistema introdotto nel 1993, con cui si è votato nel 1994, nel 1996 e nel 2001: se però la "legge Mattarella" ammetteva che ciascuna persona candidata potesse essere sostenuta da un massimo di cinque contrassegni, le regole ora applicabili consentono di affiancare a ciascun nome sulla scheda elettorale un solo emblema. Può essere uno di quelli già depositati alle ultime elezioni politiche (nel qual caso non occorre depositarlo anche in Corte d'appello, come l'Ufficio elettorale centrale nazionale ha chiarito in occasione delle prime suppletive di questa legislatura) oppure può essere un contrassegno nuovo, in tutto o in parte (per intendersi, anche una semplice aggiunta o modifica, testuale o grafica, fa parlare di un emblema nuovo) e allora lo si dovrà depositare insieme agli altri documenti. Se poi il contrassegno è esonerato dalla raccolta firme, perché riproduce il simbolo di un partito che dispone di un gruppo parlamentare in entrambe le Camere, non ci sarà bisogno delle sottoscrizioni a sostegno; le firme dovranno invece essere regolarmente raccolte o depositate se nel contrassegno non figura alcun simbolo di partito esente, anche se - come appunto nel caso di Letta - a candidarsi è il segretario di un partito con un gruppo a Montecitorio e a Palazzo Madama.
La scelta di non impiegare il simbolo del Pd, dunque, è stata meditata e consapevole, visto che sul simbolo descritto e mostrato in precedenza sono state raccolte le firme. Questo certamente si può dire; sulle ragioni che hanno spinto a questa decisione si può ovviamente discutere, ma volerle cercare (solo) nel "vergognarsi del simbolo" sembra decisamente riduttivo e non tiene conto di questioni oggettive e pratiche. Come si è detto, alle suppletive si può affiancare un solo contrassegno al nome di chi si candida: nulla vieta, ovviamente, né di usare il simbolo del partito, anche solo leggermente integrato (come pare che accadrà con Andrea Casu, che al logo Pd di Nicola Storto sottoporrebbe un segmento rosso con la dicitura "Centrosinistra"), né di inserire più simboli di partito all'interno dello stesso cerchio.
Contrassegno di Maurizio Leo
(suppletive 2020 - Lazio 1-01)
 
"Biciclette" e "tricicli", in fondo, sono stati usati anche come emblemi di lista (alle amministrative nei comuni sotto i 15mila abitanti è la prassi, ma anche a volte in quelli superiori), quindi non c'è da scandalizzarsi; lo stesso centrodestra ha impiegato nelle precedenti suppletive di questa legislatura contrassegni compositi, sfoggiando tre o quattro cerchietti a seconda del numero di forze politiche che componevano in quel caso la coalizione. Già così, tuttavia, è facile notare che la grafica lascia abbastanza a desiderare: nessuno ha mai preteso che le schede elettorali siano esempi di finezza, ovviamente, ma bisogna ammettere che la scelta di rendere "visibili" più forze politiche nello stesso cerchio (di 3 centimetri di diametro sulla scheda) crea problemi di leggibilità, oltre che di disposizione e proporzioni. Qualche esempio: si fanno tutti i cerchietti uguali, oppure uno/alcuni di dimensioni maggiori rispetto ad altri? La soluzione andrà bene a tutti o ci saranno lamentele pronte a esplodere? E un partito piccolo ma presente in quel territorio merita visibilità o resta fuori per non complicare il contrassegno?
Ovviamente, più la coalizione si amplia, più la scelta di includere tutte le forze politiche (o quasi) diventa complessa, a meno di rischiare risultati graficamente discutibili. Il centrosinistra, almeno in un'occasione, ha provato a non scontentare quasi nessuno: alle due suppletive trentine del maggio 2019, infatti, nello stesso contrassegno sono state inserite ben sei "pulci", tra simboli nazionali e locali, rappresentanti forze piccole e grandi, tutti in ogni caso di 3,5 millimetri di diametro. L'effetto carambola (o biliardo o collana, che dir si voglia) era però assicurato: per la cronaca, in entrambi i casi il centrosinistra perse, certo non per colpa del contrassegno elettorale ma non si può obiettivamente dire che questo abbia aiutato a farsi riconoscere.
Non sembra un caso, dunque, che in seguito il centrosinistra abbia puntato su simboli decisamente centrati sulla persona candidata: lo stesso peraltro è accaduto per alcune candidature "giallorosse", non necessariamente più fortunate ma graficamente più ordinate. Quando dietro un candidato alle suppletive c'è una coalizione, quindi, la scelta "simbolica" è tra un contrassegno tanto inclusivo quanto "carambolesco" (più rispettoso delle varie comunità elettorali ma graficamente poco gestibile) e un emblema più pulito e diretto, spesso centrato sul candidato (accontentandosi necessariamente di scarsi riferimenti alle forze politiche sostenitrici, magari attraverso i colori).
A Roma-Primavalle la candidatura del segretario cittadino del Pd ha suggerito l'uso del simbolo del partito, integrato con il riferimento al centrosinistra visto che a sostenerlo saranno anche altre forze di quell'area. Se era lecito immaginare una dinamica simile nel collegio toscano che va al voto, essendo candidato il segretario nazionale del Partito democratico, occorre però ricordare che a Siena Enrico Letta ha espressamente cercato anche il sostegno di Italia viva e del MoVimento 5 Stelle: sarebbe oggettivamente più difficile ottenere i voti dei sostenitori di quelle forze politiche schierando il simbolo del Pd, né era oggettivamente pensabile che lo stesso contrassegno contenesse i simboli di Pd, M5S e Iv (o anche solo dei primi due soggetti politici: finora si sono visti affiancati, ma trovarli nello stesso cerchio farebbe un altro effetto). Si tratta certamente di una scelta di natura politica, legittima e ovviamente criticabile da parte di chi non la condivide; la vergogna, però, c'entra ben poco. Molto meno contestabile, per dire, sarebbe stato notare che la stampa del simbolo diffusa sui profili social di Letta è stata stampata davvero male, visto che sono evidenti delle "strisciate" di colore che difficilmente sono presenti nell'originale: per fortuna, dopo la conversione del "decreto semplificazioni", il contrassegno ufficiale depositato è quello in formato Pdf, certamente con i colori giusti, ed è quello che sarà riprodotto su manifesti e schede. Alla faccia delle stampanti difettose, che attaccano anche i simboli non "caramboleschi".

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